mercoledì 25 luglio 2012

R. P. Matteo Liberatore S.J. Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. I, pag. 21-37. CONDIZIONE DELLA CHIESA RIMPETTO ALLO STATO.

 

CAPO I.

ARTICOLO II.

Concetto cattolico.

Nell'articolo precedente considerammo il triplice concetto liberalesco intorno alla relazione tra la Chiesa e lo Stato; e ne vedemmo l'assurdità, sì nel senso del liberalismo assoluto, sì nel senso del liberalismo moderato, e sì nel senso de' cattolici liberali. Acciocchè la partizione sia adeguata, ci conviene ora soffermarci alquanto a considerare il concetto de' cattolici senza epiteto.

I.

Il cattolicismo schietto riprova tutte e tre le anzidette pretensioni. Esso riprova la supremazia dello Stato, siccome quella che si fonda nella negazione di Cristo, dell'immortalità dell'anima, della esistenza stessa di Dio. Riprova l'indipendenza assoluta dello Stato, siccome quella che si fonda nella negazione dell'unità di Dio, ed ammette uno stolto dualismo. Riprova infine la separazione, eziandio pratica, dello Stato dalla Chiesa, siccome perniciosa incoerenza, fondata nel dissidio dell'azione dalla teorica, dell'ordinamento umano dall'intendimento divino. Esso sostiene la necessità dell'armonia tra lo Stato e la Chiesa, ma la necessità di armonia, che proceda da subordinazione dell'uno all'altra. Senza di ciò quella parola sarebbe vuota di senso; giacchè la concordia e la pace non è che la permanenza dell'ordine, e l'ordine non può aversi, se le cose non si dispongano secondo l'esigenza della loro scambievole relazione. Che questa dottrina sia comune presso i cattolici, lo afferma espressamente l'esimio Suarez; il quale dopo di avere stabilita questa tesi: Dicendum est potestatem Ecclesiasticam non solum esse in se nobiliorem, sed etiam superiorem, et habere sibi subordinatam et subiectam potestatem civilem; soggiunge: Est conclusio haec certa et communis apud catholicos [1].
In prova di questa sua asserzione egli tesse un lungo catalogo di teologi e di Pontefici, all'insegnamento de' quali dee certamente conformarsi chiunque ama di avere non solo il nome ma eziandio la realtà di cattolico. Noi in altro luogo riporteremo non poche di tali autorità; per ora ci contentiamo di ricordarne due sole, quella di un Dottore e quella di un Pontefice. S. Tommaso, nel primo libro de Regimine Principum, ragiona così: Il fine della moltitudine associata è il vivere virtuosamente; giacchè gli uomini si uniscono in comunanza civile, per ricavarne aiuto a ben vivere, e il ben vivere per l'uomo è il vivere secondo virtù. Ad hoc homines congregantur ut bene simul vivant; bona autem vita est secundum virtutem; virtuosa igitur vita est congregationis humanae finis. Tuttavia un tal fine non può essere assolutamente l'ultimo; giacchè l'uomo, attesa l'anima immortale, è ordinato alla beatitudine eterna; e la società, istituita per vantaggio dell'uomo, non può prescindere da ciò che è supremo bene di lui. Dunque l'ultimo fine della convivenza umana non è la vita virtuosa, ma è il pervenire, mediante la vita virtuosa, alla felicità sempiterna. Quia homo vivendo secundum virtutem ad ulteriorem finem ordinatur, qui consistit in fruitione divina; oportet eumdem finem esse multitudinis humanae. Non est ergo ultimus finis multitudinis congregatae vivere secundum virtutem, sed per virtuosam vitam pervenire ad fruitionem divinam. Or all'asseguimento della beatitudine eterna non altri presiede e conduce, se non che Cristo, il quale ne commise la cura qui in terra non ai Principi secolari, ma al Sacerdozio, da sè instituito, e massimamente al Principe dei Sacerdoti, al suo Vicario, il romano Pontefice. Dunque al Sacerdozio cristiano, e massimamente al romano Pontefice, debbono star subordinati i governanti civili del popolo cristiano; giacchè a colui, al quale appartiene la cura del fine ultimo, debbono star subordinati coloro, ai quali appartiene la cura dei fini prossimi od intermedii. Huius regni (della Chiesa cioè) ministerium, ut a terrenis essent spiritualia distincta, non terrenis regibus sed sacerdutibus est commissum, et praecipue summo sacerdoti, successori Petri, Christi Vicario, romano Pontifici; cui omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino Iesu Christo. Sic enim ei, ad quem finis ultimi cura pertinet, subdi debent illi, ad quos pertinet cura antecedentium finium, et eius imperio dirigi [2]. Questo discorso è limpidissimo ed irrefragabile. Imperocchè qual delle sue proposizioni potrebbe negarsi? Forse quella, in cui si dice che il fine della comunanza civile consiste nella vita virtuosa? Ma a far ciò converrebbe negare o che la società sia istituita pel bene degli uomini associati; o che il precipuo bene degli uomini associati, quello per conseguenza, che rispetto agli altri ha ragione di fine, sia riposto nella virtù. Senonchè anche negata l'anzidetta proposizione, non si guadagnerebbe nulla; essendo troppo evidente che qualunque fine voglia assegnarsi al civile consorzio, esso dev'esser sempre subordinato al fine ultimo della vita avvenire; se pur non voglia tramutarsi l'uomo in bestia, non avente altro scopo che quello del ben essere della vita presente. Supposto poi che il fine civile è di natura sua subordinato al fine religioso, chi non vede la necessaria conseguenza che il potere, che guida al primo, dev'essere subordinato al potere che guida al secondo?
Vediamo ora in che modo espone la medesima verità un Sommo Pontefice. Sia questi Bonifazio VIII, il quale più espressamente d'ogni altro l'ha proclamata nella sua bolla dommatica Unam Sanctam Ecclesiam  [3]. Il S. Padre comincia dallo stabilire l'unità della Chiesa, di questa grande e universal società, in cui tutti i credenti in Cristo non formano che un corpo solo. Unam sanctam ecclesiam catholicam et ipsam apostolicam, urgente fide, credere cogimur et tenere. Quindi soggiunge che di questo unico corpo, uno dev'essere assolutamente il capo; e questo capo invisibilmente è Cristo, visibilmente è il suo Vicario in terra, il romano Pontefice, a cui esso Cristo commise l'ufficio di supremo Pastore della sua Chiesa. Igitur Ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita quasi monstrum, Christus (videlicet) et Christi Vicarius Petrus, Petrique successor, dicente Domino ipso Petro: Pasce oves meas. Se uno è il capo, a lui conviene che sottostia tutto ciò che si trova in cotesto corpo o ad esso corpo in qualunque modo appartiene. La spada dunque temporale, simbolo della potestà civile, convien che sia subordinata alla spada spirituale, simbolo della potestà ecclesiastica. È ciò indispensabilmente richiesto dal retto ordine e dalla debita relazione delle cose, delle quali è legge divina che le infime alle mediane e le mediane sottostieno alle sublimi. Ora niuno ignora che la potestà spirituale per nobiltà ed importanza soprasta di tanto a qualsiasi potestà terrena, quanto gl'interessi spirituali avanzano i temporali. Oportet gladium esse sub gladio et temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati. Nam cum dicat Apostolus, non est potestas nisi a Deo, quae autem sunt a Deo ordinatae sunt; non ordinatae essent, nisi gladius esset sub gladio, et, tamquam inferior, reduceretur per alium in suprema. Nam secundum B. Dionysium lex divinitatis est, infima per media in suprema reduci. Spiritualem autem et dignitate et nobilitate terrenam quamlibet praecellere potestatem, oportet tanto clarius nos fateri, quanto spiritualia temporalia antecellunt [4].
Questa sentenza è perentoria; e da niuno, che voglia essere sincero cattolico, può ricusarsi. Ma oltre all'autorità è convincentissima altresì la ragione, che essa adduce. Imperocchè solo uno stolto potrebbe pensare che derivando da Dio, tanto l'autorità spirituale, quanto la temporale, esse siano procedute senza ordine tra loro, o, che è peggio, siano procedute con tal disordine, che la più nobile, cioè la spirituale, sottostesse alla temporale. Quae a Deo sunt, ordinatae sunt. E parimente è inconcepibile alla ragione, che gli uomini associati, formando un sol corpo (giacchè la personalità umana è una, nè può scindersi in due), non abbiano al trar de' conti un sol capo supremo, da cui dipenda il supremo indirizzo, al quale convenga che si conformi ogni indirizzo secondario. Senza di ciò non potrebbe seguire, che perturbamento e confusione. Unum corpus, unum caput. Oportet igitur gladium esse sub gladio, et temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati.

