domenica 15 gennaio 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802(Parte 5°)CAPITOLO III.SEGRETO ED UNIONE DEI CONGIURATI.

Raramente ai congiurati è sufficiente nascondere l'oggetto generale della loro cospirazione dietro a formule
enigmatiche, il cui vero senso è noto solo a loro, oppure dietro ad una parola d'ordine convenuta fra loro, ma hanno anche un  modo speciale di designarsi reciprocamente con nomi differenti da quelli per mezzo dei quali quali il pubblico potrebbe riconoscerli;inoltre hanno l'avvertenza di tener segreta la loro corrispondenza e, nel
timore che sia intercettata, adoperano tali precauzioni per non compromettere né il loro nome né l'oggetto dei loro complotti.
Voltaire e d'Alembert non trascurarono nessuno di questi mezzi; nella loro corrispondenza Duluc è piuttosto spesso il nome di battaglia di Federico, (lett. 77 di d'Alemb.) mentre d'Alembert è indicato col nome di Protagora (lett. di Volt. a Thiriot 26 genn. 1762), ma spesso lui stesso cambia questo nome con quello di Bertrand. (Lett. 90.)
L'uno e l'altro gli stavano a meraviglia, il primo per designare un empio e l'altro per sottolineare i mezzi della sua empietà, cioè le astuzie di Bertrand nella favola della scimmia e del gatto. Quando d'Alembert è Bertrand, Voltaire è Raton. (Lett. 22 marzo 1774.)
Diderot è qualche volta Platone, ed altre volte Tomplat. (Lett. di Volt. a Damilaville 11 agosto 1766. ) Il nome generale dei congiurati è cacouac; questo è un buon cacouac, significa è un dei nostri fidi (Lett. di d'Alemb.) Voltaire li chiama più spesso fratelli, alla maniera dei massoni. Nel loro linguaggio enigmatico vi sono anche frasi intere che hanno per loro un senso speciale, ad esempio: la vigna della verità è ben coltivata, vuol dire: Stiamo facendo molti progressi contro la religione. (Lett. 35 a d'Alemb.)
Questo linguaggio segreto era usato soprattutto quando i congiurati avevano dei dubbi che le loro lettere arrivassero a destinazione; d'Alembert e Voltaire ebbero qualche volta delle inquietudini di questo genere, e così si scrivevano usando indirizzi fittizi ora di un negoziante, ora di un commesso o segretario d'ufficio che godeva del segreto. Non pare che abbiano adoperato cifre al posto dei caratteri ordinari; questo metodo sarebbe stato troppo scomodo per Voltaire a causa delle molte lettere che scriveva e riceveva, ed era riservato ad altri cospiratori non meno ardenti ma più profondi. Generalmente Voltaire e d'Alembert, rassicurati dalla precauzione degli indirizzi fittizi e dal fatto che il loro nome non era indicato, si scrivevano
piuttosto apertamente, e se vi è qualche lettera dal significato enigmatico è facile spiegarla per mezzo di quelle che la precedono o la seguono; per mezzo di questo trucco, se scoperti, i corrispondenti si lasciavano aperta la possibilità di trovare delle scuse o spiegare diversamente quanto avevano scritto in precedenza, ma le lettere non sono molto oscure ed anzi si possono comprendere con poca fatica.
Vi sono però alcune delle loro lettere che sono più difficili a decifrarsi, come la seguente, scritta da Voltaire a d'Alembert il 30 gennaio 1764: “Il mio illustre filosofo mi ha inviato la lettera d'Hippias B. Questa lettera di B. prova, che vi sono dei T. e che la povera letteratura ricade in quei ceppi dai quali Malesherbes l'aveva
liberata. Quel semidotto e mezzo cittadino d'Aguesseau era un T.; voleva impedire alla nazione di pensare. Vorrei che aveste veduto un animale chiamato Maboul. Costui era un T. assai sciocco incaricato della dogana del pensiero sotto il T. d'Aguesseau. Vengono quindi i sotto-T., i quali sono una mezza dozzina di furfanti il cui impiego è di depennare dai libri tutto quello che c'è di buono per quattrocento franchi l'anno.”
