mercoledì 3 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno XVII, vol. VII. della serie VI, Roma 1866 pagg. 402 - 415. CLEMENTE V E I TEMPLARI (Prima parte)

[Nota : collegamento alla traduzione italiana della Bolla di Clemente V Vox in excelso.]
 
L'abolizione dell'Ordine dei Templari, fatta da Clemente V nel 1312, è uno di quegli avvenimenti, intorno a cui la luce della storia non sembra avere per anco dissipate tutte le tenebre del mistero. Anche oggidì, dopo cinque secoli e mezzo, e dopo che tanto si è studiato e scritto sopra questo celebre soggetto, rimangono degli enimmi da sciogliere, i quali forse non si scioglieranno mai; ed intorno, alla sostanza medesima del fatto e al giudizio da recarsi sopra gli attori principali di quella gran tragedia, le opinioni degli scrittori vanno tuttavia stranamente discordi. Benché i più e i migliori non esitino punto ad approvare, come giusta e necessaria, la gran sentenza che cancellò dal mondo quella milizia, già al gloriosa e potente, dei Cavalieri del Tempio, parecchi nondimeno stanno in forse; e non mancano eziandio difensori dichiarati e ardenti, che celebrano come martiri i Templari, o li compiangono almeno come vittime di una grande iniquità, della quale fan pesare il tremendo carico sopra il capo di Clemente V e di Filippo il Bello, congiurati con empio patto, ovvero cospiranti, l'uno per debolezza, l'altro per prepotenza, alla medesima, ingiustizia. Di modo che il gran processo, che tenne allora per ben cinque anni incerta ed ansiosa tutta la cristianità, non sembra ultimato nemmeno al presente, e le passioni d'allora sembrano avere tramandate fino a noi quasi un eco delle loro commozioni.
In tal condizione di cose, ogni filo di luce che possa rischiarare la questione, dileguare qualche dubbio, confermare le verità già note, dee raccogliersi con diligenza; e poichè i documenti autentici e contemporanei sono la base più sicura della verità storica, a questi soprattutto si dee volgere l'attenzione studiosa del critico. Ora, principalissimo tra questi documenti è senza dubbio la Bolla di abolizione con cui Clemente V, nel Concilio ecumenico di Vienna, soppresse in perpetuo l'Ordine dei Templari.
Di essa parlano tutti gli storici e ne indicano in succinto la sostanza; ma, cosa strana! il testo della Bolla non si legge presso niuno di loro; e, quel che è più strano, esso si cerca indarno eziandio nelle grandi Collezioni degli Annali ecclesiastici e degli Atti dei Concilii e dei Pontefici.

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Papa Clemente V
 
 
Il Rainaldi, nella sua Continuazione del Baronio, reca bensì vari Decreti pontificii, relativi alla causa dei Templari, ed all'anno 1312 recita eziandio l'esordio della Costituzione apostolica Considerantes dudum, del 6 Maggio, nel quale il Papa brevemente ricordando il contenuto della Bolla di abolizione, con cui, dic'egli, praefatum quondam Templi ordinem ae eius statum, habitum, atque nomen sustulimus, removimus et cassavimus, ac perpetuae prohibitioni subiecimus, ne parla come di cosa già fatta, e passa quindi a decretare varie disposizioni intorno alle persone dei Tempiari: ma, quanto al testo medesimo della Bolla di abolizione, ben si vede che l'Annalista non l'ebbe alla mano; altrimenti, piuttosto che citarne la breve e indiretta menzione che se ne fa in una Costituzione posteriore, non avrebbe mancato di allegare il tenore primitivo della Bolla medesima, che in così grave materia, era il documento capitale. La stessa lacuna incontrasi in tutti i Bollarii; la stessa, nelle grandi Raccolte dei Concilii dell' Harduino, del Labbe, del Mansi, dove si ha bensì la Bolla Ad providamdel 2 Maggio, nella quale Clemente V prescrive quel che sia da farsi dei beni dei Templari soppressi, ma non si fa verbo della Bolla antecedente, con cui furono soppressi.