II.

«Il principal fondamento di questa verità (così espone lo stesso argomento l'esimio Suarez) è somministrato dalla ragione insieme e dall'autorità. Imperocchè si cava dall'unità della Chiesa di Cristo Signore, significata abbastanza nel Vangelo, e da S. Paolo illustrata nella prima ai Corintii, là dove dice: Tutti noi come un sol corpo siamo battezzati; ed ai Romani: Benchè molti, siamo un sol corpo in Cristo. Lo stesso ripete agli Efesii e spesso altrove. Adunque Cristo Signore istituì la sua Chiesa come un sol regno spirituale, in cui un solo sia Re e Principe spirituale. Dunque è necessario che ad esso sia soggetta la temporal potestà, come il corpo è soggetto allo spirito. Col qual esempio san Gregorio Nazianzeno, nell'orazione decimasettima al popolo, spiega la subordinazione delle due potestà; e meritamente. Imperocchè siccome l'uomo non sarebbe debitamente composto, se il corpo non fosse subordinato all'anima; così la Chiesa non sarebbe convenientemente stabilita, se la potestà temporale non sottostesse alla spirituale ... Dov'è un sol corpo, convien che sia un sol capo, a cui tutto ciò che a quello appartiene, in qualche modo si riferisca: altrimenti nè la pace nè la perfetta unità potrebbe avverarsi. Ora la Chiesa di Cristo, come è detto, è un sol corpo. Dunque, benchè siano in esso diversi poteri e magistrati, è necessario che tutti abbiano subordinazione tra loro, sicchè in qualche modo mettan capo in un solo. Dunque o la potestà spirituale è subordinata alla temporale, o viceversa. La prima cosa non può stare; perchè, come Papa Bonifacio trae argomento da S. Paolo, le cose che son da Dio, sono ordinate, e l'ordine sarebbe capovolto, se ciò che appartiene all'ordine spirituale sottostesse a ciò che appartiene all'ordine temporale. Dunque è da accettare la seconda parte della proposta disgiuntiva [5]
«Un secondo argomento può cavarsi da ciò, che i Pontefici debbono rendere ragione a Dio anche delle anime dei governanti, e pascerle colla loro autorità. Con quelle parole: Pasci le mie pecorelle, anche i Re e gl'Imperadori furono assoggettati a Pietro, perchè anch'essi sono compresi nell'ovile di Cristo. Dunque anch'essi debbono essere pasciuti e retti da Pietro. Ora, come sopra spiegammo, nella frase di pascere è contenuta anche la potestà di reggere. Nè vale il dire che ciò si intende del reggimento spirituale; imperocchè la regola del reggimento temporale, acciocchè esso sia retto ed onesto, debb'essere spirituale. Dunque è necessario che la potestà di reggere nelle cose temporali, sia regolata dalla potestà spirituale; e questo importa esserle soggetta e subordinata. E in questo modo i Pontefici debbono render conto pei Re e per gl'Imperatori, in quanto appartiene ad essi il correggerli, ed emendare tutto ciò in che questi peccano non solo come uomini, ma ancora come governanti nell'uso della loro potestà [6]
E perciocchè si è fatta qui novamente menzione della similitudine del corpo rispetto all'anima, ci piace di riferire il bellissimo modo, col quale essa è spiegata dal Bellarmino. «Come stanno, egli dice, tra loro nell'uomo lo spirito e la carne; così stanno tra loro quei due poteri nella Chiesa. Imperocchè la carne e lo spirito sono quasi come due Repubbliche, le quali ora si trovano separate ed ora congiunte. La carne ha il senso e gl'istinti, ai quali rispondono atti ed obbietti proporzionati, e il cui fine immediato è la sanità e il ben essere del corpo. Lo spirito ha l'intelletto e la volontà, e atti e obbietti ad essi proporzionati, ed ha per fine la sanità e la perfezione dell'anima. Si trova la carne, senza lo spirito, nel bruto; si trova lo spirito, senza la carne, nell'angelo. Di che apparisce che niuno dei due è fatto precisamente per l'altro. La carne nondimeno si trova congiunta allo spirito nell'uomo; nel quale, poichè costituiscono una sola persona, hanno necessariamente legame tra loro e subordinazione. La carne sottostà, lo spirito presiede; e benchè lo spirito non si mescoli nelle azioni della carne, ma lasci che essa eserciti gli atti suoi, secondo che sono proprii dell'animalità; nondimeno, quando essi nuocono al fine dello spirito, lo spirito comanda alla carne e la reprime, e se fa bisogno le prescrive digiuni ed altre afflizioni, anche con qualche detrimento e debilitazione del corpo, e costringe la lingua a tacere e gli occhi a non guardare. E parimente, se per conseguire il fine spirituale sia necessaria alcuna operazione della carne, e perfino la morte, lo spirito può comandare alla carne che a siffatto cimento esponga sè e le cose sue: come veggiamo essere avvenuto nei Martiri. In proporzionevol modo, il potere politico ha i suoi Principi, le sue leggi, i suoi tribunali, eccetera; e parimenti il potere ecclesiastico ha i suoi Vescovi, i suoi canoni, i suoi giudizii. Quello ha per fine la pace temporale; questo la vita eterna. Si possono trovar separati, come una volta al tempo degli Apostoli; e si possono trovar congiunti, come ora. Essendo congiunti, formano un sol corpo; e però debbono esser connessi per modo, che l'inferior potestà sia soggetta e subordinata alla superiore. Pertanto la potestà spirituale non si mescola nei negozii temporali, ma lascia che procedano liberamente, come per l'innanzi, purchè non nuocano al fine spirituale e non sieno necessarii al suo conseguimento. Dove ciò avvenga può e deve la potestà spirituale raffrenare e costringere la potestà temporale in tutti quei modi e quelle vie che appariscono necessarie [7].» Non si poteva più limpidamente esporre la distinzione e l'indipendenza relativa del potere civile, per ciò che riguarda meramente la cerchia delle cose temporali, e la sua dipendenza dal potere spirituale, quando le anzidette cose temporali toccano in qualche modo le spirituali.

III.

