lunedì 10 settembre 2012

La Civiltà Cattolica, anno XXXII, serie XI, vol. VIII (fasc. 751, 21 sett. 1881) Firenze 1881, pag. 43-63. R.P. Giovanni M. Cornoldi d.C.d.G. LA TEOSOFIA DEL ROSMINI (PARTE SESTA)

Antonio Rosmini
 
SEGUE L'ESAME CRITICO

LA DOTTRINA DELLA TEOSOFIA È PANTEISMO

I.

Vana difesa che fa il Rosmini della sua dottrina accusata di Panteismo.

È vezzo comune confondere il panteismo coll'ateismo; e però vengono volgarmente detti panteisti que' materialisti, che nulla ammettono di sussistente, fuori della materia, e chiamano Dio l'aggregazione di tutti i corpi, ossia l'universo intero. Questi, a vero dire, sono ateisti. Veri panteisti sono quelli, che ammettono un Dio sussistente increato ed eterno, fornito d'intelletto e di volontà, infinito nella perfezione, uno nella natura e trino nelle persone; ed insieme affermano che l'essere delle cose è divino, perchè v'è un essere solo, e quest'essere è l'essere stesso increato ed eterno: ond'è che negano conseguentemente la creazione nel senso cattolico. La dottrina del Rosmini, qual è espressa nella Teosofia, è certissimamente cotesto panteismo. Vi cadde il Rosmini, forse per la tragrande difficoltà che sperimentava nell'ammettere che proprio effetto della creazione sia l'essere delle cose, il quale venga tratto dal nulla, come in cento luoghi insegna l'Aquinate, e come viene insegnato dalla ragione e dalla rivelazione. Tuttavia incliniamo a credere ch'egli si studiasse con somma sollecitudine di giustificare sè medesimo innanzi alla propria coscienza, non che innanzi agli altri; onde venne quell'inventare una infinità di distinzioni, quell'impigliarsi in un labirinto di sofismi, quell'escogitare una moltitudine incredibile di strane e nuove ipotesi senza confortarle di prove, quel protestare assai spesso ch'ei non era panteista, nè panteismo la sua dottrina; e in tutto ciò procedere non con quel metodo scientifico col quale il maestro cerca di dimostrarele sue sentenze al discepolo, affinchè n'abbia scienza, ma quasi sempre con tono dogmatico mostrando di richiedere dai lettori fede a suoi detti e nulla più. Molti presso a quali il Rosmini è in estimazione di dotto e di pio, a priori giudicano della bontà della sua dottrina: altri che hanno letto alquanto de' suoi scritti e nulla o pochissimo ne hanno capito, credono alle sue affermazioni: finalmente altri hanno afferrata la sua dottrina, e a dispetto della verità ed anche dell'autorità di filosofi illustri antichi e moderni l'hanno seguita o per malizia o meglio per vaghezza di novità e per leggerezza imprudente. La legge della cristiana carità ci prescrive di amare tutti gli uomini e di rispettare le loro persone, ma non già le loro opinioni, salvo se sieno conciliabili con la verità, nè le loro azioni se rette e giuste non sono. Laonde noi alla stima, che abbiamo ed al rispetto per la persona del Rosmini, non credemmo opposto il dovere, per bene comune, di esaminare spassionatamente la sua dottrina, biasimarla, riprovarla ed esortar altri che incauti non se ne imbevano.
Or nostro còmpito è ascoltare e pesare il valore delle difese che fa il Rosmini, quando si studia di cessare da sè la taccia di panteista. Ma qui il lettore ci chiederà; se il Rosmini tenea per certo che la sua fosse la dottrina dell'Aquinate, come pretendono alcuni de' suoi seguaci assai poco istruiti in questa materia, perchè non imita lo stesso santo dottore che giammai non si mostrò sollecito di purgarsi dalla taccia di panteista, ma invece Rosmini ad ogni tratto mostra timore della sua fama e ne prende le difese? A tutta risposta diremo che il Rosmini dovea essere convinto, perchè di mente acuta, che la sua era una dottrina diametralmente opposta a quella dell'Angelico. Ma tiriamo innanzi e rechiamo le difese del roveretano.
«A questo passo, egli dice, noi ci troviamo acconci a rispondere anche alle obbiezioni di quelli che professano il Panteismo ontologico. Ascoltiamoli.
Voi dite che l'essere è il primo atto di tutte le cose e finite e infinite, di maniera che queste sono sempre determinazioni e termini dell'essere. L'essere dunque è il subietto di tali passioni. Dunque v'ha un subietto solo, e questo è l'essere; e tutto il rimanente, l'universo con tutto ciò che contiene, anzi tutto ciò che si concepisce, non è che passione e attributo di un unico subietto: se unico è il subietto, dunque unica è la sostanza. Noi panteisti vi accordiamo tutto ciò: voi siete con noi.
E che il nostro sistema, cioè il panteismo, sia non solo vero ma inevitabile, ve lo proviamo da questo, che in esso incappate da qualunque parte voi vi volgete. Poco prima avete insegnato coll'Angelico dottore, che tutti i generi di cose si concepiscono ex additione ad ens, e che questa giunta, che si fa all'ente in concependo l'altre cose, non è altro che quella del modo dell'ente. Se tutta la varietà delle cose si riduce ad essere il modo dell'ente, dunque rimane un ente unico, un unico soggetto de' suoi modi [1]
Questa è la difficoltà o meglio l'accusa di panteismo che il Rosmini muove contro la propria dottrina. Osserviamo in primo luogo come avrebbe dovuto rispondere il Rosmini, se avesse professato la dottrina dell'Angelico, e fosse stato sinceramente contrario al panteismo. In secondo luogo vediamo come professando la dottrina che nella Teosofia professò, avrebbe dovuto rispondere se avesse voluto essere franco e leale. In terzo luogo rechiamo la risposta quale egli la diede.
In primo luogo adunque, se fosse stato sinceramente avverso al panteismo e seguace della dottrina dell'Angelico, avrebbe dovuto ai panteisti rispondere presso a poco in questa sentenza. Egli è ben vero che noi diciamo che l'essere è il primo atto di tutte le cose, di maniera che queste sono sempre determinati esseri: ma in maniera affatto diversa dalla vostra. Conciossiachè voi tenete esistere un solo essere ed increato, e questo costituite come il primo atto di tutte le cose; ciò noi non diciamo. A ciascuna cosa noi diamo il suo proprioessere, ed anzi diciamo che il concetto dell'essere non è univoco ma analogo; specialmente allorquando si riferisce all'essera divino ed a quello delle creature. Inoltre noi non diciamo già che le cosesieno determinazioni o termini dell'essere: ma invece diciamo che le cose sono essere variamente determinato: perchè non mettiamo la quiddità della cosa in un concetto negativo qual è quello dei limiti, ma bensì in un positivo qual è quello dell'essere limitato.