Laonde dovrebbe dirsi che questa Bolla o sia al tutto perduta o sia rimasta sepolta in modo da sfuggire alle ricerche degli eruditi anco più illustri e diligenti. Quindi è che generalmente gli storici, e fra essi, ancor quelli di maggior merito, come il Becchetti continuatore dell'Orsi [1], il Rohrbacher [2], il Iager [3], il Christophe [4], il Wilcke [5], sono facilmente caduti nell'inganno di credere che la Bolla di abolizione altra non fosse che la Bolla Ad providam, o l'altra Considerantes dudum, del 2 e del 6 Maggio: con tutto che in queste due Costituzioni apostoliche, le quali non hanno altro scopo che di decretare disposizioni intorno ai beni e alle persone dei Templari soppressi, la soppressione dell'Ordine si supponga come già succeduta e promulgata, e solo venga menzionata storicamente nell'esordio delle medesime.
La notizia pertanto dell'essersi alfine rinvenuta e richiamata alla pubblica luce delle stampe la vera e primitiva Bolla di abolizione dei Templari, deve giungere tanto più gradita, quanto era meno aspettata dall'universale dei dotti. Nell'estate del 1863, l'illustre Benedettino, D. Pio Gams, viaggiando in cerca di erudite notizie per la Spagna, ebbe contezza che il P. Caresman avea, già in sul cadere dei secolo scorso, ritrovato nell'archivio dì Ager, in Catalogna, il testo intero della Bolla predetta; che essa cominciava colle parole:Vox in excelso audita est lamentationis; che portava la data degli XI Kal. Aprilis (22 Marzo); e che insieme con essa aveasi pure intero il testo dell'altra Bolla, meno prolissa, del 6 Maggio, Considerantes dudum, di cui il Rainaldi, negli Annali, avea pubblicato il solo esordio. Ritornato poi di Spagna, il medesimo.D. Gams ebbe la ventura .di trovare queste due Bolle stampate per intero nella grand'opera di Gioacchíno Lorenzo Villanueva, intitolata: Viage literario à las iglesias de España. Madrid, 1806; al Tomo V, nell'Apendice de Documentos, pag. 207-221 e 22l-224. Siccome nondimeno quest'Opera è rarissima, le due Bolle, che il Villanueva probabilmente copiò dall'archivio di Ager, seguitarono a rimanere ignote al mondo erudito quasi al modo stesso che prima; come apparisce dal non averle adoperate nè accennate niuno dei molti Autori che nel secolo corrente scrissero intorno ai Templari e alla loro soppressione. È stato pertanto ottimo consiglio quello dell'illustre Hefele, di dare nuova luce a queste Bolle, traendole dall'oscurità in cui finora giacquero sepolte e dimentiche; e perciò, appena egli ebbe dal suo dotto amico, il Gams, partecipazione delle notizie or ora riferite, si affrettò di ristampare esattamente e integralmente l'una e l'altra Bolla nelTheologische Quartalschrift [6], dotto periodico di Tubinga, del quale egli è, con altri Professori di teologia cattolica nell'Università di Tubinga, scrittore principale.
Non è già nostro intendimento di recitare qui intero il tenore del prezioso documento, che abbiamo sott'occhio; ma sibbene speriamo di far cosa grata ai nostri lettori col darne loro un esatto ragguaglio, recandone testualmente i passi più importanti, e fermandoci poi a trarne alcune considerazioni, utili a meglio intendere e giudicare quel grande avvenimento, che fu la distruzione dei Templari. Prima però, per maggiore chiarezza, giova richiamare brevemente alla memoria la serie degli atti principali che a cotesto avvenimento appartengono.