Per altro cammino possiamo giungere alla dimostrazione della medesima verità, ragionando dalla natura della Chiesa e dall'obbligo che ha ciascun uomo di riconoscere ed accettare il fatto soprannaturale della redenzione e rivelazione divina. La Chiesa è una società universale, istituita, indipendentemente dal secolo, per sola autorità divina, e fuori della quale a niuno è dato sperar salute. Ecco le parole che usò Cristo nello spedire gli Apostoli a stabilirla per tutto il mondo: «A me è stata data ogni potestà in cielo ed in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho imposte. Data est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti; docentes eos servare omnia, quaecumque mandavi vobis [8]. Qui è espresso da prima l'assoluto ed universale dominio, di cui Cristo è fregiato in virtù dell'unione ipostatica della sua umana natura col Verbo eterno; per la quale egli come è vero uomo, così è ancora vero Dio. Quindi egli giustamente è detto dall'Apostolo Paolo, Re dei Re e Signore dei Dominanti: Rex, Regum, et Dominus Dominantium [9]. In secondo luogo è espressa l'indipendenza della Chiesa da qualsiasi potestà mondana; giacchè, Cristo spedisce gli Apostoli, e impone loro di arrolare sotto il suo vessillo, mediante il battesimo, le genti tutte, e fa ad essi potestà di bandire dappertutto il Vangelo, in virtù solamente di quel suo assoluto ed universale dominio, comunicatogli dal divin Padre. Si ponga diligente attenzione a quel dunque, con cui egli connette coll'antecedente il conseguente. Data est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes. La missione e l'autorità è data da Lui agli Apostoli come sequela della sola autorità sua propria. Onde altrove si espresse così: Sicut misit me Pater, et Ego mitto vos [10]; la qual frase è anche più forte, perchè assomiglia la missione degli Apostoli a quella di Cristo stesso. In terzo luogo è espressa l'obbedienza, imposta ai credenti, in ordine a tutte le cose, che Cristo aveva prescritto agli Apostoli, tra le quali era certamente l'esercizio commesso loro di legare e di sciogliere le coscienze, e l'ufficio dato a Pietro di supremo Pastore e reggitor dei Fedeli. Ogni uomo a cui pervenga la sufficiente conoscenza di questa predicazione apostolica, ha stretto dovere di aderirvi, sotto pena di eterna dannazione. Il che, oltre al seguire dal detto testè, è spiegatamente affermato nell'ultimo capo del Vangelo di S. Marco, là dove Cristo dice agli Apostoli: «Andando nel mondo universo predicate l'Evangelio a ogni creatura. Chi crederà e riceverà il battesimo (vale a dire entrerà nella Chiesa, di cui il battesimo è la porta), sarà salvo; chi ripugnerà, sarà condannato. Euntes in mundum universum praedicate Evangelium omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur. In quarto luogo, l'intero mondo è assegnato per territorio della Chiesa, euntes in mundum universum; tutte le genti son sottoposte al magistero di lei, docete omnes gentes. E ciò a buon diritto potea farsi da Cristo, verace Dio; giacchè Domini est terra, et plenitudo eius, orbis terrarum, et universi qui habitant in ea [11]. La Chiesa dunque è istituita come società universale e suprema: suprema pel fine soprannaturale, a cui è guida e lucerna; suprema pel principio divino, da cui immediatamente procede; suprema per la condizione della sua potestà, che è mero rampollo e derivazione diretta del potere stesso di Dio. In lei entrano individui e nazioni; e gli uni e le altre restano sottomessi alla legge di Cristo, la quale viene applicata e spiegata per organo de' sacri Pastori, e massimamente del supremo tra essi, che tiene qui in terra il luogo di Pietro e le veci di Cristo.
