domenica 9 settembre 2012

La Civiltà Cattolica, anno XXXII, serie XI, vol. VII (fasc. 750, 9 sett. 1881) Firenze 1881, pag. 680-698. R.P. Giovanni M. Cornoldi d.C.d.G. LA TEOSOFIA DEL ROSMINI (PARTE QUINTA)

 
Antonio Rosmini
 
SEGUE L'ESAME CRITICO

LA DOTTRINA DELLA TEOSOFIA È PANTEISMO

I caratteri del panteismo necessariamente s'intrecciano, e quella unità dell'essere che eziandio per sè sola basterebbe a dichiarare panteistica la filosofia del Rosmini, togliendo a ciascuna cosa il suo proprio essere, conseguentemente nega la verace creazione. E di vero, se v'è un essere solo, questo (e lo dice il Rosmini) sarà eterno ed increato; e se è tale davvero, non può ammettersi altro essere creato e temporaneo. La prova che in questo articolo rechiamo per mostrare la reità della dottrina del Roveretano, è di grande importanza, mercecchè la creazione vera dell'essere delle cose non è solamente certissima in filosofia, ma è dogma cattolico, che anche il Concilio Vaticano colà ripetè dove condannò il panteismo.
E, prima cosa, torniamo alla mente del lettore che intendendo noi in questi articoli di misurare la dottrina del Rosmini con que' principii che abbiamo distesamente discussi in altri articoli precedenti [1], sta bene che il lettore li richiami alla mente. Ora particolarmente conviene presupporre la dottrina di San Tommaso intorno alla vera creazione. Tocchiamone di volo tre punti.
1° L'Angelico dottore in primo luogo ci dimostra che in Dio vi sono le idee di tutte le cose. Dell'ideadà questa definizione. «Idea grecamente si dice, e latinamente forma. Quindi col nome d'idee vengono indicate le forme di alcune cose, esistenti fuori delle medesime cose. Ma la forma di una qualche cosa ch'è fuori d'essa può dirigersi a due scopi: o per servire di esemplare di ciò di cui si dice forma, o per essere adoprata quale principio onde conoscere la cosa stessa, però si dice che le forme delle cose conoscibili sono nel conoscente [2].» Ci avverte l'Angelico che a rettamente parlare, quando l'idea è ordinata all'operazione, cioè ad esprimere fuori d'essa ciò che in essa è rappresentato, dicesi esemplare, ed appartiene alla scienza pratica: quando poi è ordinata alla cognizione dicesi ragione(ratio) e spetta alla cognizione speculativa. Egli dal fatto stesso che l'universo esiste e che da Dio è prodotto dimostra la necessità di porre nel medesimo Iddio le idee che sieno gli esemplari di tutte le cose. Quindi nella seguente maniera mostra che la pluralità delle idee non si oppone alla divina semplicità. «Più idee sono nella mente divina come intese da essa, il che può essere così chiarito. Dio conosce perfettamente la sua essenza, per lo che la conosce in tutti que' modi ond'è conoscibile. Or essa può essere conosciuta non solo in quanto è in sè, ma ancora in quanto può essere partecipata per similitudine in una o in altra maniera dalle creature. Ora ogni creatura ha una propria specie in quanto partecipa della similitudinedella divina essenza. Adunque per ciò appunto che Dio conosce la sua essenza imitabile ut sic da tale creatura, la conosce come propria ragione ed idea della creatura stessa; e così dicasi delle altre [3].»Questa dottrina altrove è espressa dall'Aquinate così: «Essendo Dio similitudine e specie di tutte le cose, può farsi una doppia riflessione dell'intelletto sopra esso, o assolutamente, in quanto è una cosa(ecco l'essere reale divino), o in quanto è similitudine di tutte le cose (ecco l'essere ideale divino), e Dio conosce sè in ambi i modi e sopra sè riflette, sebbene non con diversa operazione, ma con la medesima [4]
2° Egregiamente dall'Aquinate, e in generale da tutti i teologi, viene detto Iddio supremo artefice: perchè la scienza pratica che è nella mente dell'artefice, e che si dice arte, rassomiglia alla scienza pratica divina, che essendo costituita dalle idee di tutte le cose, è come il mondo ideale, il quale ha perciò in Dio una esistenza immateriale, necessaria ed eterna. L'artefice umano ha l'idea di un orologio. Or poniamo che voglia esprimere fuori di sè la sua idea efare l'orologio. Per certo bisogna convenire ch'egli produrrà l'essere di una qualche cosa; ma quest'essere sarà accidentale, perché l'artefice umano non può far altro che modificare il soggetto sopra cui opera. Ma perchè quest'essere accidentale dicesi ed è un effetto che sta fuori dell'artefice? Appunto perchè l'essere reale della fatta accidentale modificazione è essere nuovo che imita la idea o l'essere ideale dell'orologio, ch'è nella mente dell'artefice, e non è essa idea. Or poniamo che non l'uomo voglia fare, ma che Dio voglia creareun orologio Anzitutto vi sarà nella mente divina l'idea; quindi la volontà divina, operando con questa idea, come con principio formale quo, produrrà tutto l'essere dell'orologio e non la sola modificazione di una sostanza preesistente, e perciò tutto l'essere stesso sostanziale e accidentale sarà nuovoe tratto ex nihilo sui et subiecti. In ciò le parti dell'intelletto divino distinguonsi, al nostro modo di pensare, da quelle della volontà, sebbene intelletto e volontà sieno un solo principio di operazione: conciossiachè dove la volontà produce l'essere, l'intelletto dà la forma di quest'essere stesso; come il braccio dell'artefice umano è mosso dalla volontà sotto la guida dell'intelletto che dà quelle movenze varie che sono acconce a produrre l'effetto inteso. «La scienza di Dio, dice l'Angelico, è causa di tutte le cose. Conciossiachè la scienza di Dio ha verso le create cose quel rispetto che ha la scienza dell'artefice verso le cose artificiali. Ma la scienza dell'artefice è causa di queste, perciò appunto ch'esso opera col suo intelletto: onde è necessario che la forma intellettuale sia principio di operazione, come il calore è principio di riscaldamento. Ma bisogna considerare che la