martedì 6 settembre 2011

Julius Evola e l'Idea Imperiale.

Giulio Cesare Andrea Evola(Roma, 19 maggio 1898Roma, 11 giugno 1974).


Il Barone siciliano Giulio Cesare Evola rappresenta una figura chiave nell'ambito della filosofia tradizionalista del XX secolo. Senza la velleitaria pretesa di fornire in questa sede un'analisi dettagliata di quella che è stata la sua speculazione teoretica, possiamo soffermarci brevemente su alcuni giudizi che egli ha elaborato circa l'Idea imperiale attraverso le sue considerazioni sui moderni stati nazionali ed, in opposizione a ciò, il suo pensiero sul Sacro Romano Impero e la sua ultima manifestazione, l'Impero Asburgico.
Occorre sgombrare preliminarmente il campo da un equivoco, generato dal fatto che il Barone abbia simpatizzato per il regime fascista e per quello nazional-socialista ( però non risparmiando loro critiche anche aspre): l'equivoco consisterebbe quindi nel'immagine di un Evola "totalitarista". Niente di più falso. Vediamo perchè, riservandoci di citare di volta in volta importanti studiosi che si sono espressi in passato sulle opere  ed il pensiero del filosofo siciliano.
Leggiamo cosa scrive Fabio Falchi a questo proposito:

 -.... la definitiva separazione della sfera politica da quella spirituale, che si verifica con il tramonto dell’ecumene medievale e la dissoluzione del Sacro Romano Impero, comporta inevitabilmente la fine della società olistica e rende possibile l’instaurazione di un regime totalitario o, peggio ancora, il dominio di un’oligarchia “pluto-tecnocratica” che trasforma i singoli in una massa di individui eterodiretti. Infatti per Evola si può definire organico solo lo Stato che abbia un centro, un’idea che informi di sé l’intera comunità e – tramite una partecipazione dei rappresentanti delle attività economiche, sociali, culturali e delle identità locali alla gestione della cosa pubblica – sia tale che ogni parte possa avere un’intima connessione con il tutto.
Uno Stato organico è cioè uno Stato che, essendo sintesi di unità e molteplicità, integri le differenze secondo un’istanza gerarchica unitaria e che distingua l’ordine dei mezzi dall’ordine dei fini, attribuendo la direzione generale degli affari pubblici e la tutela del bene comune ad una élite (Evola è sempre attento alla lezione politica di Pareto) i cui membri dovrebbero avere una formazione spirituale e culturale di alto livello, ma la meno specialistica possibile, ed uno stile di vita adeguato al loro ruolo. (Dato che la teoria evoliana dello Stato può sembrare anacronistica, si deve tener presente che la trasformazione dello Stato in macchina autoregolantesi “maschera” l’impossibilità che il Politico non interagisca con la sfera dei valori. La proliferazione anarchica dei linguaggi non può evitare che ciascuno di essi misuri gli altri secondo la propria identità. Con la liquidazione di ogni idea di centro - l’Impero interiore - da un lato si afferma il dominio dei valori economici, dall’altro si radicalizza la crisi del legame sociale per l’i
ncapacità dello Stato moderno di dare forma politica allo sradicamento dell’ethos comune. Questa antinomia, mi pare, spiega la differenza tra la sconfitta militare, ma non necessariamente politica, del fascismo – che pure avrebbe potuto realizzare una struttura politica e sociale di tipo organico – ed il fallimento irreversibile dell’ideologia e dei regimi comunisti).
Completamente diverso è il totalitarismo, che per Evola, non è che una “statolatria”, una religione terrestre dell’uomo materializzato e che egli presenta come esito di un processo sociale di atomizzazione egualitaria, imposto dall’alto, a tutti gli individui («lo Stato pedagogo per minorenni»). Si comprende allora che egli abbia visto nel fascismo la possibilità di un’azione politica rettificatrice, ma che non abbia esitato ad esprimere giudizi anche assai aspri, sia pure sempre costruttivi, non potendo condividere il disinteresse se non il disprezzo per la cultura politica, la tendenza livellatrice e l’insofferenza per ogni parziale autonomia e per ogni grado di libertà. ... -

Comprendiamo quindi, grazie allo scritto di Falchi, anche l'avversione evoliana per l'ideologia democratica massificante, figlia anch'essa della modernità.

 Ma allora, a quale modello di unità politica si rifà  Evola? Forse possiamo capirlo leggendo uno stralcio di quest'intervista di Marco Iacona ad Alain de Benoist, il filosofo francese ideologo della " nuova destra"
«Evola era fondamentalmente un monarchico, e ciò si capisce molto bene dalle sue

critiche al fascismo e ancor di più alla Repubblica di Salò, ma ad esempio il suo essere

monarchico non ha molto a che fare con Charles Maurras, nel quale ha larga parte il

positivismo e il “giacobinismo bianco”. La sua è una monarchia d’ispirazione metafisica,

deriva da un’idea della sovranità ispirata ai principi della Tradizione primordiale».   ...
Evola concepisce l’Europa principalmente alla luce dell’“idea imperiale” ereditata

dal Medioevo e specialmente dal Sacro Romano Impero germanico nella sua versione ghibellina


