martedì 6 settembre 2011

Andreas Hofer tra Napoleone e Francesco Giuseppe - parte 2.



Per converso la terribile ribellione contro i Bavaresi non fu certo dovuta a ragioni di razza o di lingua. Sotto questo profilo i Bavaresi erano più simili ai Tirolesi di innumeri altre popolazioni dell’Impero a cominciare dagli stessi Viennesi o dai cosiddetti Tirolesi italiani (o Trentini), ai quali sempre Hofer si rivolse come a fratelli e che in gran numero accorsero sotto le sue bandiere. Per dì più il popolo bavarese, a differenza dei suoi governanti, era profondamente cattolico, e lo dimostrerà quasi un secolo dopo, opponendo a Bismarck il famoso "Zentrum". Purtroppo all’inizio del secolo XIX (soltanto allora?) i governi si arrogavano il diritto di esclusiva interpretazione dei loro popoli e si adoperavano per fini che la coscienza popolare non solo non sentiva ma radicalmente disapprovava (o avrebbe disapprovato se li avesse conosciuti). Scintilla della rivolta fu, difatti, la pretesa del governo centrale bavarese e dei suoi rappresentanti, quasi tutti appartenenti alla setta degli "Illuminati", di spiantare le tradizioni tirolesi e di ridurre a mera parvenza, confinata al segreto delle case o al chiuso delle chiese, una fede che permeava quasi ogni atto della quotidiana esistenza.

Ciò è confermato dalla presenza di numerosi sacerdoti e religiosi nelle file degli insorti (famoso fra tutti il cappuccino Haspinger, che guidava i montanari alla lotta contro gli invasori, levando alto il crocefisso) e dalle disposizioni che Hofer prese perché le vittorie dei Tirolesi fossero ricordate con Messe e solenni processioni in onore del Sacro Cuore di Gesù, alla cui protezione egli attribuiva ogni successo. In uno dei suoi proclami, datato Innsbruck 10 settembre 1809, si legge: "Se noi abbiamo mai sperimentato la bontà indulgente e salvatrice di Dio verso di noi, ciò fu nella prima metà del mese di agosto, quando l’aiuto del cielo ci liberò così visibilmente dalle mani di un nemico che crudelmente soggioga e che non rispetta né religione, né trattati, né umanità!". Ancor più significativo della consapevolezza che Hofer ebbe della vera natura della sua battaglia, non nazionalistica o patriottarda, ma di legittima difesa della comunità cristiana del Tirolo, uno scarno appello lanciato quando, dopo la vittoria di Napoleone e Wagram e l’armistizio di Zuaim, le sorti volgevano al peggio per le armi austriache e gli insorti.

"Se mai vi accorgete che ci avviciniamo... non esitate a prendere le armi. Si tratta di religione e di cristianesimo; non lasciatevi ingannare dai mascalzoni". A dispetto di questa evidenza gli storici successivi, quasi tutti eredi e discepoli, anche se a volte inconsapevoli, degli "Illuminati" hanno sviluppato il preciso disegno di ridurre l’eroe tirolese al rango di un semplice nazionalista, accennando a volte perfino ad una sua presunta e mai provata intenzione di sottrarre la nazione tirolese al dominio austriaco oltre che a quello bavarese (ma se così fosse stato perché mai allora non cercò di conciliarsi, com’era facile nel momento della vittoria, la protezione di Napoleone, seguendo l’esempio del regolo bavarese?). In tal modo non solo se ne sminuisce di molto la levatura morale ed il significato storico, relegandolo al ruolo di un qualunque ribelle, ma lo si trasforma addirittura in un campione di quegli ideali e di quei principi che egli invece sempre strenuamente avversò. Lo stesso pessimo servizio, come si è già accennato, gli rendono quei suoi "laudatores", in genere di lingua tedesca, che esaltano in lui una specie di propugnatore del pangermanesimo, dimenticando che i Bavaresi non erano meno tedeschi degli Austriaci e che Andreas Hofer, pur avendo vivissimo il senso della sua appartenenza alla comunità tirolese, non fece mai questione di lingua o di razza. Significativo a proposito il suo proclama ai Trentini, dato in Bolzano il 4 settembre del 1809, rivolto ai "dilettissimi Tirolesi Italiani". Dal canto loro questi furono sempre al suo fianco e già all’inizio dell’insurrezione, il 26 aprile 1809, la popolazione di Rovereto, popolani ed "ottimati",(4) accolse trionfalmente il suo ingresso alla testa degli insorti delle valli di Sole e di Non e delle Giudicarie, tutti Trentini, di molti dei quali non ci è stato tramandato il nome, ma senza dubbio bravi montanari ed ottimi cristiani di razza e di lingua italiana.

La storiografia successiva alla rivoluzione francese ha sempre perseguito intenti pubblicitari ed ha sempre accuratamente emarginato, con gli strumenti del potere di cui era ed è espressione, ogni serio tentativo dì compiere indagini obiettive ed approfondite, favorendo il permanere dì ridicoli miti che nulla hanno di storico ("i secoli bui del medio evo", "la civilità umanistica , "il risveglio del rinascimento", "il secolo dei lumi" ecc.). Tuttavia il fraintendimento della figura e dell’opera dì Hofer va addebitato anche agli interessi particolari dei due popoli che ne furono più direttamente interessati. I Tedeschi, ansiosi di fare del campione tirolese un eroe esclusivamente loro, calcarono eccessivamente la mano sulla sua devozione all’Imperatore Francesco d’Asburgo, devozione indubbiamente esistente, ma diretta più al simbolo dell’idea imperiale che all’uomo. Gli Italiani, preoccupati di affermare l’italianità del Trentino e dell’Alto Adige, cercarono, in sostanza, di ridurlo ad un rango modesto e gli attribuirono nobiltà d’animo e grandezza dì cuore, ma ristrettezze dì vedute per non avere inteso che il futuro di quelle terre era con l’Italia e non con l’Austria(5).