forma naturale, in quanto è forma che sta nel soggetto, cui dà un essere determinato, non ha il carattere di principio di azione, ma solo in quanto ha una inclinazione a produrre l'effetto: similmente la forma intelligibile non è detta principio di azione, per ciò solo che sta nell'intelligente, ma è mestieri che le si aggiunga la inclinazione a produrre l'effetto, la quale deriva dalla volontà. Essendo che la forma intelligibile si riferisce a contrarii, non produrrebbe essa un determinato effetto, se mediante la facoltà appetitiva non venisse determinata ad uno de' contrarii stessi. È poi manifesto che Dio è cagione delle cose coll'intelletto, mercecchè il suo essere è il suo intendere: onde è necessario che la sua scienza sia cagione delle cose, in quanto le è congiunta la divina volontà. Però la scienza di Dio presa quale cagione delle cose è detta volgarmente scienza di approvazione [5]
Nella quale stupenda testimonianza osserva, caro lettore, primamente che come nell'intelletto dell'artefice umano deve trovarsi la forma del suo lavoro, così nell'intelletto divino deve trovarsi la forma di tutto l'universo. Secondamente che tal forma si dice ed è veramente principio dell'operazione, onde l'opera è prodotta: la quale, se quella forma non fosse, non potrebbe avere esistenza. Terzamente considera che nessuna forma naturale è causa del suo effetto perciò soltanto ch'è nel soggetto operante: così la figura che sta nel sigillo non causa nella cera la propria imagine per questo soltanto che sta in esso; è mestieri inoltre che sia applicata, e questa applicazione non viene da quella figura stessa. Similmente la forma intelligibile deve essere applicata per essere causa; e questa applicazione si vede necessaria anche per ciò che essa forma intelligibile è per sèindeterminata a' contrarii; laonde ci vuole una potenza che l'applichi, e l'applichi più tosto all'uno che all'altro de' contrarii, e tale potenza è la libera volontà.
Ma noi testè abbiam detto che vuolsi specialmente attribuire alla volontà l'attuazione o l'essere della cosa, e all'intelletto la quiddità o la forma: ed ecco come l'Angelico espresse questa nostra sentenza. «Anche rispetto a noi di uno stesso effetto è causa la scienza come direttrice nel dare all'effetto la forma, e la volontà come imperante; perchè la forma per ciò solo che sta nell'intelletto, non è determinata ad attuarsinell'effetto, ma ciò proviene dalla volontà. Però l'intelletto speculativo non dice relazione all'operazione [6].» E di vero se l'essere della cosa, dipendesse dall'intelletto soltanto, ogni scienza sarebbe pratica, cioè tutte le idee sarebbero espresse nella realtà od attuate; cosa falsa ed assurda.
3° Nella cosa che dicesi da Dio creata due elementi si possono considerare: l'essere suo, e i limiti onde quest'essere stesso è ristretto. Ciò posto, sebbene si debba dire che il termine della creazione è l'ente, tuttavia si può chiedere quale sia l'effetto prodotto dal creatore; i limiti o l'essere?
Egli è chiaro che se da una cosa togliamo l'essere, non rimane che il nulla. Tutto il reale o tutto il positivo della cosa sta nell'essere suo, laonde l'effetto proprio positivo della creazione sarà l'essere della cosa, e l'atto del creatore tenderà direttamente a trarre dal nulla l'essere medesimo. Questa è sentenza dell'Angelico di alta rilevanza nella nostra Controversia. Egli dice che «oportet quod esse creatum sit proprius effectus eius;» ed altrove: «oportet quod esse creatum sit proprius efl'ectus eius »; od altrove: « id quod est primo substratum (i. e. esse) in omnibus proprie pertinet ad causalitatem primae causae;» ed altrove: «oportet quod ipsum esse sit proprius effectus eius, scilicet Dei;» ed altrove: «esse est causatum primum»;ed altrove: «in omni actione esse in actu est principaliter intentum; est igitur esse proprius effectus primi agentis, scilicet Dei»; ed altrove: «primus effectus qui est esse, proprie attribuitur causae primae»; ed altrove: «primus effectus est ipsum esse.» Nè pago l'Aquinate di affermar cento volte che l'effetto proprio di Dio è l'essere delle cose e non già le limitazioni dell'essere, cento volte pure afferma che l'essenza della creazioneconsiste appunto nella produzione dell'essere. «Producere esseabsolute, non in quantum est hoc vel tale (cioè non in quanto solo ha questi o que' limiti) pertinet ad rationem creationis.» Così «cum dicitur prima rerum creatarum estesse, hic esse non importat substantiam creatam, sed importat propriam rationem creationis.» Eziandio «creatio terminatur ad esse tamquam ad proprium effectum.» Ed anzi espressamente dice che per la creazione non è la cosa che accedit ad esse, quasi l'esse divenisse presente o si aggiugnesse alla cosa, ma che l'essere stesso comincia «in ipsa creatione non importatur aliquis accessus ad esse, sed solummodo inceptio essendi»,per la qual cosa egli insegna che la novità dell'essere nella creatura si richiede al concetto della creazione. Alle quali testimonianze che tutte già negli articoli sopra citati abbiamo recate e discusse, aggiungiamo ancor quella in cui dice che appunto perchè Dio è l'Essere crea l'essere delle cose.«Creare est proprie causaresive producere esse rerum. Cum autem omne agens agat sibi simile, principium actionis considerari potest ex actionis effectu; ignis enim est qui generat ignem. Et ideo creare convenit Deo secundum suum esse, quod est eius essentia, quae est communis tribus personis. Unde creare non est proprium alicui personae, sed commune toti Trinitati. Deus est causa rerum per suum intellectum et voluntatem, sicut artifex rerum artificiatarum [7].» La dottrina dell'Aquinate che abbiamo in queste tre parti accennata debbe servire come di lucerna, la quale ci deve scorgere nell'esame della dottrina rosminiana sopra la creazione per vederne la reità.