Vediamo cosa ci dice lo stesso Evola, che ormai abbiamo capito essere stato un fautore dell'Impero sovranazionale, ordinato, armonico e gerarchico e non uno sciovinista di ispirazione giacobina, fautore dello stato nazione post '89, in un suo brano:


Dovrebbe essere chiaro che l’etnonazionalismo non implica l’isolamento: ma lavorare insieme in modo proficuo è possibile soltanto fra unità etniche che però geneticamente siano analoghe e culturalmente non inconciliabili. Una collaborazione fra etnie diverse che non andasse a scapito delle loro specifiche identità era, nel passato, garantita da quel sistema politico, adesso demonizzato dagli imbonitori di cervelli, che era l’Impero. Ultimo fulgido esempio di questo sistema politico fu la doppia monarchia sul Danubio, l’Impero Asburgico. È poco risaputo, perché occultato, che già nella prima metà dell’Ottocento ci si preparava a rendere tripla questa doppia monarchia, della quale la terza capitale, dopo Vienna e Budapest, sarebbe divenuta Venezia. Questa soluzione, troncata dalla guerra del 1866, avrebbe garantito alle Popolazioni Padano-Alpine e, in generale, centro-europee, un futuro di benessere, sviluppo, pienezza, quasi inimmaginabili. Ancora meno di un secolo fa un altro splendido esempio d’impero fu la Russia; e prima ancora la Cina: alla Cina imperiale poterono sottostare la Mongolia, il Turchestan fino all’Ural e il Tibet, senza oppressioni di sorta e senza tentativi di snaturamento da parte del governo centrale. Caratteristiche d’impero (sia pure, entro certi limiti, problematiche) ebbe anche la Germania di Bismarck.
Contro l’impero - sintonia naturale d’unità etnonazionali - si erse, negli ultimi due secoli, il nazionalismo di stampo giacobino e massonico. Ci si riferisce agli stati-nazione, vere prigioni (altro che l’Impero Asburgico!) nelle quali venivano (e vengono) compressi i più disparati raggruppamenti etnici in modo del tutto innaturale: si pensi - caso limite - alla spaventosa condizione del Tibet odierno. Mettendo mano al lavaggio cerebrale mediatico e alla repressione poliziesca, lo stato nazionale ha sempre cercato di massificare e meticciare la propria popolazione, costringendola ad una lingua unica, qualche volta fabbricata a tavolino, e obbligandola a vedere se stessa come appartenente ad un qualche agglomerato umano/disumano, anche quello fabbricato all’uopo spesso anch’esso inventato a tavolino (vedi la “Jugoslavia”, la “Cecoslovacchia” e anche “l’Italia”). Si pompava così in testa alle popolazioni una certe infatuazione (”immortale principio”) per renderla carne da cannone servizievole per le imprese commerciali degli oligarchi della finanza internazionale che, dietro le quinte, stettero sempre dietro alle imprese “nazionalistiche”dei tempi moderni. Così, milioni su milioni di persone d’eccellente qualità genetica furono mandate al macello perché determinati contorti figuri potessero fare soldi.
Come stadio successivo, il processo di massificazione non si è fermato allo stadio nazionale ma adesso lo trascende. Lo stato nazionale di stampo giacobino, una volta espletato il suo servizio verso gli usurocrati internazionali, ha preso la via dell’immondezzaio. E questo è un processo lungo il quale, al solito, marxismo e capitalismo finanziocratico vanno a braccetto. Marx, ai tempi suoi, aveva pontificato che sarebbe stata la rivoluzione industriale (pilotata dagli “odiatissimi” borghesi) a rendere possibile il raggiungimento dell’utopia edonistica - la “fine della storia” - cioè il paese dei balocchi, dove tutte le strade sarebbero state sempre in discesa. I neomarxisti dei centri sociali e i “new global” dei tempi nostri (fra i quali Antonio Negri e Michael Hardt, autori di un libro di vasta risonanza in quegli ambienti, titolato non a caso Impero) pronosticano che il raggiungimento del paese dei balocchi passerà attraverso l’uniformizzazione assoluta, attraverso la scomparsa dell’umano per fare posto alla “moltitudine”; e non a caso il neomarxismo new global gode dei finanziamenti dei grandi usurocrati, come George Soros, perché la formazione dell’universale “moltitudine” è e sarà pilotata dall’attività globalizzante delle multinazionali.
Un tipo pseudo-umano senza razza, senza tradizione, senza cultura, senza religione, senza personalità definita, mosso solo da stomaco e intestino e armato di un infinito risentimento, si dedicherà poi ad un sabotaggio/partigianismo pandemico dal quale scaturirà il paese dei balocchi (in base a quali meccanismi, non è chiaro). Questo è lo stadio finale, auspicato da marxisti e usurocrati, che dovrà essere raggiunto dopo la liquidazione di tutti gli etnonazionalismi. E’ contro questo tentativo, attuato dalla massoneria e dalla Alta Finanza apolide, di cancellare, di distruggere la Tradizione e l’Identità etnica, culturale, linguistica, storica, civile d’ogni comunità etno-nazionale d’Europa che noi dobbiamo combattere!
Per questo noi etnonazionalisti ci battiamo per la costituzione di un’Europa delle comunità etno-nazionali etnicamente e culturalmente omogenee. Comunità tra loro con-federate sul modello del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica o sul modello dell’Impero Asburgico.