E' chiaro che quei T. indicano la parola tiranno, e che uno di essi è il cancelliere d'Aguesseau, ed il secondo, Maboul, è l'intendente dell'arte dei librai. Evidentemente i sotto-T. sono i pubblici censori, la cui pensione era effettivamente di quattrocento lire; ma è difficile indovinare chi fosse Hippias B., probabilmente qualche altro tiranno che non voleva permettere la stampa e la libera vendita di quei libri il cui veleno stava preparando i popoli a rovesciare l'altare ed il trono.
Ma non si può fare a meno di sdegnarsi vedendo un uomo qual'era il cancelliere d'Aguesseau, onore della magistratura, trattato da tiranno, da mezzo cittadino, da semidotto! Del resto è ancor molto che Voltaire
non l'oltraggi di più, perché in tutta questa corrispondenza bisogna aspettarsi di vedere lui ed d'Alembert non risparmiare né i titoli di pedante presuntuoso, né quelli di canaglia, di furfante ed altre ingiurie di questa specie a chiunque non la pensi a modo loro, qualunque merito egli abbia, e soprattutto ad ogni uomo che scriva o lavori in favore della religione.
Quantunque questi congiurati di norma si parlassero con molta chiarezza sull'oggetto dei loro complotti, tuttavia il segreto nei riguardi del pubblico era assai raccomandato; soprattutto Voltaire lo raccomandava agli adepti come cosa della massima importanza. “I misteri di Mytra, faceva loro dire per tramite di d'Alembert, non si hanno a divulgare.... È necessario che cento mani invisibili trafiggano il mostro (la religione), e che esso cada sotto mille ripetuti colpi.” (Lett. a d'Alemb. 1 maggio 1768.)
Questo segreto però non doveva riguardare solo lo scopo della cospirazione, ma ancor più il nome degli agenti ed il modo in cui si preparavano ad abbattere l'altare, perché se l'odio non aveva permesso
a Voltaire di nascondere il suo generico voto di annientare il cristianesimo, egli da una parte temeva l'opposizione delle leggi, e dall'altra voleva evitare il disprezzo e la vergogna che sarebbero ricaduti su di lui e sui suoi seguaci a motivo dell'impudenza delle loro menzogne e della sfrontatezza delle loro calunnie, se si fosse potuto nominarne gli autori e combatterli personalmente.
La storia non ha colpa se è costretta a far sapere che il capo dei congiurati era fra di loro il più audace, il più ostinato nel suo odio verso Cristo e nello stesso tempo il più desideroso di occultare i suoi attacchi.
Il Voltaire che congiura in segreto e che occulta i suoi mezzi non è altro dal Voltaire ardito profanatore: è lo stesso sofista che attacca gli altari di Cristo di fronte all'universo ma che confida assai più nei suoi colpi vibrati in segreto e nel suo lavoro per minare le fondamenta del tempio. È lo stesso odio che gli sfugge pubblicamente e che lo fa agire da congiurato ancor più che da nemico pubblico, ed è soprattutto il Voltaire congiurato che debbo svelare in queste Memorie.
In quanto congiurato gli stanno infinitamente a cuore i misteri di Mytra, cioè tutte le astuzie dei cospiratori; ecco infatti le sue istruzioni segrete; “Confondete l'infame più che potete, dite arditamente tutto ciò che avete in cuore, colpite e nascondete la mano. Vi riconosceranno, penso che vi siano alcuni dotati di spirito e di buon naso per poterlo fare, ma non potranno mai vincervi.” (Lettera a d'Alemb., maggio 1761.)
“II Nilo, si diceva, nascondeva la sua sorgente e rispandeva le sue acque benefiche; fate altrettanto, e godrete in segreto del vostro trionfo. Vi raccomando l'infame. (Lett. a Helvétius, 11 maggio 1761.)
Abbracciamo il nostro degno cavaliere, e lo esortiamo a nascondere la sua mano ai nemici.” (Lett. al signor de Villevielle, 26 aprile 1767.)