Poniamo sotto gli occhi del saggio lettore ciò che dice il Rosmini là dove parla ex professo della creazione. «Per crearlo (il mondo) deve l° concepirlo, 2° realizzarlo. La prima operazione della suprema Intelligenza per riguardo all'essere finito fu quella che chiameròastrazione divina. Mediante questa operazione l'Intelligenza dell'Essere assoluto liberamente astrasse dall'assoluto suo oggettol'essere iniziale... In questo essere iniziale vide Iddio in sè stessoab aeterno l'essere finito, tutto virtualmente in sè compreso. Questa astrazione o visione dell'essere finito nell'infinito non è ancora l'atto libero della creazione, ma appartiene all'atto necessario della divina intelligenza con cui conosce l'essere finito possibile.»
Ma che cosa è quest'essere inizialeastratto dalla mente divina? Non è altro che la essenza di Dio riguardata solamente quale essere inizio di tutti gli enti. E di vero abbiamo già veduto che «l'essenza di Dio è l'essere e non altro che l'essere»: (Esp. § IV) abbiamo veduto «che l'essere iniziale si concepisce dalla mente umana come anteriore alle forme e loro comuneiniziamento» (Esp. § X): abbiamo veduto che «l'essere virtuale e iniziale per natura è necessario» (l. c.) e tante volte il Rosmini ci ha detto che l'essere iniziale è divino, è un'appartenenza di Dio. Di più, citando il Rosmini la questione XV della Somma Teologica dove S. Tommaso afferma che Dio conosce ogni cosa con una sola specie od idea, la quale è la stessa sua essenza «idea in Deo nihil est aliud quam essentia sua» sostiene lo stesso Rosmini che la specie unica di cui parla l'Angelico è l'essere iniziale. Ecco le sue parole: «Ora questa forma che rispetto all'intelligenza è la specie, per estendersi a tutti i finiti e per contenerli tutti sotto di sè, non può esser altro che l'essere iniziale e virtuale [8].»Adunque l'essenza di Dio in quanto è intuìta dalla mente divina solamente qual essere inizio di tutti gli enti dicesi essere iniziale. È chiaro, ci dice il Rosmini, che sebbene sia così intuìta così non esiste, perchè esiste identificata nelle tre forme e con le tre forme; ed identificata nella forma subiettiva è l'essere assoluto Padre: identificata nella forma oggettiva è l'essere assoluto Figlio:identificata nella forma morale è l'essere assoluto Spirito Santo: identificata insieme in tutte le tre forme è l'essere assoluto Dio. Per la qual cosa nella intuizione della essenza di Dio quale essere iniziale, la limitazione è nello sguardo divino, non è nella stessa essenza, e perciò il Rosmini afferma che l'essere iniziale, ossia l'essenza divina considerata solamentequale essere che è inizio degli enti è un non-ente in sè ed ha solo esistenza relativa alla mente che la intuisce. «L'essere iniziale che è nulla in sè, ma è qualche cosa alla mente è nato da uno sguardo della mente nell'Essere assolutomediante la limitazione dello sguardo stesso, sicchè questa limitazione non passò nell'Essere assoluto ma rimase nello sguardo [9]
Con tutto ciò il Rosmini ci dice: «L'essere iniziale, presente alla mente divina, non è identico all'essere assoluto obiettivo, ma è un altro, un prodotto dell'atto della mente stessa, la creazionedi un proprio obietto [10].» Più sotto:«Questa prima creatura, l'essere iniziale, non ha una sussistenza subiettiva, ma ha soltanto un'esistenza obiettiva e relativa alla mente creatrice, e quindi appresso, a tutte le menti create: esiste per l'atto della Mente, e davanti ad essa senz'essere la Mente stessa. L'atto della mente la creò riguardando nell'oggetto assoluto e in sè sussistente. Niente vieta di dire, che sia in questo virtualmente;ma l'esservi virtualmente non è un avere un'esistenza propria, ed esistere virtualmente altro non viene a dire, se non che la mente lo produce riguardando in quell'oggetto, il che non potrebbe fare se non riguardando in esso [11]
Questo sguardo, che limitando mentalmente la essenza di Dio o l'essere assoluto, genera l'essere iniziale, si ritrova in quella stessa cognizione, onde il Verbo è generato; però quell'essere iniziale cui dice prima creatura è messo dal Rosmini quale appartenenza del Verbo. «Avendo l'oggetto assoluto –– Dio, il Verbo –– un'esistenza in sè, ed un'esistenza relativa alla Mente divina, questa seconda può essere contratta dalla mente, ed astratta, rimanendole presente il tutto, e non la prima; e però quello che l'astrazione ne prende rimane ancoradivino, sebbene non esistendo in sè, e perciò non avendo la personalità divina, non può essere il Verbo, ma un'appartenenza della divina essenza. E noi già dicemmo, che la Mente coll'astrazione, ha virtù di concepire a parte la natura divina dalla personalità divina: quella è il divino e non esiste distinta se non davanti alla mente (e perciò secondo le definizioni sopra recate ha una esistenza dialettica), questa è Dio [12]
Fino a questo punto il Rosmini ci ha chiariti abbastanza sopra l'astrazione divina ch'è il primo atto che vuolsi considerare nella creazione dell'essere limitato o finito. Qui scopo nostro è solo far rilevare che la creazione rosminiana non è la creazione teologica. E ciò sarà a tutta evidenza chiarito qualora avremo dimostrato che danessuno di quegli atti, nei quali il Rosmini fa consistere la creazione, possiamo trovare prodotta la creatura. Incominciando dal primo vediamo se in qualcheduno degli elementi dell'astrazione noi la possiamo scorgere. Gli elementi dell'astrazione divina sono 1° chi astrae, 2° il modo onde astrae, 3° ciò ch'è astratto.
