venerdì 18 maggio 2012

La Monarchia sacra Parte Seconda :IL ‘TOCCO’ GUARITORE DEI RE: La cerimonia del tocco nel Medioevo (XI-XV secolo)

Carlo VII di Francia
Carlo VII, detto il Vittorioso o anche il Ben-Servito, in francese Charles VII le Victorieux e le Bien-Servi (Parigi, 22 febbraio 1403Mehun-sur-Yèvre, 22 luglio 1461),  re di Francia dal 1422 al 1461, membro della dinastia dei Valois. Con lui ebbe termine la lunghissima Guerra dei cent'anni.



Prima di seguire le vicende storiche del tocco regio in epoca moderna, è conveniente dire qualcosa sul rito guaritore che, da forme semplici ed elementari, venne man mano arricchendosi.
Nel celebre testo dell’abate di Nogent, ricordato quale documento più antico ove si menziona, in terra di Francia, la prassi taumaturgica dei Re, abbiamo ancora la più antica testimonianza della modalità cerimoniale del tocco guaritore:
“Ho veduto con i miei occhi - scriveva infatti il prelato - dei malati sofferenti di scrofole nel collo ed in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui, al quale tocco aggiungeva un segno di croce”.
Ed ancora:
“Avvicinandosi con la mano serena faceva umilmente su di essi il segno della croce”.
Elemento essenziale quindi del rito di guarigione è il contatto della mano destra nuda del monarca sulla piaga infetta dell’ammalato:
“…poi con la mano destra tocca i malati”.
Senza questo contatto o ‘tocco’ la guarigione o l’avvio alla guarigione della patologia non è possibile. La mano del Re è una delle parti del suo corpo consacrata e unta dal Sacro Crisma al momento della Consacrazione.
Il monarca, infatti, ordinariamente preferisce toccare la prima volta gli scrofolosi dopo la sua solenne consacrazione, perché è soltanto per essa che un principe erede al trono prende di fatto, dopo la morte del titolare, pieno possesso della Corona.
Come si è più volte ripetuto, il Principe è alter Christus, vicario di Gesù Cristo nell’esercizio dell’autorità temporale.
Non sorprende allora che i sovrani, anche nell’azione vicaria particolarmente prestigiosa di guaritori, abbiamo imitato assai da vicino nei gesti, la prassi taumaturgica del Divin Maestro, come si legge nei Vangeli:
“Entrato poi Gesù nella casa di Pietro, né trovò la suocera a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò, cosicché ella si alzò e si pose a servirlo” (S. Matteo, VIII, 14-15);
“Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui ed egli, imposte a ciascuno le mani, li risanava” (S. Luca, IV, 40);
“Gli si accostò un lebbroso che, prostratosi innanzi a Lui, gli disse: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii mondato.
E sull’istante fu mondato dalla lebbra”.
La somiglianza col rito regale è evidente. Nel cerimoniale tuttavia, fin dagli inizi, si aggiunse al semplice contatto della mano, un secondo importante gesto simbolico: il segno della croce.
Questo doveva essere impartito a mo’ di benedizione, tracciandolo cioè semplicemente nell’aria all’indirizzo dell’infermo poco prima toccato, oppure contemporaneamente al tocco, nel senso che il monarca toccava la piaga facendo il segno della croce.
Per questo talvolta i testi medioevali che riportavano il rito di guarigione usavano designare i malati toccati dal Re col termine di ‘segnati’: XVII egrotis signatis per regem [17 ammalati segnati dal Re]91, recita una nota inglese del 27 maggio 1378.
Così infatti lo intendeva, Thomas Bradwardine, arcivescovo di Canterbury: “…benedictione,
sub segno crucis data” [con la benedizione impartita col segno di croce].
Il significato del tocco col segno di croce è molto chiaro. Non è il sovrano il primo autore del miracolo, ma svolge solo un’azione vicaria, essendo il semplice canale o strumento della grazia celeste, che opera per il tramite del principe consacrato.
Questo carattere strumentale e mediato del potere taumaturgico dei Re, è ancora evidenziato nel terzo elemento che accompagna e segue il tocco: le preghiere a Dio.
Stefano di Conty, un monaco di Corbie, scrive durante il regno di Carlo VI I di Francia (1380- 1422) un trattatello sulla monarchia francese, ove ricorda che il Re, prima d’accostarsi ai malati, si soffermava un poco in preghiera.
Anche l’inglese Bradwardine allude ad una simile consuetudine quando, nell’opera più volte citata del 1344, rammenta che il monarca, soleva precedere il rito taumaturgico con la recita di alcune preghiere: orazione fusa [dopo aver pregato].
Questo corollario di preghiere, che introduceva e concludeva il rito del tocco, si sviluppò in Inghilterra, in un vero e proprio servizio liturgico, di cui il sovrano, coadiuvato dal suo cappellano, era il principale officiante.
