giovedì 8 settembre 2011

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due-Sicilie(1860-1861):Parte 1.

Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.

 Assalto del Convento della Gancia in Palermo, il 4 aprile 1860.




 EPOCA  DELLE BANDE SICILIANE

Si è scritto e ripetuto come un fatto incontrastabile, che la rivoluzione di Sicilia del 1860 cominciasse il giorno 4 aprile con lo squillo della celebre campana del Convento della Gancia. Senza occuparmi del merito o demerito dei quei famosi Padri e compagni, debbo avvertire, che il primo grido di guerra rivoluzionario scoppiò il 3 aprile in Boccadifalco, piccolo paese sopra Palermo, di là non più lungi che due o tre miglia. Le prima bande comparvero quel giorno sopra i monti di quel paese, e propriamente sul versante della valle di Baida, ove si tirarono le prime fucilate, tra la truppa ed i rivoluzionari ed ove si versò il primo sangue. Difatti, due Compagnie del 9° battaglione, comandate dal Capitano Simonetti, investirono e dispersero quelle bande dopo non poca resistenza.
Il 4 aprile avvenne il fatto tanto celebrato da' rivoluzionari, la rivolta della Gancia. Eccone i particolari.
Un certo Francesco Riso fontanaio avea preso in affitto un magazzino del Convento della Gancia. Il pretesto era di mettervi arnesi del suo mestiere, ma la vera ragione si era d'introdurre in quel Convento armi e munizioni, essendo stato designato dai congiurati rivoluzionari come base della rivoluzioni che dovea scoppiare. Il magazzino era situato dalla parte opposta del Convento, cioè dalla parte del giardino, il quale guarda all'oriente e d'onde, essendo vicine le viuzze del quartiere la Kalsa, la fuga de' congiurati sarebbe stata più facile in caso che fossero stati scoperti o sorpresi. La maggior parte de' frati di quel Convento faceano parte della congiura.
Frate Michele da S. Antonino, anche de' minori Osservanti, ch'io poi conobbi a Roma, si recò dal Direttore di polizia Maniscalco e gli svelò la congiura. Questi il 3 aprile mandò il Chinnici, capitano d'armi a visitare il Convento della Gancia. Il Chinnici nulla trovò che gli desse indizio di prossima rivolta, dapoichè quei frati avvisati della visita domiciliare, aveano occultato le armi e le munizioni. Solamente si rinvenne sotto una tettoia uno scheletro di donna senza testa, forse da sei mesi estinta. Questo fatto dimostra che sorta di gente si fossero quei fraticelli della Gancia, tanto encomiati poi dai rivoluzionari.
La sera del 3 aprile si vedeva in Palermo un via vai che accennava a prossima rivoluzione: tutti facevano provvisioni di viveri, parlandosi all'orecchio. Già si sapea che, sopra Monreale, Boccadifalco, S. Maria di Gesù, ed ai Colli, scorazzassero delle bande armate, pronte a scendere a Palermo al primo segnale di rivolta. Maniscalco, e il generale Salzano Comandante la piazza di Palermo, non contenti della visita fatta dal Capitano Chinnici al Convento della Gancia, ben sicuri che frate Michele avesse lor detto la verità, la sera stessa del 3 aprile fecero appostare il Chinnici co' suoi compagni d'armi nelle vicinanze di quel Convento, e segnalarono al Re, che Palermo si rivolterebbe il giorno seguente.
La notte i ribelli, uno per volta, circa 60 di numero, s'introdussero nel Convento della Gancia: gli ultimi venuti, avvedendosi che erano sorvegliati dalla forza pubblica, diedero indietro. Nondimeno que' 60 sostenuti da molti frati, alle cinque del mattino cominciarono a suonar le campane a stormo, e tirar fucilate dalle finestre e da' tetti sopra i compagni d'armi. Accorse subito il 6° di linea comandato dal Tenente—Colonnello Perrone. Un obice posto dirimpetto la porta del Convento, sfondò questa e la barricata che vi era dietro. I soldati inondarono il Convento e diedero addosso a' faziosi. Di questi ne morirono 19 e un frate, ed anche Antonio Riso figlio del fontanaio, il quale condotto moribondo allo Spedale, svelò tutta la congiura ed i congiurati.
I regii ebbero due morti e nove feriti. I frati che quasi tutti aveano combattuto, fuggirono dalla parte del giardino. Due non veduti si ascosero nelle sepolture tra i morti, d'onde scapparono dopo tre giorni da una finestra, cui poscia la rivoluzione trionfante appellò buca della salvezza, e more solito, vi posero una lapide commemorativa.
