giovedì 29 settembre 2011

Kaiserjäger:storia di valorosi soldati.


I cacciatori Austriaci, meglio noti anche in Italia col nome tedesco di Jäger o  Kaiser-Jäger, entrarono a far parte dell'esercito permanente in epoca relativamente tarda. E' solo nel 1801 che i primi 3 battaglioni di cacciatori regolari (ognuno di 6 compagnie), ebbero pianta stabile nell'armata austriaca, riunendosi nel reggimento cacciatori Tirolesi, che nell'ambito della fanteria ebbe il numero 64 e che dal nome del suo primo proprietario veniva denominato "marchese Chasteler". Prima di allora esistevano numerosi corpi franchi di varia formazione, composti da sudditi dei territori montani abili nel tiro col fucile, che una volta sciolti appena terminava un conflitto, erano pronti a riprendere le armi appena si profilava una minaccia ai confini dell'impero.
E' curioso rilevare che i Tirolesi arruolati nel 1788, in una delle tante guerre contro i Turchi, vennero armati col fucile ad aria compressa ideato dall'ampezzano Girardoni.
Sciolto nel 1808 il reggimento Chasteler, i suoi componenti andarono a costituire il nucleo principale dei 9 battaglioni autonomi che si formarono nei territori della corona (Boemia, Austria e Moravia). In seguito due di questi battaglioni saranno composti da militari lombardo veneti.
Successivamente, terminate le guerre napoleoniche e sciolti i reparti di volontari formatisi nelle regioni alpine di Tirolo e Voralberg, cioè quei volontari denominati cacciatori di Fenner, che tanto si erano distinto nelle ultime campagne di guerra, si ricostituì con essi il nuovo reggimento Tirolese, inizialmente su 4 battaglioni. Da quel momento suo proprietario sarà l'imperatore in persona, davanti al quale il reggimento sfilerà a Innsbruck per la prima volta nel 18016.
In quanto ai battaglioni autonomi essi, saliti a 12 grazie anche alle nuove acquisizioni territoriali, vennero portati addirittura a 25 dopo le guerre del 1848-49, con un incremento di ben 13 unità e, finita la campagna del 1859, i battaglioni cacciatori aumentarono a 32 (gli ultimi due provenienti dai volontari di Vienna), nonostante che, a seguito della cessione della Lombardia, la riduzione territoriale avesse comportato la perdita dei 3 battaglioni italiani reclutati in quella regione.
Arruolati nelle file del reggimento Imperatore, i sudditi Trentini, che appartenevano al Tirolo meridionale, parteciparono numerosi alle campagne militari del Risorgimento, distinguendosi un po' ovunque. Diverso invece il grado di fedeltà all'imperatore da parte dei cacciatori lombardo veneti, i quali, dal 1823 al 1830, venivano arruolati nelle file dei battaglioni N° 11 e 12 e successivamente in quelle del N° 8 e del N° 11. Nel 1848 le scarne schiere di questi battaglioni, cominciarono a rinfoltirsi solo dopo che, a campagna ormai vittoriosamente conclusa, il maresciallo Radetzky aveva proclamato il perdono generale per tutti i militari di truppa che avevano disertato.
Negli anni che seguirono, il vertice militare austriaco, nella rinnovata fiducia che l'imperatore Francesco Giuseppe aveva riposto nei sudditi italiani, contuinuò a levare nelle regioni lombardo venete consistenti quote di reclute da assegnare al corpo dei cacciatori. Infatti, mentre dal 1849 al 1859 il N° 25 veniva reclutato nelle Venezie, dove nel 1859 subentrò il N° 26, nel 1857 erano diventati lombardi anche i battaglioni N° 6 e 18.
Nel 1866 i due battaglioni N° 8 e 26, gli unici due di cacciatori dei battaglioni autonomi composti da italiani a militare nell'armata ustriaca in quell'epoca, pagheranno anch'essi un alto tributo di sangue sui campi di battaglia della Boemia, guadagnandosi numerosi riconoscimenti di valore.
Combatteranno per l'ultima volta al servizio della Patria e dell'Imperatore durante la I°  Guerra Mondiale (1914-1918)distinguendosi ancora una volta per il loro grandisimo valore.