Le prime testimonianza di esso sono da ascriversi al regno di Enrico VI I I . I principi inglesi, però, nel momento cruciale del contatto della mano nuda con la parte lesa dalla malattia, non pronunciarono mai alcuna orazione particolare, che poi si sia fissata in una formula entrata nell’uso.
Tale formula, invece, non mancava nella versione francese del rito. Goffredo di Beaulieu, narrando di S. Luigi IX di Francia (1226- 1270) ricorda come, nell’atto d’eseguire la cerimonia curativa fosse solito pronunziare delle formule devozionali particolari, che lo storico francese, senza menzionarle, definisce: “adatte alla circostanza, e sanzionate dall'uso, d'altro canto perfettamente sante e cattoliche”.
Quelle medesime formule, che, stando a Ivo di Saint-Denis, Filippo IV il Bello, il 26 novembre 1314, si sforzava d’insegnare sul letto di morte, al figlio primogenito e suo erede:
“Chiamato a sè segretamente il figlio primogenito, alla presenza cioè del solo confessore, lo istruì sul modo di toccare i malati, dicendogli le sante e devote preghiere che egli era solito pronunciare nel toccare gli infermi. Del pari lo ammonì che doveva esercitare il tocco degli infermi con grande reverenza, santità e purezza e con le mani monde dal peccato”.
A partire dal XVI secolo, sempre in Francia, le preghiere che venivano pronunciate al momento del tocco, si fissarono in una formula, che rimase in vigore fino alla cessazione del rito. Il sovrano infatti prese a pronunciare al momento del contatto: ll Re ti tocca. Dio ti guarisce.
Questa breve e suggestiva preghiera ricordava tanto al beneficiato, quanto al Principe, che il miracolo non derivava da un magico potere personale del Re, ma dalla potenza di Dio, di cui il sovrano era semplice strumento.
La pietà popolare, almeno in Francia, durante i secoli del Medioevo, vide la medesima facoltà terapeutica anche in un elemento del tutto marginale e accessorio del rito del tocco. L’acqua, infatti, con cui il sovrano, secondo un’elementare regola d’igiene, si detergeva la mano che aveva toccato le piaghe purulente degli scrofolosi, venne ben presto considerata come un rimedio altrettanto efficace del tocco stesso.
Testimonia Stefano di Conty:
“Dopo detta santa unzione e coronazione dei Re di Francia, tutti i predetti Re durante la loro vita compirono molti miracoli, sanando completamente da una malattia velenosa, turpe e immonda, che in francese chiamiamo scrofole. Il modo di guarire è il seguente:
dopo che il re ha ascoltato la messa, gli portano un vaso pieno d’acqua, poi fa la sua preghiera davanti all’altare, poi con la mano destra tocca gli infermi, e si lava con la detta acqua. I malati in vero che prendono tale acqua e la bevono per nove giorni a digiuno con devozione senza altra medicina sono sanati completamente. Così stanno le cose realmente, sicché numerosissimi ammalati di scrofole furono sanati da molti re di Francia”.
Come si è accennato, il Sovrano non intraprendeva mai il rito di guarigione prima d’essere legittimamente e debitamente consacrato. Il giorno stesso della consacrazione e unzione del Re, infatti, o poco dopo, segnava l’inizio, anzi l’obbligo della cerimonia del tocco.
Dopo allora, ogni giorno ed ogni occasione erano buoni. Soprattutto in epoca medioevale, quando i sovrani erano soliti percorrere in lungo e in largo i loro territori, accompagnati da un seguito poco numeroso, non era inusuale vedere frotte di ammalati di ogni condizione, ma più spesso poveri, accalcarsi presso le provvisorie sedi ove il monarca soggiornava, pretendendo che tenesse fede al suo dovere guaritore.
Le cifre, sopra menzionate, relative al tocco di alcuni Re inglesi del XIV secolo, dimostrano con tutta evidenza che i sovrani non si sottrassero ad un dovere, certamente prestigioso, ma anche assai faticoso.
Con il trapasso dalla monarchia feudale a quella moderna, quando i re divennero sedentari e l’apparato burocratico si fece più robusto, il rito delle scrofole si adattò alla nuova situazione.
Se ai tempi di Luigi VI , nel secolo XII, come ricorda Gilberto di Nogent, non infrequentemente gli ammalati si accalcavano tumultuosi attorno al sovrano per esserne ‘toccati’, già S. Luigi IX , in quello successivo, sebbene gli scrofolosi potessero accedere al tocco ogni giorno, riservava alla cerimonia medicinale un momento preciso della giornata, cioè al mattino, subito dopo la prima messa. Gli scrofolosi che, per vari accidenti, non fossero riusciti a ricevere il tocco, erano ospitati, con vitto e alloggio, dal sovrano fino al mattino seguente.
Tale situazione rimase stabile fino al XV secolo, quando Luigi XI (1461-1483) decise di ricevere gli infermi un solo giorno della settimana. Inoltre i pazienti erano sottoposti ad una visita medica preventiva che accertasse la presenza della malattia.
In Inghilterra, ai tempi di Enrico VI I (1485- 1509), non risulta essere stato dedicato un giorno particolare per il tocco.