Non vi è precetto più spesso inculcato da Voltaire di quello di colpire e nascondere la mano; se talvolta qualche adepto indiscreto la mostrava, egli si lamentava con amarezza che le sue manovre erano scoperte, giungendo persino a negare di avere scritto opere scaturite incontestabilmente dalla sua penna, e scriveva: “Non so per qual frenesia ci si ostina a credermi l'autore del Dizionario filosofico; il più gran servizio che mi possiate rendere è di assicurare, anche sulla vostra parte di paradiso, che io non ho niente a che vedere con
quest'opera infernale. Vi sono tre o quattro persone le quali gridano che ho sostenuto la buona causa, che combatto sino alla morte contro le bestie feroci; ma è tradire i propri fratelli il volerli lodare in una simile occasione; queste anime buone mi benedicono e così facendo mi perdono. Si va dicendo: è il suo stile, è il suo modo. Ah, fratelli miei, quali discorsi funesti! Dovreste invece gridare nei crocicchi: no, non è lui; ci vogliono cento mani invisibili che trafiggano il mostro, e che cada sotto mille colpi ripetuti.” (Lettera a d'Alembert 1 maggio 1768.)

Brano della lettera di Voltaire a d'Alembert del 1 maggio 1768 tratta da Oeuvres de
Voltaire, tome LI, p. 344, Paris 1792 e citata dall'abbé Barruel. Si noti la chiusa blasfema
“amen”.


D'Alembert eccelleva nell'arte del segreto e di occultare i suoi maneggi, e Voltaire lo proponeva ai fratelli come vero modello da imitare e come speranza del gregge. “È ardito, diceva loro, ma non temerario, è
fatto per far tremare gli ipocriti, (i religiosi) senza che possano incolparlo.” (Lett. di Volt. a Thiriot 19 nov. 1760.)
Federico non solo approvava questo segreto e queste furberie (Lett. a Volt. 29 giugno 1771) ma lo vedremo anche adoperare tutti gli artifici della sua tenebrosa politica per far riuscire la congiura.
In ogni complotto l'unione che si deve mantenere tra i congiurati è altrettanto necessaria quanto il segreto, e quindi era loro particolarmente e frequentemente raccomandata. Le istruzioni date loro a questo proposito dicono tra l'altro: “Oh miei filosofi, bisognerebbe marciare serrati come la falange macedone, la quale fu
vinta solo perché si era sciolta. I veri filosofi si costituiscano in confraternita come i massoni, si riuniscano, si aiutino a vicenda e siano fedeli alla confraternita. Una tale accademia sarà assai meglio di quella di Atene e di tutte quelle di Parigi.” (Lett. 85 di Volt. a d'Alemb. 1761 e lett. 2 del 1769.)
Se sorgeva qualche dissenso fra i congiurati, il capo non mancava di rappacificarli scrivendo loro: “Ah poveri fratelli! I primi fedeli si comportavano meglio di noi. Pazienza, non ci scoraggiamo, Dio ci aiuterà se restiamo uniti.” Per sottolineare particolarmente lo scopo di questa unione, ricordava loro la sua risposta a Hérault: Vedremo se è vero che non si possa distruggere la religione cristiana. (Lett. 66 allo stesso.)

Un brano della lettera 66 a d'Alembert (Oeuvres completes de Voltaire, tome LXVIII, Kehl 1785 p. 118). Si noti come il furbo Voltaire attribuisca a “uno dei fratelli” la blasfemia proferita da lui stesso (cfr. Vita di Voltaire di Condorcet).


La maggior parte di questi dissensi proveniva essenzialmente dalla diversità delle opinioni dei congiurati, e dal fatto che non si accordavano nei loro sofismi contro il cristianesimo, per cui talvolta si offendevano e si urtavano reciprocamente; Voltaire si accorse di tutto il vantaggio che ne traevano gli scrittori religiosi, e fu
allora che diede a d'Alembert il compito di riavvicinare i partiti degli atei e degli spinozisti a quello dei deisti. “Bisogna, diceva, che i due partiti si uniscano; vorrei che v'incaricaste di questa riconciliazione, e che diceste loro: Passatemi l'emetico, ed io vi passerò il salasso.” ( Lett. 37 allo stesso, anno 1770.)