 Nota
Dal 1849 il battaglione N° 10 possiede una tromba in argento con la dedica "Al valoroso 10° battaglione cacciatori, dall'armata d'Italia condotta dal vincitore Radetzky 1848". Sullo strumento è applicata l'aquila bicipite con il motto "Monte Berico - Kopal chiama!"



Vicende durante la campagna del 1859:

Il 29 aprile il 13° battaglione cacciatori da campo lascia Torretta e alle h 4 del pomeriggio supera il Ticino, passando così il confine austriaco.
Il battaglione si formò in quadrato su di un prato dove vennero letti gli ordini d’Armata (dell’imperatore e il N° 12), poi prestato il giuramento si caricarono le armi. Questo atto festoso produsse una solida impressione sia negli ufficiali sia nella truppa e si concluse con un ‘evviva’ all’imperatore.
La sera il battaglione arrivò a Carbonara dove si dispose a bivaccare.
Il 30 aprile, sotto una pioggia battente, marciò su Dorno dove mise il campo.
...
Ora il ponte ferroviario di Valenza si doveva fare saltare in aria dalla parte occupata dagli austriaci.
Il 1° maggio il battaglione era avanzato fino a Torre dei Berretti, dove si avvicendava col reggimento fanti N° 27 negli avamposti lungo il Po, nei pressi del ponte ferroviario e stradale.
Valenza era occupata da truppe nemiche (Piemontesi) le quali avevano rafforzato la sponda destra del Po mediante trinceramenti e batterie. Inoltre, nel corso della marcia di avvicinamento si trovarono alcuni tratti di strada interrotti da scavi trasversali.
Dalle due sponde avvennero anche alcune scaramucce tra pattuglie e sentinelle e ciò accrebbe la voglia di combattere nei cacciatori che non vedevano l’ora di misurarsi sul serio col nemico.
A protezione dei lavori di mina e del riempimento delle camere necessari al brillamento del ponte di Valenza venne affidato alla nostra brigata.
Il tempo assolutamente pessimo e la durezza della pietra con cui è costruito il ponte, causarono grandi difficoltà nell’esecuzione dei lavori.
Già il 2 maggio, alle h 8 di sera, una divisione del reggimento fanti N° 27 fu fatta avanzare lungo il terrapieno ferroviario, col compito di proteggere la costruzione di una piazzola d’artiglieria per due cannoni da 12 libbre e di impedire una eventuale irruzione del nemico lungo il terrapieno.
Allo stesso tempo fu ordinato al reparto pionieri di brigata, al comando del primo tenente Hüttenbrenner del reggimento fanti N° 27, di rimuovere i binari della strada ferrata e di distruggere la linea telegrafica. All’altro capo del ponte il nemico, che aveva piazzato una batteria di 2 pezzi da 16 libbre, di tanto in tanto tirava qualche cannonata al reparto che stava lavorando senza tuttavia arrecargli il pur minimo danno.

Poiché non era prudente stare solamente ad osservare il nemico, che avrebbe potuto cogliere l’occasione di transitare sulla sponda sinistra, si rinforzarono gli avamposti con altre 4 compagnie del reggimento fanti N° 27 e due cannoni che si piazzarono sul terrapieno ferroviario.
I due cannoni da 12 libbre fecero qualche tiro, senza tuttavia pervenire a risultati importanti in quanto la distanza fino alle batterie nemiche assommava a circa 2.000 passi.
Il 3 maggio la linea degli avamposti si spinse lungo tutto il braccio del Po che va da Casa Bisognosa attraverso la strada ferrata fino a Casa Bochiane.
Alle h 2 del pomeriggio la 1ª compagnia del battaglione cacciatori N° 13 fu mandata con 2 pezzi di racchette sull’isolotto sito a nord del ponte ferroviario, in prossimità della sponda sinistra, per prendere sul fianco le posizioni nemiche. Tuttavia, a causa della grande distanza, solo alcuni lanci riuscirono a raggiungere la batteria nemica; la compagnia venne fatta ritirare subito dopo.
Il capitano di Stato Maggiore generale Hilleprandt, addetto alla brigata, ricevette l’incarico di portarsi avanti con le truppe necessarie alla protezione dei lavori di brillamento e di fare rapporto sulle condizioni del ponte.
Alle h 7.30 di sera, detto capitano condusse per ambedue i lati del terrapieno, mezza compagnia del reggimento fanti N° 27, e raggiunse il ponte senza essere notato dal nemico. Era questo un massiccio ponte in pietra ad archi con 20 piloni, ognuno di 25 passi di luce.
Il colonnello del genio von Rado si mise subite a dirigere i lavori che iniziarono dal primo pilone. L’impresa non poté essere tenuta nascosta del tutto al nemico perché questi, subito dopo l’inizio dei lavori, tirò dalla sua sponda alcuni colpi di cannone ai quali rispose la nostra artiglieria.