Nè contro ciò avrebbe alcun peso la distinzione, che volesse farsi, tra individui e Stato. L'obbligo che stringe i primi, stringe eziandio il secondo. Infatti che cosa è lo Stato? Lo Stato può prendersi o per l'intera società civile, o per una parte di essa, quella cioè in cui risiede l'autorità, ordinatrice della moltitudine. Nel primo senso abbraccia tutti, governati e governanti; e se tutti hanno obbligo di entrar nella Chiesa e sottomettersi alla sua credenza, qui non crediderit condemnabitur, è chiaro che un tale obbligo stringe lo Stato; essendo assurdo che una cosa competa alle singole parti, e non competa al tutto. E che altro è il tutto, se non il composto e l'aggregazione delle parti? Nè varrebbe il dire che quell'obbligo stringe le singole parti della civil società, in quanto sono persone individue, e non in quanto sono membri del corpo sociale. Imperocchè una tal distinzione varrebbe, se si trattasse di ascriversi a qualche società, la quale si riferisse ad una parte sola dell'attività umana, come sarebbe una società scientifica o industriale, e che per conseguenza suol designarsi col nome di società imperfetta o di collegio. Ma in niun modo ha luogo qui, dove trattasi di entrare in una società, la quale ha rapporto con tutta quanta l'attività e personalità dell'uomo, come appunto è la Chiesa, e che quindi ha nome di società compiuta e perfetta. La Chiesa non è istituita per aiutare ad un fine particolare, come sarebbe la scienza esempligrazia o l'aumento della ricchezza; bensì è istituita per dirigere al fine universale e supremo di tutta la vita umana; il quale per questo appunto, che è universale e supremo, ha diritto ed influenza in tutti i fini secondarii, in quanto sono connessi con lui; e però si estende a tutto l'uomo, considerato come ente morale. Di che segue che ogni appartenenza dell'uomo è regolabile dalla Chiesa, mediante la legge divina, sotto l'aspetto in cui gli atti di esso uomo possono opporsi o son necessarii al conseguimento dell'eterna salute. Il credente entra in questa gran società con tutto sè e con tutte le relazioni, di cui è circondato, e sotto le quali il suo operare riveste il carattere di moralità, ed ha per conseguenza rapporto all'ultimo fine. Vi entra il soldato colle sue armi; il giureconsulto col suo codice; lo scrittore colla sua penna; il professore colla sua cattedra; il Re colla sua corona; il padre di famiglia col suo scettro domestico; il cittadino, generalmente, con tutti i suoi rapporti sociali. In ordine a tutto ciò l'operare umano, se riveste dignità morale, non può sottrarsi dalla suprema legge, regolatrice d'ogni moralità, qual è la legge evangelica, di cui è interprete e ministra la Chiesa. O stabiliremo nell'identico ed indivisibile uomo due imputabilità e due coscienze?
Alla stessa illazione si viene, se lo Stato si prende nel secondo senso: giacchè il governante, in quanto tale, non è per sè, ma per la moltitudine governata. Laonde egli dee conformare in guisa la sua azione, che risponda all'esigenza e al ben essere de' sudditi, e non impedisca ma agevoli l'adempimento in loro dei proprii doveri, e il fine a cui tendono in quanto uomini. Se dunque quest'esigenza e questo ben essere e il grido in essi del dovere importa soggezione ed obbedienza alla Chiesa; non può il governante prescindere da tal riguardo, nell'ordinare e dirigere il movimento sociale de' suoi soggetti. E ciò, come ognuno vede, nascendo dal concetto stesso di persona pubblica e ordinatrice del consorzio umano, dee aver luogo in qualsivoglia Stato, eziandio se per avventura il governante fosse eterodosso. Quanto più dove il governante è cattolico? Egli è soggetto alla legge e all'ordinamento di Dio non solo come uomo, ma ancora come principe. Sotto ambedue i rispetti egli dee rispondere delle sue azioni al supremo Giudice. Dixisti peccata Caroli, dic modo peccata Caesaris. Così giustamente il Soto a Carlo V. Altra è la maniera colla quale serve a Dio il principe in quanto uomo, ed altra è la maniera colla quale egli serve a Dio in quanto Re. In quanto uomo egli serve Dio, conformando alla fede la sua vita. In quanto Re serve a Dio, conformando alla fede le sue leggi, e il reggimento della repubblica. Aliter servit (Deo), dice S. Agostino, quia homo est, aliter quia etiam Rex est. Quia homo est, ei servit vivendo fideliter; quia vero etiam Rex est, servit, leges iusta praecipientes et contraria prohibentes convenienti rigore sanciendo: sicut servivit Ezechias lucos et templa idolorum, et illa excelsa, quae contra praecepta Dei fuerant constructa, destruendo ... sícut servivit Rex Ninivarum universam civitatem ad placandum Dominum compellendo ... sicut servivit Nabuchodonosor omnes in regno suopositos a blasphemando Deo lege terribili prohibendo [12]. Lo Stato adunque, comunque si prenda o si giri, non può sottrarsi dalla subordinazione alla Chiesa.