Il capo non sopportava che l'ardore dei congiurati si raffreddasse; per riaccenderlo e per ravvivare il loro zelo e la loro costanza, scriveva talora ai principali adepti: “Temo che non siate abbastanza zelanti; voi seppellite i vostri talenti, e vi contentate di disprezzare un mostro che bisogna invece aborrire e distruggere. Cosa vi costerebbe di annientarlo in quattro pagine, avendo la modestia di fare in modo che ignori che muore per vostra mano? Spetta a Meleagro uccidere il cinghiale; lanciate il dardo senza mostrar la mano. Datemi questa consolazione nella mia vecchiaia” (Lett. a d'Alemb. 28 sett. 1763.) A volte faceva dire a qualche nuovo adepto abbattuto per lo scarso successo di qualche impresa: coraggio, non bisogna perdersi d'animo.
(Lett. a Damil.) Altre volte infine, per impegnarli tutti col più vivo interesse, diceva loro per mezzo di d'Alembert: “Tale è la nostra situazione che diventeremo l'esecrazione del genere umano se non avremo per noi le persone oneste. Bisogna averle a qualunque costo.
Lavorate dunque nella vigna. Distruggete l'infame, distruggete l'infame.” (Lett. 13 feb. 1664.)
Dunque tutto quello che contraddistingue i congiurati, il linguaggio enigmatico, il voto comune e segreto, l'unione, l'ardore, la costanza, tutto ciò si trovava fra gli autori di questa guerra contro il cristianesimo; perciò lo storico ha il diritto e il dovere di presentare questa coalizione di sofisti come una vera e propria cospirazione contro l'altare. Voltaire stesso non si nascondeva, e non voleva che lo si nascondesse ai suoi adepti, che la guerra di cui egli era il capo fosse un complotto vero e proprio in cui ciascuno di loro doveva avere un ruolo da congiurato. Quando un eccesso di ardore lasciava trasparire il segreto, egli si preoccupava di dir loro, o di far dir loro da d'Alembert: “Che nella guerra da loro intrapresa, bisognava agire da congiurati e non da zelanti.” ( Lett.142 di Volt. ad Alemb.)
Nel momento in cui il capo degli empi fa una confessione così formale dando l'ordine chiaro e netto di agire da congiurati, sarebbe assurdo pretendere altre prove per credere all'esistenza della congiura; a forza di moltiplicare queste prove ho forse annoiato il lettore, ma l'ho fatto perché, su una questione di tale importanza, ho dovuto supporre che fosse altrettanto severo nei confronti della dimostrazione
quanto lo sono stato io stesso.
Ora che non si può contestare senza resistere all'evidenza né l'esistenza di questa coalizione dei sofisti dell'empietà né la loro congiura contro Cristo e la sua religione, non terminerò questo capitolo senza aver detto qualcosa sull'origine e l’epoca dei loro complotti.
Se il momento in cui Voltaire giurò di consacrare la sua vita all'annientamento del cristianesimo può essere considerato come la prima epoca della congiura, per scoprirne l'origine si deve per lo meno risalire all'anno 1728; fu proprio in quest'anno infatti che egli ritornò da Londra in Francia, ed i suoi più fidi discepoli c'informano che era ancora in Inghilterra quando fece questo giuramento. (Vita di Volt. ediz. di Kehl.a) Voltaire visse molti anni solo o quasi solo, ebbro del suo odio contro Cristo, ed è vero che sin d'allora si dichiarò il campione e il protettore di tutti gli scritti empi tendenti al medesimo scopo; tuttavia queste produzioni letterarie erano opera di alcuni sofisti isolati che scrivevano senza alcun accordo, senza le intese e il patto segreto che una vera congiura suppone. Gli servì del tempo per formare degli adepti ed ispirar loro il medesimo odio; ne aveva arruolati già molti coi suoi funesti successi quando nel 1750, aderendo agli inviti di Federico II, partì per Berlino. I più zelanti di tutti i discepoli che lasciò a Parigi furono d'Alembert e Diderot, ai quali il filosofismo deve la prima coalizione contro Cristo; senza essere ancora operativa in tutta la sua forza, la setta cominciò ad essere un complotto, una vera congiura, almeno quando costoro elaborarono il
progetto dell'Enciclopedia, cioè lo stesso anno della partenza di Voltaire per Berlino. Era stato Voltaire a formare tutti i discepoli, ma furono d'Alembert e Diderot a riunirli per realizzare l'enorme compilazione annunziata col titolo di Enciclopedia, ricettacolo universale ed anche in qualche modo arsenale dei sofismi e delle armi dell'empietà contro la religione di Cristo.