Scaramuccia di Valenza, 4 maggio 1859

Il 4 maggio, alle h 10 di mattina, il nostro battaglione si spinse avanti per dare il cambio al 27° reggimento. Per noi questo fu una giornata di notevole importanza in quanto oggi si sarebbe avuto il battesimo del fuoco.
La 2ª e la 4ª compagnia presero posizione proprio accanto al ponte, mentre le altre due rimasero in riserva davanti al ponte dove si trova il casello ferroviario.
Dopo le h 3 di pomeriggio, sulla sponda opposta, comparvero ufficiali a cavallo e alcuni reparti che col loro fuoco resero alquanto difficoltosa la posa delle mine.
Il cadetto facente funzione di sergente Ernst Wolff, il cadetto facente funzione di caporale Ladislaus Benischko von Dobroslaw, il vice-caporale Josef Hofbauer, i cacciatori Johann Weiß e Johann Teuschel della 2ª compagnia, poi il sergente Johann Bergmann, i cacciatori Anton Sachs, Vincenz Maurer, Josef Schestauber, Johann Dudek e Josef Körner della 4ª compagnia, si presentarono volontari per avanzare fino al casello che stava all’altezza del 3 pilone e da questa posizione, per quanto pericolosa, far passare al nemico la voglia di disturbare i lavori di mina.
Protetti dal parapetto contro il violento fuoco nemico, questo manipolo di coraggiosi riuscì a raggiungere il casello. Da qui i cacciatori aprirono un fuoco calmo e preciso, cosicché quasi ogni colpo andava a segno e così il nemico, dopo aver subito numerose perdite tra gli ufficiali e la truppa, non osò più mostrarsi dalle posizioni al coperto.
In questa azione il cadetto Wolff, aveva preso di mira un ufficiale a cavallo che sembrava persona di grande importanza tra i suoi, e in un istante i Piemontesi avevano perso uno dei loro migliori ufficiali di artiglieria, il capitano Ribotti.
Il fuoco di artiglieria rivolto subito contro il casello, non riuscì a stanare da lì gli ostinati cacciatori. Quattro granate nemiche scoppiarono loro davanti e a fianco e una scheggia portò via dal capo il cappello del cacciatore Maurer. Il cadetto Ernst Wolff, Georg Benischko cavaliere von Dobroslaw e il vice-caporale Josef Hofbauer, rimasero feriti. Questi tre prodi furono i primi del battaglione a versare il loro sangue per la gloria dello stesso. Ma nulla poté attenuare la loro volontà di combattere. Esaurite le munizioni, essi ne fecero richiesta al tenente Hauschild, che se ne stava a circa 150 passi col suo reparto.
Ricevute altre 84 cartucce, ripresero a far fuoco con tale successo che ogni salva di fila era seguita da trambusto e confusione che provenivano dalla sponda dove stavano schierati i reparti del nemico, cosa che faceva pensare di avergli arrecato perdite considerevoli.