1° Chi astrae è il Padre, perchè «la libertà creatrice è una virtù un potere dell'Essere assoluto nella sua forma subiettiva [13]», e questi è il Padre. In cento luoghi lo ripete il Rosmini e si ricordi il lettore di quello sopra citato (nella Espos. XI). L'atto creativo rimane in Dio e ha per suo termine il verbo divino, nel quale il Padre vede ed afferma ad un tempo l'essere iniziale e reale del mondo nella sua forma obiettiva.» Se altri vuol chiedere al Rosinini come questo parlare si aggiusti bene con la formola teologica che opera ad extra sunt communia toti Trinitati e che perciòpropriamente la virtù creatrice a nessuna persona in proprio debbesi ascrivere, lo faccia pure; noi ci contenteremo di osservare che in questo primo elemento dell'astrazione, il quale è l'astraente, nulla si può pensare di creato. Infatti il Padre è increato nè si può dire creatura la creatrice virtù.
2° Qual è il modo onde il Padre astrae?È, ad usare il concetto del Rosmini, un guardare limitanteo ristretto della mente divina, onde essa intuisce la divina essenza sotto un rispetto; cioè qual essere comune inizio delle tre forme e di tutti gli enti. Questo modo è nella mente divina, e non è da essa realmentedistinto. Che anzi il medesimo modo è da noi concepito a cagione della imperfezione del nostro intelletto, che non riesce a contemplare l'infinita divina scienza e sapienza senza fingere di molte distinzioni, le quali nella cognizione divina non hanno punto luogo. Adunque questo modo non si può dire veramente prodotto da Dio, non si può dire creatura ed effetto della creazione.
3° Qual è l'astratto?L'astratto è l'essere iniziale. Veramente in esso il Rosmini trova la creatura, trova il prodotto, trova l'effetto della creazione. Perciò dice nei testi allegati che «l'essere iniziale non è identico all'essere assoluto, ma è un altro, un prodotto dall'atto della mente stessa, la creazionedi un proprio obietto.» Lo dice « prima creatura.»Dice ancora di questa creatura «l'atto della mente che la creò.» Se non che è mestieri prendere qui le parole prodotto, creazione, crea, creatura, in un senso affatto metaforico, altrimenti il Rosmini stesso si contradirebbe turpissimamente. E di vero non ci ha detto che «la limitazione dello sguardo, non passò nell'essere assoluto, ma rimase nello sguardo?»L'essere iniziale è l'Essere assoluto cosìguardato: ma perchè guardatocosì non subì la menoma mutazione, rimase qual era, prescindendo dal guardo stesso. Perciò dice il Rosmini che l'essere assoluto è iniziale solamente in quantoguardato, e non in sè e per sè: laonde l'essere iniziale, secondo lui«è nulla in sè» od è essere dialettico, perchè non esiste cosìche sotto l'intuito della mente. Per la qual cosa nemmeno in questo terzo elemento dell'astrazione cioè nell'astratto abbiamo nulla che sia fatto, prodotto, non abbiamo veruna creatura, nel senso proprio di queste parole. Ma da ciò si correggano coloro che prendono leggermente la parola creatura, creare, creazione ed altre del Rosmini nella significazione che hanno presso l'Aquinate e gli scolastici; e diano a loro la significazione che hanno sotto la penna del Rosmini stesso. Dalla prima operazione divina cioè dall'astrazione che vuolsi considerare nella creazione, veniamo alla seconda ch'è l'Imaginazione divina.
«Che cosa dunque è ella? Indubitatamente la stessa essenza di Dio. Ma l'essenza di Dio è l'Essere e non altro che l'essere. L'imaginazione divina duuque è lo stesso Essere assoluto nella sua forma subiettiva e realissima (cioè il Padre). Supponendo dunque che l'Essere stesso sussistente e realissimo imagini un ente finito, conviene che questo novo oggetto sia un vero ente in sè, ed abbia perciò anch'egli la sua esistenza subiettiva e reale. Poichè l'essere essenziale imaginante, non può già imaginare un accidente, chè non ha accidenti, nè una modificazione di sè, chè non ha modificazioni, nè una passione ricevuta, chè non ha passioni e niente riceve. Ciò che dunque imagina non può essere che essere nel suo termine reale. Benché di questo imaginare non ci sia esempio nella natura, pure s'intende che in Dio la cosa deveesser così perchè ogni altro modo di pensare il finito applicato a Dio involge assurdo, come involge pure assurdo l'ammettere ch'egli nol pensi, e nol conosca [14]
In questa seconda operazione creatrice forse possiamo noi vedere l'esordio di un effetto che realmente si distingua da Dio, di una vera creatura?
1° L'immaginante è il Padre, essere immutabile, che per certo non si può dire creatura.