IV.

La relazione, in che dovea essere la Chiesa di Cristo col mondo politico, fu espressa al vivo dal profeta Daniele, quel vero storico dell'avvenire. È mestieri adunque richiamare qui alla mente quel suo famosissimo vaticinio.
Invitato egli da Nabucodonosor, signor de' Caldei, ad indicargli e interpretargli la simbolica visione da lui avuta in sogno: –– Tu hai veduto, o Re, dissegli, una grande statua di statura sublime e di guardo terribile. Il suo capo era d'oro finissimo; il petto e le braccia di argento; il ventre e le cosce di bronzo; le gambe di ferro, con piedi di cui una parte era ferro, ed un'altra creta. Questo miravi tu; quando, non per mano di uomo, si staccò una pietra dal monte e percosse la statua ne' piedi, e li ruppe. Allora si spezzarono ugualmente il ferro, la creta, il bronzo, l'argento e l'oro, e si ridussero come i bricioli della paglia all'estate sull'aia, dispersi dal vento. Senonchè, la pietra, che avea dato quel colpo, diventò un gran monte e riempi tutta quanta la terra. –– Narrato così il sogno, procedè a darne l'interpretazione in questi sensi: Tu, Nabucodonosor, sei Re di Re, e il Dio del cielo ti ha dato regno e fortezza e impero e gloria ... Tu sei adunque il capo d'oro. E dopo te un altro reame, da meno del tuo, si alzerà, che sarà d'argento; e poscia un terzo di bronzo, che comanderà a tutta quanta la terra. E il quarto reame sarà come il ferro. Siccome il ferro spezza e doma ogni cosa; così questo reame spezzerà e stritolerà tutte queste cose. Ma quanto a quello, che hai veduto, che una parte dei piedi e delle dita era di creta ed una parte di ferro, il regno, che per altro avrà origine dal ferro, sarà diviso, conforme vedesti mescolato il ferro colla creta. E come i diti dei piedi parte erano di ferro e parte di creta: così d'una parte il regno sarà saldo e d'altra parte sarà fragile. E, come hai veduto il ferro mescolato col fango della creta, si uniranno per via di parentela, ma non faranno corpo tra loro, come il ferro non può far corpo colla creta. Senonchè nel tempo di quei reami il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà disciolto in eterno, nè passerà ad altra gente; bensì farà in pezzi e consumerà tutti questi regni, ed esso starà immobile eternamente. Conforme tu vedesti che la pietra, la quale fu staccata dal monte, senza opera d'uomo, spezzò la creta, e il ferro, e il bronzo, e l'argento, e l'oro. In diebus regnorum illorum suscitabit Deus caeli regnum, quod in aeternum non dissipabitur: et regnum eius alteri populo non tradetur: comminuet autem et consumet universa regna haec, et ipsum stabit in aeternum. Secundum quod vidisti quod de monte abscissus est lapis, sine manibus, el comminuit testam, et ferrum, et aes, et argentum, et aurum [13].
Tutti gli Espositori della sacra Scrittura riconoscono qui, secondochè la cosa parla per sè medesima, la descrizione dei quattro imperi, che successivamente dominarono nel mondo, e da ultimo la Chiesa cattolica fondata da Cristo. Il primo impero fu de' Caldei, paragonato all'oro pel suo splendore e per le sue ricchezze. Il secondo fu de' Persiani, inferiore al primo per estensione e durata; giacchè l'impero babilonese può dirsi cominciato fin dai tempi di Semiramide, imperatrice di molte favelle [14]. Il terzo fu quello dei Greci, fondato da Alessandro il grande, il quale non pur soggiogò tutte le provincie dell'Impero persiano, ma estese ben oltre le sue conquiste, e spiegò dominio sopra l'intera Asia, l'Egitto, la Siria e buona parte altresì dell'Europa. Infine il quarto impero fu quello de' Romani, il quale si assoggettò tutti i regni dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia, figurato giustamente dal ferro, che tutto doma ed abbatte.
Quicunque mundi terminus obstitit,
Hunc tangat armis; visere gestiens
Qua parte debacchentur ignes.
Qua nebulae pluviique rores [15].
Il quale impero, cominciato a scindersi e indebolirsi per le dissensioni e guerre civili, prima tra Mario e Silla, poscia tra Cesare e Pompeo, quindi tra Augusto ed Antonio, con inutile sforzo tentò concordia tra i dissidenti per via di parentele, mediante il matrimonio di Pompeo colla figliuola di Cesare, e di Antonio colla sorella d'Augusto. Ed ecco appunto nel tempo, in cui quest'impero, giunto alla sua massima grandezza, riputavasi stabilmente assodato pel definitivo trionfo di Ottaviano; ecco, diciamo, staccarsi dal monte, senza opera d'uomo, la pietra simboleggiante il fondatore del quinto impero (Petra autem erat Christus), il quale distruggendo i precedenti si sarebbe lor surrogato, empiendo di sè tutta la terra, e durerebbe eterno.
Questo quinto impero differisce sostanzialmente dai precedenti; perchè impero spirituale, originato non dall'uomo, ma immediatamente da Dio, suscitabit Deus caeli regnum, destinato a dominare non per dato tempo ma senza fine, in aeternum non dissipabitur. Nondimeno esso, benchè destituto di armi materiali, doveva combattere l'impero della forza e vincerlo e a sè soggettarlo. Tre secoli di lotta furon mestieri per la pienezza di una tanta vittoria; finchè un bel giorno l'imperatore romano abbassa le armi, e si sottomette a Cristo nella sua Chiesa. «Costantino piissimo Imperatore (son parole di S. Gregorio) revocando la Repubblica dal perverso culto degli Idoli, si sottomise all'onnipotente Signore Gesù Cristo, e di tutto cuore convertì a Dio sè stesso con tutti i popoli a sè soggetti. Constantinus, piissimus Imperator, Rempublicam a perversis idolorum cultibus revocans, omnipotenti Domino Iesu Christo se subdidit, et cum subiectis populis tota ad Deum mente convertit [16].
