mercoledì 14 marzo 2012

SARA’ INDIPENDENZA: CE LO DICE LA STORIA



Un insieme di congiunture storiche, e forse anche astrali, sta determinando, non solo in Italia, ma nel mondo universo, un terreno favorevole per il raggiungimento dell’indipendenza dei piccoli Stati eclissati a partire da fine Settecento da Leviatani inattuali e perniciosi, forse già allora, ma senz’altro oggi.
Il movimento della Storia s’accelera e intensifica, ma, paradossalmente, è un movimento maggiormente interno agli Stati stessi, di quanto non sia esterno a loro, ovvero i movimenti indipendentistici giuocano un ruolo senz’altro, ma in qualche modo, per dirla con Hegel, sono la nottola di Minerva che spicca il volo quando scende la sera. La sera, per l’Italia, si chiama ormai notte, e notte fonda.
Nella situazione di miseria crescente che lo Stato italiano ha imposto ai suoi cittadini, cresce sempre più il divario tra chi gode di immensi privilegi, e sono tutti o quasi tutti quelli legati al carrozzone pubblico, e chi invece deve a forza mantenere tali privilegiati, la massa dei cittadini onesti e operosi. Questa situazione è oggettivamente insostenibile, prima che soggettivamente alcuni movimenti la espongano alla luce del sole, attraverso la loro opera meritoria. Il re viene denudato ogni giorno dai social networks, impietosi, che ad ogni istante denunciano situazioni moralmente oscene, di una bassezza senza pari. Una volta il re poteva coprirsi usando i giornali tradizionali, cui imponeva una quota di cosce di donna e una quota di cosce di calciatori, e ancora penosamente lo fa, attraverso un circuito mediatico ufficiale, però, che mostra la corda ad ogni istante. Nel caso italiano, l’inno di Mameli e il giorno dell’Unità d’Italia sono i rantoli del moribondo. Per questo, è necessario prepararsi all’indipendenza con energia, perché va preparata, come un grande parto della storia che necessita delle sue operose e attente levatrici, e non solo attesa. Anche se moltissimi la attendono, soltanto, timorosi di esporsi, come del resto è giusto, Don Abbondio, come ben sappiamo, diceva che uno il coraggio non se lo può dare. Per questo sarebbe necessario che i movimenti indipendentistici convivessero pacificamente, e si dessero scopi comuni, ad esempio, una partecipazione condivisa, sotto un unico simbolo, proprio INDIPENDENZA, specificato poi da una sigla identificativa locale (INDIPENDENZA-SARDEGNA, INDIPENDENZA-VENETO etc.), alle elezioni europee, non perché, almeno personalmente, io veda il futuro dello Stato veneto o dello Stato sardo o quelli che saranno, nella UE (se non forse a partecipazione limitata, dentro l’area Schengen, fuori dalla zona euro), ma per quel che si chiama, nel mondo anglosassone, “raise of awareness”, un far capire, e percepire al mondo, l’esistenza di questi movimenti, levatrici più che leve della storia. Il congresso di Jesolo, il coraggio di questo giornale, la crescita di aderenti a movimenti in Lombardia, Sardegna, Veneto, sono segnali incoraggianti.
Allo stesso tempo, e qui vorrei ricordare Lucio Dalla, perché, “filo-italiano” o meno, è stato un grande cantautore che ci ha regalato infinite emozioni (questo basti), ed in particolare una sua canzone di quando avevo 16 anni, “L’anno che verrà”. Ebbene, l’indipendenza che verrà la racconta già quella bellissima canzone del 1979.