2° Nè tale può dirsi il modo onde imagina, il quale certamente non è realmente distinto dal medesimo Padre.
3° Ma può dirsi creatura l'imagine concepita? Questa imagine concepita altro non può essere sotto la penna del Rosmini che una limitazione intellettualmente imaginata nella stessa divina ed infinita realtà. Perciò dicea che ciò che imagina non è accidente, non modificazione, ma solo essere. Infatti capiremo che cosa sia il reale per sè se conosceremo in che consista la realtà. «Ora la realità finita, dice il Rosmini, non è, ma egli la fa essere coll'aggiungere alla realità infinita la limitazione. Dunque l'origine della limitazione non è un atto intuitivo, ma affermativo. E questo conviene con ciò che dicevamo, che la creazione appartiene all'intelligenza libera di Dio. Ora l'intelligenza libera è appunto quella che afferma, e non quella che semplicemente intuisce. All'obiezione, che avendo la mente divina per oggetto la divina essenza, e questa non potendo essere limitata non si vede come possa volontariamente limitarla, abbiamo già risposto distinguendo la divina essenza come oggetto della divina mente in sè sussistente, il quale non si può limitare ed è il Verbo divino, e la divina essenza in quant'è cognita, e non in sè ma nella mente stessa esistente [15]. » Poco appresso adduce quest'esempio: «Traesi tuttavia anche dall'esperienza umana l'esempio di operazioni mentali esercitate sul fondamento d'un reale in quant'è cognito. Poichè noi possiamo aver presente all'occhio una bellissima poma, e riguardando in essa possiamo colla mente astrarre il color vermiglio, la figura, le parti ecc. a nostro piacimento, senza che quest'analisi mentale produca alcuna alterazione alla poma che riguardiamo, perchè facciamo tali operazioni su quella poma, in quanto ci è attualmente cognita, e come tale è nella nostra mente, benchè ci sia anche presente la poma reale... E così avviene del Verbo divino la cui presenza nella divina mente è necessaria allacognizione attuale della realità infinita, sulla quale realità, in quant'è cognita, la divina mente segnale dette limitazioni.» Da tutto questo è manifesto che qui pure dobbiamo discorrere in modo simile a quello usato rispetto alla prima operazione creatrice. Cioè che la limitazione sta tutta nel guardo del Padre, che è la imaginazione divina, secondo il Rosmini, e non già nella essenza divina conosciuta quale fondamento sopra cui vengono imaginate quelle limitazioni, ond'è costituita la realtà degli enti reali finiti. Ma nel guardo del Padre non possiamo ritrovare un prodotto distinto realmente dal Padre stesso, non possiamo ritrovarela creatura. Adunque, nemmeno nella seconda operazione creatrice possiamo avere il creato. Veggiamo se per avventura lo possiamo ritrovare nella terza ed ultima operazione.
«Coll'astrazione divina, dice il Rosmini, abbiamo veduto come sia stato prodotto l'essere inizialeprimo elemento degli enti finiti: coll'imaginazione divinaabbiamo pure veduto come sia stato prodotto il reale finito, tutte le realità di cui consta l'universo. La terza operazione dell'Essere assoluto creante il Mondo è la sintesi divina, cioè l'unione de' due elementi, l'essere iniziale inizio comune di tutti gli enti finiti, e il reale finito, o per dir meglio i diversi reali finiti, termini diversi dello stesso essere iniziale, colla quale unione sono creati gli enti finiti.» Poi avverte che le tre operazioni in realtà non sono che una variamente considerata «onde produce Dio ad un corpo l'essere iniziale con tutti i suoi termini reali finiti congiunti con esso [16].» Prima di discorrere sopra questa sintesi divinasta bene proporre tutto il compendio che fa il Rosmini della sua dottrina intorno alla creazione. Eccolo:
Ricapitolando tutta questa descrizione della creazione dell'universo, risulta:
«1° Che l'essere iniziale è tratto per via d'astrazione, che fa l'intelligenza divina liberamente operante, dall'Essere assoluto nella forma obiettiva, che dicesi il Verbo.
2° Che i reali finiti che formano il termine reale finito dell'essere iniziale sono fatti esistere dalla forza dell'immaginazionedell'Essere assoluto nella sua forma subiettiva, che secondo la cristiana rivelazione dicesi il Padre.
3° Che i termini reali riferiti, per mezzo della sintesi divina, dall'intelligenza (noto distintamente cotesti riferiti e cotesta intelligenza) all'essere iniziale, considerato questo come oggetto intelligibile, fanno che si vedano in esso le essenze e le idee degli enti finiti.
4° Che riferito dall'intelligenza, per mezzo della sintesi divina, l'essere iniziale, non come intelligibile, ma puramente come essenza, ai termini reali finiti, fa ch'esistano gli enti finiti subiettivamente e realmente.»
Posta questa descrizione ricerchiamo se per la sintesi divina possiamo ottenere qualche cosa di veramente fatto, prodotto, ex nihilo sui et subiecti tratto o creato, possiamo aver la creatura. Cotesta sintesi divina consiste 1° in una unione, la quale non è produzione: ma 2° collega gli elementi di già avuti. A conoscere pertanto il risultato di tale unione è mestieri considerare chi la fa, di che si fa, come si fa. Chi la fa è l'intelligenza, come ci disse testè il Rosmini, ossia il Padre, o la mente creatrice. Di che si fa? Un elemento è l'essere iniziale, il quale è la essenza di Dio considerata qual essere inizio comune di tutti gli enti: e l'essere iniziale è qui considerato non quale intelligibile (lo disse nel n° 4) ma come essenza: l'altro elemento è il termine finito imaginato dal Padre. Come si fa? Colriferirsi dall'intelligenza divina questo termine all'essere iniziale considerato come essenza. Che se nella sintesi divina della intelligenza venisse riferito il termine finito all'essere iniziale come intelligibile, allora sarebbono costituite non le cose finite nella loro esistenza, ma le idee di esse cose, dal che si vede che secondo la filosofia rosminiana le idee voglionsi considerare in Dioordine et natura dopo la sintesi creatrice, cioè dopo l'atto creativo e non prima, il che è diametralmente opposto alla dottrina dell'Angelico. Ma sopra questo e altri errori corriamo, fermi nel dimostrare qui soltanto che la dottrina rosminiana è vero panteismo, perchè toglie affatto la vera creazione.
1° E di vero l'effetto creatodov'è? È forse il Padre che riferiscecolla sua intelligenza il termine all'essere iniziale? Assurdo!
2° È forse l'essere iniziale, oppure il termine imaginato che sono i due elementi da unirsi? Nemmeno! e l'abbiamo dimostrato. Conciossiachè l'essere iniziale è un'appartenenza di Dio, perchè è la divina essenza in quanto col guardo della mente divina è considerata comune inizio di tutti gli enti; e il termine poi imaginato, prescindendo dall'essere iniziale, costituisce una negazione, e ci disse già il Rosmini che «la quiddità dell'ente infinito è costituita dall'entità ed è positiva; e la quiddità dell'ente finito è costituita dai limiti dell'entità ed è negativa.» (Espos. XIII).
3° In terzo luogo finalmente, troveremo l'effetto creato nel modo onde i due elementi sono uniti? Impossibile! Infatti cotesta unione o sintesi creatrice, altro non è che un riferimento intellettuale del termine all'essere iniziale, nè alcuna cosa di nuovo produce.
E poi chi fa la sintesi è il Padre, è Dio: l'essere iniziale non si distingue realmente da Dio: il termine imaginato non si distingue realmente dalla imaginazione divina ossia dal Padre, perchè sta tutto nel guardo, nè reca veri limiti a quell'essere veduto dal Padre quale fondamento in cui imagina i termini. E poichè l'uniente è l'intelletto divino e gli uniti non si distinguono realmente da Dio, è giuoco forza inferire che la sintesi creatrice ha in Dio il suo termine. Ora ciò ch'è in Dio ed è termine dell'intelligenza è il Verbo ed è considerato come nel Verbo, perciò il Rosmini ci ha già detto«L'atto creativo rimane in Dio e ha per suo termine il Verbo divino, nel quale il Padre vede ed afferma ad un tempo l'essere iniziale e il reale del mondo nella sua forma obiettiva. Ma veduto ed affermato il Mondo come oggetto, esso acquista senza più, un'esistenza subiettiva, che non può essere in Dio, perchè totalmente relativo all'ente stesso finito, questa è quell'esistenza propria del mondo che emerge per così dire dal mondo obiettivo in Dio mediante l'energia della affermazione divina.» (Esp. § X).
Ma qui qualche meno accorto lettore si lusingherà di ritrovare nelle parole del Rosmini qualche cosa che lo franchi dal Panteismo, mercecchè sebbene confessi che il termine della creazione è in Dio, o nel Verbo, pur dà al finito una esistenza che non può essere in Dio e perciò è fuori di Dio.
Se non che a' nostri lettori dev'essere oggimai manifesto ciò che notammo nell'articolo precedente: cioè che la terminologia del Rosmini sembra inventata apposta per trarre all'inganno i meno accorti. In fatti, per ciò che spetta al punto presente, quando evidentissimamente abbiamo raccolto dalla Dottrina del Rosmini: 1° che non c'è essere veruno fatto, prodotto, creatodall'atto creativo: 2° che i termini ––creazione, creatura, creare ––sono adoprati da lui metaforicamente, in quanto significano un mododello sguardo della divina mente che dicesi creatrice: 3° che il termine della creazione (il quale altro non può essere che l'ente che dicesi creato) è in Dio; bisogna dire o ch'egli apertamente si contradice qualora ammette la esistenza di cotesto ente non in Dio ma fuori di Dio, e la dice esistenza ad esso propria, oppure bisogna dare a coteste parole un senso diverso dall'adoperato dai sani filosofi e teologi.
Nè dobbiamo noi fantasticare per ricercare e ritrovare questo senso; ce l'ha proposto Rosmini là dove appunto spiega quell'esistenza fuori di Dio.