Dimostrarono coraggio e tenacia anche il sergente maggiore Wenzel Hurka, il sergente Josef Flath, il caporale Vincenz Thymann ed il cacciatore Johann Holly della 1ª compagnia. Trovate varie barche del nemico in prossimità del ponte ferroviario, lungo la sponda destra del Po, questi andarono volontariamente a compiere una ricognizione del fiume. Da posizione favorevole, arrecarono notevoli danni al nemico con i loro colpi ben aggiustati e uno di questi sparato dall’infallibile Stutzen del cacciatore Johann Holly abbatté un ufficiale nemico spintosi in avanscoperta.
Spintasi fino all’acqua, una seconda schiera della medesima compagnia, composta dal caporale Anton Hausner e dai cacciatori Wenzel Czerny, Josef Fränzl e Paul Hauschka, scambiarono parecchie fucilate con i tiratori nemici, alcuni dei quali furono messi fuori combattimento. Al cacciatore Hauschka una palla bucò il cappello. Da citare infine il cacciatore Franz Pappert della 3ª compagnia, che seppe influire favorevolmente sui compagni con frasi spiritose e di incitamento, presentandosi poi volontario come vedetta; egli si spinse fino al terzo pilone oltre il casello e da questa posizione completamente esposta al fuoco nemico, riuscì ad abbattere in breve tempo due soldati nemici.
Nel frattempo il colonnello Rado aveva continuato con i lavori di mina, ma non poté portarli a termine perché gli attrezzi divennero inservibili a causa del durissimo materiale con cui è costruito il ponte.
Durante la notte i Piemontesi tentarono di attraversare il fiume su barconi, ma l’impresa fallì grazie all’attenzione dei posti di guardia.
La mattina del 5 maggio, l’improvviso innalzamento delle acque del fiume, che inondarono le camere di mina non ancora completate, ci costrinse a rinviare l’impresa. Gli avamposti furono fatti arretrare fino all’argine di piena. Il nemico ci prese sotto un fuoco violento che continuò con brevi pause fino alle h 3 di pomeriggio del 5 maggio, allorché la brigata Hartung ci dette il cambio.
La brigata Ramming occupò gli accantonamenti di Montariolo; il battaglione si insediò a Tibiano.
...
Il 7 maggio il comandante di battaglione, tenente colonnello Hugo Schupp, in seguito al suo precario stato di salute chiese un permesso prolungato e partì per Laxenburg.
Il capitano Willibald Wachwest prese il comando interinale del battaglione.
Lo stesso giorno la brigata Ramming partì per Castel d’Agogna, il battaglione raggiunse Casina Nova e, il 9, Torrione dove venne promulgato un severo ordine del giorno di battaglione, in quanto alcuni cacciatori si sbarazzarono delle loro Czutter (le borracce di legno) e delle ghette. Il 10 il battaglione si accantonò a Castel d’Agogna; qui il primo tenente Strachofsky venne elogiato dal comando di battaglione per la sua dimostrazione di energia e di instancabile attività nell’aumento di effettivi nel battaglione e nella costituzione della compagnia deposito.
...
Un ordine d’armata (del 16 maggio) imponeva che venissero preservati gli alberi da frutto, e soprattutto i gelsi, e poi i campi coltivati a cereali e a riso, e che questi non dovevano essere impiegati per la costruzione di capanne o per altre necessità campali; a tale scopo potevano essere utilizzate siepaglie o anche alberi che non portavano frutto.
Sempre in maggio, poiché era capitato che, vuoi per baldanza vuoi per cattiveria, venissero incendiati i ricoveri di ramaglie e di paglia abbandonati negli accampamenti dalle truppe in partenza, cosicché i compagni delle truppe che seguivano, anziché agevolazioni trovavano degli incendi, fu emanato un altro severo ordine d’Armata in tal senso.
A maggio vi furono anche singoli casi di saccheggio e abusi da parte di truppe non sempre approvvigionate a sufficienza, cosa che indusse ad emanare un ordine d’Armata dove si ammoniva che sarebbero state inflitte le pene più severe contro questi comportamenti. Purtroppo anche nel battaglione successe un caso simile in cui degli uomini alloggiati vicino a Trumello in una cascina abbandonata dai proprietari, tentarono di appropriarsi delle provviste custodite sotto chiave. Il sergente da cui dipendevano gli autori della trasgressione fu degradato dal comando di battaglione e i cacciatori vennero puniti con la pena della verga. Si agì anche nei confronti di due comandanti di posti di guardia che si resero responsabili di piccole negligenza, comminando loro una degradazione di 14 giorni.
I battaglioni di fanteria della prima schiera si spiegarono in colonne di divisione, con tiratori sulla fronte; quelli della seconda schiera con due colonne di divisione ognuno in prima linea e quelli della terza a sostegno più indietro.
Il 13° battaglione aveva la 1ª, 2ª e 3ª compagnia in prima linea, la in riserva più arretrata; ognuna delle compagnie che stavano davanti sciolsero in tiraglieri due plotoni mentre gli altri due seguivano a sostegno.
Negli intervalli tra i battaglioni di prima schiera stavano: mezza batteria a cavallo N° 12/I e mezza batteria racchette N° 18, infine, assegnata a questi, vi era metà della batteria di brigata; l’altra metà si trovava con la seconda schiera.
Le prima citate batterie, a cavallo e racchette, costrette prima a ritirarsi dalle circostanze belliche, si erano unite alla brigata di loro spontanea volontà.
Alcuni reparti del reggimento di fanteria N° 54, che occupavano la stazione di Ponte Nuovo di Magenta, erano troppo deboli per poter resistere con successo all’assalto dei Francesi e il brigadiere GM Gablenz stava già pensando di sgomberarla, allorché giunse il tanto ben accetto aiuto; infatti a quell’ora (le h 5 di sera) la brigata Ramming aveva raggiunto Ponte Vecchio di Magenta e la strada che congiunge questa località con Magenta.
La vegetazione tipicamente italiana, caratterizzata dai numerosi filari di gelsi uniti tra loro da piante di vite i cui tralci erano sostenuti da filo di ferro, rendevano oltremodo difficile il procedere, in particolare per l’artiglieria impedendo in non minore misura il campo di tiro.
Ponte Vecchio di Magenta rappresentava il perno dell’ala sinistra della brigata e perciò di estrema importanza per lei. Questa località era occupata da 1 divisione del 2° reggimento confinario Banale la quale, in quel momento, era in procinto di abbandonare la parte orientale dell’abitato, perché rimasto isolata a causa del brillamento del ponte stradale sul Naviglio.

