giovedì 29 marzo 2012

L’inumazione del cuore del piccolo Re Luigi XVII nella Basilica di Saint-Denis, a Parigi, l’8 giugno 2004 e i falsi Luigi XVII apparsi nel secolo XIX. L’impressionante analogia con lo Zarevich Alexei.(Parte 2°):I fautori dell’autenticità e i loro argomenti.

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Il cuore di Luigi XVII in un'urna di vetro. Abbazia di Saint-Denis a Parigi.



A dispetto degli scettici, lo storico Philippe Delorme, autore di un libro su Luigi XVII e promotore
dell’analisi del DNA, è convinto che dal cadavere del Re bambino, gettato poi in una fossa comune, il medico Philippe Jean Pelletan sarebbe riuscito a prelevare il cuore, prima dell’inumazione, conservandolo sotto spirito. Dopo una lunga serie di passaggi la reliquia avrebbe finalmente fatto ritorno in Francia nel 1975. L’esame del DNA, effettuato nel 2000, ha stabilito, comparandolo con una ciocca di capelli di Maria Antonietta, la sussistenza di un legame genetico fra i due reperti.
La scomparsa del piccolo Re Luigi XVII nella prigione del Tempio a Parigi avvenne nella segretezza e nella miseria. Circostanze che ingigantirono l’alone di mistero che circonda questa vicenda. La segregazione e la morte in galera di un fanciullo innocente apparvero così ripugnanti e disumane che si può comprendere psicologicamente il rigetto e la difficoltà di accettare l’orrore di una simile fine e il fiorire, per conseguenza, di leggende circa una presunta sopravvivenza o sostituzione dell’infelice Delfino. Il gusto per il romanzesco e l’aura di mistero, di avventura e di leggenda che avvolge sempre i falsi pretendenti fecero il resto. Luigi XVII perì per una forma particolare di tubercolosi, la scrofolosi, che (ironia della sorte e singolare coincidenza) i Re Capetingi guarivano mediante il miracolo del tocco reale dei malati nel giorno della loro incoronazione, ma non solo. La sorella del piccolo Re, Maria Teresa Carlotta, detta Madame Royale, fu più fortunata. Fu liberata sei mesi dopo la
morte del fratello, il 19 dicembre 1795, quando aveva diciassette anni, in cambio di un gruppo di prigionieri francesi detenuti dagli austriaci.
Quanto alla prova assoluta del DNA, questa storia comincia nel 1943, quando André Castelot, allora giovane giornalista e in seguito autore di numerosi libri di storia, ebbe l’idea di sottoporre ad esame scientifico i capelli di Naundorf da una parte e quelli di Luigi XVII dall’altro.
Già nel 1998 si era proceduto all’analisi mediante esame del DNA su di un osso umano, prelevato dai resti mortali del più celebre dei presunti Luigi XVII spuntati fuori alla Restaurazione, quel prussiano Naundorf, morto a Delft, nei Paesi Bassi, il 10 agosto 1845, all’età di 60 anni. Il reperto venne comparato con una ciocca di capelli della Regina Maria Antonietta e di due discendenti contemporanei
dell’Imperatrice d’Austria Maria Teresa, nelle persone della Regina Anna di Romania e del Principe Andrea, entrambi appartenenti al ramo dei Borbone Parma. Lo stesso esame del DNA, ad iniziativa di un giornalista e storico francese, Philippe Delorme, fu ripetuto nel 2000 sul frammento di un cuore umano, presentato come quello di bambino deceduto nella prigione del Tempio l’8 giugno 1795 e comparato con il medesimo DNA di Maria Antonietta. Autore di entrambi i rilievi, sia di quello del
1998 che di quello del 2000, il professor Cassiman.
Il 19 aprile 2000 lo storico Philippe Delorme ha presentato alla stampa il risultato dell’esame del DNA (acido desossiribonucleico) effettuato comparando un frammento del cuore mummificato conservato dal medico legale Pelletan con quello della Regina Maria Antonietta. “Le sequenze mitocondriali del DNA ottenute a Lovanio su campioni del cuore, sono corroborate da quelle ottenute dal professor
Bernd Brinkmann, Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Munster, in Germania. Queste sequenze sono identiche a quelle ottenute precedentemente a partire dai capelli di Maria Antonietta e delle sue sorelle. Di più: una variante nella sequenza del DNA del cuore, ritrovata anche presso gli attuali discendenti degli Asburgo in linea femminile, Anna di Romania e suo fratello Andrea
di Borbone Parma, rafforza ancor più «una parentela più che probabile fra queste diverse persone»”.
Delorme ricostruisce in breve l’odissea del cuore del presunto Luigi XVII, spentosi nella prigione del Tempio poco dopo le ore tre pomeridiane dell’8 giugno 1795, fra le braccia di Lasne. Il 9 giugno, all’indomani del decesso del piccolo Re, il medico Philippe Jean Pelletan, capo chirurgo dell’ospedale di Parigi, assistito dai colleghi Lassus, Dumangin e Jeanroy, esegue l’autopsia sul corpo del bimbo. Approfittando di una momentanea distrazione degli altri medici, Pelletan estrae il cuore, ch’egli involge fra le sue cose, chiuso in un fazzoletto e se lo mette in tasca. Tornato a casa, colloca il cuore in un vaso di cristallo colmo di «spirito di vino», cioè di alcol etilico.
