lunedì 12 settembre 2011

Le azioni dei "settari" nella penisola Italiana del XIX° Secolo.




Le nazioni civili che mirano lo svolgimento di questo gran
dramma italiano, iniziato a nome delle civiltà e del
progresso, saran per fermo stupefatte al mirar la rea lotta
che specialmente nel reame delle Sicilie procede cruenta ed
atrocissima fra Italiani ed Italiani. Dopo tante lamentazioni
contro lo straniero, non è già contro lo straniero che aguzza
e brandisce le arme, quella fazione che vuol parere d'esser
la italica nazione. Pervenuta ad abbrancare la podestà, ella
non assale già il Tedesco, ne il Franco, né l'Anglo, che
tengono soggetta tanta parte d'Italia; ma versa torrenti di
sangue dal seno stesso della patria, per farla povera e
serva. Ella grida l'unità e la forza; e frattanto ogni
possibilità di unione fa svanire, con la creazione di odii civili
inestinguibili; e distrugge la sua stessa forza in cotesta
guerra fratricida e nefanda, che la parte più viva e generosa
della italiana famiglia va sperperando ed estinguendo.
L'Italia combatte l'Italia. Gli stranieri potentissimi e
formidabili sogghignano e preparano le arme, in mentre le
persone, le industrie, il commercio, le arti italiane e ogni
forza va in fondo, fra gli spogli, le fucilazioni, gli incendi e
le ruine. L'Italia subissa l'Italia. Né solo nella parte
materiale subissa: il dileggio ch'ella fa del dritto, della
morale e della religione, sono mali più gravi; perocché
accennano a corrompere il popolo, ne degradano agli occhi
dello straniero, e ne svergognano quivi appunto dove
volevano sovrastare a tutte le genti. Dopo tanti sterminati
vanti del nostro primato civile, ora diamo spettacolo
d'avidità da pirati, di barbarie esecrande, e di cinismo e
d'ateismo vestiti di stucchevoli ipocrisie. Primi ne
proclamavamo, e mostriamo esser ultimi. Una immoderata
baldanza di forza materiale; ed ora quando poniamo mano
a stringer la forza, e sperimentiamo non esser d'altro
capaci di suicidio, e perdiamo bensì la forza morale. Si
anelava prima al compianto, poscia all'ammirazione della
terra; invece riusciamo a meritarne il disprezzo.

(Tratto da "I Napolitani al cospetto delle Nazioni civili" di Giacinto Dè Sivo).