In realtà il desiderio dì diluire o negare, anche oltre il vero, le caratteristiche germaniche, pure indubbiamente presenti, di Hofer, porta a volte gli storiografi italiani a sfiorare parzialmente la verità, come fa, ad esempio, il Caracciolo,(5) quando afferma che sbaglia chi vuole fare passare per patriottismo quello che non era se non una cieca tenacia tradizionale e un esasperato fervore religioso". Ma l’errore è di base, perché in questo autore è chiaro il pregiudizio, dovuto forse anche all’epoca in cui scriveva, che il patriottismo sia la somma virtù e siano invece difetti o addirittura vizi l’amore per la tradizione e il fervore religioso. D’altronde se per patriottismo s’intende l’attaccamento al proprio paese, alla terra dei padri, Andreas Hofer fu senza dubbio patriota grandissimo (e non sì vede invero su cosa si fondi la pretesa che egli, tedesco dì razza, di lingua e di costumi, per meritarsi il titolo di patriota dovesse trasformarsi in fautore "ante litteram" dell’unità d’Italia). Ciò non toglie che egli fu anche e soprattutto un patriota cristiano; patriota perché cristiano, cristiano e quindi patriota. La sua profonda ed autentica fede religiosa gli aveva, difatti, permesso dì intuire che il cattolicesimo aveva così profondamente modellato il suo popolo ed il suo paese che senza di esso il Tirolo non sarebbe più stato il Tirolo, il popolo tirolese il popolo tirolese e che in breve perfino lo stesso paesaggio, una volta scristianizzato, avrebbe mutato aspetto al punto di divenire irriconoscibile ed odioso anche a coloro che vi erano nati e ne conservava intatta in cuore l’immagine fra i fasti della corte di Vienna o i ruderi gloriosi ed i trionfi barocchi della Roma Cesarea e pontificia (6).

Ancor prima del Caracciolo il Tolomei (7) aveva esattamente sottolineato: "Nessuno che obiettivamente giudichi può dar colore nazionale germanico a questo moto... La storia è là per raccontare le stragi dei Bavaresi e dei Sassoni compiute per mano dei Tirolesì insorti..." Poteva essere il valido inizio di una corretta analisi, che però l’Autore non era in grado di compiere, perché dell’invocata obiettività dì giudizio si dimenticava volentieri quando doveva cambiare versante. Afferma difatti subito dopo inesattamente (e a smentirlo basterebbe la vecchia lapide immutata nell’ingresso del santuario di San Romedio) che nel Trentino esisterebbe una prevenzione ostile ad Andreas Hofer in parte per il ricordo degli eccidì (dove e quando avvenuti?) commessi dalle "fanatiche bande hoferiane" in parte per l’attaccamento "al glorioso Regno Italico che quelle bande combatterono". In realtà la storia dell’epoca ci mostra gli insorti trentini (i cosiddetti Tirolesi italiani) ed anche bellunesì combattere contro le truppe del "glorioso Regno Italico", composte, In quella zona, o di Francesi o di Napoletani, come la colonna operante, appunto nel Trentino e nel Bellunese, al comando del generale Peyri. Del resto di che genere fosse l’attaccamento dei Trentini al Regno Italico e quale la loro posizione nella lotta intrapresa da Hofer lo dimostra il truculento proclama con il quale lo stesso Peyri intimò alla popolazione dì Lavìs e di Trento di non opporsi alle sue truppe. "Saranno d’esempio le terribili giornate del 28 settembre e del 2 ottobre, l’Adige ancora intimo di sangue, i ponti di Trento zeppi di cadaveri, le contrade della città coperte dì semivivi, le vittime di un giusto furore militare a Lavis e le altre nelle scorrerie della cavalleria al di là di San Michele".

Vi erano quindi stati gli eccidi e le stragi dì Trentinì di cui parla il Tolomei, ma ad opera del "giusto furore militare" degli eserciti del "glorioso Regno Italico" e non delle "fanatiche bande hoferiane".

In realtà i Trentini, al pari dei Tirolesì e, del resto, dei Mantovani, degli "insorgentì" romagnoli, dei cafoni abruzzesi, con la prontezza di giudizio propria dei popoli semplici e non corrotti, avevano perfettamente compreso che la lotta non era fra "oscurantismo" e "progresso", fra mondo germanico e mondo latino, ma fra due diverse concezioni del mondo e dell’universo, fra due idee contrapposte. L’una, senza distruggerlo ed anzi esaltandolo, sottometteva il particolare all’universale, l’altra si serviva del particolare come di una mina destinata a distruggere l’universale senza intendere, o forse intendendo fin troppo bene, che la distruzione dell’unìversale comportava di necessità, dopo l’effimero ed apparente trionfo nel momento del "botto", l’annientamento del particolare.

Queste umili popolazioni, nella loro saggia ignoranza, non avrebbero certo sottoscritto il giudizio del Caracciolo, che, pur dopo aver reso omaggio al singolare fascino che promana dall’eroe tirolese, riconoscendo che "raramente una responsabilità sì grandc e un sì pesante carico di onori fu portato con maggiore indifferenza se non addirittura con umiltà. Ecco una grande eccezione nella storia tumultuosa delle rivoluzioni!", aggiunge; "se egli avesse voluto, se avesse osato, se avesse intravista e valutata la verità, avrebbe potuto creare un’autonomia, o addirittura un piccolo stato libero semi indipendente, che con opportune garanzie sarebbe stato forse dallo stesso Napoleone portato a battesimo". Tutt’al contrario, se flofer si fosse adeguato a questo postumo suggerimento, sarebbe venuto meno alle ragioni della sua immortale grandezza, ai principi che fanno di lui un simbolo, una permanente opzione viva, per discendere al rango di un regolo tanto borioso quanto inutile come Massimiliano di Baviera, o dì un funzionario imperiale un po’ più impennacchiato e immedagliato degli altri come Eugenio Beauharnais o Gioacchino Murat.

Del resto il singolare destino di Andreas Hofer fu sempre dì essere compreso ed amato dagli umili e dai semplici e frainteso dalle persone di qualità (dai generali ai "paglietta" ed agli odierni intellettuali), se è vero che il generale francese Pollet, che pure si trovava in Tirolo durante l’insurrezione del 1809, ebbe a dire che questo campione dello spirito "non mostrò che il coraggio che nasce dal vigore dei muscoli". Il che, riconosciamolo, è un po’ eccessivo perfino per un Illuminato!

(1) É importante notare che il concetto del potere come servizio è tipicamente cristiano ed è stato riproposto con particolare vigore proprio in questi ultimi anni.

(2) Il riferimento è qui alle Monarchie cristiane, per cui rimangono estranee alle svolte considerazioni le monarchie borghesi o, peggio, "illuminate", come quella di Luigi Filippo o, in Italia, la sabauda.

(3) Significativa al riguardo l’opera "La conquista del Sud" di Carlo Alienello (Rusconi Editore) ove, fra tante altre cose interessanti a proposito della liberazione dei "cafoni" ad opera dei "piemontesi" e dei "paglietta" loro amici, si apprende come venne fabbricato il successo del plebiscito per l’unione all’Italia delle province meridionali.

(4) Fra questi il conte Alberto degli Alberti, il barone Giulio dei Piccini ed il conte Fredigotti mentre, come sempre, la storia ha dimenticato di conservarci il nome degli umili e dei poveri.