E quando noi diciamo che ciascuna cosa ha il suo proprio essere, non intendiamo già dire che un essere identico, sussistente insieme e comune, viene a farsi essere di ogni cosa singolare: ma intendiamo dire che ogni sostanza da Dio prodotta ha l'essere, di cui consta, creato dal nulla, separato dall'essere di ogni altra cosa e tutto suo proprio. Per questo non diciamo che la sua essenza sia il suo essere e molto meno che la sua essenza sia l'essere. Non diciamo il primo, perchè così daremmo al contingente ciò che è proprio del necessario: non diciamo l'altro, perchè quando dicesi l'essere si esprime un concetto universale, che da nessun essere particolare può adequatamente esprimersi.
Tutto ciò che segue nella prima parte della difficoltà non fa per noi. Si vuole inferire che unico è il subietto di tutte le cose ond'è costituito l'universo, e però unica la sostanza: ma non regge l'illazione. Infatti se l'essere, che è atto primo di tutte le cose esistenti, fosse unico e sussistente e, quantunque unico, fosse l'attocomune di tutte, a tutte riferendosi variamente, la illazione sarebbe giusta; cioè e ci sarebbe in tutte le cose un unico soggetto e ci sarebbe un'unica sostanza;perchè dall'unità e dalla molteplicità dell'essere deriva la unità o la molteplicità delle sostanze. Ma ciascuna cosa ha il suo proprio essere, da Dio creato; sicchè, essendovi moltiplicità nell'essere, v'è moltiplicità di soggetti e moltiplicità di sostanze. Tuttavia cotesta moltiplicità di esseri, onde viene la moltiplicità degli enti individui, non toglie l'unità transcendentale dell'essere, la quale in ciò consiste, che l'essere d'ogni cosa sia ragguagliato alla nozione analogica dell'essere che è nella mente umana: come il marmo, che non è identico nelle molte statue in esso scolpite, è ragguagliato alla nozione univoca di marmo concepita da noi.
Ciò che si oppone nella seconda parte della difficoltà, cioè che, in forza dei principi dell'Aquinate, il Panteismo è inevitabile, è fuor dì proposito, e pecca per falsa supposizione. Imperocchè non insegnò mai l'Aquinate che tutte le singole cose siano determinazioni varie o modi di uno stesso ed identico essere, come falsamente suppongono gli avversarii; ma bensì che l'essere d'ogni cosa è una espressione della nozione dell'essere; la quale espressione non è univoca ma analoga, perchè l'essere in tutte le cose non è univoco ma analogo; ed inoltre insegnò che le diversità specifiche e generiche nell'essere stesso derivano non dall'essere in quanto essere, ma dalle varie sue determinazioni o dai varii modi ond'esso è attuato. Adunque rigettandosi da noi l'unità e l'identità dell'essere, ed ammettendosi che l'esseredelle cose è tratto per creazione dal nulla, distiamo infinitamente dal panteismo. Presso a poco così dovea rispondere il Rosmini ai panteisti, se fosse stato seguace della dottrina dell'Angelico.
Ma il Rosmini non poteva affatto dare questa risposta, perchè tutto il suo sistema filosofico ha per fondamento l'unità dell'essere; nè disse, nè potè dire che l'essere delle cose è creato. Che se lo avesse detto creato, sarebbe stato in senso metaforico e non proprio, come disse creatura quell'essere iniziale, che secondo lui, è divino, che anzi è la stessa essenza divina ragguardata soltanto come essere inizio od atto primo di tutti gli enti. Il quale essere iniziale divino, secondo la terminologia rosminiana, devesi dire dialettico; perchè così, com'è ragguardato, non esiste, essendochè la divina essenza è l'essere essenzialmente terminato nelle tre forme proprie, reale, ideale, morale: e così è Dio. Poichè il Rosmini non può purgare la sua dottrina dalla taccia di panteismo rispondendo in una maniera schietta e franca; e dall'altro lato vuole farla passare per non rea, anche innanzi alla propria coscienza, va arzigogolando in un labirinto di sofismi e si studia di confondersi e di confondere altrui.
Ecco infatti come risponde alla difficoltà sopra esposta. «All'una e all'altra di queste due argomentazioni si trova solidissimo fondamento da rispondere nelle distinzioni che precedentemente abbiam fatto. Conviene distinguere due classi di subietti; quelli che abbiamo altrove chiamati antecedentio antesubietti, e quelli che chiameremo subietti insiti o semplicemente subietti. Il subietto antecedente, o l'antesubietto, è quell'atto che precede necessariamente una qualche natura, e da cui questa natura dipende; tuttavia, appunto perchè un tal atto precede non costituisce questa natura, ma è come un preambolo alla stessa, ne è la radice o la condizione indispensabile. Il subietto insito all'opposto costituisce la natura di cui si tratta.
Da questa distinzione apparisce quanto sia infermo il primo de' due argomenti sopradetti, a favore del Panteismo. Che tutte le cose abbiano un unico subietto non si nega, ma si dichiara; e si dichiara mostrandosi questo subietto, rispetto alle realità finite, non essere un subietto insito, quasi le costituisca: essere invece un antesubietto che le precede, e non costituisce, ma soltanto fa essere la loro natura reale: un atto dato egualmente a tutte le diverse realità finite, il quale perciò non determina la natura di nessuna. Dunque quest'antesubietto nè fa che tutte le cose sieno una natura sola divina, nè toglie la pluralità dei subietti insiti e reali, i quali costituiscono le diverse nature.
Da questa distinzione discende del pari la soluzione del secondo argomento recato in favore del Panteismo, e giustifica la maniera con cui s'esprime l'Aquinate, quando tutte le cose finite e tutto ciò che si può predicare dell'essere chiama modidell'essere stesso; perchè il subietto a cui si riferiscono questi modi non è un subietto insito alle cose, ma è il loro antesubietto. Ora, come quest'antesubietto, benchè unico, non toglie punto i molti subietti insiti e naturali, anzi fa che sieno, così niente impedisce che questi subietti che sono, relativamente a sè, atti primi e non modi (che i modi appartengono a una classe d'atti secondi), sieno modi relativamente all'essere, il quale è l'atto precedente che non costituisce punto la loro natura, ma solo la fa essere. Rimane sempre che i subietti insiti e naturali sieno molti e di natura diversa dall'antesubietto, del quale non sono già modi per loro natura, ma sono modi per la natura dell'essere ch'è un atto antecedente ad essi. Così, le prime pietre che si pongono al fondamento di una casa sono il fondamento della casa, e questo non toglie che