C'insegna forse il Rosmini che fuori di Dio significa che l'essere dei finiti è effetto, è creatura, è realmente distinto dall'essere divino, è separato di guisa che sieno due esseri l'uno infinito l'altro finito? Se così dicesse sarebbe ortodossa la sua dottrina e tutt'altro che panteistica; ma così non dice e dà invece a quella parola fuori di Dio tale significazione che punto non contradica al vero panteismo. Ecco le suo parole: «Coll'espressione –– è fuori di Dio –– altro non si vuol dire, se non che, il reale finito in quanto appartiene all'esistenza subiettiva degli enti finiti, non costituisce l'essenza divina, o alcuna parte di questa essenza [17].» Questo è conciliabilissimo colla dottrina panteistica rosminiana. Imperocchè il Rosmini ci ha detto già che «L'essenza di Dio è l'essere, e non altro che l'essere.» (Esp. § IV). Laonde è chiaro che il reale finito in quanto è termine riferito dall'intelligenza divina all'essere iniziale non costituisce in tutto o in parte la divina essenza; perchè questa, e ognun lo vede, deve presupporsi di già tutta costituita prima dell'astrazione divina, della imaginazione divina e della divina sintesi che sono le tre operazioni alle quali dal Rosmini è ridotta la creazione. E davvero che se il fuori di Dionon debbe significare altroin filosofia, egli ha ragione da vendere, e può dire che il mondo ha esistenza fuori di Dio, benchè non vi sia essere fatto o prodotto o creato, ma solamente colla intelligenza divina il termine imaginatovenga riferito all'essere iniziale divino. Vegga il lettore con quale disinvoltura affermi il Rosmini che Dio creando nulla fa, e perciò nulla in realtà sia fatto fuori di Dionel senso scolastico: ed insieme vegga come giuochi sopra la parola porreche sostituisce al fare. «Chi non coglie sarà presto a replicare: ma dunque Iddio creando non fa? A cui noi rispondiamo che quello che fa Iddio è unicamente di porre tutto intero l'atto dell'essere delle creature; dunque quest'atto non è propriamente fatto, ma è posto.» (Esp. § XIII.) E il porre è ilriferire che fa l'intelligenza l'essere divino ai termini reali immaginati; e perchè questo porsio questo riferirsi non costituisce la essenza di Dio nè per intero nè per una parte, osa dire, solo per ciò, che gli enti finiti, che secondo la sua dottrina non hanno essere nècreato, nè fatto, sono fuori di Dio. Conseguentemente il Rosmini potrebbe dire che l'amore dell'uomo è fuori dell'uomo, perchè non ne costituisce la essenza, e lo stesso dovrebbesi dire di tutte le proprietà di un ente dalle quali la sua essenza non viene costituita.
Chiudiamo questo articolo ragguagliando brevemente la erronea dottrina del Rosmini coi tre punti sopra esposti di quella dell'Aquinate. Molte ne sono le discrepanze, ma per mancanza di spazio ne toccheremo alcune soltanto. Nel primo punto abbiamo veduto che, secondo l'Aquinate, le idee sono fuoridelle cose di cui sono idee, e questo fuori in san Tommaso significa che sono realmente distinte e separate dalle cose, cotalchè esse hanno un altro essere da quello delle medesime cose. Rosmini insegna il contrario: poichè i termini reali, riferiti all'essere iniziale divino come essenza, sono gli esistenti, e i medesimi termini, riferiti all'essere iniziale come intelligibile, sono le idee degli esistenti. I termini reali sono gli stessi in ambi i riferimenti: e l'essere iniziale divino, come essenza, non si distingue realmente dall'essere iniziale, come intelligibile, perchè è un essere stesso: nè possiamo ritrovare distinzione reale e ilfuori dell'Angelico nella divina intelligenza, ossia nel Padre che riferisce i termini o all'essere iniziale come essenza o all'essere iniziale come intelligibile. Perciò in vero le idee non si distinguono realmente dagli esistenti, nè hanno un essere separato e diverso.
Abbiamo nel secondo punto veduto che San Tommaso dà alla volontà divina la vera ragione di causa efficientedelle cose quando ne determina la esistenza sotto la direzionedell'intelletto. Ma secondo il Rosmini la volontà non esercita il suo influsso che sull'intelletto determinandolo ad imaginare più tosto questi che que' termini e a riferirli all'essere iniziale divino. Tale influsso non può avere ragione di causalitàefficiente, poichè il termined'esso è intra Deum.
Se non che ciò che sopra tutto importa è il rilevare la contrarietà della dottrina del Rosmini a ciò che nel terzo punto abbiamo esposto dell'Aquinate. Questi assolutamente richiede che la creazione sia produzione dell'essere delle cose: vuole che quest'essere si dicafatto, prodotto, creato: vuole che l'essere delle cose derivi dall'essere divino come da causa efficientee ad esso si ragguagli comea causa esemplare, e che perciò sia esso una imperfetta similitudine di Dio stesso. «Est tertius modus causae agentis analogice. Unde patet quod divinum esse producit essecreaturae in similitudine sui imperfecta: et ideo esse divinum dicitur esse omnium rerum a quo omne esse creatum effective et exemplariter manat [18].» A tali principii diametralmente si oppone il Rosmini. Ammettendo un solo essere rigetta la divisione dell'essere creato ed increato, ed apertamente insegna che non si dee dire l'essere fattoo prodotto, ma posto o aggiunto, cioè riferito. E poichè egli afferma che tolto l'essere da una cosa, nulla rimane, e che tutto ciò ch'è nella cosa è essere, è chiaro che l'essere divino iniziale è tutto il positivo della cosa stessa. La parolainiziale per tanto non ha ragione di causa produttrice, efficiente,creatrice di altro essere, come il divinum esse l'ha nel testo recato dall'Angelico, ma ha ragione di causa formale, in quanto che l'essere divino iniziale è, secondo il Rosmini, l'atto di ogni ente o di ogni cosa: «Non esistendo affatto alcun ente nè alcuna entità senz'atto di essere, rimane che l'essere acquisti la nozione d'inizio d'ogni ente e d'ogni entità. Per significare l'essere in questa relazione si adopera l'aggiunto d'iniziale, chiamandosi essere iniziale [19].» Ed appunto per ciò che quest'unico essere è l'atto di ogni entità, dicesicomune o comunissimo dal Rosmini. Che che, sofisticando puerilmente e con poca lealtà vogliasi dire, quell'essere che è atto di ogni cosa (e che per ciò secondo l'Aquinate è l'essere formale di essa) è l'essere divino: perchè divino è l'essere iniziale il quale con sè stesso costituisce tutto ciò che v'è di positivo nella cosa stessa.