(5) Italo Caracciolo: "Andreas Hofer nell’insurrezione antibavarese del 1809", Zanichelli, 1927, Bologna.
(6) Se non si corresse il rischio di uscire troppo dal tema, sarebbe assai interessante approfondire l’indagine su questo punto per vedere in quanta parte il declino del vero patriottismo, che caratterizza la nostra epoca, sia dovuto al fatto che ormai assai pochi sono i paesi, i "paesaggi", che conservano, anche nel loro aspetto esteriore, l’impronta della fede, delle tradizioni, delle concezioni e dei modelli esistenziali propri degli uomini che vi hanno vissuto. Ormai quasi ogni paesaggio, cittadino, alpestre o marino che sia, appare modellato sulle monotone esigenze del denaro, del profitto (compreso quello di Stato) e del consumismo. Il patriottismo è fatto di cose, piccole e grandi, il nazionalismo di roboanti parole.

(7) E. Tolomei. "L’Alto Adige".

IL QUADRO STORICO

Il trattato dì Presburgo (26 novembre 1805), seguito alla vittoria napoleonica dì Austerlitz, assegna la "Provincia del Tirolo", comprendente il territorio fra l’Inn e le Alpi, l’attuale Alto Adige e il Trentino, austriaca fin dal 1363, al re Massimiliano dì Baviera, fedele vassallo dì Napoleone.

Il 6 febbraio 1806 sì insedia ad lnnsbruck, capoluogo della Provincia, quale governatore, il conte Carlo d’Arco, ciambellano del regolo bavarese e uomo di fiducia del conte di Montgelas, ministro della Real Casa bavarese, affiliato alla setta degli Illuminati, noto soprattutto per i suoi furori antireligiosi e, in ispecie, anticattolici.

Il re dì Baviera aveva promesso ai nuovi sudditi, i quali, pur promettendogli fedeltà, avevano tenuto a ricordargli, con apposita delegazione, il loro attaccamento agli Asburgo, dì non turbare i loro ordinamenti civile e religiosi, affermando di ben sapere "che uno dei primi doveri del Nostro Governo è dì assecondare i pastori della Chiesa nell’adempimento del loro benefico ministero, e dì aiutarli potentemente, per il bene dei Nostri popoli, nel conseguire il sacro scopo che la religione cattolica sì propone con l’insegnamento della verità".(1)

Tuttavia già con un decreto del 16 aprile 1806 inizia l’opera di sovvertimento dell’organizzazione ecclesiastica cattolica, che prosegue poi incessante col divieto ai Vescovi dì ordinare nuovi sacerdoti senza il benestare del re e l’approvazione dei professori dell’Università di Innsbruck, con l’obbligo per gli stessi Vescovi di adeguarsi incondizionatamente ai provvedimenti presi dalle autorità civili a carico di sacerdoti per la cosiddetta "polizia della Chiesa", col diritto esclusivo del Governo di provvedere alla nomina dei parroci, il tutto con l’intento di assoggettare completamente la Chiesa e la stessa religione al governo, perché, come scrive il segretario del conte d’Arco, la "separazione dei due poteri (Chiesa e Stato) che reggono la società, non è più neppure concepibile e invece tutto esige la più completa centralizzazione dell’autorità".(2)

Questo tentativo non può essere accettato dai Vescovi delle tre diocesi tirolesi (Merano, Trento e Bressanone), tanto più che il Vescovo di Merano ha già provato i regimi "illuminati", essendo stato scacciato dalla rivoluzione francese dalla sua precedente sede di Coira. Di conseguenza i Vescovi di Merano e Trento debbono prendere, il 24 ottobre 1806, la via dell’esilio da Innsbruck, dove si e radunata, per salutarli ed esprimere loro la solidarietà popolare, una grande quantità di fedeli. Ugualmente in esilio debbono riparare i parroci che si rifiutano di accettare il "nuovo ordine", e gli uffici rimasti vacanti, nell’impossibilità di reperire sacerdoti locali ossequienti alle direttive degli Illuminati, vengono coperti con preti fatti venire dalla Baviera. I tirolesì però disertano le chiese officiate da preti considerati "luterani", ridotti a celebrare le funzioni religiose davanti ad auditori composti esclusivamente da soldati e funzionari bavaresi, molti dei quali si proclamano apertamente atei.

Naturalmente un po’ dovunque scoppiano tumulti e il conte d’Arco, ad esempio, fa arrestare e poi esiliare il parroco dì Merano, don Patscheider, e, con lui, una ventina di sacerdoti. A Trento, dove è stato nominato Vescovo-vicario il conte Francesco di Spaur, si canta la seguente canzonetta:

"Che quel Spaur, quel temerario
figlio inver d’un barbagian,
l’ha voluto esser vicario
ed è invece un luteran.
Quell’indegno, quell’infame,
quell’ipocrita e impostor
inventò tutte le trame
e si fé commendator… " (3)

Agli odiosi provvedimenti antireligiosi si accompagna l’introduzione di un istituto in precedenza sconosciuto nella provincia tirolese, la coscrizione obbligatoria, (1808), cui sì aggiungono la sostituzione dell’antico nome Tirolo con quello di Baviera del Sud e la ripartizione della regione nei circoli dell’Inn, dell’isarco e dell’Adige. Anche un ufficiale francese dell’esercito di occupazione, il luogotenente Morel, scrive nelle sue memorie che un gran numero di funzionari bavaresi sono "membri dì una setta degli Illuminati" e che da essi il popolo tirolese viene giornalmente offeso nelle sue convinzioni.(4)

Intanto a Vienna, anche per la consapevolezza della precarietà della pace seguita al trattato dì Presburgo, si segue con attenzione la sorte del Tirolo, da sempre assai caro alla dinastia degli Asburgo, e l’arciduca Giovanni crea un "Ufficio centrale delle comunicazioni col Tirolo", alla cui guida pone il barone tirolese von Hormayr, il quale stabilisce una serie dì contatti soprattutto con Tirolesì scelti nel ceto degli albergatori, influenti nella regione e in grado di esercitare, attraverso gli ospiti che sì fermano nei loro locali, un certo controllo sugli avvenimenti. Fra questi sono Andreas Hofer, albergatore a Sand, in Val Passiria, Peter Huber, albergatore a Brunico, e Franz Nessìng, caffettiere a Bolzano, i quali, il 16 gennaio 1809, si recano a Vienna per concretizzare la possibilità dì liberare il Tirolo dall’odioso regime degli Illuminati, approfittando delle difficoltà che il loro patrono Napoleone sta incontrando in Spagna.

