martedì 8 maggio 2012

HITLER E NAPOLEONE SONO I “PADRI NOBILI” DELL’EUROPA


di GUGLIELMO PAONCELLIERI

Da qualche lustro a questa parte, un fantasma s’aggira per l’Italia. Sono i “parametri europei”. I politici di ogni colore e schieramento non fanno altro che ammonirci che ne siamo troppo lontani. Preti e sindacalisti paventano una nostra “uscita dall’Europa”. Perfino il mio panettiere mi ha detto che bisogna assolutamente “adeguarsi” a Maastricht. Con la crisi, il dato del debito pubblico italiano è ancor peggio di quando Prodi, obbligandoci a pagare una tassa, ci portò nella moneta unica.
Gli opposti schieramenti politici, addirittura, quando si parla di Europa paiono commuoversi. Una amorevole lacrimuccia cola sulle guance e l’ascia di guerra viene momentaneamente seppellita. L’unico pomo della discordia è a chi appartenga il merito di averci fatti “entrare” in Europa. Sarò fesso, ma io credevo che in Europa ci fossimo da quando il mondo fu creato. E poi i nostri popoli sono figli dell’Europa e della tradizione europea. Ognuno di noi porta in sé un briciolo d’Europa – non si sa quanto a norma di legge.
Effettivamente, la cosa suona un po’ ridicola. Far entrare la Liguria o la Lombardiain Europa sembra come avere la pretesa di far entrare l’Alabama in America. C’è già, punto e a capo. Per lo meno se per Europa si intende una comunanza storica e culturale che affonda le proprie radici nella notte dei secoli. La tradizione europea è un dorato sentiero di libertà. Il suo cuore più profondo giace nella decentralizzazione e nella coesistenza di infiniti sistemi di governo diversi. L’Europa vera era il Sacro Romano Impero, prima, e l’Impero Asburgico, dopo. E le franchigie e le libertà comunali, che hanno reso Genova grande tra i grandi.
“Il cosiddetto straordinario – scrive Joseph Roth in un passo del suo eccezionale romanzo La cripta dei cappuccini – per l’Austria-Ungheria è l’ovvio. Con questo voglio dire che in questa pazza Europa degli Stati nazionali e dei nazionalisti ciò che è ovvio sembra bizzarro. (…) L’anima dell’Austria non è il centro, ma la periferia. L’Austria non bisogna cercarla nelle Alpi, dove hanno camosci e stelle alpine e genziana, ma neppure un’idea di che cosa sia l’aquila bicipite. La sostanza dell’Austria viene nutrita e incessantemente rigenerata nei territori della Corona”.
In maniera meno poetica ma altrettanto chiara, un grandissimo economista del nostro secolo, Wilhelm Roepke, ha affermato: “l’unico modo di essere fedeli all’Europa è conservare il suo spirito e la sua tradizione… la decentralizzazione è l’essenza dello spirito europeo. Tentare di darle un’organizzazione centralistica, piegare il continente a una burocrazia legata alla pianificazione economica, saldarla in un unico blocco non sarebbe nulla di meno che un tradimento dell’Europa e del patrimonio europeo (…). Il rispetto per le differenze e le particolarità, per le diversità e per le piccole unità di vita e civiltà… questi sono i principi generali il cui rispetto meticoloso ci identifica come veri Europei che prendono sul serio il significato dell’Europa”.
Solo in questo senso è giusta e auspicabile l’Europa. Ma quella che oggi ci viene contrabbandata come necessità storica è esattamente il tradimento dello spirito europeo paventato da Roepke. L’Unione Europea è un organismo onnivoro che tenta di regolamentare, uniformare, standardizzare tutto e tutti. Perché così è più facile controllare. E allora giù a decidere quando i fagioli smettono di essere fagioli, via a insegnare che le banane troppo gobbe non vanno bene. Sotto a chi tocca, a riscrivere la ricetta della pizza e del cioccolato. Avanti col divieto del formaggio coi grilli e del culatello. Venghino, siore e siori, il pesto da oggi si cambia: meno aglio e via il basilico.
Solo un folle può desiderare tutto ciò. Come lo auspicarono due pazzi che finirono per fare i tiranni: Napoleone e Adolf Hitler, veri e propri padri nobili dell’unificazione continentale. Mala Ligurianon ha alcun legame con tutto ciò. L’Europa vera e profonda sono i banchieri genovesi, i commercianti veneziani che protetti dalla Croce di San Giorgio o dal leone di San Marco, esportavano senza colpo ferire le autonomie dei nostri paesi e dei nostri quartieri.
L’Europa della libertà e delle piccole patrie è nei fasti rinascimentali del capoluogo di questa regione malmenata dallo statalismo, ed è ugualmente negli insediamenti più remoti e ricchi di storia. L’Europa è nelle grotte di Toirano e nelle pietre del castello di Santo Stefano d’Aveto, nei muri trasudanti secoli del Bracco e nelle assi dei gozzi che riposano sui nostri arenili.
Un altro grandissimo intellettuale: “Concludo che se io dovessi o volessi e potessi votare pro o contro l’Europa unita, io, che pure ho più di un diritto di chiamarmi “europeo”, voterei contro un’Europa fatta così artificialmente e superficialmente come è stata concepita da coloro che l’hanno ideata con la testa riempita di nuvolosi teorici”. Lo scriveva, alla fine degli anni ’70, Giuseppe Prezzolini, domandansi alla sua maniera, sempre problematica, se “l’Europa unita sarà un paradiso o un inferno”. Intanto, in Italia dovrebbe sapere che il voto sull’entrata nell’Unione non è mai stato praticato. Non è un caso che Prezzolini amasse la Svizzera, e prima ancora l’America.
Essendo questa Europa sempre più impopolare tra la gente comune, si sono inventati una lista di “diritti” per ridare smalto ai loro progetti, sapendo di poter contare sulla stampa e sui media internazionali completamente asserviti alle logiche di potere. Tutti proni di quei signori che sono i maggiori esponenti delle socialdemocrazie europee che, ormai consci delle loro politiche fallimentari, stanno garantendo a se stessi e ai loro portaborse un posto di lavoro ben remunerato nei palazzi della burocrazia europea. L’intento dei signori di Nizza e Lisbona quindi è chiaro: pubblicizzare e legittimare una operazione politica in chiave buonista per mascherare il suo reale potenziale.
Chi si batte contro il centralismo soffocante dello stato italiano che, da una parte, limita la nostra libertà personale attraverso una invadente produzione normativa, dall’altra, ci priva del frutto del nostro lavoro espropriando più della metà delle nostro reddito con lo strumento della tassazione, non può rimanere in silenzio di fronte l’avvento di un superstato, brutta copia dei vecchi stati nazionali ma con una capacità predatoria molto più invasiva e opprimente; chi non sopporta più il loro insopportabile peso non può che aborrire di fronte a questa nuova finzione in virtù della quale i soliti parassiti ( partiti, sindacati, burocrati ) cercheranno di vivere sulle spalle dei produttori.
Per Hoppe, de Jasay, Radnitsky e Salin, autori libertari di altissimo livello, l’Europa deve insomma cercare un’altra strada: più fedele alle proprie tradizioni e maggiormente rispettosa della pluralità delle sue voci ed identità. Come ha scritto l’inglese Chris Tame “se esiste qualcosa che differenzia la civiltà europea dalle altre civiltà, storiche o contemporanee, è proprio l’ideale (anche se non la pratica) della libertà e della diversità”.
All’Europa omologante nata dai Prodi di mezza Europa diciamo un secco no.