Voltaire, che da solo valeva quanto un'armata di empi, lasciò per qualche tempo gli enciclopedisti abbandonati a se stessi continuando da solo la guerra contro Cristo, ma se anche i discepoli avevano potuto
cominciare la coalizione, non erano però in grado di sostenerla da soli; gli ostacoli si moltiplicarono, e gli enciclopedisti si resero conto che serviva loro un uomo capace di superarli. Non esitarono nella scelta, o piuttosto Voltaire, ci dice il suo storico, divenne naturalmente loro capo a causa della sua età, della sua fama e del suo genio.
Al suo ritorno dalla Prussia, cioè verso la fine del 1752, la congiura era pronta ed il suo obiettivo preciso era di distruggere Cristo e la sua religione; suo capo primordiale fu colui che per primo aveva giurato di rovesciare gli altari di Cristo, ed i suoi capi subordinati furono d'Alembert, Diderot e Federico il quale, malgrado i suoi dissensi con Voltaire, non cessò di rimanergli unito per quel che riguardava lo scopo del giuramento. Gli adepti furono tutti coloro che Voltaire contava già tra i suoi discepoli. Dal momento in cui fu perfettamente completata l'unione fra il capo primario, i capi subordinati e gli adepti agenti o protettori, dal momento in cui fu deciso che lo scopo principale dell'unione sarebbe stato l'annientamento del cristianesimo
e la distruzione di Gesù Cristo, che definivano infame, della sua religione e di tutti i suoi altari, fino al momento in cui i decreti, le proscrizioni ed i massacri dei Giacobini avrebbero realizzato e portato
a termine in Francia il grande obiettivo della coalizione, doveva passare ancora quasi mezzo secolo; questo fu il tempo necessario ai filosofi corruttori per spianare la via ai filosofi massacratori.
Non termineremo di descrivere questo lungo periodo senza aver veduto questa setta, che si dice filosofica e che giura di distruggere, riunirsi a quella che distrugge e massacra col nome di Giacobini.
In questa congiura della pretesa filosofia di Voltaire e di d'Alembert tutto ci mostra anticipatamente gli auspici, i giuramenti e il sistema di empietà che un giorno la rivoluzione francese avrebbe messo in pratica; infatti Voltaire, d'Alembert, Federico e tutti i loro adepti sedicenti filosofi avevano giurato di distruggere il Dio del cristianesimo e la religione cristiana, ed i sofisti chiamati Giacobini avrebbero un giorno proibito il culto, rovesciato gli altari, scannato od esiliato i sacerdoti ed i vescovi proprio di questo stesso Dio e di questa
stessa religione.
Alla scuola dei Giacobini ritroveremo lo stesso odio contro Cristo, lo stesso giuramento di distruggerlo e perfino gli stessi sofismi e pretesti che osserviamo alla scuola di Voltaire.