L’insurrezione del popolo tirolese scoppia, rapida, violenta e simultanea, il 9 aprile 1809, mentre si riaccende la guerra tra Francia e Austria, le cui armate puntano in direzione della Baviera e del Friuli, al comando, rispettivamente, degli Arciduchi Carlo e Giovanni.

Già il 12 aprile gli insorti entrano ad Innsbruck ed il giorno seguente le truppe francesi e bavaresi di occupazione firmano la resa. A quei giorni sì riferisce una canzona popolare che, citando i nomi dì alcuni comandanti bavaresi, dice, fra l’altro:

"... guai, guai, guai!
Ecco l’esercito bavarese
fu battuto dai contadini,
buttato nella tomba con gioia.
Il generale codardo
fu arrestato in un angolo;
la crudeltà di Dittfurth
ha preparato la sua caduta.
Anche la rabbia dì Wreden perisce.
Quanti non sono morti sono prigìonieri..."(5)

A Innsbruck liberata entrano anche gli insorti della Passiria e del Sarentino guidati da Andreas Hofer, con il quale sono Peter Mayr, oste a Bressanone, e il frate cappuccino Gioacchino Haspinger, che accolgono, il 15 aprile, le truppe austriache comandate dal generale de Chasteler, il quale assume il governo del paese in nome dell’Imperatore Francesco.

Ancora in mano dei francesi e dei bavaresi è il Trentino, dove tuttavia serpeggiano fremiti di rivolta, che si tenta di contenere con le frequenti fucilazioni e con truculenti proclami, nei quali si minaccia la distruzione, col fuoco, dì paesi interi per la ribellione di pochi cittadini. "... I Comuni verranno puniti del fallo di alcuni loro cittadini. Le pacifiche vostre capanne, albergo una volta dì semplice gioia, saranno distrutte dal fuoco sterminatore, devastate le vostre campagne e, ciò che vi deve essere più caro sulla terra, le vostre famiglie colpite dalla più desolatrice miseria", sì legge in un proclama (6) del Regio Bavaro Commissario del Circolo dell’Adige (Circolo corrispondente su per giù al Trentino), datato 17 aprile 1809.

Il 26 aprile entrano in Rovereto le truppe austriache del generale Chasteler e, condotti da Andreas Hofer gli insorti atesini e trentini delle valli di Non, di Sole e delle Giudicarie. La liberazione del Tirolo sembra compiuta, ma la vittoria di Napoleone a Eckmuhl costringe le truppe dell’Arciduca Carlo a lasciare la Baviera e quelle dell’Arciduca Giovanni a ritirarsi dalla pianura veneta. Gli insorti che, ritenendo chiusa la partita, erano in buona parte rientrati nelle loro case, si affrettano a radunarsi nuovamente, perché già le truppe franco-bavaresi, il cui comando è stato assunto dal Generale Lefebvre, Duca di Danzica, muovono alla riconquista.

Il 29 aprile il Duca è a Salisburgo, il 10 maggio i bavaresi del Generale von Wreden riescono, dopo scontri di estrema violenza, a superare il passo Straub, il 13 maggio gli austriaci dì Chasteler sono sconfitti al passo Soll e a Wörgl, sull’Inn, il 19 maggio francesi e bavaresi rientrano a Innsbruck, mentre gli insorti sì ritirano sulle montagne intorno alla città, i cui abitanti vivono nel terrore, perché lungo la valle dell’Inn riconquistata i bavaresi hanno compiuto tali nefandezze che lo stesso maresciallo Lefebvre si rivolge ad alcuni loro ufficiali dicendo, nello stile retorico, a dispetto dall’apparente asciuttezza, dell’epoca: "Io mi vergogno di comandarvi. Nell’armata francese vi sono forse degli empi, ma non vampiri come voi. Napoleone non ha ai suoi ordini alcun brigante, ma dei soldati".(7)

Tuttavia le sorti del conflitto sembrano nuovamente cambiare. Napoleone è sconfitto dagli Austriaci a Essling, e Andreas Hofer, che, dopo essersi illuso dì avere recuperato il popolo alla libertà, aveva ripreso le armi alle prime notizie del ritorno offensivo dei franco-bavaresi, il 26 maggio tenta con un assalto improvviso di liberare Innsbruck. Fallito questo tentativo anche a causa dello scarso munizionamento, riprende l’assalto il 29, dopo che è stata celebrata la messa al campo e tutti si sono devotamente comunicati per prepararsi alla morte, che aspetta molti dì loro, e la notte stessa i franco-bavaresi, comprendendo di non poter resistere più a lungo, abbandonano Innsbruck, nella quale rientrano, il mattino del 30, i tirolesi, mentre Hofer, dopo aver tentato invano di raggiungere il nemico in ritirata, vi viene accolto trionfalmente solo il successivo 3 giugno.

Intanto però Napoleone vince la battaglia decisiva di Wagram e l’armistizio dì Zuaim (12 luglio) è il preludio di una pace che non sarà favorevole agli sconfitti e che il vincitore concede probabilmente in vista delle sue mire dinastiche (il matrimonio con Maria Luisa d’Austria, figlia dell’Imperatore Francesco). Hofer e gli altri capì dell’insurrezione stentano a credere alla notizia, ma ai primi giorni di agosto le ultime truppe austriache lasciano il Tirolo, mentre già il 31 luglio il Duca dì Danzica era entrato in Innsbruck.

Andreas Hofer, la cui testa è stata messa a prezzo, si è ritirato in Passiria, ma, come egli stesso scrive in un proclama datato 4 agosto, è in attesa dì raggiungere i tirolesì quando questi "si riuniranno e diranno: combattiamo per Dio, la Religione, la Patria".(8). Difatti gli insorti, pur non avendo più l’appoggio di truppe regolari, non desistono dai loro proponimenti e, convinti di lottare per la buona causa, quello stesso 4 agosto, al comando di Peter Mayr, Speckbacher e Haspinger, attaccano le truppe sassoni (anch’esse vassalle, come quelle bavaresi, dei francesi) in marcia verso Bressanone, le sconfiggono e fanno prigionieri i superstiti. Indignato per la sconfitta dei suoi alleati, che si sono fatti battere da dei "contadini", il Duca dì Danzica esce il 15 agosto da Innsbruck per punire i "ribelli", ai quali sì è nel frattempo aggiunto Hofer con forti contingenti della Passiria e del Sarentino.