Il FML Schönberger ordinò ai confinari di occupare nuovamente Ponte Vecchio di Magenta e diede ordine al capitano Wachwest di rinforzare la posizione con il 13° battaglione cacciatori. I confinari tuttavia non sembrava avessero eseguito con precisione quest’ordine perché, poco dopo, il capitano Franz dello Stato Maggiore generale del Corpo, mandato a verificare la situazione, trovò i confinari ancora una volta in ritirata.
Intanto la località era stata fortemente occupata dai Francesi e così la divisione dei confinari, mandata alle spalle del nemico, non poté fare più nulla. Il comandante del 13° battaglione cacciatori, compresa subito la situazione e consapevole dell’importanza che questa parte di paese aveva per una avanzata generale, ordinò di attaccare.
Con grande bravura il battaglione cacciatori, a cui si era unita una parte del 3° battaglione del reggimento fanti N° 27, si lanciò contro la parte orientale di questa località, ne scacciò i Francesi alla baionetta e ne occupò i margini con due compagnie, mentre il resto del battaglione procedette verso Casa Girola.
Lungo il Naviglio, due cannoni a cavallo iniziarono a far fuoco. Due compagnie del 13° cacciatori, il 3° del 27° a cui alla sua destra restò collegata la 2ª divisione di questo reggimento, si portarono irresistibilmente in avanti e, nonostante che dal ponte ferroviari vennero accolti dal fuoco violento dei granatieri della Guardia, dal 6° battaglione cacciatori e dai cannoni francesi, ricacciarono i Francesi fino al terrapieno della ferrovia, inseguendoli con un fuoco nutrito e preciso.
I Francesi, che si stavano rinforzando sempre di più, scagliavano una salva dopo l’altra su questa schiera di prodi la cui situazione divenne sempre più critica dato che ormai molti ufficiali e soldati avevano intriso di sangue quel suolo così duramente conquistato.
Poiché un assalto isolato su Ponte Nuovo di Magenta, portato contro un nemico soverchiante, non aveva alcuna prospettiva di successo, allora venne occupata e valorosamente difesa, la linea Ponte Nuovo di Magenta – Casa Girola – Mainaga, nonché un tratto di terrapieno.
Intanto, sulla sponda destra del Naviglio, i Francesi, con nove battaglioni, erano riusciti a conseguire dei vantaggi nei confronti della brigata Hartung, riprendendo quella parte di Ponte Vecchio di Magenta. Il nemico aprì subito il fuoco sul fianco ed alle spalle del 13° battaglione cacciatori, assalì con grande impeto e spinse parecchi battaglioni negli spazi lasciati liberi dalle nostre truppe.
Il numero di gran lunga soverchiante, costrinse il battaglione, fortemente assottigliato, che però grazie al suo fuoco preciso inflisse enormi perdite ai Francesi, ad abbandonare la parte orientale così tenacemente difesa di questa località.
A questo punto il brigadiere, radunati contingenti di vari reggimenti di fanteria, riparte nuovamente all’attacco di quel luogo tanto conteso; questo movimento è sufficiente per infondere nuovo coraggio e ridare impulso al battaglione cacciatori che si riporta in avanti. A sprezzo del pericolo e con l’ardente desiderio di vendicare il sangue versato dai camerati caduti, questo si lancia di nuovo dentro il paese che aveva appena abbandonato e rientra a viva forza in suo possesso, facendo uso per lo più di calcio del fucile e di baionetta. Molti cadaveri di Francesi ricoprono le vie e gli spiazzi della località; le case devono essere riprese con la forza una per una. Ma i bravi cacciatori non si attenuano in quel lavoro cruento, finché non è riconquistato il suolo perduto.
Per rifarsi di quello scacco, i Francesi, rinforzatisi potentemente e guidati dal generale Vinoy, si portano nuovamente avanti in numero soverchiante.
I cacciatori e quelli del 27°, assottigliati nel numero e stremati da ore di combattimenti, difettando le munizioni, si ritirano fino a Casa Limido solo dopo una eroica difesa. In un secondo tempo essi, col concorso dei bravi Stiriani del reggimento Re dei Belgi, riescono, compiendo sforzi inauditi, anche a riprendere possesso per due volte, sia pure temporaneamente, di Ponte Vecchio di Magenta, ma ogni forma di eroismo, ogni entusiastico sprezzo del pericolo e i fiumi di sangue versato, non poterono cambiare le sorti della giornata.