Nel 1307, Filippo il Bello diede il primo e gran colpo all'Ordine dei Templari, coll'ordinare ed eseguir che fece in un medesimo giorno (13 Ottobre), per tutto il reame di Francia, l'imprigionamento dei Cavalieri; la reità dei quali era presso di lui cosa omai indubitata. Quest'atto della potestà laicale contro un Ordine religioso e sovrano che dipendeva unicamente dalla S. Sede, dispiacque fortemente al Papa Clemente V; e non solo ei ne mosse al Re gravissime rimostranze, ma rivocò immantinente al proprio tribunale tutta fa causa dei Templari, e costrinse il focoso e prepotente Filippo ad aspettare dalla bocca della Chiesa il solenne giudizio che ella porterebbe sopra i medesimi. Clemente V avea finora poco o nulla creduto alle orribili accuse di cui venivano gravati quei Cavalieri, ed erasi perciò sempre mostrato restio alle iterate istanze che contro di loro facevagli il Re, nel quale egli avea per altro buona ragione di sospettare che lo zelo di religione e di giustizia servisse a mantellare per avventura biechi intenti di avarizia o di despotismo. Ma, tosto che ebbe cominciato a recarsi in mano la cognizione giuridica della causa, furono sì spaventose le rivelazioni che ottenne, e sì convincenti le prove degli abbominevoli eccessi onde i Templari erano incolpati, ch'egli ne inorridì, e risolvette di scoprire fino al fondo cotesta orribile e gran piaga, per estirparla tosto fin dalle radici e purgarne per sempre il seno della Chiesa. Pertanto non solo ordinò, che in Francia si ripigliassero dai Vescovi e dagli Inquisitori i processi già cominciati contro i Templari, ma con lettere e Bolle, indirizzate ai Principi e al Vescovi in Inghilterra, in Italia, in Germania, in Ispagna e in tutte le terre della Cristianità, dov'erano Templari, intimò, che all'esempio della Francia, si arrestassero tutti i membri dell'Ordine, si sottomettessero a rigoroso esame, e gli atti giuridici di cotesti esami s'inviassero alla S. Sede. Quattr'anni interi, dal 1307 al 1311, durò questo gran processo, per cui tutta l'Europa parea divenuta un vasto tribunale; ed esaurite finalmente le inquisizioni e le indagini della più scrupolosa giustizia, il Pontefice risolse di venire all'ultimo atto della sentenza.
A tal fine egli avea già fin dal 12 Agosto 1348 intimato colla Bolla:Regnans in coelis triumphans Ecclesia, un Concilio generale, da aprirsi in Vienna (nel Delfinato) la festa degli Ognissanti del 1310, che poi prorogò al dí 1 Ottobre dell'anno seguente. Radunato adunque il Concilio, Clemente nella prima Sessione, tenutasi il 16 Ottobre 1311, espose ai Padri gli oggetti proposti alle loro deliberazioni, fra i quali primo e principale era la causa dei Templari. Indi, fatta eleggere dal Concilio una numerosa deputazione di Prelati a trattare specialmente di tal negozio, comunicò loro tutti gli atti de' processi, che da ogni parte del mondo erangli stati trasmessi; e volle avere da ciascun di loro il suo parere. Infine, dopo lunghe conferenze e maturi esami, continuati per ben cinque mesi, Clemente V promulgò la sentenza finale di abolizione, dapprima in un Concistoro secreto di Cardinali e di molti Vescovi, tenuto il dì 22 Marzo 1312, poi nella solenne adunanza di tutto il Concilio, cioè nella seconda Sessione ch'esso tenne il 3 Aprile, ed a cui intervenne in persona anche il Re di Francia, Filippo il Bello, coi tre suoi figli e col Conte di Valois suo fratello, e coi magnati della sua Corte. Questa doppia promulgazione è attestata dai biografi di Clemente V, presso il Baluzio [7] e il Rainaldi [8]; ed è fuor di dubbio che la Bolla, la quale allora ivi fu promulgata, è appunto là Bolla: Vox in excelso, che or ora esporremo. Abolito l'Ordine del Tempio, restava a determinare l'uso da farsi dei beni immensi da lui posseduti, e a decretare i provvedimenti da pigliarsi intorno a' suoi membri disciolti. Quanto ai beni, il Papa decretò, colla Bolla: Ad providam, del 2 Maggio 1312, che essi venissero interamente trasmessi, in servizio di Terra santa, all'Ordine dei Cavalieri gerosolimitani; salvo che nei regni di Castiglia, di Aragona, di Portogallo e delle isole Baleari, dove li concedette poscia ai Sovrani di questi Stati per la guerra contro i Mori. Quanto alle persone dei Templari, stabilì i varii ordinamenti da tenersi, coll'altra Bolla: Considerantes dudum, data il 6 Maggio, nella terza ed ultima Sessione solenne del Concilio. Queste due Bolle pertanto sono come il compimento della Bolla di abolizione, del 22 Marzo; ma non si debbono altrimenti con essa confondere, come han fatto finora generalmente gli storici: e benchè ambedue nel loro esordio ricordino la sentenza già data dell'abolizione medesima, questa però non forma già il tema loro proprio, ma vien solo storicamente allegata come fondamento necessario alle ordinazioni che in ciascuna si decretano.