Alle sette di sera del 10 giugno 1795, poco prima che cali la notte, il feretro del piccolo Prìncipe viene portato a braccia fino al cimitero di Santa Margherita, situato nei pressi dell’attuale Place de la Nation. La moglie dello scavafosse racconterà più tardi che il Re bambino “era stato messo nella fossa comune, dove finivano tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi. Andavano tutti lì, perché (così dicevano) tutti sono eguali”.
Pelletan nasconde il contenitore con il cuore dietro i libri della sua biblioteca. Otto o dieci anni dopo l’alcol è evaporato e il cuore si presenta completamente disseccato e pietrificato e può essere mantenuto così com’è. Pelletan lo conserva in seguito, insieme con altri reperti anatomici, in un cassetto della sua scrivania. Nel 1810 egli commette però l’imprudenza di rivelare il segreto del cuore di Luigi XVII a un suo discepolo, Jean Henri Tillos, il quale gli sottrae la preziosa reliquia. Tillot muore di tubercolosi qualche anno più tardi. Tuttavia, prima di spegnersi, roso dai rimorsi, domanda alla moglie sul letto di morte di rendere il cuore al suo legittimo proprietario.
Sopraggiunge frattanto la prima Restaurazione e negli anni fra il 1814 e il 1815, Pelletan tenta di consegnare ai Borboni il frutto di quell’ormai antico e «pio latrocinio». Vittima d’intrighi di Corte, sospettato di simpatie bonapartiste, il chirurgo non riesce però a entrare in contatto con Sua Maestà il Re Luigi XVIII. Ciò nonostante la Duchessa d’Angoulême Maria Teresa, sorella di Luigi XVII, dopo
averlo incontrato in occasione di una visita all’ospedale, gli fa ottenere un’udienza a Palazzo Reale. Ma il ritorno di Bonaparte dall’Elba e i cento giorni mandano a monte il progetto.
Negli anni successivi alla seconda Restaurazione (1816-1817) Pelletan tenta nuovamente, ma senza successo, di riconsegnare il cuore di Luigi XVII alla Famiglia Reale. Il 23 maggio 1828 il medico decide allora di depositarlo nelle mani di S. Ec.za Mons. Hyacinthe Louis de Quelen, Arcivescovo di Parigi, il quale dichiara di riceverlo “come un sacro deposito” e promette di sforzarsi di rimetterlo al Re Carlo X. L’anno dopo, il 26 settembre 1829, Pelletan muore.
Il 29 luglio 1830 scoppia la rivoluzione massonico-liberale che depone l’ultimo Sovrano legittimo di Francia, Sua Maestà Cristianissima Re Carlo X. La canaglia rivoluzionaria muove all’assalto del Palazzo Arcivescovile. Durante il saccheggio che ne segue, uno degli assalitori, il tipografo B. Lescroart, s’impossessa del cuore con l’intento di restituirlo al figlio del medico Pelletan, Philippe Gabriel, anch’egli chirurgo. Ma, ahinoi!, ecco che un altro degli assalitori gli contende l’urna di
cristallo. Nella rissa fra i due il contenitore con la preziosa reliquia cade a terra in frantumi. Lescroart riesce a salvare solo i documenti accompagnatori attestanti l’autenticità della reliquia.
Il 5 agosto, tornata la calma a Parigi, Pelletan figlio e Lescroart frugano nel cortile dell’Arcivescovado, dove recuperano miracolosamente, assieme ad alcuni frammenti di cristallo, anche il cuore, seppellito sotto un mucchio di sabbia, fra macerie che stavano per essere rimosse. Pelletan lo ripone in una nuova urna, identica alla precedente. L’11 ottobre 1879 Philippe Gabriel Pelletan muore a Parigi. Per legato il cuore finisce all’architetto Prosper Deschamps e, in seguito a una serie di successioni ereditarie, giunge nelle mani di Edouard Dumont. Da questi il 22 giugno 1895 passa a Neuilly-sur-Seine al Conte Urbain de Maillé, rappresentante del legittimo pretendente
al trono di Francia (e come tale riconosciuto dai legittimisti dopo la morte di Enrico V, Conte di Chambord, che non lasciò eredi maschi) il Duca di Madrid, Don Carlos. Ed è proprio Don Carlos a ricevere il vaso di cristallo contenente il cuore, giunto clandestinamente in Italia: il 2 luglio di quello stesso anno la reliquia gli viene consegnata da Maurice Pascal a Venezia. Qualche settimana più tardi il cuore arriva nella cappella del castello di Frohsdorf, vicino Vienna, dove dimorerà fino alla
Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1942, fuggendo dalle devastazioni della guerra, la Principessa Beatrice Massimo, nipote di Don Carlos, riporta il cuore del piccolo Re Luigi XVII in Italia. Il 10 aprile 1975 due delle quattro figlie della Principessa Massimo (Maria e Bianca) d’intesa e con l’assenso anche delle altre due sorelle, affidano il cuore al Duca di Bauffremont, Presidente del Mémorial de France in Saint-Denis, affinché sia conservato fra i Reali di Francia. Il 15 dicembre 1999, su iniziativa di Philippe Delorme e in accordo con il Duca di Bauffremont, ne viene prelevato e sottoposto all’esame del DNA un frammento, a cura del professor Jean Jacques Cassiman, genetista dell'Università di Lovanio in Belgio. L’esame del DNA mitocondriale prova il legame di parentela con la Regina Maria Antonietta e, dunque, l’autenticità della reliquia, depositata l’8 giugno 2004 nella cripta di Saint-Denis, a Parigi.