Ecco stabilito il quinto impero spirituale di Cristo, per mezzo della Chiesa Cattolica. Et adorabunt eum omnes reges terrae, omnes gentes servient ei [17]. Intorno a che vuolsi diligentemente avvertire che questo spirituale dominio non consiste nel rimuovere ed in sè assorbire le supreme potestà secolari. Non eripit mortalia, Qui regna dat caelestia. Che anzi esso le assoda viemeglio e le nobilita, essendo proprio della grazia non distruggere, ma presupporre ed elevare a più sublime grado la natura. E neppure può dirsi che quel dominio spirituale si restringa al puro ordine religioso. Se così fosse, la statua di Nabucodonosor sarebbe apparsa composta dei diversi culti idolatrici, e non già dei diversi imperi temporali: e Daniele non avrebbe predetto di loro che sarebbero distrutti dal nuovo impero, consumet universa regna haec, ma solamente che sarebbero stati purgati. Dee dunque intendersi che mediante la distruzione dell'idolatria, e il riconoscimento di Cristo, redentore degli uomini e apportatore della legge di grazia, la Chiesa sarebbe stata la riordinatrice delle nazioni con potestà d'influire negli stessi loro Statuti e ordinamenti civili; e così in vero senso avrebbe abbattuti gl'imperi terreni, in quanto si sarebbe sostituita loro nella suprema direzione sociale. E così infatti veggiamo che da indi innanzi la norma ultima, regolatrice dei costumi delle nazioni, non fu più la volontà del despota o la legge dello Stato, ma fu la legge evangelica e la volontà di Dio, manifestata mediante la Chiesa. La Chiesa fu quella che creò la nuova civiltà, mediante i suoi Vescovi e i suoi Concilii, e massimamente i suoi Pontefici. La storia della Francia, della Spagna, dell'Inghilterra, della Germania, di tutti i popoli di Europa, ci sta dinanzi per rendere testimonianza di questa gran verità.
Obbietterassi: tutto ciò fia vero, finchè la Chiesa e lo Stato si considerano come congiunti insieme e come elementi del medesimo tutto, cioè della stessa società, civile ad un tempo e cristiana. Non già quando si considerano separati e disgiunti. E perciocchè si è recata di sopra la similitudine dello spirito e della carne; di questa possiamo valerci ancora qui. Congiunti nell'uomo la carne collo spirito, è certo che la prima dee sottostare al secondo. Ma separata l'una dall'altro, come accade nel bruto e nell'Angelo, potranno benissimo non aver più alcun rispetto tra loro. Or questa separazione appunto è quella, che si vuole e si cerca dal presente secolo; e recata che sia una volta in atto, tutta la teorica, fin qui dimostrata, non ha più luogo.
Rispondiamo, non parlar noi di ciò che segue dal porre in opera le stolte aspirazioni del secolo, bensì di ciò che segue dal porre in opera il disegno divino, e serbare l'ordinamento da lui segnato. Ora Dio ha congiunto nel reggimento delle nazioni redente lo Stato colla Chiesa; e una tal congiunzione dee osservarsi e mantenersi. Quod Deus coniunxit, homo non separet. E dove l'uomo colla sua perversità e malizia, resistendo ai disegni di Dio, giunga a sottrarsi dall'ordine imposto da lui; in ciò, oltre alla prevaricazione, che commette, non può che degradarsi e perturbarsi, non potendo tornare che a degradamento e perturbazione, l'uscir fuori la norma dell'ordinatore della natura. E per rifarci al punto nostro, lo Stato, senza dubbio, può, quanto al fatto, separarsi dalla Chiesa. Ma in ciò che gli accade? Quello che accade alla carne, separata dallo spirito: da umana divien belluina. Così ancora lo Stato acquisterà indipendenza, ma perderà nobiltà. Acquisterà indipendenza, ma l'indipendenza che il senso acquista nel bruto. Esso non rimarrà con altro scopo, se non con quello della vita presente, riguardato per sè medesimo come bene supremo ed assoluto; il che non può condurre che alla totale dissoluzione de' costumi ed all'oppressione civile dei popoli. Omnes qui te derelinquunt, confundentur; recedentes a te, in terra scribentur [18]. Esso diventerà ciò che era lo Stato pagano, non poggiato che sulla forza. La schiavitù farà di bel nuovo ritorno, sotto mentito nome di libertà. Anzi neppure agguaglierà lo Stato pagano; giacchè lo Stato pagano, senza la Chiesa, somigliava il bruto; ma lo Stato moderno somiglierebbe il cadavere. Esso, separandosi dalla Chiesa, si separerebbe dallo spirito, da cui già riceveva la vita. Di più lo Stato pagano era solo, senza competitore nel mondo, e potea quindi in qualche modo tenersi in pace. Ma dopo l'apparizione del Cristianesimo, all'impero della forza un nuovo impero sta di fronte, di cui egli, con tutti gli aiuti che invocherà dall'inferno, non potrà mai sbarazzarsi: Regnum quod in aeternum non dissipabitur. Invano si sforzerà di usurparne il diritto: Regnum eius alteri populo non tradetur. Costituita una volta da Cristo la Chiesa, necessariamente due distinti poteri debbono reggere il mondo: l'ecclesiastico ed il civile. E questi non possono stare in altra relazione tra loro, se non in quella, che nasce dalla loro natura e dall'intendimento divino; relazione, che, come abbiam veduto, non può essere se non la subordinazione del secondo al primo. Inventar sistemi per romperla, non può avere altro effetto, che eccitare di bel nuovo la guerra tra amendue: guerra esercitata col ferro, colle persecuzioni, colle stragi dall'una parte; e colla pazienza, colla sofferenza e col martirio dall'altra. Ma la guerra, benchè combattuta con armi sì disuguali, non può finire altrimenti, che col trionfo del regno che è duraturo in eterno. Se s'innalza novamente il colosso, la pietra staccata dal monte lo stritolerà novamente: Comminuet et consumet universa regna haec, el ipsum stabit in aeternum.
Replicherassi: ma i cattolici liberali non pensano così, e nondimeno bene spesso son di fede pura e fervente. Nè può dirsi che errino per ignoranza, poichè ci ha molti tra loro, i quali sono ornati d'ingegno e di dottrina. Che volete che vi rispondiamo? Noi abbiamo il mandato di chiarire e difendere la verità, e secondo le nostre deboli forze ci studiamo di compierlo. Quello di conciliare le altrui contraddizioni, nessuno ce lo ha dato finora; e dove ci fosse dato, non sapremmo come adempirlo.