Che se l'essere divino è l'unico essere ed è l'essere del quale partecipano le cose, ed il quale è in realtà parzialmente con loro identificato, logicamente dovrebbe trarne il Rosmini un fortissimo argomento panteistico per ascrivere la sua metaforica creazione al solo Dio. L'argomento potrebbe esser questo. Ogni cosa consta di due elementi, l'uno negativo e sono i termini o i limiti sopradetti: l'altro positivo ed è l'essere iniziale, che è divino, ossia ch'è un'appartenenza di Dio, essendo esso la divina essenza ragguardata quale inizio di tutti gli enti. Ora chi può disporre dell'essere divino se non Dio stesso? Ma è proprio questo l'argomento che reca il Rosmini col quale conferma la reità della sua dottrina panteistica. «La creazione non può esser fatta da altri che da Dio. –– Gli enti finiti che compongono il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine reale finito e dall'essere iniziale che dà a questo termine la forma di ente (e però diciamo noi est actus formalis ipsius ed è perciòesse formale eius). Ma l'essere iniziale è qualche cosa dell'Essere assoluto, e l'Essere assoluto è il solo che può disporre di ciò che a sè appartiene, epperò il solo Essere assoluto, Iddio può essere il creatore del mondo [20]
Abbiamo dunque evidentissimamente dimostrato e dall'unità dell'essere ammessa dal Rosmini, e dal negar ch'ei fa la vera creazione, che la sua dottrina è panteismo; ed anzi è il vero panteismo che fu combattuto dall'Aquinate come già a suo luogo abbiamo veduto. Ma pur altro ci resta a dire.

NOTE:

[1] Si considerino specialmente i seguenti articoli: Della visibilità intellettuale di Dio. Serie XI, vol. 3, p. 651. Della soprannaturalità della visione di Dio, vol. 4, pag. 530. San Tommaso distrugge tutti i fondamenti dell'ontologismo, Vol. 5, pag. 146.L'articolo di San Tommaso:Utrum anima intellectiva cognoscat res omnes in rationibus aeternis: esposto e difeso dalle false interpretazioni degli ontologi, vol. cit. p. 532. Della divina volontà, vol. cit. p. 673. Della divina potenza e del panteismo, vol. 6, p. 44. Della creazione, vol. cit. p. 270. L'Aquinate confuta il panteismo ontologico, vol. cit. p. 415.
[2] Ἰδέα enim graece, latine forma dicitur: unde per ideas intelliguntur formae aliquarum rerum praeter ipsas existentes. Forma autem alicuius rei praeter ipsam existens ad duo esse potest: vel ut sit exemplar eius cuius dicitur forma, vel ut sit principium cognitionis ipsius secundum quod formae cognoscibilium dicuntur esse in cognoscente.» I, Sum. Th. XV, 1.
[3] «Unde plures ideae sunt in mente divina ut intellectae ab ipsa, quod hoc modo potest videri: ipse enim essentiam suam perfecte cognoscit; unde cognoscit eam secundum omnem modum quo cognoscibilis est. Potest autem cognosci non solum secundum quod in se est, sed secundum quod est partecipabilis secundum aliquem modum similitudinis a creaturis. Unaquaeque autem creatura habet propriam speciem secundum quod aliquo modo participat divinae essentiae similitudinem. Sic igitur in quantum Deus cognoscit suam essentiam ut sic imitabilem a tali creatura, cognoscit eam ut propriam rationem et ideam huius creaturae et similiter de aliis.» Quaest. cit. art. 2.
[4] «Cum ipse Deus sit similitudo et species omnium rerum, duplex conversio intellectus potest fieri in ipsum, vel absolute secundum quod est res quaedam, vel in quantum est similitudo omnium rerum: et utroque modo seipsum Deus cognoscit, et supra se convertitur, quamvis non diversa sed una operatione» (I, dist. 27, quaest. II. art. III).
[5] «Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata. Scientia autem artificis est causa artificiatorum, eo quod artifex operatur per suum intellectum. Unde oportet quod forma intellectus sit principium operationis, sicut calor est principium calefactionis. Sed considerandum est quod forma naturalis in quantum est forma manens in eo cui dat esse, non nominat principium actionis, sed secundum quod habet inclinationem ad effectum; et similiter forma intelligibilis non nominat principium actionis secundum quod est tantum in intelligente, nisi adiungatur ei inclinatio ad effectum; quae est per voluntatem. Cum enim forma intelligibilis ad opposita se habeat, cum sit eadem scientia oppositorum, non produceret determinatum effectum, nisi determinaretur ad unum per appetitum. Manifestum est autem quod Deus per intellectum suum causat res, cum suum esse sit suum intelligere: unde necesse est quod sua scientia sit causa rerum, seeundum quod habet voluntatem coniunctam. Unde scientia Dei secundum quod est causa rerum, consuevit nominari scientia approbationis.» (Summa th. I. Quaest. 14, art. 8).
[6] «Unius et eiusdem effectus etiam in nobis est causa scientia ut dirigens, qua concipitur forma operis; et voluntas ut imperans; quia forma, ut est in intellectu tantum, non determinatur ad hoc quod sit vel non sit in effectu, nisi per voluntatem. Unde intellectus speculativus nihil dicit de operando.» (Summ. th. I, 19, art. 4).
[7] Sum. Th. I, 45-6.
[8] Vol. I, pag. 401.
[9] Vol. I, pag. 403.
[10] Vol. l, p. 402.
[11] Vol. I, p. 404.
[12] Vol. I, p. 405.
[13] Vol. I, p. 421.
[14] Vol I, p. 408.
[15] Vol. I, pag. 658.
[16] Vol. I, pag. 408.
[17] Vol. I, pag. 430.
[18] Dist. VIII, Quaest. 1, art. 2.
[19] Vol. I, pag. 172.
[20] Vol. I, pag. 396.