sotto le stesse prime pietre stia la terra, che sostiene il fondamento con tutta la casa, e che tuttavia non è la casa» (l. c.). Prima di metter mano a sbrogliare l'arruffata matassa di questa risposta, non possiamo fare a meno di rimproverare il Rosmini, perchè in essa mostra di supporre che l'Aquinate professi la panteistica sua sentenza, che vi sia un essere solo increato, e che tutte le cose sieno di fatto modi dell'essere stesso. Ma il Rosmini tiene questo tristissimo vezzo non solo coll'Angelico, ma anco col Suarez ed altri scolastici, adoperando talvolta le loro testimonianze, quasi fossero dello stesso suo sistema e correggendoli se non si esprimono com'egli esprime sè medesimo. L'Angelico non avea bisogno di essere difeso dalla taccia di panteista dal Rosmini, e se questi volea professare una dottrina tutta propria, dovea avere anco il coraggio di appropriarsela, e non mai, per darle credito, attribuirla al massimo dei dottori filosofi e teologi, vogliam dire a S. Tommaso d'Aquino.
Tutta la virtù della risposta del Rosmini sta nel meschino ritrovato di una parola, che sfuggì disgraziatamente alla mente angelica dell'Aquinate. La parola è antesubietto. Se l'essere fosse unico subietto soltanto ed insieme non si dovesse dire antesubietto di tutte le cose, allora direbbe il Rosmini, do manus victas, la mia dottrina è panteismo della più nera tinta. Ma l'essere non è solo subietto, bensì è antesubietto. E per sostituire alla parola fondamento quella di subietto, osserva che la terra si può dire antesubietto, nel quale stanno le grosse pietre (se pure essendo composta di rocce, non abbiasi bisogno di altro fondamento) che sono il soggetto, sopra il quale sta la casa. La terra è un antesubietto comunea tutte le città, a tutt'i templi, a tutte le case; vi sono poi i subietti proprii di queste cose: però possiamo dire; qui la terra è antesubietto di questa casa, là di quell'altra. L'essere è l'atto comune di tutti gli enti (ce lo ripetè il Rosmini a sazietà), ma lo è mediante i generi, e le specie. Quindi esso, perchè comune a tutti, è antesubietto. «Rispetto agli enti finiti si distinguono più antesubietti, di tutti i quali primo è l'essere, con sotto a sè una schiera di loro, tra quali i generici e li specifici; e ultimo l'essenza specifica, piena, predicata [2].» Ma v'è un doppio antesubietto: dialettico ed ontologico. Pazienza, caro lettore, e perdona al Rosmini l'uso di tanti termini insoliti. Ciascun termine è per lui un rampino, cui s'aggrappa quand'altri lo spinge a terra. Il dialettico è l'essere quando si prende a fondamento del discorsosoltanto: che se poi l'essere in sè è vero fondamento primo della cosa pensata, allora l'essere è antesubietto dialettico insieme ed ontologico. Così p. e. perchè io non posso pensare a Pietro senza pensare all'essere, l'essere è antesubietto dialettico: e perchè Pietro tutto si fonda nell'essere senza il quale sarebbe nulla (secondo i testi allegati dello stesso Rosmini), perciò l'essere rispetto a Pietro è anche antesubietto ontologico. Se non che ontologicamente considerato«l'essere è l'atto d'ogniente e d'ogni entità» [3]; però l'essere, perchè atto comune, è antesubietto dialettico ed ontologicodi tutti gli enti e di tutte le entità. «Se questa dottrina s'applica a Dio, apparisce che l'antesubietto cessa, acquistando l'essere ragione di subietto, ch'è Dio stesso: Se s'applica alle entità finite, l'essere non è subietto ma antesubietto ontologico ad un tempo e dialettico [4]
Rammenta, saggio lettore, ciò che testè dicevamo che oltre l'essere antesubietto, noi abbiamo altri antesubietti generici e specifici i quali poi tutti riduconsi alla quidditàdell'ente stesso. Ora il Rosmini ci ha già assai bene inculcato (Esp. § XIII) che «la quiddità dell'ente finito è costituita dai limiti della entità ed è negativa,»e che tutto e solo, ciò ch'è di positivo nell'ente, è l'essere: per la qual cosa se que' panteisti, che studiavansi di dimostrare al Rosmini ch'era seco loro d'accordo, intendevano per unico soggetto di tutte le cose non ciò ch'è negativo, ma ciò ch'è positivo (nè poteano intendere altramente) l'antesubietto essere sarebbe divenuto vero ed unico soggetto, e la dottrina del Rosmini sarebbe stata dichiarata vero panteismo. Ond'è che egli ci ha detto. «Perchè dunque si dice assolutamente: la pietra è essere, l'uomo è essere, ecc.? Perchè io non posso in alcuna maniera trovare nella pietra o nell'uomo qualche cosa, che non sia essere, per quantunque e in qualunque modo io la scomponga col pensiero: anche tutte le differenze delle cose sono essere: perciò si dice che le cose sono essere.» Quindi più sotto. «Abbiam veduto che l'essere è elemento primo, essenziale d'ogni entità, per modo che i termini, tolto via lui, si annullano davanti al pensiero o diventano assurdi: e che questi altro non sono che un finimento e quasi una continuazione di atto dell'essere stesso. Di qui procede che l'essere si concepisca come inizio di ogni entità, e il subietto di tutti i termini che finiscono le entità, di cui si tratta: e quindi che dell'essere stesso si possono predicare i termini, dicendosi a ragione d'esempio: L'essere qui è questa pietra, quest'uomo ecc. le quali maniere esprimono un'altra forma dialettica della stessa identità tra l'essere e i suoi termini [5].» Adunque quell'unico essere che il Rosmini ci avea detto essere antesubietto, qui vien considerato ancora, ed a tutta ragione (secondo i suoi principii) quale subietto. Posto ciò, che vale al Rosmini addurre la parola antesubietto per francare la sua dottrina dall'accusa di panteismo, se egli poi concede che tale antesubietto sia anco subietto? La sua risposta è nulla. Sarebbe un'altra faccenda, se all'antesubietto non desse la definizionedi atto di ogni entità, ma lo dicesse causa efficiente dell'essere delle cose tratto dal nulla. Ma questo non disse nè potè dire. Il paragone poi ch'ei reca della terra e degli immediati fondamenti vie maggiormente mostra la imbecillità della sua difesa. Conciossiachè come la terra non è causa efficiente dell'essere degli edifizii, ma è primo e vero subietto comune di tutti; così l'essere rosminiano non è causa efficiente, ma primo comune subietto di tutte le cose, il quale, solo perchè primo e comune, si dice antesubietto. Eppur chi sa quanti male accorti per questa meschina parola antesubietto non si saranno dati a credere, che la difesa del Rosmini, anzichè puerile, sia gagliarda e vittoriosa?