I Giacobini diranno un giorno: Tutti gli uomini sono liberi, tutti gli  uomini sono eguali, e da questa libertà ed eguaglianza concluderanno che l'uomo deve dipendere solo dai lumi della propria ragione, che ogni religione, sottomettendo la ragione a dei misteri o all'autorità di una rivelazione che parla a nome di Dio, non è altro che una religione da schiavi e che in quanto tale va annientata per ristabilire la libertà e l'eguaglianza dei diritti nel credere o meno tutto quello che la ragione di ciascun uomo approva o disapprova, chiamando il regno di questa libertà ed eguaglianza l'impero della ragione e della filosofia. Sarebbe un errore credere che questa libertà e questa eguaglianza fossero estranee alla guerra di Voltaire contro Cristo; infatti in questa guerra i
capi e gli adepti non ebbero altro fine che quello di stabilire l'impero della loro pretesa filosofia e della loro pretesa ragione sulla libertà ed eguaglianza applicate alla rivelazione ed ai suoi misteri ed opposte
continuamente ai diritti di Cristo e della sua Chiesa.
Se Voltaire detesta la Chiesa ed i suoi sacerdoti è perché non trova nulla di più contrario all'eguale diritto di credere tutto ciò che ci sembra buono, e perché per lui non vi è nulla di più povero e di più meschino di un uomo che ricorra ad un altro per dirigere la propria fede e per sapere ciò che si deve credere. (Lett. al Duca d'Usez 19 nov. 1760.)
Le parole ragione, libertà e filosofia sono continuamente ripetute da d'Alembert e Voltaire, come sono anche continuamente ripetute dagli odierni Giacobini, con lo scopo di rivolgerle contro la religione del Vangelo e contro la rivelazione; (vedi tutta la loro corrispondenza.) e quando gli adepti vogliono esaltare la gloria dei
maestri, ce li rappresentano come infaticabili nel reclamare l'indipendenza della ragione, ed augurantisi sempre quei giorni in cui il sole illuminerà solo degli uomini liberi, i quali non riconosceranno altro maestro che la sola ragione. (Condorcet, Abbozzo di un quadro dei prog. epoca 9.)
Quando dunque sulle rovine dei templi e degli altari di Cristo i Giacobini erigeranno l'idolo della loro ragione, della loro libertà, della loro filosofia, il voto che compiranno non sarà altro che quello di Voltaire e dei suoi adepti, quello della loro congiura contro Cristo.
E perfino quando la scure dei Giacobini abbatterà i templi del cattolico, del protestante e di ogni altra setta che ancora riconosce il Dio del cristianesimo, costoro non daranno al loro sistema distruttore un'estensione maggiore di quella che gli dava Voltaire, il quale malediceva allo stesso modo gli altari di Ginevra, di Londra e di Roma.
Quando il gran club si riempirà di tutti i rivoluzionari atei, deisti, scettici ed empi di qualunque denominazione, le loro legioni coalizzate e riunite contro Cristo non saranno altro che quelle armate che d'Alembert, seguendo l'esortazione di Voltaire, avrebbe dovuto comporre per fare la guerra a Dio stesso.
Quando infine le legioni del gran club, cioè le legioni di tutte le sette dell'empietà riunite sotto il nome di Giacobini, porteranno in trionfo le ceneri di Voltaire per le vie di Parigi fino al Pantheon, anche
la rivoluzione anticristiana portata a termine con questo trionfo non sarà altro che la rivoluzione meditata da Voltaire.

Il Pantheon di Parigi nel 1792; si tratta di una chiesa sconsacrata, divenuta in seguito alla rivoluzione la tomba dei grandi di Francia.



I mezzi saranno stati vari, ma la cospirazione riguardo allo scopo, ai pretesti ed all'estensione è sempre la stessa.
Vedremo ancora che nei suoi stessi mezzi questa rivoluzione, che abbatte gli altari e ne spoglia e scanna i ministri con la scure dei Giacobini, non era ignota al voto dei filosofi congiurati né a quello dei loro primi adepti. Per la parte più rivoltante di questa rivoluzione antireligiosa tutta la differenza potrebbe ridursi a questo: gli uni avrebbero voluto distruggere, gli altri hanno distrutto. I mezzi per gli uni e per gli altri sono stati quelli che potevano essere opportuni in ciascun momento storico; cercheremo di svelare i mezzi via via impiegati dai sofisti, i quali avevano ancora bisogno di un mezzo secolo per preparare le vie della congiura.