martedì 6 marzo 2012

I "Terroristi di Belfiore": Un'altra scottante verità sui cosidetti "martiri per la Patria".



Il Monumento ai cosidetti "Martiri di Belfiore"
                                       


L'episodio "risorgimentale" noto, o per meglio dire, sbandierato come Martiri di Belfiore (dalla valletta di Belfiore situata all'ingresso ovest di Mantova ove furono eseguite le sentenze di morte) riguarda la  condanna a morte per impiccagione contro sovversivi Mazziniani  dal governatore generale del Lombardo-Veneto, feldmaresciallo Radetzky.Ma analiziamo il contesto e vediamo i fatti sotto un ottica veritiera necessaria per far luce su tali avvenimenti.
La città di Mantova era entrata a far parte del patrimonio della casa d’Asburgo d’Austria sin dal 1707. Capitale di un piccolo ma assai ricco ducato, il cui territorio fu governato dai Gonzaga per quasi quattro secoli, la città presentava, anche, degli importanti vantaggi militari: tanto per la qualità delle fortificazioni, quanto per la posizione geografica, che consentiva di controllare il passaggio dal Veneto alla Lombardia, nonché un gran numero di passaggi sul Po.
Infatti, essa fu al centro della campagna napoleonica del 1797, di tutte le successive invasioni austriache sino alla resa di Eugenio di Beauharnais il 23 aprile 1814 nelle mani di Heinrich Johann Bellegarde. Appare quindi logico che, a partire dal 1815 gli Austriaci abbiano trasformato la città in una sorta di grande piazzaforte, forse la più grande del regno Lombardo-Veneto.
Con tanti militari in giro, essa si adattava splendidamente a ospitare (nel castello di San Giorgio) un carcere di massima sicurezza, detto in termini moderni, per terroristi settari e rivoluzionari lombardi e veneti(i sovversivi Lombardo-Veneti erano assai pochi rispetto ai fedeli sudditi), incarcerati per la loro azione sovversiva e terroristica , non solo contro il governo Imperiale, ma contro l'ordine sociale stesso . I Francesi  utilizzarono questa prigione quando, il 20 febbraio 1810, avevano giustiziato, proprio a Mantova, il patriota tirolese Andreas Hofer (il quale si era ribellato a due regni "vassalli" di Napoleone: il bavarese che occupava il Tirolo germanico e il Regno d'Italia che aveva annesso il restante Tirolo del Sud)ma in quel caso il Patriota era un vero patriota e non un terrorista con folli idee sovversive.
Castello di San Giorgio


L’atteggiamento del governo Imperiale subì un forte indurimento verso le "teste calde", dopo la sconfitta dell’esercito di Carlo Alberto (che comandava l’esercito Sardo-Piemontese). In un  anno, dall'agosto del 1848 all'agosto del 1849, vennero eseguite 61 impiccagioni e fucilazioni di settari e rivoluzionari(e non 461 come certa "vulgata risorgimentalista" vuol far credere), comminate  400 condanne al carcere per cause politiche(280 delle quali finite in assoluzione), effettuate numerose requisizioni dei beni degli espatriati sovversivi(I beni venivano donati ai più bisognosi), mentre la voce che racconta di imposizioni di pesanti tributi e imposte straordinarie alle popolazioni è una menzogna che da troppo tempo circola tra i banchi di scuola e internet. La politica di controllo della quiete dello Stato era operata direttamente dal Feldmaresciallo Radetzky, governatore generale, e fortemente sostenuta, a Vienna dalla corte. Ciò che non lasciava spazio di ambiguità riguardo le reali e buone intenzioni del Governo Imperiale.
Le due visite dell’
Imperatore nel 1851 (marzo-aprile a Venezia, settembre-ottobre a Milano, Como e Monza),  avevano mostrato come la politica del feldmaresciallo Radetzky non avesse ottenuto alcun effetto negativo  nell’avvicinare le popolazioni e la nobiltà Lombardo-Veneta al regime asburgico, e che invece la maggior parte , era grata dell'ordine mantenuto(solo i liberali, settari e rivoluzionari non ne erano entusiasti).  Il governatore generale plenipoteziario, dato il pericolo di nuovi attentati alla quiete dello Stato, aveva emesso due proclami (21 febbraio e 19 luglio 1851) che decretavano da uno a cinque anni di carcere duro per chi fosse stato trovato in possesso di scritti rivoluzionari , re-imponevano lo stato di assedio, e ritenevano solidalmente responsabili le municipalità che avessero ospitato società segrete.


Come naturale, la follia aggressiva  settaria, se possibile, crebbe ulteriormente, e i sovversivi ripresero a incontrarsi e organizzarsi segretamente. Si creò un movimento cospirativo articolato e policentrico[1] con la nascita di società segrete insurrezional-terroristiche in tutto il Lombardo-Veneto. Una sezione si organizzò a Mantova con una prima riunione del 2 novembre 1850 nella casa di proprietà del settario Livio Benintendi, ubicata nell'attuale Via Chiassi al N.10, amministrata in sua assenza dall'ingegnere (settario anche lui)Attilio Mori.
A tale riunione costitutiva del comitato rivoluzionario parteciparono venti sovversivi[2], tra i quali oltre al Mori, l'ingegnere Giovanni Chiassi, l'insegnante Carlo Marchi, Giovanni Acerbi, l'avvocato Luigi Castellazzo, Achille Sacchi, il medico mantovano Carlo Poma, tutti facenti parte della Borghesia "illuminata" settaria Mazziniana della peggior specie . L’ispiratore del gruppo era don Enrico Tazzoli, un prelato corrotto vicino al movimento mazziniano che aveva contatti con figure notevoli dello stesso movimento quali Tito Speri (il protagonista delle dieci giornate di Brescia, lo stesso che scateno, con le sue scellerate azioni, il Generale Haynau) e Angelo Scarsellini di Legnago di Verona.
Il comitato insurrezionale a Mantova stampava proclami sovversivi, aveva contatti con le cellule terroristiche di Milano, Venezia, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Vicenza, raccoglieva denaro vendendo le cosiddette ‘cartelle del prestito interprovinciale’(si trattava di denaro "gentilmente offerto" dalla framassoneria doltr'Alpe) organizzato dallo squilibrato  Mazzini per finanziare iniziative rivoluzionarie. Si trattava delle stesse cartelle che avevano portato all’arresto del comasco
Luigi Dottesio, impiccato a Venezia l’11 ottobre 1851. Alla sua esecuzione aveva fatto seguito, a fine 1851 l’esecuzione di don Giovanni Grioli, ennesimo parroco corrotto di Cerese, arrestato il 28 ottobre per ordine del capitano auditore Carl Pichler von Deeben e condannato a morte il 5 novembre, in direttissima, per l’accusa di aver tentato di indurre alla diserzione due soldati ungheresi e di essere in possesso di scritti rivoluzionari,cosa in effetti comprovata.

Lapide  posta a Mantova in Via Chiassi 10. E' come fare una lapide in elogio a dei terroristi

Nel rinnovato clima di accesa severità nei confronti dei nemici dell'ordine, la polizia austriaca aveva aumentato l'attività di vigilanza in Mantova e il 1º gennaio 1852, il commissario Filippo Rossi rinvenne una cartella di venticinque franchi del prestito mazziniano, nel corso di una perquisizione in casa di Luigi Pesci, Borghese settario,  esattore comunale di Castiglione delle Stiviere. Pesci era, in effetti, sospettato di falsificazione di banconote austriache e, quindi, la scoperta giunse inaspettata.
Sottoposto a giusto interrogatorio, Pesci rivelò che le cartelle provenivano dal sacerdote don Ferdinando Bosio(un povero ingenuo caduto nella trappola settaria), amico di Tazzoli e professore di grammatica nel seminario vescovile di Mantova. Questi, arrestato a sua volta, dopo 24 giorni confessò e indicò in don Enrico Tazzoli il coordinatore del movimento, ciò ne consentì l’arresto, il 27 gennaio. A don Tazzoli vennero sequestrati molti documenti, fra i quali un registro cifrato in cui aveva annotato incassi e spese, con i nomi degli affiliati che avevano versato denari.

Castiglione delle Stiviere (Panorama dal castello)


Tazzoli, immerso nella sua follia,  non cedette agli interrogatori, condotti dall’auditore giudiziario Alfred von Kraus, ma la polizia Imperial-Regia riuscì a decifrare il registro individuando la chiave del cifrario che era il testo latino del Padre Nostro. All'epoca molti sostennero che vi fu la delazione di Luigi Castellazzo, coinvolto come segretario del comitato mazziniano. Collaborò anche un altro delatore, l'avvocato veronese Giulio Faccioli. Ciò consentì alle autorità  di procedere all’arresto di Poma, Speri, Montanari e altri iscritti di Mantova, Verona, Brescia e Venezia. In totale vennero arrestati 110 pericolosi sovversivi , oltre a trentatré delinquenti di seconda categoria  (fra i quali Benedetto Cairoli e Giovanni Acerbi).
La polizia Imperial-Regia e il governo  erano assai esacerbati e sottoposero buona parte dei prigionieri a severi trattamenti(mai terrificanti come quelli che, un decennio più tardi, l'esercito e il Governo Sabaudo faranno agli oppositori dell'Unità d'Italia). Molti confessarono, altri morirono rimanendo convinti nella loro delirante follia , il Pezzotto scelse di suicidarsi nella sua cella(tipo generale delle SS dopo la II° Guerra Mondiale) al Castello di Milano. Al termine furono 110 i sovversivi rinviati a processo.
Alfred von Kraus provò l'esistenza dell'associazione di Mantova e dei comitati delle altre province, i rapporti con Mazzini e i rifugiati in Svizzera, il tentativo di Montanari di mappare le fortificazioni di Mantova e Verona, un piano di Igino Sartena, sovversivo settario  Tirolese, di attentare alla vita del Feldmaresciallo Radetzky, un altro piano di catturare Francesco Giuseppe in occasione della sua visita a Venezia (tanto folle che Poma e Speri, nella loro pur evidente pazia, si erano all'ultimo rifiutati di eseguirlo sapendo che avrebbero certamente rischiato grosso).


 Francesco Giuseppe I° d'Asburgo-Lorena



Il 13 novembre si riunì un primo consiglio di guerra per giudicare don Tazzoli, Scarsellini, Poma, Bernardo De Canal l’agente di commercio Paganoni e il ritrattista Zambelli, tutte e tre veneziani, il negoziante milanese Mangili, il medico mantovano Giuseppe Quintavalle e don Giuseppe Ottonelli parroco di San Silvestro in Mantova. E, infine, Giulio Faccioli, che  aveva collaborato. Dopo un breve e giusto processo vennero, tutti, condannati a morte.
La notizia, tuttavia, non venne subito resa pubblica, in modo da avere il tempo di eseguire la dimissione dallo stato clericale dei due preti condannati, Tazzoli e Ottonelli. Il problema non era così complicato, in quanto,  i sacerdoti potevano essere giudicati unicamente dal foro ecclesiastico che li avrebbe comunque condannati. E' pur vero che , un anno prima, era stato condannato don Grioli, per spirito misericordioso , il vescovo di Mantova, monsignor Giovanni Corti, aveva chiesto la grazia per il "povero" peccatore, ma  il parroco di Cerese fu ugualmente giustiziato dal boia  ancora in abito talare. Il Governo Imperiale  aveva fatto le cose con cura e ordine, ottenendo, per tempo, un ordine speciale di Pio IX, che sconfessò il vescovo. La dimissione dallo stato clericale avvenne, quindi, il 24 novembre. Solo a quel punto, il 4 dicembre, gli austriaci diedero ai dieci processati lettura della sentenza.
L’intervento del vescovo avrebbe potuto rappresentare una svolta della vicenda. Egli, infatti, in cattedra dal 1847 al 1868, aveva guadagnato grandi benemerenze presso il Governo Imperiale, dopo che, nel marzo 1848, si era distinto nell’impedire che la sollevazione settaria pervenisse a cacciare gli Imperial-Regi dalla città, restando circoscritta all'organizzazione di una piccola guardia cittadina. E come pavido fu  bollato da Cattaneo.
Già una volta monsignor Corti aveva potuto salvare don Tazzoli quando quest'ultimo (originario di Canneto sull'Oglio nella diocesi, professore al seminario vescovile e impegnato nella fondazione dei primi asili d'infanzia della città), era stato arrestato, a causa delle sue "cattive compagnie" il 12 novembre 1848, al termine di una messa celebrata in una basilica di Mantova. Deferito al delegato della Fortezza di Mantova, generale Gorzkowski, che ne ordinò l'arresto, il successivo 23 novembre venne prosciolto, anche per l’intervento del vescovo Monsignor Giovanni Corti che ne ringraziò il Gorzkowski e gli promise di impedire, per il futuro, al suo sacerdote simili iniziative.
Nel 1852, quindi, il rifiuto  giustificato del Governo Imperiale era cosa prevedibile, , dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, la totale sensatezza e giustizia della politica del Feldmaresciallo Radetzky e di Francesco Giuseppe, che lo sosteneva e lo sostenne  per otto anni, sino al 1856.

Carlo Cattaneo



Il vescovo di Mantova tentò ancora un intervento, sostenuto anche da pochi  vescovi  Lombardo-Venetoi. Il governatore generale Radetzky accettò unicamente di commutare la pena in otto-dodici anni di ferri in fortezza per alcuni sovversivi condannati, ma confermò la pena per recidivi come, Tazzoli, Scarsellini, Poma, De Canal e Zambelli. Il Governo Imperiale diede prova di  magnanimità . A essere colpito dalle infami calunie settarie in maggior modo fu l’immagine di Francesco Giuseppe, che cominciò, appena ventiduenne, a essere indicato ingiustamente come ”l’impiccatore”: un ingiusto marchio del quale non si sarebbe mai liberato, fino alle esecuzioni di quella manica di balordi traditori come, Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro, Damiano Chiesa, Fabio Filzi e Cesare Battisti, nomi di delinquenti che sarebbero stati consegnati ai posteri dall'idiota , e senza alcun senso reale, Canzone del Piave.
La mattina del 7 dicembre i cinque condannati furono condotti nella valletta di Belfiore, situata fuori porta Pradella all'ingresso ovest della città, ove furono impiccati.
Nel marzo 1853, furono comminate le ultime condanne contro i restanti ventitré cospiratori. Prima Tito Speri, Carlo Montanari e don Bartolomeo Grazioli, arciprete corrotto di Revere, furono condannati a morte e impiccati a Belfiore il 3 marzo 1853. Ai restanti venti imputati la condanna a morte venne commutata in vent’anni di reclusione. Più tardi venne condannato Pietro Frattini, impiccato il 19 marzo. Le esecuzioni terminarono  due anni dopo, il 4 luglio 1855, con l’impiccagione di Pier Fortunato Calvi, poco oltre il ponte di San Giorgio.
Si è detto , e si dice ancora purtroppo che, "Per somma ingiuria, e con gran dispetto alla pietà cristiana, il governo austriaco vietò il seppellimento degli impiccati in terra consacrata", cosa falsissima dato che i religiosi erano stati scomunicati vennero seppeliti in un piccolo cimitero, mentre i restanti ebbero tutti una degna e modesta sepoltura. Ciò  doveva servire solo a mettere contro il Trono e l'Altare, in questo caso   la Chiesa mantovana, e il popolo, contro il Governo Imperiale.




 
L’annuncio dell’impiccagione dei, cosidetti,  Martiri di Belfiore

Esecuzione della sentenza con l'impiccagione

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Esecuzione della sentenza con la fucilazione



Cronologica del "terrorismo" di Belfiore





  • 2 novembre 1850









  • Prima riunione del comitato settario insurrezionale mantovano.
    Arresto di don Giovanni Grioli, curato della parrocchia di Cerese.
    Esecuzione della condanna a morte di Don Grioli con fucilazione a Belfiore.
    Arresto di Luigi Pesci da parte del commissario Filippo Rossi in seguito al rinvenimento di una cartella del prestito mazziniano.
    Arresto di don Enrico Tazzoli.
    Prima udienza del consiglio di guerra per giudicare i congiurati.
    Esecuzione tramite impiccagione, nella valletta di Belfiore, della condanna a morte di Enrico Tazzoli, Angelo Scarsellini, Carlo Poma, Bernardo De Canal e Giovanni Zambelli.
    Esecuzione tramite impiccagione a Belfiore della condanna a morte di Tito Speri, Carlo Montanari, Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere.
    Esecuzione tramite impiccagione della condanna a morte di Pietro Frattini a Belfiore.
    Impiccagione di Pier Fortunato Calvi in località Lunetta di Mantova.


    Una storiella risorgimentalista narra che le  vicende non erano finite ed ebbero un seguito con il rinvenimento delle salme, avvenuto nel 1866. Dopo la seconda guerra di indipendenza, infatti, Mantova era rimasta, fortunatamente per i Mantovani, sotto il Governo Imperiale . Nel corso del mese di giugno, in preparazione della "terza guerra di indipendenza", il genio militare austriaco ordinò dei lavori di rafforzamento delle fortificazioni della città in zona Belfiore.
    Nel quadro di detti lavori, si rese necessario effettuare dei lavori di scavo per recuperare la sabbia necessaria alle opere murarie. In detta occasione, i capimastri mantovani Andreani, padre e figlio, rinvennero delle salme che identificarono come le spoglie dei martiri (mancavano, guarda caso, solo quelle di Pietro Frattini e don Grioli, che furono rinvenute l'anno seguente)questa storia ha lo stesso sapore menzoniero degno delle favole risorgimentaliste. Gli Andreani tennero, ovviamente, nascosta la notizia e chiesero ai loro appaltatori austriaci di poter lavorare anche di notte per accelerare i tempi dello scavo, costoro naturalmente assentirono.
    Ciò consentì ai muratori di trasportare le salme in un cimitero cittadino in gran segreto(peccato però che i corpi giacevano nel cimitero cittadino già da 13 anni!). I  funerali cristiani, così continua a narrare la storiella tricoloruta, vennero, finalmente, celebrati, alcuni mesi dopo, appena la città venne forzatamente unita  al mostruoso  Regno d'Italia, insieme al Veneto, al termine della guerra.
    In conclusione, la vicenda dei così detti "Martiri di Belfiore" rappresenta l'ennesimo mito unitaristà utilizzato, come le altre innumerevoli menzogne, come collante per cercare di mantenere unito questo "mostro di Frankenstein" di Italia unita che da 150 anni fa acqua da tutte le parti.

    Fonti:

    Archivio di Stato di Mantova(Busta N° 143, pag. 100-130)

    Wikypedia

    Scritto da:

    Il Principe dei Reazionari