Il battaglione aveva subito le seguenti perdite:
  • morti: 1 ufficiale (primo tenente Ferdinand Mocker, una palla di fucile e alcuni colpi di baionetta), 1 cadetto (Emil Gallina) e 12 uomini,
  • dispersi: 26 uomini da doversi considerare morti in quanto manca qualsiasi notizia della loro sorte;
  • feriti: 5 ufficiali (capitano Adolf Wolffersdorf, 1 palla al petto e sul braccio sinistro; capitano Eduard Grund, palla al petto; tenenti Emanuel Richter, Theodor von Neumayer, Franz Häring e Eduard Gamlich, ferite di striscio), 1 cadetto (barone Maximilian von Sanleque, palla sul braccio sinistro e colpo di baionetta al collo), 88 uomini, 9 dei quali morirono in seguito alle ferite;
  • feriti e prigionieri: 1 ufficiale, 43 uomini;
  • prigioniero illeso: 1.
  • Totale: 7 ufficiali, 2 cadetti, 170 uomini.
Alla battaglia presero parte diretta: 13 ufficiali, 780 uomini; le perdite rappresentavano dunque il 54% degli ufficiali e il 22% della truppa.
...
Per alleggerire le truppe il più possibile, sua maestà dette ordine di spedire in luogo sicuro
le tuniche,
le ghette ed
i guanti,
dovendo la truppa fare uso del solo kittel di lino fino a nuovo ordine. Tale agevolazione andava estesa anche agli ufficiali. Il battaglione fece trasportare questi effetti a Mantova.
...
Il 17 luglio il battaglione ricevette l’ordine di ritirare gli zaini e le tuniche depositati a Mantova.