Nel Convento si trovarono armi, munizioni, e due Cannoni, uno di ferro e l'altro di quercia.
Quel Convento preso d'assalto andò sossopra e il popolaccio palermitano ne compì il sacco. La Chiesa non fu saccheggiata perché lo impedì la truppa.
La città non rispose al segnale della campana della Gancia, ed è falso quanto si è detto, cioè che quella campana diede il segnale della rivolta di Palermo: questa città il dì 4 aprile non fece alcun tentativo di rivoluzione.
Salzano lo stesso giorno 4 dichiarò Palermo in istato di assedio, ed ordinò che i cittadini consegnassero le armi.
La rivolta soffocata sul nascere in Palermo, divampava assai ne' paesi circonvicini: Bagaria, Misilmeri, Carini, S. Lorenzo e Capaci, si rivoltarono. In Termini fu un tentativo di rivolta, ma contenuto dalla presenza della guarnigione di quel Castello.
Il giorno 7 per ordine di Salzano — per cui poi ne acquistò odio il Maniscalco — furono arrestati in casa di Monteleone sette individui del comitato rivoluzionario: cioè il Barone Riso, il Principe Niscemi, il Principe Giardinelli, gentiluomini di camera del Re; e così il Duchino di Cesarò, il Principe Antonio Pignatelli Monteleone, il cavaliere S. Giovanni, Ottavio Lanza sacerdote, e con esse un certo Lacroix cameriere. Furono tutti menati prima in carrozza, poi a piedi al forte di Castellammare.
Da Castellammare furono condotti in seguito alla Vicaria, e divisi. Ebbero però con decreto sovrano un assegno mensile di ducati 90 ciascuno. Non era un fondo un gran male; chi sa se altri meno ricchi di cotesti signori non avessero desiderata quella prigionia, che poi fruttò fama, onori e trionfi!
I congiurati della Gancia presi con le armi alle mani, forse avrebbero ottenuto perdono, se non in tutto, almeno in parte. Però il giorno 13 aprile si riunirono in Palermo molti rivoluzionari, e vi fecero una dimostrazione con grida sediziose, e furono dispersi dalle truppe. Già si parlava di un'altra rivolta imminente: in effetto la sera del 15, fu scoperto un deposito d'armi, granate, e munizioni presso la chiesa della Mangione. Le bande armate scorrazzavano sempre ne' dintorni di Palermo. Il Governo costretto a dare un esempio terribile, fece giudicare ed eseguire la sentenza di morte contro quelli che furono presi con le armi alle mani nel combatti mento della Gancia. Erano 13 infelici artigiani e villani.
Gli umanitari liberali riempirono di lamenti il mondo per quella giustizia fatta dal Governo. Quanta umanità abbiano poi essi mostrata in simili casi ed altri quando afferrarono il potere, non è bisogno ch'io lo dimostri: si conosce da tutti; e nel corso di queste Memorie il benevolo lettore ne troverà qualche saggio terribile e selvaggio.
Io mi trovava in Monreale piccola città distante quattro miglia all'ovest di Palermo: era cappellano del 9° battaglione cacciatori, il quale fu attaccato il giorno 6 aprile dalle bande condotte da un certo Santanna. Erano masse di gente disordinata, ma temeraria, che non dubitò assalirci quasi dentro i quartieri. Il maggiore Ferdinando Bosco allora comandante di quel battaglione, alla testa di quattro compagnie, si spinse contro quei rivoluzionari. L'azione ebbe luogo non più lungi di mezzo chilometro da Monreale, e propriamente sulla strada che conduce a Partinico. Le masse, quantunque audacissime e numerose, furono rotte e disperse in breve tempo. I soldati le inseguirono in que' burroni e su' monti; e ricordo, che inseguendole, non usassero più il fucile, perocchè aveano già capito che combatteano un nemico poco pericoloso. Invece di tirar fucilate, lanciavano pietre quanto meglio potevano. Quindi quella giornata finì di mettere di buon umore i soldati.
In quel fatto d'armi vi fu poco danno: si trovarono due cadaveri de' rivoluzionari, e non so quanti feriti si ebbero. Del 9° Cacciatori venne ferito seriamente un soldato, e quando lo portammo a Monreale, quella popolazione mostrò il più grande sdegno contro i ribelli. Eppure, dopo non più di un mese, la canaglia di quella stessa popolazione, saccheggiò i quartieri de' soldati, e le case degli uffiziali — non esclusa la mia — al grida di viva l'Italia!
