mercoledì 14 dicembre 2011

L’Italia era solo «un’espressione geografica»?: In difesa di Metternich.




A esser rimesse in discussione sono in primo luogo le trovate propagandistiche dei risorgimentali che, ideate in tempo di guerra, ci sono state fino a oggi acriticamente tramandate, non solo come verità, ma come parole d’ordine e vessilli dell’identità nazionale. Prendiamo per esempio la demonizzazione che è stata fatta dell’Impero asburgico e, funzionalmente alla preparazione dei moti in Italia settentrionale del 1848, del principe Klemens Wenzel Lothar von Metternich Winneburg (1773-1859). «L’Italia è solo un’espressione geografica», avrebbe spregiativamente detto l’odioso Metternich a proposito delle istanze nazionali unitarie avanzate dai risorgimentali. Grazie a uno studio di un diplomatico italiano, Fausto Brunetti [5], viene finalmente documentato che la celebre frase non rappresenta altro che un apocrifo. Non fu pronunciata infatti da Metternich o, se lo fu, non fu espressa in quei termini sprezzanti che fecero infuriare generazioni di patrioti. L’espressione, piuttosto, secondo il diplomatico, fu il prodotto di una manipolazione operata, per la causa patriottica, dalla stampa liberale italiana del 1848, dunque un’operazione di propaganda mirata a suscitare una reazione anti-austriaca. Il Cancelliere asburgico scrisse il celebre aforisma in francese il 2 agosto 1847, in una nota inviata al conte Moritz Dietrichstein-Proskau-Leslie (1775-1854), in questi esatti termini: «L’Italia è un nome geografico». Non solo quindi mancava ogni accento spregiativo — introdotto dall’avverbio limitativo «solo» —, ma il giudizio continuava in senso meramente politologico: «La penisola italica è composta di Stati sovrani, reciprocamente indipendenti». Il giudizio di Metternich — il quale, nel medesimo dispaccio del 1847, aveva applicato un identico appellativo «geografico» anche alla realtà tedesca — venne abilmente sfruttato dal quotidiano Il Nazionale di Napoli, diretto dal liberale Silvio Spaventa (1822-1893) — un anno dopo esser stato formulato, e cioè nel calore dei moti del 1848, i quali nell’Italia settentrionale saranno repressi appunto — guarda caso — dalle truppe del  Cancelliere austriaco. A più riprese in quel marzo e in prima pagina, infatti, il giornale — che peraltro il 10 marzo aveva dato la traduzione corretta del dispaccio asburgico, ma in lettere piccole e in pagina interna — scagliò i suoi editoriali contro la «tenebrosa diplomazia» austriaca, colpevole di umiliare «24 milioni d’intelligenti e forti» italiani che invece l’unità della patria «[…] l’avvertono, la riconoscono, se n’esaltano»: «L’Italia non è che un’espressione geografica, scriveva il Principe di Metternich».
C’era bisogno dunque di un «nemico», all’epoca, di un bersaglio contro cui indirizzare e grazie al quale moltiplicare l’indignazione montante dei patrioti contro l’influenza in Italia e il rigore in Lombardia del governo austriaco; e i giornali liberali italiani l’ottennero replicando all’infinito l’«of­fe­sa» e la presunta alterigia del Cancelliere viennese.