mercoledì 7 marzo 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 10°)CAPITOLO VIII.QUINTO MEZZO DEI CONGIURATI.ONORI ACCADEMICI.

La protezione che i re accordavano alle scienze ed alle arti faceva sì che letterati godessero di una stima ben meritata, almeno finché si mantenevano nel loro ambito e non abusavano dei loro talenti rivolgendoli contro la religione e contro la politica. L'accademia francese in particolare era divenuta il trono della gloria letteraria, il grande sogno degli oratori, dei poeti e di tutti gli scrittori che si distinguevano nello studio della storia o in ogni tipo di letteratura francese. Per Corneille, Bossuet, Racine, Massillon, la Bruyere, la Fontaine e per tutti gli autori illustri che avevano onorato
il regno di Luigi XIV era motivo di gloria esser ammessi in questo santuario delle lettere, ed i costumi e le leggi sembravano in grado di evitare che gli empi riuscissero a profanarlo. Ogni taccia pubblica
d'incredulità era un titolo di esclusione, e lo fu ancora per molto tempo durante il regno di Luigi XV; il famoso Montesquieu ad esempio era stato escluso dall'accademia a causa dei sospetti sulla sua ortodossia suggeriti da certi brani delle sue Lettere persiane. Per esservi ammesso bisognava disapprovare l'empietà e dare prova di sentimenti assai religiosi. Voltaire pretendeva che Montesquieu avesse ingannato il primo ministro cardinale de Fleury perché questi acconsentisse alla sua ammissione, e che gli aveva presentato una nuova edizione delle Lettere persiane nella quale si era preoccupato di eliminare tutte le parti che potessero essere contestate, ma una simile frode era indegna
di Montesquieu; sembra che si esigesse da lui solo il pentimento che, almeno in seguito, parve essere sincero.
Boindin, la cui incredulità non poteva essere messa in discussione, era stato assolutamente rigettato dall'accademia francese, sebbene fosse stato ammesso in molte altre; anche Voltaire ne era stato tenuto
fuori per lungo tempo, ed aveva superato gli ostacoli solo a forza di grandi protezioni e con quei mezzi ipocriti che come vedremo consiglierà agli altri. D'Alembert, che sapeva prevedere tutto, aveva
avuto l'accortezza di non farsi notare prima di esservi ammesso; ma già gli adepti dell'incredulità che erano a corte e tra i ministri cominciavano a spianargli la via. D'Alembert s'accorse che col tempo
non sarebbe stato impossibile modificare i titoli di esclusione, e che a forza d'intrighi questa stessa accademia, che prima rigettava gli empi, avrebbe ben potuto un giorno aprirsi a loro e addirittura offrire i suoi onori solo a quegli adepti che erano degni, a motivo delle loro produzioni, di sedersi accanto a lui partecipando dei segreti del complotto. I piccoli intrighi, suo vero e proprio cavallo di battaglia, lo rendevano del tutto adatto a dirigere l'ammissione dei nuovi membri, ed ebbe tanto successo che al termine della sua vita il titolo di accademico quasi si confondeva con quello di incredulo. Egli tuttavia non fu sempre così fortunato come avrebbe voluto in questo compito;
ma la trama ordita da lui e da Voltaire per l'ammissione di Diderot sarà sufficiente a provare il vantaggio che i congiurati traevano da questo nuovo mezzo utile ad accreditare l'empietà.
D'Alembert aveva fatto le prime proposte, che Voltaire accolse comprendendone tutta l'importanza e rispondendo così: “Voi volete che Diderot entri nell'accademia, ed è necessario che la cosa riesca.”
L'approvazione del prescelto apparteneva al re, e d'Alembert temeva l'opposizione del ministero. Fu allora che Voltaire gli confidò tutto ciò che il filosofismo si riprometteva di ottenere da Choiseul, e lo assicurò ripetendo più volte che questo ministro, lungi dall'impedire simili complotti, avrebbe considerato un merito l'assecondarli. “Insomma, soggiunse, è necessario far entrare Diderot nell'accademia: questa è la più bella vendetta che si possa trarre da questa commedia contro i filosofi. L'accademia è sdegnata con Franc de Pompignan e gli darà con piacere questo schiaffo con tutta la sua sua forza. - Scoppierò di gioia quando Diderot sarà nominato. Ah quanto mi piacerebbe far ammettere insieme Diderot ed Elvezio!” (Lett. 9 luglio 1760.)
Questo trionfo sarebbe stato egualmente gradito a d'Alembert, che però era sul posto e vedeva gli ostacoli che vi erano alla corte, specialmente da parte del Delfino, della regina e del clero. E così
rispose: “Avrei anche più voglia di voi di vedere Diderot all'accademia.
Mi rendo conto di tutto il bene che ne risulterebbe per la causa comune ; ma questo è impossibile, più di quanto possiate immaginare. (Lett. 18 luglio 1760.)Voltaire ben sapendo che Choiseul e la marchesa di Pompadour avevano già riportato sul Delfino altre vittorie, ordinò a d'Alembert di non disperare.