La mattina del 7 agosto le truppe di Lefebvre puntano su Bressanone, ma a Mauls sono attaccate dai tirolesi, con i quali sono tutti i più popolari capì dell’insurrezione, Hofer, Haspinger, Mayr, Speckbacher, Kolb. I bavaresi sì volgono a precipitosa fuga (e forse i francesi che sono con loro trovano qualche parentela fra questi montanari e gli sciuani e quegli altri "contadini" della Vandea, così a lungo ostinati a combattere per il loro Dio e la loro Fede), abbandonando i carriaggi. Lo stesso maresciallo riesce a stento ad evitare la cattura e a ripararsi a Vipiteno, donde, dopo aver invano atteso rinforzi, il giorno li ripiega ulteriormente su Innsbruck, giungendovi il 12 sempre tallonato da Hofer, che la mattina del 13 agosto, dopo che padre Haspinger ha celebrato la Santa Messa e impartito la benedizione, muove all’assalto della città.

Gli insorti sono in numero di circa 18.000. Le sorti del combattimento pendono incerte per tutta la giornata anche se la colonna centrale degli insorti, condotta da Mayr ed Haspinger, sì trova a sera ad avere conquistato buona parte del monte Isel, che domina la città, essendovisi mantenuta nonostante i vigorosi contrattacchi dei sassoni e dei bavaresi, che hanno l’appoggio di un forte parco d’artiglieria. Il giorno successivo la lotta ristagna, ma nella notte fra il 14 e il 15 il Duca di Danzica, comprendendo di aver perso la partita e timoroso di restare imprigionato con i resti della sua armata, abbandona, col favore delle tenebre, la città.

La disfatta franco-bavarese si ripercuote nel Trentino, dove i generali Fiorella, che avrebbe dovuto riconquistarlo al comando di un corpo misto italo-francese, e Caffarelli, ministro della guerra del Viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, debbono riporre i proclami, con i quali si proponevano d’intimidire le popolazioni, minacciando di fucilazione chiunque venisse trovato in possesso di armi, e ripiegare sulle posizioni di partenza. La vicinanza con il cosiddetto Regno d’Italia rende la posizione dell’insurrezione in Trentino più difficile, ma ugualmente in tutte le valli sì formano compagnie di volontari decise a scacciare gli invasori, e gli insorti, al comando di Giacomo Torgler, il 18 agosto attaccano Trento, che i Francesi abbandonano il 21 successivo. Rovereto viene liberata il 29 e tutta la Provincia del Tirolo sembra avere coronato la sua aspirazione. Difatti Andrea Hofer, entrato trionfalmente ad Innsbruck il 15 agosto, viene, per unanime consenso, designato "Comandante Superiore del Tirolo" e nelle settimane di apparente pace che seguono può riorganizzare nella regione la vita civile, preoccupandosi soprattutto di ristabilire, non solo nella forma, ma nella vita di ogni giorno, la religione cattolica, per la quale il popolo tirolese si è con tanto valore battuto. In questo breve compito di pacificazione Hofer dà prova di saggezza e dì cristiana moderazione e conserva tutta la sua religiosa semplicità di montanaro senza insuperbirsi né dell’incarico conferitogli né della vittoria riportata, che egli, del resto, attribuisce al miracoloso intervento del Creatore. Scrive, difatti, in un suo famoso editto del 10 settembre: "Se noi abbiamo mai sperimentato la bontà indulgente e salvatrice di Dio verso di noi, ciò fu nella prima metà del mese di agosto, quando l’aiuto del Cielo ci liberò così visibilmente dalle mani di un nemico che crudelmente soggioga e che non rispetta né religione, né trattati, né umanità".

Gli sviluppi della situazione internazionale sono però sfavorevoli agli insorti, perché Napoleone, perdurando tuttora l’armistizio di Zuaìm e svolgendosi le trattative per la pace e per il suo matrimonio con Maria Luisa d’Austria, ha tutto l’interesse a togliersi dal fianco la spina tirolese prima della conclusione del trattato. Hofer ne è pienamente consapevole e, con l’aiuto dei suoi collaboratori Giovannelli e Rapp, costituisce in tutte le valli del Tirolo propriamente detto e del Trentino, o Tirolo meridionale, come allora era chiamato, delle compagnie di volontari denominati "tiratori dell’Adige". La temuta tempesta non tarda a scoppiare e questa volta le forze nemiche sono schiaccianti dato che tutta la forza dell’impero napoleonico può rivolgersi contro l’eroico pigmeo che" ha osato sfidarlo. Il Tirolo non è uno dei tanti campi dì battaglia nel quadro di una più vasta guerra, ma l’oggetto della campagna, che inizia, di fatto, il 27 settembre con l’ingresso in Rovereto di truppe franco-italiane al comando del generale Peyri, il quale si affretta ad emanare un proclama contenente le seguenti disposizioni: "1) Che nel termine dì tre ore (9) tutti gli abitanti dì questo Comune che fossero possessori di effetti militari, d’armi da fuoco, di qualunque specie e munizioni, debbano consegnarle al comandante della Piazza signor Bognamanì, che abita nella casa del Signor Gaetano Tacchi, nella piazza delle Beccherie; 2) Tutti quelli che avessero presso di sé alloggiato o nascosto qualche individuo sospetto o che facesse parte di una banda armata, dovranno denunziarlo all’istante al sunnominato signor Bognamani". (10)

Il giorno 28, rotta la disperata resistenza degli insorti, il generale Peyri entra a Trento ed inutilmente tentano di ricacciarlo rinforzi tirolesi inviati da Bolzano e da Merano. Intanto il 14 ottobre, a Vienna, Francia e Austria firmano il trattato dì pace, che abbandona alla prima tutta la Provincia Tirolese. Il giorno stesso Napoleone incarica il Viceré Eugenio di stroncare definitivamente ed immediatamente la ribellione. La Provincia Tirolese, assalita concentricamente da tre partì (dal Salisburghese muove un corpo d’armata al comando del generale Drouet d’Erlon, dal Trentino avanza una divisione al comando del generale Vial, cui è collegata una colonna agli ordini del generale Peyri - lo stesso che aveva occupato Trento - operante nel Bellunese, dalla Carinzia muove un altro corpo d’armata, forte di quattro divisioni, condotto dal generale Baraguey d’Hillìers, cui spetta, dopo il Viceré Eugenio, il comando generale delle operazioni), tenta una disperata difesa, ma mancano perfino i fucili, come rivela un proclama di Speckbacher, che ha il compito di difendere la valle dell’Inn: "Prego nel nome dì Dio e della SS. Trinità, che tutti gli uomini che possono portare le armi partano col Landsturm generale. Chi non ha fucile si armi di tridente e farà il possibile con tali armi. E se non possiamo resistere a Rattemberg, prego tutti di andare sulle montagne verso Innsbruck; la sarà loro indicato il luogo di adunata ove sgomineranno il nemico per combattere per Dio, la Patria, l’Imperatore. Fratelli carissimi, siate coraggiosi e pensate spesso a questo". (11)

Tuttavia il 25 ottobre le truppe di occupazione rientrano ad Innsbruck ed il 27 respingono un ritorno offensivo dei tirolesi, che, pur trovandosi di fronte a truppe più numerose e meglio armate, non vogliono arrendersi. La situazione degli insorti è così palesemente disperata che l’Arciduca Giovanni, che ha sempre nel cuore il fedele Tirolo, invita gli insorti a rinunciare all’inutile lotta e per un momento Andreas Hofer sembra adattarsi all’ineluttabilità della resa, chiedendo (29 ottobre 1809) una tregua di 15 giorni al generale Drouet, che rifiuta ed anzi riprende le operazioni per la "pulizia" dei dintorni di lnnsbruck. Riacquistano, quindi, vigore, di fronte all’intransigenza del nemico, fra gli insorti i fautori della resistenza ad oltranza, fra i quali primeggiano Haspinger e Kolb, mossi soprattutto dal timore, d’altronde pienamente condiviso da Hofer, reso irresoluto solo dalle sofferenze del popolo, che stia per ricominciare l’implacabile persecuzione contro la religione.

Anche gli insorti comunque tentano operazioni militari, ma il 31 ottobre il generale Drouet riesce a cacciarli dal monte Isel, mentre gli eventi seguono la medesima china nelle altre parti della regione. Le truppe del generale Baraguey d’Hilliers conquistano Lienz e il 4 novembre, attraverso il valico di Dobbiaco, penetrano nella Val Pusteria. Il generale Vial, che ha l’incarico di occupare Bolzano, sostiene violenti combattimenti con i trentini a Segonzano il 2 e il 3 novembre. In coordinamento con le sue mosse deve agire il generale Pevri, il quale, muovendo da Belluno, il 1° novembre si porta ad Agordo, il 2 si scontra rudemente nei pressi dì Caprile con insorti bellunesi comandati da Francesco Dal Ponte e tenta invano di convincere alla resa gli abitanti di Andriaz. Può comunque proseguire la sua marcia ed il 3 novembre giunge ad Arabba e per il passo di Campolongo discende a Corvara e conquista Colfosco, Sant’Ulrìco, Santa Maria e Santa Cristina, ma poi, appreso che gli insorti si stanno radunando per cacciarlo, evita il combattimento e riprendere la marcia verso Bolzano, dove entra il 4 novembre.

A questo punto Hofer, vedendo il paese così dilaniato ed in gran parte invaso, cede alla compassione per il popolo, ed invia al generale Drouet una lettera, datata "4 novembre, alle ore 7,30 della sera", nella quale, ricordata la promessa del Viceré Eugenio di rinunciare a punire gli insorti che depongano le armi, non si vergogna di supplicare: "In conseguenza, l! sottoscritto prega umilmente Vostra Eccellenza di volere trattare il popolo con bontà e riguardo e dimenticare il passato. Il sottoscritto assicura Vostra Eccellenza che in tal caso nessun individuo delle sue truppe proverà il minimo fastidio".

"Frattanto per evitare ogni disordine sarà bene che sia ritardata l’avanzata delle truppe per qualche giorno, per dare il tempo alle nostre genti di ritirarsi nelle loro case". "Il sottoscritto raccomanda nuovamente a Vostra Eccellenza con le più umili preghiere il popolo; egli vi supplica dì dimenticare il passato e di risparmiare una popolazione infelice ed oppressa" (12).

Il generale Drouet prende spunto da questa lettera, con la quale Hofer chiede tutto per il popolo e nulla per sé, per emanare, dal suo quartiere generale di Innsbruck, uno dei soliti editti congegnati in maniera da renderne impossibile l’osservanza. Vi si legge difatti: "’Non essendovi pertanto più alcun pretesto di sollevazione, si fa noto che colui che 24 ore dopo la pubblicazione del presente decreto verrà preso con le armi alla mano sarà considerato come assassino e come tale sul fatto impiccato".

"Ogni giudice, podestà o qualsiasi altra autorità denuncerà subito al più vicino comando militare quel forestiere o quell’abitante che con le parole o con le azioni tentasse di stimolare nuovi torbidi. Ogni Comando militare, appena avrà ricevuto questo avviso, prenderà le necessarie misure per arrestare simile gente".

"Ogni villaggio, ogni Comune, ogni luogo nel quale verrà praticata qualsiasi sorta d’offesa o prepotenza verso i soldati o altre persone, verrà condannato ad una multa dì 1000 fiorini e in recidiva verrà bruciato il villaggio o il luogo ove fu commessa la prepotenza" (13).

Ancora il successivo 8 novembre Andreas Hofer, i cui emissari hanno avuto un incontro con il Viceré Eugenio, conferma, ricordando di essere stato a ciò sollecitato anche dal Vescovo di Bressanone, la necessità della resa in un proclama dato a Vipiteno, nel quale sì informa la popolazione della situazione militare e si aggiunge: "nessun uomo ragionevole lotterebbe contro il torrente. Rendiamoci naturalmente degni per mezzo della nostra rassegnazione alla volontà Divina, della protezione del Cielo, e col nostro fraterno amore e con la sottomissione che ci è imposta, della clemenza e della grazia di Napoleone" (14).

Intanto le trionfanti truppe franco-bavaresi penetrano in tutte le valli per disarmare le popolazioni e l’editto del generale Drouet fornisce il pretesto per la più crudele repressione. Le impiccagioni e le fucilazioni si susseguono; a Tione di Trento in una sola giornata sono fucilati 52 uomini. Fra le valli da "ripulire" vi è anche la Val Passiria, patria dì Hofer, che viene invasa da due partì; una colonna, al comando del generale Rusca, muove da Merano (14 novembre) ed un’altra, che dovrà varcare fl passo Giovo, da Vipiteno. Hofer, postosi alla testa di 1500 valligiani, ributta la colonna proveniente da Merano e, dopo tre giorni dì violenti combattimenti, la costringe ad abbandonare la città, che conosce così un’ultima fiammata di libertà, e a ritirarsi su Terlano.

Intanto (18 novembre) giunge a San Leonardo in Passiria la colonna proveniente da Vipiteno, che, dopo violentissimi combattimenti, riesce, a conquistare il paese, restandovi però rinchiusa, finché il 22 novembre, dopo un combattimento condotto casa per casa, viene distrutta o presa prigioniera.

La vittoria rincuora Andreas Hofer, che lancia da Sand un appello alle armi: "Miei cari fratelli, ecco un nuovo esempio della clemenza Divina; noi siamo attualmente in Passiria, ove possiamo agevolmente attendere il nemico che è in rotta. Abbiamo fatto circa un migliaio di prigionieri; così voi vedete, cari fratelli, che Dio ci ha scelti per il suo popolo preferito e ci incita a battere una nazione straniera, la più forte che è sulla terra. Noi ci batteremo come i cavalieri antichi e Dio e la nostra Santa Vergine ci daranno la loro benedizione; e dopo la guerra noi speriamo dì vivere tranquilli e non divisi dall’Imperatore d’Austria, che, senza dubbio, ridiventerà padrone del nostro paese. Soprattutto non perdete coraggio: truppe dalla Carinzia vengono in nostro soccorso"(15).

Il tono è diverso da quello della lettera del 4 novembre e del proclama del giorno 8, ma gli avvenimenti intercorsi, ancor prima della vittoria di Merano, hanno fatto comprendere ad Hofer che non vi è pietà per il popolo insorto. Del resto lo stesso Viceré Eugenio in una lettera del 19 novembre a Napoleone attribuisce la responsabilità dell’improvvisa resistenza della Val Passiria al generale Rusca, comandante della colonna dì Merano, "che già si è mostrato in questa spedizione troppo ardente e anche sconsiderato".(16)

Comunque si tratta degli ultimi bagliori, perché le truppe d’occupazione hanno forze soverchianti. Gli insorti riescono ancora a riconquistare la Pusteria e a circondare Brunico, ma il giorno li dicembre l’insurrezione è praticamente finita. Nepomuceno von Kolb, ex esattore delle imposte, che aveva guidato l’estremo tentativo in Pusteria, ripara in Austria, dove pure si ritirano Speckbacher e, attraverso la Svizzera, padre Gioacchìno Haspinger.

Vi sono sacche di resistenza, ma dell’opera di "polizia" viene incaricato il generale Broussier, noto per la sua crudeltà, il quale procede con spiegato rigore, facendo fucilare senza processo chiunque viene trovato in possesso di armi o sia comunque sospettato di essere un ribelle. Le esecuzioni vengono effettuate sulla piazza dei paesi o addirittura davanti alla casa dei condannati e i paesani e gli stessi familiari vengono costretti ad assistervi. Il vescovo di Klagenfurth, "reo" dì avere chiesto la liberazione di due parroci, imprigionati per "sobillazione", viene condannato a cinque anni di carcere e i due sacerdoti vengono, "naturalmente", fucilati (17).

Fin dal 2 dicembre Andreas Hofer sì tiene celato fra le sua montagne, rifiutando i salvacondotti che gli vengono offerti, anche da parte francese, per riparare in Austria. E lì, sulla montagna boscosa del Riffei, nella Pfandhütte, prima con la sola compagnia del suo giovane seguace Gaetano Sweth, poi con quella della moglie e del figlio Giovanni (le quattro figlie sono affidate ad un fedele amico di San Martino) trascorre il Natale del 1809 e rimane fino alla notte del 27 gennaio 1810, quando, a seguito della delazione di un traditore, certo Raffi, viene arrestato da una colonna composta da ben 1470 soldati guidati dal capitano Renouard.

Dopo una sosta a Merano i prigionieri vengono portati a Rovereto (1° febbraio) e di lì a Mantova, dove giungono il 5 e vengono rinchiusi nella fortezza, di cui è comandante il generale Bisson, che, all’inizio dell’insurrezione, si trovava nel Tirolo ed era stato costretto ad arrendersi agli insorti. A Mantova si celebra il processo-farsa, il cui esito è segnato, perché Napoleone, il giorno Il febbraio, appena appresa la notizia della caduta del capo tirolese, ha scritto al Viceré: "Figlio mio, vi avevo incaricato di fare venire Hofer a Parigi, ma dal momento che sì trova a Mantova, inviate l’ordine di formare una commissione militare sul campo per giudicarlo e fucilarlo sul posto dove arriverà il vostro ordine. Che tutto venga conchiuso in ventiquattro ore" (18).

Il 20 febbraio 1810 Andreas Hofer viene fucilato.

(1) ITALO CARACCIOLO, Andreas Hofer nell’insurrezione anti-bavarese del 1809, Zanichelli Bologna, 1927 p. 9.
(2) ibidem, p. 11.

(3) JOSEPH HIRN, Tirols Erhebung im Jahre 1809, Innsbruck 1909.
(4) LIEUTENANT MOREL, Etude sur l’insurrection du Tyrol en 1809, in ITALO CARACCJOLO, op. cit, p. 15.
(5) JOSEPH HIRN, op. cit

(6) ITALO CARACCIOLO, op. cit., pp. 47-48.

(7) Generale DERRECAGAIX, Nos campagnes au Tyrol, in ITALO CARACCJOLO, op. cit, p. 64.

(8) ITALO CARACCIOLO, op. cit., p. 101.

(9) È caratteristico di questi "ukase" delle truppe di occupazione la fissazione di termini così brevi da renderne praticamente impossibile anche ai più volonterosi, soprattutto tenendo conto delle difficoltà di comunicazione dell’epoca, l’osservanza. É evidente l’intenzione di costituirsi un pretesto legalitario a giustificazione della più rigorosa e, quasi sempre, crudele repressione.

(10) ITALO CARACCIOLO, op. cit, p. 146.
(11) ibidem, pp. 153-154.

(12) ibidem, p. 166.

(13) ibidem, pp. 167-168.

(14) ibidem, pp. 184-185.

(15) ibidem, p. 196.

(16) ibidem, pp. 193-194.
(17) A questo Broussier siamo debitori di una lettera, scritta il 19 dicembre 1809 da Lienz e diretta al generale Seras, dalla quale risulta con chiarezza di cosa erano resi capaci i Tirolesi e i Trentini dalla consapevolezza di combattere per la loro fede e il loro Paese.