Il 12 aprile fummo di nuovo assaliti da' ribelli. Apparvero su' monti che circondano da vicino Monreale: e se ne vedeano pure nella valle sottoposta. Un gran numero di rivoluzionari si erano fortificati in una casina detta di Buarra, non più lungi di un chilometro dalla città. Metteano banderuole tricolori sulle cime di alcuni alberi, perché i soldati le vedessero. Quando vedevano qualche uffiziale, gli gri davano da lungi: Sig. uffiziale venite con noi, vi daremo una onza al giorno — 12 lire e 75 cent.
Il maggiore Bosco li lasciò scorrazzare dalla mattina sino a mezzo giorno, forse per accertarsi di quelle a che intendeano riuscire. Verso l'una cominciò qualche scambio di fucilate tra gli avamposti. Attaccati in seguito dalla truppa e particolarmente quelli fortificati in Buarra, in breve tempo furono scacciati dalle loro posizioni, e messi in fuga.
In quest'altro fatto d'armi, non avemmo che pochi soldati feriti, solo un milite a cavallo fu ucciso. Si arrestò qualche rivoluzionario con le armi alle mani, e fu trattato come soldato di nazione belligerante.
I ribelli soffrirono qualche danno non lieve, poichè vidi alcuni cadaveri che sembravano di giovani di civile condizione, caduti in que' burroni: e mi si spezzava l'anima pensando al dolore de' miseri genitori.
La casina di Buarra, ove si fortificarono una gran parte di quella bande, fu intieramente saccheggiata, e con più accanimento una Cantina. Ricordo questo, perché i rivoluzionarii spacciarono che fu saccheggiata da' soldati. Se non che quelli de' soldati che assalirono la casina, profittando che tutto era a soqquadro, che le botti erano spillate, e il vino allagava la cantina, ne bevvero a sazietà. Avendolo inteso il Bosco, li punì severamente, perché era rigorosissimo, trattandosi della più piccola appropriazione che i soldati avesser fatta.
Nel fatto d'armi del 12 aprile il 9° Cacciatori fu coadiuvato da un tenente di artiglieria che comandava il maneggio di due cannoni di montagna; dalla compagnia d'armi di Palermo comandata dal capitano Chinnici; e dal capitano Luvarà dello Stato Maggiore.
Le bande rivoluzionarie disperse ed inseguite ne' dintorni di Palermo, si riunirono il 16 aprile, e piombarono sopra Caini, piccola città, 18 miglia distante da Palermo, ove si fortificarono nelle case.
Carini giace sopra una collina con una estesa pianura a piè, dalla parte dell'est. Fu attaccata il 18 dalla parte della pianura con forze venute da Palermo, comandate dal Cataldo e Torrebruna. Il 9° Cacciatori non entrò in azione in quella giornata, ma rimase in posizione sopra i monti della Torretta, piccolo paese all'oriente di Carini.
Io vidi dalla sommità di una collina l'attacco ed i risultati.
Le bande rivoluzionarie dirette da Rosolino Pilo opposero una forte resistenza, perché erano abbastanza fortificate nel piano e dentro la Città; erano anche moltissimo agevolate dalla condizione de' luoghi. Le truppe dopo due ore di combattimento fuori Carini, entrarono a viva forza, e dovettero conquistare ad una ad una le case fortificate. Le bande non potendosi più sostenere, fuggirono dalla parte dell'ovest. Quindi il 9° cacciatori non valse ad impedire quella ritirata.
Si disse, che le truppe bruciarono parecchie case in Carini, e quindi si gridò al vandalismo e peggio. Ma, se i ribelli si fortificarono nella case, donde tiravano sopra i soldati, si pretendea forse che restassero incolumi quelle fortificazioni improvvisate? Si pretendea forse che i soldati si fossero fatti ammazzare per non danneggiarle?
Queste accuse e queste pretensioni si rinnovarono per tutto il tempo della guerra: ed io in appresso dovrò ritornare su quest'argomento.
Il 9° Cacciatori non entrò in Torretta, ma quegli abitanti ci mostrarono molta simpatia: ci mandarono pure, senza richiesta, abbondanti viveri, di che Bosco rimandò con ringraziarli, facendo loro gentilmente intendere, che invece ne fruissero i poveri del paese.
Dopo il 18 aprile non comparve più alcuna banda rivoluzionaria. Nella Provincia di Palermo sembrava finita la rivoluzione. Le città, i paesi, le campagne ripresero l'aspetto della consueta calma. Solamente vi era qualche comitiva di briganti, residuo de' più facinorosi delle distrutte bande rivoluzionarie, i quali sotto la maschera del patriottismo scorrazzavano in armi le campagne, e rubacchiavano. In pochi giorni la truppa e i compagni d'armi furono sopra quelle masnade, le dispersero, ed arrestarono non pochi individui che le componevano.

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta)