domenica 5 febbraio 2012

La Monarchia Sacra: Parte prima. I RITI DI CONSACRAZIONE DELLA MONARCHIA CRISTIANA:La consacrazione regale nella Bibbia.

Nell’Antico Testamento sono distintamente indicati i casi in cui impiegare il rito dell’unzione con Olio santo.
A coloro che ricevevano l’unzione sacra era sempre associata una missione pubblica religiosa, in conformità colla concezione teocratica che era a fondamento della vita del popolo eletto. Così erano unti i Sommi Sacerdoti, i Profeti ed i Re.
La legislazione mosaica, per divina disposizione, associò, infatti, la funzione del  Sommo Sacerdozio ad una particolare famiglia della tribù di Levi. La discendenza d’Aronne, fratello di Mosè, si trasmise di primogenito in primogenito la carica del Sommo Pontificato fino ai tempi di Gesù Cristo. Al Sacerdozio era affidato l’onore e l’onere del culto pubblico secondo una complessa liturgia rivelata da Dio a Mosé.
Aronne, quindi, investito di tale importantissima missione, fu il primo Sommo Sacerdote ad essere unto:
Versando [Mosè] poi l’olio sul capo d’Aronne,
Lo unse e lo consacrò. (Lev. VIII, 12)
E gli verserai sul capo l’olio della consacrazione.
Con questo rito sarà consacrato. (Esodo, XXIX, 7)
Nel libro dell’Esodo (XXIX, 22-30) erano inoltre date prescrizioni minute circa la composizione dell’olio delle consacrazioni.
Non si trattava di semplice olio d’oliva, ma una mistura di questo con balsamo aromatico. Era il crisma, ancor’oggi impiegato nella consacrazione dei Vescovi, nell’amministrazione del sacramento della Cresima e nei riti accessori del Battesimo.
I Profeti dell’Antico Testamento erano pure unti. A costoro, eletti direttamente da Dio, era solitamente affidata la missione d’incarnare in tutta la sua purezza la rigorosa morale della religione monoteistica, di contro ai pericoli sempre insorgenti dell’idolatria e del politeismo.
Tale eccezionale mandato li spingeva sovente ad intervenire nelle vicende politico-religiose del popolo eletto, per guidare, ammonire, richiamare, talora anche impiegando poteri taumaturgici soprannaturali e una sovrannaturale facoltà di predire gli eventi futuri della nazione ebraica.
Dell’unzione dei profeti abbiamo almeno una prova nel III libro dei Re, XIX, 16. Dio, rivolgendosi ad Elia, che è ormai giunto alla conclusione del suo compito profetico, gli intima di cercarsi un successore, e così gli dice:
Eliseo, figlio di Safat di Abelmeula
ungerai profeta in vece tua.

Da ultimo, con lo stabilirsi della monarchia sacra in Israele, dopo il periodo dei Giudici, ecco infine l’unzione dei Re.
Così, infatti, è narrata nel I Libro dei Re, X, 1, l’unzione e consacrazione di Saul, primo sovrano d’Israele:
Presa allora Samuele un’ampollina d’olio, la versò sul capo di Saul, poi baciatolo gli disse:

Ecco il Signore ti ha unto come principe della sua eredità e tu libererai il suo popolo dai nemici che gli stanno attorno.



A sinistra il Re Davide (Rubens), e sulla destra Aronne.



In questo versetto è descritto nella sua essenzialità il rito della Consacrazione regale, così come poi fu restaurato in epoca cristiana. Come ricorda Mons. Antonio Martini, Arcivescovo di Firenze, nel suo celebre commento alla Sacra Scrittura, i SS.
Padri ritenevano che l’olio impiegato dal profeta Samuele fosse il medesimo che per la consacrazione dei Sommi Sacerdoti d’Israele, ovvero il sacro Crisma, il più prezioso fra gli unguenti liturgici1.
Come per il Sacerdote, anche per il Sovrano il sacro crisma è versato sul capo, la parte più nobile del corpo umano. Il monarca riceve poi il bacio di pace del consacrante.
Ancora Mons. Martini osserva che il bacio fu sempre inteso nel mondo antico come gesto di vassallaggio e deferenza.2
Saul tuttavia fu riprovato e Dio impose a Samuele di trovargli un sostituto.
Questi fu Davide, ultimo figlio di Isai, betlemita della tribù di Giuda, da cui doveva discendere Gesù Cristo. Davide pure fu unto dal Profeta e «da quel giorno lo spirito di Dio fu in lui» (I Re, XVI, 13).
La Sacra Scrittura inoltre, narrando alcuni episodi della vita del Re Davide, indugia a rilevare quanto sincera e profonda dev’essere la venerazione nei confronti dell’Unto eletto dal Dio degli Eserciti, anche nel caso di un monarca che, come Saul, era stato riprovato per il suo empio comportamento.
Nel I Libro dei Re, infatti, si snoda la rovinosa parabola del primo monarca israelita che, insuperbitosi per l’alto onore cui era stato elevato, commise i più nefandi misfatti. Anziché abbandonarsi totalmente e con fiducia alla potenza di Dio, in un momento di difficoltà ricorse all’espediente immorale della negromanzia per vaticinare gli avvenimenti futuri, macchiandosi di un gravissimo delitto che infrangeva il primo e più sacro dei comandamenti della Legge: «Non avrai altro Dio all’infuori di me», e rappresentava una vera e propria apostasia. Di qui la riprovazione divina.
Nel suo tralignamento, costellato da pentimenti poco sinceri e sempre più gravi cadute, il Sovrano si diede a perseguitare il giovane figlio di Isai, di cui invidiava le belle virtù, l’ascendente sul popolo e le doti di coraggioso guerriero. Davide così abbandonò di nascosto e in tutta fretta la corte e si nascose con un pugno di fidi amici in luoghi inaccessibili, braccato da presso dal Sovrano incollerito.
In almeno due circostanze, tuttavia, Davide si trovò nella possibilità di assassinare il rivale, spianandosi così d’un colpo la via al trono che già Dio gli aveva assicurato.
Una prima volta, Davide, celatosi in una caverna, riuscì addirittura a tagliare con la spada un lembo del mantello del Re:
Davide allora si levò e tagliò un lembo
del mantello di Saul. Dopo di che Davide
ebbe rimorso al pensiero di aver tagliato
il lembo del mantello di Saul e disse ai
suoi: Dio mi sia propizio affinché io
non abbia a fare una simile cosa al mio signore,
l’Unto del Signore, di alzar la mano contro
di lui, perché è l’Unto del Signore
(I Libro dei Re, XXIV, 5-7)

Una seconda volta, il giovane, accompagnato dal valente Abisai, figlio di una sua sorella, penetra nottetempo nell’accampamento di Saul e lo sorprende nel sonno.
Abisai lo incita ad approfittare di quella favorevole situazione, per sbarazzarsi in modo definitivo del suo mortale nemico:
Davide però disse ad Abisai:
Non ucciderlo; infatti chi può mai stendere
la mano sull’Unto del Signore
ed essere innocente (I Libro dei Re, XXVI, 7-9).

L’unzione col santo crisma, quindi, nella concezione vetero-testamentaria, dà alla persona che n’è investita una distinzione particolare di sacralità, ossia indica una speciale appartenenza a Dio, in proporzione della sacra funzione che riveste.
L’olio d’oliva e il balsamo sono i mezzi materiali che indicano tale speciale dedizione al servizio divino. L’uno significa, sia la forza soprannaturale di cui si riveste il consacrato “poiché un tempo coll’olio si ungevano gli atleti”, sia lo “splendore di una buona coscienza espresso dalla limpidezza dell’olio”, sia, infine, “la pienezza di grazia, poiché l’olio, essendo pingue e fluente, esprime l’abbondanza della grazia, che ridonda da Cristo capo su tutti gli altri”3.
Il balsamo invece, “dal profumo graditissimo, vuole esprimere questo fatto: che i fedeli […] emanano un effluvio odoroso di virtù […] Inoltre il balsamo ha la virtù di preservare dalla putrefazione”4.
Tutta la storia d’Israele è allora la vicenda dell’attesa fiduciosa e incrollabile di un misterioso Unto, di cui i testi ispirati andarono via via precisando i sublimi e divi-ni lineamenti, profezie che si compirono mirabilmente in Gesù detto il Cristo, il Messia d’Israele.
Questi due vocaboli, infatti, l’uno della lingua greca, l’altro ebraico, sono sinonimi, e significano appunto l’Unto, il Consacrato con il sacro crisma. Gesù è l’Unto per eccellenza, unto “dell’olio dell’allegrezza ben più che i suoi compagni”5, unto di una triplice unzione, come Sommo Sacerdote, secondo l’ordine eterno di Melchisedech, Sommo Profeta e Re dei Re.

Il Rex-sacerdos Melchisedec


Se, infatti, appare scontato il riferimento al modello di Cristo per il nuovo sacerdozio da lui istituito solennemente durante l’Ultima Cena, non più legato ad una tribù e famiglia particolari, come per quello antico, ma alla maniera di Melchisedec, il misterioso re-sacerdote che benedice Abramo vittorioso dei suoi nemici, ossia per vocazione e ispirazione diretta di Dio, senza tener conto della nazione o famiglia d’appartenenza, non va nemmeno sottovalutato l’elemento regale e monarchico insito nella figura di Gesù, in cui confluiva appunto, accanto alla funzione sacerdotale, anche quella di sovrano.
Gesù è, infatti Re, come egli stesso attesta solennemente dinanzi a Pilato che lo giudica: “Respondit Iesus: Tu dicis quia Rex sum ego” (S. Giovanni, 18,37). La sua regalità non è, però, soltanto quella che gli deriva dall’Unione Ipostatica, che implica la partecipazione della Natura umana assunta dal Verbo eterno, Figlio del Padre, delle doti della divinità.
Gesù è Re anche in quanto uomo, alla maniera, si potrebbe dire, temporale.
Gesù è, infatti, il legittimo discendente dei Re di Giuda. Egli è voluto nascere all’interno del matrimonio tra San Giuseppe, principe della dinastia davidica ed erede del trono temporale del suo celebre antenato, e Maria Santissima, quasi certamente, come attesta un’assai antica tradizione, cugina del suo casto sposo, e come lui, appartenente alla famiglia reale d’Israele.


San Giuseppe, principe della dinastia davidica.


Sia la madre verginale, che il padre legale e putativo di Cristo, erano principi del sangue. Gesù era nobile, principe reale Egli stesso. Era il legittimo Re d’Israele.
Queste considerazioni erano ben presenti alle menti dei prelati e dei principi cattolici dell’epoca cristiana, e sono all’origine di quel meraviglioso rito che consacrava l’autorità politico-temporale secondo il modello biblico.
Il rito dell’unzione dei re dell’Antico Testamento, infine, esprimeva con l’evidenza della liturgia la dottrina dell’origine divina dell’autorità.