Jeanne-Antoinette Poisson marchesa di Pompadour (1721-1764), dama d'onore della regina e amante prediletta di Luigi XV. Vera “eminenza grigia” della corte di Versailles. Si circondò di filosofi e nemici della monarchia, di cui era potentissima protettrice.
Rimproverata per la sua immoralità dai padri Gesuiti, giurò di combattere la compagnia e
assecondò ogni intrigo pur di screditarli.



Si mise lui stesso a capo dell'intrigo, sperando molto nel favore della cortigiana: “Vi è di più, dice; è possibile che ella si faccia un merito e un onore di proteggere Diderot disingannando il re sul suo conto e si compiaccia di ribaltare un complotto che ritiene spregevole.” (Lett. 24 luglio 1760.) Quello
che d'Alembert non era in grado di tentare presso il ministero, Voltaire lo raccomandava ai cortigiani, soprattutto al conte d'Argental. “Mio angelo divino, dice a costui, fate entrare Diderot nell'accademia;
questa è la mossa migliore che si possa fare nella partita giocata dalla ragione contro il fanatismo e la sciocchezza (si intenda: nella guerra fatta dal filosofismo alla religione ed alla pietà). - Imponete come
penitenza al duca di Choiseul di far entrare Diderot nell'accademia” (Lett. 11 luglio 1760.)




La parte della lettera di Voltaire a d'Argental dell'11 luglio 1760 che contiene i passaggi citati. (Oeuvres completes de Voltaire, tomo 56, Kehl 1785.)


Voltaire chiamò ancora in suo aiuto il segretario dell'accademia Duclos, come avrebbe dovuto fare perché il memoriale fosse favorevole all'adepto che doveva essere ammesso. “Non potreste esporre o far esporre quanto un tal uomo vi sia necessario per perfezionare un'opera necessaria? Non potreste, dopo aver disposto in sordina questa batteria, unirvi a sette od otto eletti e fare una deputazione al re per chiedergli Diderot come il più capace di collaborare alla vostra impresa? Il duca di Nivernois non
potrebbe assecondarvi in questo progetto? E non potrebbe anche incaricarsi di farsene portavoce insieme a voi? I devoti diranno che Diderot ha fatto un opera di metafisica che essi non comprendono: deve solo rispondere che (Diderot) non l'ha mai scritta e che è un buon cattolico: è così facile
esser cattolico!” (Lett. 11 agosto 1760.)
Il lettore e perfino lo storico potrebbero stupirsi del fatto che Voltaire metta tanta importanza nella cosa facendo uso di così tanti intrighi, invocando duchi, cortigiani e suoi confratelli solo per ottenere
l'ammissione di uno dei suoi congiurati all'accademia francese, e senza vergognarsi di consigliar loro persino la bassa ipocrisia, la vile dissimulazione; ma si valutino queste parole di d'Alembert: “Mi rendo conto di tutto quello che ne risulterebbe per la causa comune”, cioè: Per la guerra che noi ed i nostri adepti abbiamo giurato al cristianesimo, ed allora tutte queste macchinazioni per raggiungere lo
scopo saranno facili a spiegarsi. In effetti l'ammissione all'accademia di un uomo pubblicamente noto come il più sfrontato tra gli increduli non era forse come apporre il sigillo all'errore già commesso dal
governo di lasciarsi ingannare dalle ipocrite dimostrazioni di d'Alembert e di Voltaire? Non significava forse aprire la porta dei trionfi letterari all'empietà più scandalosa e dichiarare ad alta voce che ormai la più sfacciata professione di ateismo, ben lungi dall'essere considerata come un'onta nella società, avrebbe goduto tranquillamente degli onori accordati alle scienze ed alle lettere? E questo non era forse sancire la più perfetta indifferenza per la religione? Choiseul e la Pompadour compresero che era ancora presto per accordare questo trionfo ai congiurati, perfino d'Alembert temette le proteste che la cosa non avrebbe mancato di suscitare, e pensò che era meglio desistere; ma si era in un momento in cui i ministri proteggevano con una mano quel che sembravano respingere con l'altra, e così d'Alembert sperò che con qualche astuzia non sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso scopo escludendo dagli onori accademici ogni scrittore che non avesse fatto almeno qualche sacrificio alla filosofia anticristiana, e vi riuscì.
A far data dall'epoca in cui d'Alembert aveva capito quanto poteva essere utile ai congiurati quest'accademia francese trasformata in un vero e proprio club di sofisti irreligiosi, si consideri la lista di coloro che furono ammessi tra i suoi membri: vi si vedrà in testa Marmontel, 
l'uomo maggiormente in unione di idee e di sentimenti con Voltaire, d'Alembert e Diderot; vi saranno quindi  la Harpe, l'adepto favorito di Voltaire;  Champfort, l'adepto coadiutore ebdomadario di Marmontel e di la Harpe;