Ciò premesso, veniamo al testo di questa Bolla fondamentale.
Ella comincia con un eloquente esordio, in cui il Papa con profondi sensi di dolore, ed usando con appropriazione mirabile il sublime linguaggio dei Profeti, deplora l'orrenda ed incredibile prevaricazione, in cui quell'Ordine già sì illustre del Tempio era caduto e per cui rendeasi degno dell'estrema maledizione. Esso è un sì bel tratto di eloquenza ecclesiastica, che non ci dà l'animo di frodarne pur d'un iota il nostro lettore. Eccolo pertanto nella sua originale interezza:
Vox in excelso audita est lamentationis, fletus et luctus; quia venit tempus, tempus venit quo per prophetam conqueritur Dominus. In furorem et indignationem mihi facta est domus haec; auferetur de conspectu meo propter malitiam filiorum suorum, quia me ad iracundiam provocabant, vertentes ad me terga et non facies, ponentes idola sua in domo, in qua invocatum est nomen meum, ut polluerent ipsam. Aedificaverunt excelsa Baal, ut initiarent et consecrarent filios suos idolis atque daemoniis (Ierem. XXXII, 31-35); profunde peccaverunt, sicut in diebus Gabaa (Osea, IX, 9). Ad tam horrendum auditum tantumque horrorem vulgatae infamiae (quod quis unquam audivit tale? quis vidit huic simile?) corrui cum audirem, contristatus sum cum viderem, amaruit cor meum, tenebrae exstupefecerunt me. Vox enim populi de civitate, vox de templo, vox Domini reddentis retributionem inimicis suis. Exclamare Propheta compellitur: Da eis, Domine, da eis vulvam sine liberis et ubera arentia (Osea, IX, 14).Nequitiae eorum revelatae sunt propter malitiam ipsorum. De domo tua eiice illos. El siccetur radix eorum, fructum nequaquam faciant, non sit ultra domus haec offendiculum amaritudinis, et spina dolorem inferens (Ezech. XXVIII, 24); non enim parva est fornicatio eius immolantis filios suos, dantis illos et consecrantis daemoniis et non Deo, diis quos ignorabant; propterea in solitudinem et opprobrium, in maledictionem et in desertum erit domus haec, confusa nimis et adaequata pulveri; novissime deserta et invia, et arens ab ira Domini quem contempsit; non habitetur, sed redigatur in solitudinem, et omnes super eam stupeant, et sibilent super universis plagis eius (Ierem. L, 12, 13). Non enim propter locum gentem, sed propter gentem locum elegit Dominus; ideo et ipse locus templi particeps factus est populi malorum, ipso Domino ad Salomonem aedificantem sibi templum, qui impletus est quasi flumine sapientia, apertissime praedicante: Si aversione aversi fueritis, filii vestri, non sequentes et colentes me, sed abeuntes, et colentes Deos alienos et adorantes ipsos, proiiciam eos a facie mea, et expellam de terra quam dedi eis, et templum quod sanctificavi nomini meo, a facie mea proiiciam, et erit in proverbium et in fabulam, et populis in exemplum. Omnes transeuntes videntes stupebunt et sibilabunt, et dicent; quare sic fecit Dominus templo et domui huic? Et respondebunt, quia recesserunt a Domino Deo suo, qui emit et redemit eos, et secuti sunt Baal et Deos alienos, et adoraverunt eos et coluerunt; iccirco induxit Dominus super ipsos hoc malum grande (III Reg. IX, 6-9).
Dopo questo esordio, il Papa entra nella esposizione storica del fatto, ritessendo tutto l'ordine dei procedimenti da lui tenuti nella causa dei Templari. Questa esposizione può distinguersi in due parti: l'una comprende gli atti precedenti all'apertura del Concilio, l'altra le discussioni agitate dal Pontefice coi Padri del Concilio medesimo. Quanto alla prima, siccome non è altro che la ripetizione quasi letterale di quel che già leggesi nella Bolla Regnans in coelis sopra citata, non accade che noi ne rechiamo il testo, potendolo ognuno facilmente riscontrare in cotesta Bolla presso il Cherubini [9] o il Mansi [10] o il Rainaldi [11]. Bensì ne ricorderemo sommariamente la sostanza, affinchè si abbia intera sotto gli occhi la contenenza del documento che qui descriviamo.
Narra dunque il Papa, come fin dai principii del suo pontificato e prima eziandio di coronarsi in Lione, fossero a lui riferite gravissime accuse contro il Gran Maestro, i Precettori ed i Cavalieri del Tempio, incolpati di apostasia, d'idolatria, di disonestà nefande e di varie eresie. Ma, perocchè siffatti eccessi gli erano parsi cosa incredibile in un Ordine religioso, consecrato specialmente a militare per Cristo, e a cui, oltre i meriti antichi, non mancavano tuttavia grandi apparenze di pietà e di virtù, perciò non aver egli voluto da principio dare orecchio a tali delazioni. Ma poi, avendo Filippo, re di Francia, non già per gola dei beni dei Templari, ai quali anzi aveva interamente rinunziato, ma sì per zelo della fede, prese intorno a ciò ed inviate alla S. Sede molte e gravi informazioni; e d'altra parte crescendo ogni dì più per la divulgazione dei predetti eccessi la pubblica infamia contro l'Ordine; ed avendo egli medesimo, il Papa, da uno dei principali Cavalieri avuto confessione giurata degli orrendi riti che praticavansi nel ricevere i nuovi membri dell'Ordine (cioè rinnegare Cristo, sputare sopra la Croce, con altri atti illeciti e sconci); essergli stato impossibile il non porgere finalmente ascolto alle clamorose istanze che il Re, i Duchi, i Conti e Baroni, e il Clero e il popolo del regno di Francia da ogni parte alzavano contro il Gran Maestro e i Cavalieri del Tempio, i quali d'altra parte già erano rei confessi per le deposizioni che avean fatte al tribunale dell'Inquisitore e di molti Prelati. Perciò aver egli determinato di procedere con seria inquisizione all'esame degli apposti reati; è in primo luogo, aver egli medesimo, coll'assistenza di più Cardinali, esaminati ben settantadue de' principali Cavalieri, i quali liberamente rinnovarono con giuramento le confessioni, già fatte dinanzi ad altri tribunali; indi, aver chiamato a sè in Poitiers il Gran Maestro, il Visitatore di Francia e i Precettori maggiori di Normandia, di Aquitania, del Poitou e della terra oltremare (sostenuti allora a Chinon), ma non potendo alcuni d'essi per infermità imprendere il viaggio, aver egli mandato loro per esaminarli i tre Cardinali Berengario, Stefano e Landolfo, ai quali gli accusati con giuramento confermarono la verità delle deposizioni che aveano già fatte (in Parigi) al tribunale dell'Inquisitore di Francia, e specialmente confessarono d'avere rinnegato Cristo e sputato sulla Croce, quando erano stati ricevuti nell'Ordine, e d'avere poi essi con simile rito ricevuti molti altri, e infine con umile pentimento chiesero l'assoluzione dalle censure, la quale fu loro dal Cardinali, secondo l'espressa autorità che ne aveano dal Papa, benignamente compartita; gli atti autentici poi di queste loro confessioni essere stati dai tre Cardinali presentati al Papa, ed essersi egli convinto quindi della reità del Gran Maestro, del Visitatore e dei Precéttori predetti. Finalmente, aver egli, col consiglio del Collegio de' Cardinali, decretato che in ogni parte dei mondo dov'erano Templari, i Vescovi o altri Delegati pontificii procedessero a somiglianti esami contro i singoli membri dell'Ordine; e gli atti di questi processi essere già pervenuti nelle sue mani, ed essere stati da lui e dai Cardinali e da altri savii e zelanti Prelati, diligentemente letti ed esaminati.