NOTE:

[1] De Legibus, I. IV, cap. IX.
[2] De Reg. Princ. 1. I, c. XIV.
[3] Alcuni periodici e scrittori liberaleschi si sdegnano all'udir dire dommatica cotesta bolla. Ma essa evidentemente è tale, sia che si riguardi la materia che contiene, sia che l'autorità da cui fu emanata. Il Pontefice parla in essa a tutta la Chiesa, e parla in qualità di maestro, insegnando intorno a punti dottrinali rilevantissimi, qual è certamente la relazione tra lo Stato e la Chiesa. Infine conchiude la bolla con espressa definizione: Subesse romano Pontifici, omni humanae creaturae, declaramus, dicimus, definimus, et pronunciamus omnino esse de necessitate salutis. Quanto poi all'autorità, essa non solo ha quella di Bonifazio VIII , la quale di per sè basterebbe, ma ha quella altresì di Leone X, che la confermò nell'altra sua bolla, con cui condannò ed annullò la così detta Prammatica sanzione di Francia. In fine ha l'approvazione d'un Concilio universale, qual fu il quinto Lateranese. Ecco le parole di Papa Leone: Cum de necessitate salutis existat, omnes Christi fideles romano Pontifici subesse, prout divinae Scripturae et sanctorum Patrum testimonio edocemur, ac constitutione fel. mem. Bonifacii Papae VIII, similiter praedecessoris nostri, quae incipit Unam sanctam, declaratur; pro eorundem animarum salute, ac Romani Pontificis, et huius sanctae Sedis suprema auctoritate, et Ecclesiae sponsae suae unitate et potestate, Constitutionem ipsam, sacro praesenti Concilio approbante, innovamus et approbamus. Or non è dommatica una bolla sancita da due Pontefici con l'approvazione d'un Concilio ecumenico, e contenente una solenne definizione? Corpus Iuris Canonici, t. 2. sept. decret. l. III. tit. VII. De Conciliis.
[4] Vedi Corpus Iuris Canonici, t. 2. Extr. commun. l. I, tit. VIII.
[5] Sicut homo non esset recte compositus, nisi corpus esset animae subordinatum; ita neque Ecclesia esset convenienter instituta, nisi temporalis potestas spirituali subderetur ... Ubi est unum corpus, necesse est esse unum caput, ad quod omnia aliquo modo revocentur; quoniam alias neque pax, neque perfecta unitas posset esse in corpore. Ecclesia autem Christi unum corpus est, ut diximus. Ergo quamvis in eo sint plures potestates, seu magistratus, necesse est, ut inter se habeant subordinationem, ita ut ad unum aliquo modo revocentur propter rationem factam. Ergo vel spiritualis potestas subordinatur temporali, vel e contrario. Primum dici non potest: nam ut ibidem ex Paulo affert Pontifex: Quae a Deo sunt, ordinatae sunt; esset autem perversus ordo, si spiritualia subiecta essent temporalibus. Ergo secundum necessario dicendum est. De Legibus, lib. IV, cap. IX.
[6] Potest nova confirmatio addi, fundata in verbis Gelasii Papae in cap. Duo sunt, 96 dist. Quia pro animabus regum Pontifices sunt reddituri rationem, insinuans in verbis illis, Pasce oves meas, etiam Reges, et Imperatores Petro fuisse subiectos, quia sub Christi ovibus comprehendi debent; ergo etiam debent pasci, et regi a Petro: iam enim explicuimus sub verbo, pascendi, etiam potestatem regendi contineri. Dices, hoc verum esse quoad spirituale regimen. Sed contra, quia regula regiminis temporalis, ut sit rectum et honestum, debet esse spiritualis; ergo necesse est, ut ipsamet potestas temporaliter regendi reguletur per spiritualem, et hoc est illi esse subiectam et subordinatam. Et hac ratione Pontifices reddituri sunt rationem pro Regibus et Imperatoribus, quia ad illos pertinet corrigere, et emendare quidquid ipsi non solum ut homines, sed etiam ut Reges in usu suae potestatis peccaverint. Luogo sopraccitato.
[7] De Controv. t. I. De romano Pontifice, lib V. cap. VI.
[8] Matthaei, capite ultimo
[9] I. ad Thimot. VI. 5.
[10] Ioan. XX, 21.
[11] Psalm. XXIII.
[12] Epist. 185, alias 50. ad Bonifacium.
[13] Profezia di Daniele, c. 2.
[14] Dante, Inferno c. V.
[15] Orazio, Odarum lib. IV.
[16] Epist. 60.
[17] Psalm. LXXI.
[18]  Prophetia Ieremiae, XVII, 13. [«Exspectatio Israël Domine: omnes qui te derelinquunt, confundentur: recedentes a te, in terra scribentur: quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium Dominum.
O Signore, espettazione d'Israele: tutti quegli, che ti abbandonano, saranno confusi, coloro, che si allontanano da te, saranno scritti nella terra: perchè hanno abbandonato la sorgente delle acque vive, il Signore.»
Mons. Antonio Martini nella sua traduzione commentata della Sacra Scrittura così spiega il versetto: 
«Vers. 13. Espettazione di Israele. La sola speranza de' veri figliuoli d'Abramo e di Giacobbe, de' veri Israeliti.
Saranno scritti nella terra: cioè nella polvere, maniera di proverbio simile a quello de' latini, che dicevano, scritte nell'acqua le promesse vane e fallaci.» (Da: Vecchio e Nuovo Testamento... Tomo XVI, Prato 1829, pag. 146-147) N.d.R.]