II.

Fattezze teologiche proprie del sistema di Rosmini

Ormai il lettore è reso certo che il sistema filosofico del Rosmini è panteismo; l'unità dell'essere, la negazione della vera creazione e il modo stesso onde il Rosmini si difende hanno recata una piena dimostrazione di cotesto tristissimo fatto. Ma il lettore di ciò convinto non avrà ancora una chiara cognizione del come gli enti sono in Dio, secondo la dottrina rosminiana, e se debba il panteismo rosminiano dirsi simile al panteismo dello Spinosa. Al che rispondiamo, che sebbene alla fin fine chi si attenga al panteismo rosminiano, presto o tardi sia per cadere nel panteismo dello Spinosa; tuttavia il panteismo rosminiano ha un carattere tutto suo proprio, il quale consiste nell'avere preso a sua base ciò ch'è base della teologia rivelata, vogliam dire la santissima Trinità. Ma il dire così non appaga il lettore che vorrebbe vederne più chiare le tinte, per ben conoscere che cosa mai sono in Dio quegli enti finiti il cui essere noi cattolici diciamo, con S. Tommaso, tratto dal nulla. Non è agevole appagare questa naturale curiosità del lettore, perchè non è agevole render chiara una dottrina, il cui autore ha posto tutto l'impegno per renderla oscura, acciocchè disparisca l'intima sua reità. Tuttavolta ci proveremo.
Che cotesto panteismo dicasi convenientemente ontologico, perchè tutto si fonda nell'unità dell'essere, è cosa manifestissima; ma non basta. Conviene indagare che cosa mai sieno in Dio quelli enti che noi diciamo esistenti e finiti.
Dio, quale lo prende il Rosmini, è uno nella essenza, sostanza, natura, e trino nelle persone; le quali sono Padre, Figliuolo e Spirito Santo: o per parlare con le sue stesse parole: Dio è l'essere infinito nelle tre forme assolute reale, ideale, morale: ossia nella forma subiettiva, oggettiva, santitativa. Ciò posto diciamo, che secondo il Rosmini gli enti finiti esistenti si devono dire in primo luogo fuori della divina essenza, natura, sostanza, solo perchè essi non la costituiscono. Debbono altresì dirsi fuoridi ogni divina persona, solo perchè nessuna persona è costituita, come persona, dagli enti stessi. Però il Rosmini non dirà mai che gli enti finiti sono la natura, la sostanza, l'essenza divina o l'essere stesso: nè che sono il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo. Ma si potranno dire almeno parte? Non già: perchè se essi presuppongono già costituita la natura divina e ciascuna delle divine persone, non possono avere ragioni di parti necessarie alla loro costituzione. E specialmente per questa significazione (ch'è ben singolare e falsa) dà alla parolafuori, il Rosmini vuole persuadere i semplici della discrepanza che corre tra la sua dottrina e il panteismo. «Coll'espressione è fuoridi Dio altro non si vuol dire, se non che il reale finito in quanto appartiene alla esistenza subiettiva degli enti finiti, non costituisce l'essenza divina, o alcuna parte di questa essenza [6]
Che se l'ente contingente non constituisce nè la natura di Dio nè le divine persone, secondo il Rosmini, vuolsi dire ancora fuori di Dio, perchè non lo costituisce. Ma pure non ha proprio essere creato; perchè l'identico essere è comune a tutti, a Dio ed ai contingenti, e perciò adoperando il fuori nella significazione volgare devesi in verità dire che non è fuori di Dio, ma entro Dio, e dalle spiegazioni del Rosmini abbiamo anche descritta la maniera ond'è in Dio.
Crediamo di esprimere più nettamente, che altri abbia fatto, il pensiero del Rosmini dicendo, che gli enti finiti sono come tanti divini pronunciati. L'essere assoluto soggettivo o reale pronuncia il Verbo; il quale è tutto l'Essere assoluto soggettivo o reale, senza limiti, inteso, oggettivo, ideale. Il Verbo è l'assoluto pronunciato. Lo stesso essere assoluto soggettivo o reale pronuncia tutti gli esseri finiti; ogni pronunciamento è una limitazione della forma reale dell'Essere pronunciante; e perciò ciascun ente è un pronunciato, che non è l'essere assoluto inteso tutto e totalmente, ma è una forma realelimitata nel pronunciamento, e in questo riferita all'essere tutto, ma non totalmente preso. Per lo che, ripetiamo, gli enti finiti non sonofuori di Dio, secondo la significazione che danno alla parola fuoritutti gli uomini, i quali pensano che non sia fuori dell'uomo p. e. l'ira o l'amore, questo o quel pensiero, sebbene cotali cose suppongano di già costituita la essenza del medesimo uomo. N'è soddisfatto il lettore? Forse egli, letta cotesta spiegazione, dirà fra sè: qui potest capere capiat! e sebbene non dubiti della reità essenziale della dottrina, assai penerà a chiarirsi delle sue particolari fattezze. E noi gli metteremo sotto gli occhi alla distesa altre testimonianze del Rosmini, affinchè egli stesso si formi un concetto più chiaro, s'è possibile, di quello che gli abbiamo suggerito.
«Continuisi a considerare, dice il Rosmini, che cosa si contenga nel concetto dell'essere unico, posto che la sua natura sia quella di esser atto intellettivo volitivo infinito. Tuttol'essere è intelligente:tutto l'essere è inteso. L'essere intelligente è persona: l'essere inteso col detto eccesso è persona. Esser persona importa avere un'azione propria, una propria energia, principio del continuo sempiterno atto. Perciò l'intellezione deve non solo conoscere sè stessa, essere assoluto oggetto, nella sua infinità, maparzialmente altresì, entro i limiti che ad essa piace di stabilire, i quali limiti solo virtualmente sono nell'essere assoluto intelligibile [7].» A chiarirci questo concetto di virtualmenteci ha recato altrove la similitudine di una figura geometrica p. e. di un circolo nel quale possiamo fare con lo sguardo mentale delle limitazioni e così le figure oggettidella nostra intellezione; senza che perciò il circolo stesso sia con le concepite limitazioni in sèdiviso. Qui poi a renderci più accostevole questa divina limitazione finge due atti nella intelligenza divina. «A vincerla (cioè la difficoltà dei molti oggetti intesi dalla mente divina), si supponga che la mente che ha presente l'oggetto illimitato, faccia due atti diversi su questo oggetto, e che questi atti permangano nella mente: coll'uno di essi guarda tutto l'oggetto illimitato, col secondo guarda entro a quest'oggetto qualche cosa, lasciandone da parte il resto. Questi due atti essendo permanenti nella mente, ella per essi avrà presenti due oggetti, cioè l'oggetto illimitato termine del primo atto, e l'oggetto limitato o sia la cosa veduta dentro al primo.
«Il subietto di questi limiti è l'oggetto limitato, e non l'oggetto illimitato (avverta il lettore a questa sentenza). Essendo gli atti della mente principio di tali oggetti, gli oggetti diveranno due e più, secondo gli atti della mente, senza che si possa dire che l'oggetto limitato sia l'illimitato a cui sono stati imposti i limiti, ma solo potendosi dire che la mente s'è servita dell'oggetto illimitatocontenente, (si noti che il contenente è antesubietto)per formarsi l'oggetto limitato contenuto in quello. Or se noi, invece di supporre che la mente facesse tutto ciò con due atti, supporrem che lo faccia con un atto solo, intenderemo come l'atto intellettivo infinito possa senza assurdo avere per suo oggetto l'infinito, e dentro questo il finito; e come possano essere due oggetti rimanendo uno l'atto intellettivo infinito che li produce[8].» Il Rosmini in ciascuno di questi oggetti considera due elementi l'uno positivo –– materia divina ––l'altro negativo –– limiti [9]. Ma qual sarà la materia? Siccome la persona è pienamente determinata, «conviene ch'ella (la mente) prima di tutto coll'astrazione levi via dal suo oggetto il principio personale, unificante e determinante. Qual è il residuo dell'oggetto infinito, che le rimane presente, rimosso da quest'oggetto il principio personale e determinante? Le rimane un indeterminato; e l'indeterminato è appunto ciò che fu chiamato materiain senso universale... Ma l'astrazione che si esercita sull'oggetto infinito ed assoluto ha due gradi; poichè o si può astrarre dalle sole tre persone divine, o anche dalle forme dell'essere. Supponendo che la mente divina astragga dalla sola personalità che c'è nell'essere, rimangono ancora le tre forme dell'essere, ma impersonali, le quali perciò appunto, rimangono indeterminate come essenze terminative. Di qui si hanno tre primitivi indeterminati o materie, che sono 1° la realità, o materia reale; 2° la materia ideale; 3° la materia morale. Ora egli è chiaro, che la realitàsi concepisce come un'essenza indeterminata determinabile in varii modi; del pari l'idealità... lo stesso è a dirsi della moralità. Così considerate dunque, astrazione fatta dal subietto o dalla persona, quelle tre essenze prendono la condizione d'indeterminati determinabili, e sono le tre materie primitive, le tre forme dell'essere considerate astrattamente dal loro subietto. Ma se oltracciò si astrae anche dalla forma dell'essere, in tal caso il residuo che sta dinanzi alla mente è l'essere affatto indeterminato [10].»Adunque nell'essere assoluto cioè in Dio queste cose voglionsi sinteticamente, nella dottrina rosminiana, considerare, le quali analiticamente furono considerate: 1° essere affatto indeterminato; 2° le tre forme dell'essere considerate come impersonali; 3° le tre forme dell'essere considerate come personali, cioè le tre divine persone; 4° Dio. Se non che l'essere è unico e tutto ed identico nelle tre forme, perciò «la materia prossima che si determina per via di limitisono le tre forme, e non l'essere stesso, che si dice determinabile unicamente in quanto si considera nell'una o nell'altra delle sue tre forme [11].»Or che sarà la materia mondiale? Sarà forse la materia reale divina? Qua late patet non può essere, così è infinita: dunque: «La materia mondiale non è la materia reale divina, ma è costituita mondiale da questa ristretta, per opera della mente creatrice, entro certi limiti che cominciano a determinarla in genere e specie [12].»Proporzionatamente dicesi della materia divina ideale e morale, altro non essendo l'ideale che la reale conosciuta, e la morale che la reale voluta od amata.
Adunque che cosa sono gli enti finiti? sono gli oggetti dell'intelligenza divina limitati nella divina materia reale, i quali, perciò solo che sono intesi così limitati, sussistono. Che cosa è la potenza creatrice? È l'intelligenza limitante, che ciò che limita intende e nella sua materia e ne' suoi limiti, che sono i due elementi dell'oggetto inteso. «L'essenza divina, come intelligente, avendo in sè l'essenza divina come per sè intesa, oggetto perfetto che anche sussiste come subietto personale, pensa quest'oggetto limitandolo: e questo pensiero limitante altro non è che atto dell'intelligenza divina, e non propriamente un oggetto novo, ma l'oggetto primo, cioè l'essenza divina perfetta per sè intesa in relazione coll'atto divino limitante, l'oggetto di prima limitato dall'atto dell'intelligenza. Quest'oggetto limitato dall'intelligenza divina sono gli enti finiti, i quali devono oggimai sussistere in sè stessi; atteso che, se non sussistessero con sussistenza propria, questo oggetto limitato non sarebbe perfettamente pensato, mancandogli l'ultimo atto ch'è il subiettivo. L'azione dunque limitante dell'intelligenza divina unita all'intelligenza di sè stessa, ch'è un solo atto coll'intellezione divina, è la potenza creatrice [13]
Prima di offrire non sappiamo se sia meglio dire alla brama od alla pazienza del lettore ciò che dice del pronunciato assoluto –– Verbo ––e degli altri pronunciati relativi –– enti contingenti –– lo avvertiamo che il medesimo Rosmini chiama Verbo concreto, o di concrezione, quel Verbo in cui si produce ciò che con esso si pronuncia. Affinchè poi sia tale il verbo è mestieri che il prodotto sia identificato col producente. Ecco le sue parole: «La condizione che rende il verbo concreto, e però attivo nel suo termine, si è questa, che ciò che l'intelletto pronuncia ed afferma sia così fattamente congiunto coll'intelletto pronunciante ed affermante, ossia emettente il verbo,che formi con esso un medesimo ente. Questo s'avvera in Dio compiutamente, non solo quando pronuncia sè stesso e così genera quello che si dice Verbo divino, ma anco quando pronuncia gli enti finiti e così li crea [14].» Già s'intende, come sopra dicemmo che la parolacrea non può indicare trarre l'essere della cosa dal nulla, perchè non essendo costituita la cosa che di due elementi cioè l'essere iniziale divino e i limiti, ed essendo quello un'appartenenza di Dio, e questi una negazione, è chiaro che tutto l'essere della cosa è in Dio, sebbenein quanto è essere della cosanon costituisca l'essenza di Dio e soloper questa ragione si dica dal Rosmini che la cosa è fuori di Dio. Similmente perchè i parziali pronunciamenti non sono quelli che costituiscono il Verbo sebbene da quel pronunciamento che è il Verbo realmente non si distinguano, ei ti dirà che i medesimi non sono il Verbo e conseguemente che sono fuori del Verbo.» «Iddio essere sussistente pronuncia sè stesso essere sussistente. In quanto pronuncia è Essere sussistente pronunciante, e in quanto è pronunciato è Essere sussistente pronunciato, e questo è il Verbo divino. Ma pronunciando sè stesso totalmente affermando tutto sè stesso, pronuncia anche sè stesso parzialmente col medesimo atto; e pronunciando sè stesso parzialmente, pronuncia l'esistenza assoluta degli enti relativi. Pronunciando sè stesso totalmente, esiste pronunciato come Verbo divino: pronunciando sè stesso parzialmente, fa che esistano gli enti relativi e finiti che non possono esser lui, perchè egli è indivisibile e semplice; la parzialità dunque, la limitazione e divisione non sono in Dio, ma sono pronunciati da Dio, e questo pronunciamento non è in lui, che una sua attualità e perfezione semplicissima... Così, il termine di questo pronunciamento divino degli enti finiti è logicamente posteriore al pronunciamento di sè stesso ch'è generazione del Verbo, ma questo non importa nè una posteriorità cronologica, nè una dualità nell'atto divino: perchè ab eterno e con un solo atto Iddio fa l'uno e l'altro genera e crea. Dico ch'è logicamente posteriore, perchè Iddio deve conoscere prima sè stesso ch'è tutto l'essere, e conosce sè stesso pronunciandosi e così generando il Verbo. Pronunciando sè stesso conosce sè stesso pronunciato; e così il sè stesso pronunciato, come conosciuto dal pronunciante, è cognizione o sapienza del pronunciante e sua attualità, sapienza che comunicata all'altre due persone appartiene all'essenza comune di Dio. Ma il pronunciato in quanto eccede (si noti bene questa frase che significa che in quanto eccede soltanto il Verbo non può essere i pronunciati che sono gli enti finiti) [15]ha perciò sussistenza propria e incomunicabile (perchè il Pronunciante, come precisamente tale, non può esser mai il Pronunciato, che sarebbe contraddizione) è la persona del Verbo. Avendo dunque Iddio pronunciante in sè stesso la cognizione di sè stesso pronunciatoessere totale, egli pronuncia l'essere parziale limitando l'essere totale, e questa limitazione non passa nel Verbo (come la limitazione del triangolo inscritto nel circolo non è limitazione di tutto il circolo) che non ammette limitazione, ma appartiene alla cognizione essenziale di sè stesso propria del pronunciante; e così rimanendosi nella cognizione essenziale del pronunciante l'ente finito pronunciato come cognizione, la sussistenza del medesimo rimane fuori del Verbo e di Dio [16].» Lettor gentile, tu dirai che sei proprio satollo fradicio di queste cicalate filosofiche del Rosmini e tanto più quanto dalla loro lettura ben poco o nulla ti si rischiarano i concetti intorno al punto secondario della controversia, ch'è come sieno in Dio le cose contingenti rispetto all'attuale loro esistenza, mentre anco si dicono fuori di Dio. Dicevamo punto secondario, perchè del primario, cioè che la dottrina del roveretano sia panteismo non può correre dubbiezza. Noi poi ti assicuriamo che se recassimo a centinaia ulteriori testimonianze, anzi se tu avessi la pazienza di leggere i cinque volumi della Teosofia (cosa difficilissima per non dire a te impossibile moralmente) anzichè rischiararti la mente te la impiglieresti in tenebre più spesse. Vedi il Rosmini stesso ti dice «Non conviene moltiplicare le distinzioni inutilmente: il che ingombra la filosofia, e la rende sofistica [17].»Or siccome dalla prima pagina del primo volume fino all'ultima del quinto, altro non ha fatto che trasgredire questa sua massima, in leggendolo, l'essere travolto in una filosofia nebulosa non che falsa, e il ritrovarsi continuamente dalle sofisme imbrogliato dev'essere cosa naturale. E que' che diconsi rosminiani lo sanno egregiamente per propria esperienza: e così molti di cotesti che per soverchia credulità e semplicità di cuore si professarono seguaci del Rosmini, per umano riguardo non fossero impediti dal disdire quella dottrina la cui reità è evidentissimamente dimostrata.

III.

Nel sistema di Rosmini v'è una sola sostanza.

Il Rosmini che pone il precipuo suo studio nel moltiplicare, senza necessità, distinzioni, che, com'ei ci fa sapere rendono ognor più ingombra e sofistica la filosofia, dice «s'indica col nome di sostanza l'atto o sia la base da cui l'ente si denomina, e per accidenti le appendici che possono variare rimanendo l'ente identico [18].» Altrove dice: «Del pari è necessaria quest'altra (distinzione) fra la sostanza e l'ente reale. Perocchè la sostanza esprime un reale, il quale ha quell'atto primo che gli abbisogna perchè sia concepito per un ente, mediante l'idea a cui egli si unisce nella mente che il pensa. E nel vero la sostanza fu da noi definita: quell'elemento che si ravvisa come primo e base a cui s'attengono tutti gli altri di un dato ente, o in altre parole: l'atto pel quale sono le essenze specifiche: le quali non sono già per gli accidenti, ma per quell'atto nel quale e pel quale questi sono, il quale si chiama sostanza [19]
Chiami pure il Rosmini la sostanza col nome di base e gli accidenti col nome di appendici, egli è certo, secondo lui che la sostanza è l'atto pel quale sono le essenze specifiche. Sostanza p. e. sarà uomo, angelo, Dio, il quale perchè atto purissimo non avrà verun accidente. Or ci permetta il Rosmini di chiedergli se l'essere in Dio non fosse identicoe tutto nelle tre forme reale, ideale, morale, com'egli insegna; ma vi fossero tre esseri si potrebbe dire che Dio è una sola sostanza? Per certo che no! Adunque l'unità di sostanza richiede l'unità di essere; e la molteplicità nell'essere trae seco la molteplicità di sostanza, in tutte le cose. Egli ci ha pur detto le mille volte che l'essere è l'atto comune di ogni entità e che tutto ciò che v'è di positivo in un ente finito è l'essere; tolto il quale rimane il nulla. Adunque, essendo la sostanza il principio di operazione e però certissimamente alcun che di positivo, nell'essere deve ricercarsi e non nei termini dell'essere stesso. Ma il fondamento del sistema del Rosmini è che l'essere è unico, al quale vengono dalla sintesi divina creatrice riferiti i termini imaginati dalla divina intelligenza. Dunque in tutte le cose non v'è che una sola sostanza. Se non che l'essere, a cui vengono per la prefata sintesi creatrice riferiti i termini finiti, è l'essere divino; dunque è divina quella sostanza nella quale tutti gli enti sussistono. «Lo stesso essere, e' dice, quando si considera come iniziale di varie realità une, è presente lo stessoe identico essere colla sua intera essenza a ciascuna di esse. Ma perchè i reali uni sono molti, perciò acquista molte relazioni, per le quali sembra moltiplicarsi. Ma veramente non si moltiplica l'esseresì bene gli enti; perchè la moltiplicazione nasce dalla realità che riceve l'uno in tanti modi diversi, e, in ciascuno unificata, riceve l'atto subiettivo dell'essere mediante la presenza di questo tutto intero a ciascun uno di realità, rimanendo l'atto ricevuto in questa limitato dalla sua propria limitazione [20].» Adunque difatto il Rosmini dee ammettere l'unità di sostanza appunto perchè ammette l'unità e l'identicità dell'essere che è atto comune di tutte le cose.
L'essere solo, ci potrà qualcuno obbiettare, non si dee dire sostanza; per dirsi sostanza debbe avere termini; dunque non dall'unità dell'essere l'unità della sostanza, ma la pluralità delle sostanze vuolsi dedurre dalla moltiplicità dei termini. Si conceda pure, o meglio si trasmetta l'antecedente; ma ci conviene affatto negare il conseguente. Infatti se il conseguente fosse vero, in Dio ci sarebbero tre sostanze, perchè tre sono i termini proprii dell'essere, essendo tre le divine persone. Adunque non dalla pluralità dei termini la moltiplicità, ma dall'unità ed identità dell'essere l'unità della sostanza si deve desumere. In Dio l'essere identico è tutto e totalmente comunicato a ciascun termine col quale fa adequazione perfetta, quindi ciascuna persona è la medesima sostanza, è Dio: nei finiti l'essere stesso (secondo il Rosmini) è tutto ma non totalmente comunicato a ciascun termine, però con nessuno fa adequazione perfetta, ed ogni ente non si può dire Dio ed è finito. Tuttavia l'identità e l'unità dell'essere è quella d'onde procede la identità e l'unità della sostanza e della natura: laonde nel sistema rosminiano una è la sostanza ed è la stessa di Dio e di tutte le cose, sebbene sieno varie le sue manifestazioni rispetto alla varietà dei termini proprii e improprii dell'essere. Rechiamo una similitudine buona solo per noi, non già pe' rosminiani, i quali il fatto che esporremo lo devono spiegare in tutt'altra maniera, come appresso diremo. L'uomo ha una sola anima, cosa e teologicamente e filosoficamente dimostrata, la quale è l'atto primo di tutto il corpo vivente. Se non che quest'unica anima altramente informa ed altramente opera nelle varie parti del corpo umano, cotalchè si dice che in ogni parte del medesimo est tota totalitate essentiae non totalitate virtutis: e tanto che a' sensi le varie parti del corpo hanno l'aspetto di sostanze diverse. Ma in verità si può dire che l'uomo non è una sola sostanza, ma si deve dire forse che egli è tante sostanze, quante sono le diverse parti del corpo che appaiono sostanzialmente diverse? Non già: egli è una sostanza perchè l'anima che è l'atto primo del corpo vivente è una sola. Similmente l'essere, nel sistema di Rosmini, comechè variamente si manifesti secondo la diversità dei termini imaginati dall'intelligenza divina, pure è l'atto primo comunein tutti e però logicamente dovrebbesi dire dal Rosmini che v'è una sola sostanza. Ed anzi poichè in questo sistema l'essere è un solo, increato ed eterno e perciò divino, e da Dio dovrebbonsi escludere gli accidenti, il Rosmini o dovrebbe alla parola accidenti dare una significazione affatto diversa da quella che presso i teologi e i filosofi è comunemente ricevuta (ed è continuo in lui il vezzo di mutare significato alle parole) oppure dovrebbe dalle cose escludere affatto gli accidenti. Nè pare estranea a ciò che diciamo la confessione che fa il Rosmini là dove descrivendo la creazione parla così: «Supponendo che l'Essere stesso sussistente e realissimo imagini un ente finito, conviene che questo novo oggetto sia un vero ente in sè, ed abbia perciò anch'egli la sua esistenza subiettiva e reale. Poichè l'essere essenziale (questi è Dio)imaginante non può già imaginare un accidente, che non ha accidenti, nè una modificazione di sè, chè non ha modificazioni, nè una passione ricevuta, che non ha passioni e niente riceve. Ciò che dunque imagina non può essere che essere nel suo termine reale [21].» Che se il Rosmini a dispetto della logica che a' suoi principii è rettissimamente applicata, vuole sostenere moltiplicità di sostanze, farà ciò ad arbitrio e senza verun fondamento, e sofisticando, al suo solito, con nuove voci e nuove distinzioni. Adunque anche cotesta unità di sostanza è manifesto segno che la dottrina del Rosmini è vero panteismo.
A non essere detto pazzo deve il Rosmini parlare assai spesso delle cose come parlano tutti gli uomini, onde viene che in lui si ritrovino delle espressioni che hanno aspetto di contraddire al panteismo: ma a queste l'uom saggio non deve badare, come non bada a' materialisti quando parlano di anima; o a meccanici puri quando parlano di forzespecifiche: o agli epicurei moderni quando parlano di creazione: od agli atei quando parlano di morale bontà. È mestieri badare a filosofici principii del roveretano, e questi evidentissimamente dimostrano che la sua dottrina è panteismo ontologico, perchè si fonda sull'unità dell'essere. Sembra più nobile del panteismo dello Spinosa, ma non è nè in sè men reo, nè men pernicioso nelle sue conclusioni. Conciossiachè l'identità dell'essere porta (per usare il titolo di un libro del Rosmini) il divino nella natura:conduce ad ammettere la sovranità assoluta dell'umana ragione e la assoluta indipendenza della volontà. Nemo repente fit summus ed anche nel male non si tirano che a poco a poco da rei principii le ree conseguenze; ma cotesti principii sono come semi consegnati alla terra, i quali possono stare inerti per qualche tempo, perchè mancano gli aggiunti propizii al loro sviluppo: ma le circostanze favorevoli non mancheranno sempre, e la energia del seme si farà manifesta.



NOTE:

[1] Vol. II, pag. 147.
[2] Vol. II. pag. 154.
[3] Vol. I. pag. 171.
[4] Vol. II. pag. 153.
[5] Vol. I, pag. 221, 223.
[6] Vol. I, pag. 430.
[7] Vol. II, pag. 139.
[8] V. c. pag. 143.
[9] V. c. pag. 144 e seg.
[10] L. c.
[11] L. c.
[12] L. c.
[13] Loc. cit.
[14] Loc. cit.
[15] Torniamo a ricordare al lettore che le parentesi in corsivonon sono dell'autore.
[16] Loc. cit.
[17] Vol. II, Pag. 178.
[18] Vol. V, pag. 502.
[19] Vol. V, pag. 42.
[20] Vol. I, pag. 550.
[21] Vol. I, pag. 408.