"Che vergogna, mio caro Seras! C’e da morirne! Dei contadini hanno battuto e imprigionato dei tuoi e dei miei soldati! Ancora un poco e tutte le nostre divisioni passavano sotto le forche caudine. Qui ci sono solo coglioni e bestie. Cerca di avere dall’Imperatore un udienza particolare e torna subito alla divisione. Le si trattano graziosamente le nostre divisioni!.. Se n’erano formati dei piccoli reparti, una compagnia, due compagnie, un mezzo battaglione in villaggi a 4 o 5 leghe di distanza! Ecco le disposizioni! Era raro trovare un battaglione o due interi; cos’è successo? i Tirolesi, che l’hanno notato e che non ci vedono con favore, hanno cospirato. La mia divisione è stata attaccata lo stesso giorno e alla stessa ora in tutti i suoi dislocamenti dagli abitanti delle valli vicine che erano insorti. Tutto è stato interrotto, bloccato; una compagnia di scorridori dislocata a Villabassa, a cinque leghe da Sillian, è stata presa ed arrestata, un uomo alla volta, come se si avesse a che fare con la gendarmeria. Il battaglione di Sillian ha potuto riunirsi e ripiegare su Lienz, facendosi strada alla baionetta; cinque ufficiali e una trentina di soldati sono stati fatti prigionieri. A Brunico c’era un battaglione che è stato attaccato contemporaneamente agli altri, è rimasto a Brunico e vi si è difeso. A Bressanone il generale Moreau avevo due dei miei battaglioni e il 35° e vi è rimasto bloccato. Ci sono stati dei movimenti anche a Lienz, dove arrivava il 90° reggimento; era il primo del corrente mese; ecco qua per me e per te!

"C’e un certo Boré che ha capitolato con almeno 1300 uomini tutti in possesso delle armi che ha indegnamente deposto ai piedi dei briganti, i quali hanno rimandato i tuoi soldati prendendoli a calci nel culo e sputato addosso ad alcuni dei tuoi ufficiali Questi 1300 uomini erano tutti insieme e non avevano più cartucce; ma non gli restavano le loro baionette? Questi 1300 erano del 53° e del 13°"

"Che vergogna! Che vergogna, mio Dio! Non si ha il coraggio di pensarci! Cos’è che ha prodotto simili avvenimenti? Un terrore generale fra le nostre divisioni; ma un terrore che mi ha sorpreso e indignato. Figurati che uno squillo di campana spaventava quei bricconi più di tutti i cannoni di Wagram; l’epparizione di un vile contadino in giubbetta, con la sua carabina, più dei quadrati di Wagram! Figurati che è difficile fare passare loro questo terror panico e che non ci siamo qui che io e te capaci di farli rientrare in sé Non lo si può immaginare; non l’avrei creduto, se non l’avessi visto, ma è la verità, tale e quale. Ritorna, te lo consiglio".

"E quella bestia del tuo Moreau, che; con 3000 uomini e sei cannoni a Bre£sanone; si è lasciato bloccare da 1500 o 1600 briganti! E non ha anche tastato il terreno per finire come Boré? Diceva a Nagle, colonnello del 920, che fa eccezione alla regola, lui, "Ebbene colonnello, abbiamo solo sei cartucce a testa, cosa si può fare? Forse saremo costretti ad arrenderci". "Come" dice Nagle "Arrenderci!" Voi potete arrendervi; io non mi arrendo di certo. Ho due battaglioni e delle baionette; abbastanza per andare dove voglio’; Bressant, che si è pure condotto bene; e Nagle gli proponevano di attaccare; di disperdere tutte quelle canaglie che li circondavano e che si erano fatti portare dei violini per ballare. Ma quell’animale non ha voluto attaccare ed è rimasto nella sua tana come un timido coniglio; e chi l’ha sbloccato? Dei Dalmati e degli Italiani. Quando si apprendono cose simili non si vorrebbe crederci; fànno troppo male!"

"Ho appena rimandato nelle retrovie due dei miei capi di battaglione; Desvais dell’84° e Baurain del 9°, per essersi lasciati battere da dei contadini È più forte di me; non posso sopportare la vista di un uomo sconfitto dai contadini! Vi si abitueranno se non si dessero degli esempi. C’è molto da fare qui soprattutto fra i capi che avevano paura. E anche quante reputazioni usurpate! Quanti fifoni che passavano per dei Baiardi! Infine sono rimasti bloccati per 10 giorni i miei!

"Broussier passa poi a descrivere i provvedimenti militari e polizieschi che ha preso per porre rimedio a questo stato di cose e termina; ’in ogni luogo ho dato l’ordine di mettere a fianco di ogni sindaco e di ogni curato un sottufficiale con l’ordine di ucciderli al primo segno di attacco dei contadini o del villaggio di cui non avessero prevenuto il comandante; dell’ordine dato li ho fatti avvisare. Ecco il bel mestiere che faccio! È terribile essere costretti a questi estremi ma è necessario. Ora le strade sono libere. Io sono come il leone nel suo antro e come lui quando ne uscirò distruggerò i nemici di Sua Maestà".

(18) in ITALO CARACCIOLO, op. cit, p. 226.

SINTESI CRONOLOGICA DEGLI AVVENIMENTI IN TIROLO (1)


Agosto 1796, prima invasione francese. 115 settembre Napoleone Bonaparte entra in Trento con i generali Massena e Vaubois. Al Tonale è presente il caporale Andreas Hofer.

Novembre 1796, prima liberazione dei Tirolo con la cacciata dei francesi.

Gennaio 1797, seconda invasione francese con il generale Joubert.

Aprile 1797, seconda liberazione del Tirolo.

Gennaio 1801, terza invasione francese con il generale Macdonald.

Novembre 1695, quarta invasione francese con il Maresciallo Michel Ney e il colonnello Colbert.

Febbraio 1806, il Re di Baviera prende possesso dei principati di Trento e Bressanone.

Aprile 1809, quarta invasione francese con il generale Baraguy d’Hilliers a seguito dell’insurrezione popolare esplosa il 9 aprile in tutto il teritorio tirolese (2). Il 24 Hofer entra in Trento.

Maggio 1809, sesta invasione francese con il generale Rusca.

Luglio 1809, settima invasione francese.

Ottobre-novembre 1809, ottava ed ultima invasione francese.

Gennaio 1810, il 27 una colonna francese al comando del capitano Renouard s’impadronisce di Andreas Hofer rifugiatosi con la moglie in una baita fra le montagne della Val Passiria.

Febbraio 1810, trattato di Parigi tra Napoleone e il Re dì Baviera, in seguito al quale il Trentino, con Bolzano, viene unito al Regno d’Italia col nome di "Dipartimento dell’Alto Adige" (mentre la Baviera conserva il Tirolo del Nord). Il 20 febbraio Andreas Hofer viene fucilato a Mantova.

(1) Da L. Dal Ponte: "Uomini e genti trentine durante le invasioni napoleoniche"; Trento 1984

(2) Questa "invasione" e le successive costituiscono in realtà episodi della guerra conseguente all’insurrezione e gli interventi francesi sono determinati dalla incapacità delle truppe bavaresi di opporsi validamente agli insorti


Quadro raffigurante la fucilazione di Andreas Hofer a Mantova il 20 febbraio 1810.