Lemierre segnalato a Voltaire come un buon nemico dell'infame , cioè di Cristo; (lett. di Volt. a Damilaville 1767.) l'abbé Millot , che aveva il merito privato di aver perfettamente dimenticato
di esser prete ed il merito pubblico di essere riuscito a trasformare la storia di Francia in una storia di antipapi; (Lett. di Alemb. 27 dic.1777.)
Brienne, da lungo tempo noto a d'Alembert come nemico della Chiesa nel suo seno stesso;
Suard, Gaillard, ed infine Condorcet, la cui ammissione dimostra da sola sino a qual punto il demonio
dell'ateismo dominava nell'accademia francese.
Non so perché Turgot non vi fu ammesso nonostante di tutti gli intrighi di Voltaire e di d'Alembert. (
Lett. di Volt. 8 febb. 1776.)
Per farsi un idea di quanto i sofisti fossero interessati a riempire questo sinedrio filosofico con i loro adepti favoriti si dia un'occhiata alle loro lettere; ve ne sono più di trenta nelle quali si consultano ora su un adepto che bisogna far ammettere, ora sulle protezioni che si devono mettere in movimento per far scartare le persone religiose. I loro intrighi furono così bene assecondati ed il loro successo fu così
completo che in pochi anni il titolo di accademico quasi si confondeva con quello di deista o ateo. Se si trovava ancora tra gli accademici di Francia qualcuno che non lo fosse, in particolare qualche vescovo differente da Brienne, era per un resto di deferenza che alcuni tra loro prendevano per un onore, ma costoro avrebbero fatto meglio a considerare come un oltraggio l'essere considerati a pari di
d'Alembert, Marmontel e Condorcet.
In quest'accademia dei quaranta vi era però il signor Beauzée, un laico rispettabilissimo per la sua pietà; gli chiesi un giorno come si era potuto verificare che il nome d'un uomo come lui si trovasse sulla lista insieme con quello di tanti uomini noti come veri e propri empi. “La domanda che mi fate, rispose, io stesso l'ho fatta a d'Alembert.
Rendendomi conto che nelle nostre sedute ero quasi il solo a credere in Dio, un giorno gli chiesi: per qual motivo avete potuto pensare a me, che sapete così lontano dalle vostre opinioni e da quelle dei vostri confratelli? D'Alembert, soggiunse Beauzée, non esitò a rispondermi: Capisco che ciò vi stupisce, ma noi abbiamo bisogno di un grammatico; tra tutti i nostri adepti non ve ne era uno che si
fosse fatta
una reputazione in questo campo. Sappiamo che credete in Dio, ma siccome siete un uomo tanto buono, abbiamo pensato a voi in mancanza di un filosofo che potesse fare le vostre veci.”
Così lo scettro dei talenti e delle scienze era divenuto in poco tempo lo scettro dell'empietà. Voltaire voleva trapiantare i congiurati in Germania sotto la protezione del sofista coronato; d'Alembert li
trattenne e li fece trionfare sotto la protezione di quegli stessi monarchi che portavano il titolo di prìncipi cristianissimi. La sua trama era meglio ordita perché da una parte metteva tutte le corone
letterarie sulla testa degli empi del momento, e dall'altra abbandonava al disprezzo ed al sarcasmo ogni scrittore religioso. La sola accademia francese, trasformata in club di empietà, servì la congiura dei sofisti contro il cristianesimo meglio di quanto non avrebbe potuto fare tutta la colonia di Voltaire, poiché infettò gli uomini di lettere i quali a loro volta infettarono l'opinione pubblica invadendo l'Europa con quelle opere che, come vedremo, costituiscono uno dei principali mezzi per preparare il popolo all'apostasia generale.