Forse qualcuno si illuderà che sarà tre volte Natale, e festa tutto il giorno. Forse i preti potranno sposarsi (ma solamente ad una certa età!), e molto probabilmente qualcuno sparirà: i troppi furbi, e i cretini di ogni età. Il Veneto libero e sovrano, la Lombardia libera e sovrana, dovranno innanzi tutto educare alla libertà, perché non è così semplice passare da un regime dittatoriale ad uno libero. Lo sto osservando in Kazakhstan. Sono passati venti anni dall’ottenimento dell’indipendenza. Ma per secoli questa bellissima terra, immensa, è stata sotto il dominio russo, prima zarista, poi sovietico. Si diventa liberi, dal punto di vista politico, in un giorno, in un istante. Ma l’educazione alla libertà come condizione dello spirito è lunga. Abitudini, attitudini, mentalità legate al servaggio sono difficili da sradicare. L’indipendenza che verrà non rovescerà i ruoli sociali. Rimarranno gli imprenditori, ed è un bene che in numero sempre maggiore essi aderiscano ai movimenti indipendentistici. Vuol dire che una parte almeno della élite della nazione veneta lombarda o friulana comincia a comprendere il valore della libertà, perché lo associa sia al bene per il proprio popolo, sia al proprio interesse. Occorre ricordare che proprio per l’interesse della borghesia veneta esclusa dal potere in età pre-rivoluzionaria Napoleone poté ottenere l’appoggio interno, la quinta colonna, nella sua conquista del Veneto. E quanta borghesia veneta, spesso in buona fede, non si sentì legata ai Savoia e al loro progetto nel 1866? Quinte colonne? Quislings? No. Classi che perseguivano il loro interesse, che allora non coincideva con un ritorno della Serenissima, ma con un appoggio ai Savoia. Dobbiamo biasimarli per questo? Dobbiamo tacerne, con il rischio di fare una storia altrettanto unilaterale (anche se dall’altra parte) di quella propinataci come l’olio di ricino dai manuali delle scuole italiane di ogni ordine e grado? Ora, è un bene straordinario che imprenditori facciano coincidere il proprio interesse con l’indipendenza, perché essa beneficerebbe tutti, mentre nel 1866 (e fino ad ora), l’adesione all’Italia ha beneficiato pochi, che stanno diventando, in epoca di vacche magre ed anzi moribonde, ancor meno. Tuttavia non sarà tre volte Natale. Anzi si lavorerà anche il giorno di Natale nelle complesse operazioni di transizione, la cui preparazione rimane, per me, il motivo fondamentale per cui un uomo saggio come Salmond ha preferito un referendum posposto per la Scozia.
L’indipendenza non trasformerà la struttura sociale, ma nell’immediato i reietti del sistema Italia, i pensionati che muoiono di fame con una “minima” oscenamente bassa, i giovani disoccupati, i piccoli imprenditori che si uccidono da soli per l’umana dignità che gli suggerisce di non attendere la mano del carnefice italiano, potranno risollevarsi e prosperare. L’indipendenza toglierà le abominevoli caste di privilegiati, i Celentani e i Benigni e i boiardi di Stato e i loro boia nelle agenzie di riscossione dei tributi, farà sì che non esistano più categorie ingiustamente beneficiate dall’immondizia di un sistema la cui iniquità è davanti agli occhi di tutti. Ma vi saranno sempre persone ricche e persone povere, il libero imprenditore sarà ancora più ricco, ma, quel che a me interessa, è che i disgraziati, le rotelline indifese che il sistema ora spreme fino all’ultimo, con violenza inaudita, saranno meno povere, vivranno tutti una vita dignitosa. Non vedrò più davanti al mio appartamento di Montegrotto anziani venetissimi pescare dai bidoni della spazzatura qualcosa da mangiare. Per por fine a questo darei la vita.
Vi saranno sempre persone colte, e persone meno colte, ma a tutti sarà offerta l’opportunità di imparare la storia qual fu davvero, e questo per tutte le materie.
Non sarà un paradiso, il Veneto indipendente, o la Sardegna libera. Continueremo a morire. Natale continuerà a venire una volta all’anno. Ma sarà senz’altro una vita meno d’inferno. Occorre dare una mano alla Storia, e questo lo dico a quegli indipendentisti in feroce competizione tra di loro, e non dare un pugno al compagno di battaglia. L’indipendenza verrà. Ogni diatriba, ogni puntiglio la ritarda, ma alla fine di poco.

di PAOLO L. BERNARDINI