Fin qui la prima parte della esposizione storica, quella cioè che narra gli atti precedenti all'apertura del Concilio. La seconda, men prolissa, abbraccia il tempo del Concilio medesimo, dalla sua prima Sessione del 16 Ottobre 1311 fino al Marzo seguente; ed espone come, attesa l'impossibilità di esaminare in piena adunanza la causa dei Templari, il Papa fece deputare a tal esame una eletta di Padri, coi quali, dopo che ebbero con lunga e diligentissima opera studiati i processi, egli deliberò qual sentenza fosse da pronunziare e in qual modo; se cioè l'Ordine intiero potesse condannarsi e abolirsi come reo, ovvero, senza formale condanna, dovesse soltanto sopprimersi per via di provvedimento prudenziale, attesa l'indubitata reità di tanti e principalissimi suoi membri; ed enumera infine le gravissime ragioni,per cui il Papa si attenne all'ultimo partito. Ma, poichè questa seconda parte è la più nuova, ed al tempo stesso la più importante a conoscersi per ben intendere la questione principale, non ci graveremo di recarne per intiero il testo. Essa dunque dice così:
Post quae dum venissemus Viennam, et essent iam quamplures patriarchae, archiepiscopi, episcopi electi, abbates exempti et non exempti, et alii ecclesiarum praelati, nec non et procuratores absentium praelatorum et capitulorum ibidem pro convocato a nobis Concilio congregati, Nos post primam sessionem, quam inibi cum dictis Cardinalibus et cum praefatis praelatis et procuratoribus tenuimus, in qua causas convocationis Concilii eisdem duximus exponendas, quia erat difficile, immo fere impossibile, praefatos Cardinales et universos praelatos et procuratores in praesenti Concilio congregatos ad tractandum de modo procedendi super et in facto seu negotio fratrum Ordinis praedictorum in nostra praesentia convenire, de mandato nostro ab universis praelatis et procuratoribus in hoc Concilio existentibus certi patriarchae, archiepiscopi, episcopi, abbates exempti et non exempti et alii ecclesiarum praelati et procuratores de universis christianitatis partibus quarumcumque linguarum, nationum et regionum, qui de peritioribus, discretioribus et idoneioribus ad consulendum in tali et tanto negotio et ad tractandum una Nobiscum et cum Cardinalibus antedictis tam solemne factum sive negotium credebantur, electi concorditer et assumpti fuerunt. Post quae praefatas attestationes super inquisitionem Ordinis praelibati receptas coram ipsis praelatis et procuratoribus per plures dies et quantum ipsi voluerunt audire, publice legi fecimus in loco ad tenendum Concilium deputato, videlicet in ecclesia cathedrali, et subsequenter per multos venerabiles fratres nostros, patriarcham Aquileiensem, archiepiscopos et episcopos in praesenti sacro Concilio existentes, electos et deputatos ad hoc, per electos a toto Concilio, cum magna diligentia et sollicitudine, non perfunctorie, sed moratoria tractatione dictae attestationes ac rubricae super his factae, visae, perlectae et examinatae fuerunt. Praefatis itaque Cardinalibus, patriarchis, archiepiscopis et episcopis, abbatibus exemptis et non exemptis, et aliis praelatis et procuratoribus, ab aliis, ut praemittitur, electis propter praemissum negotium , in nostra praesentia constitutis, facta per Nos propositione et consultatione secreta, qualiter esset in eodem negotio procedendum, praesertim cum quidam templarii ad defensionem eiusdem Ordinis se offerrent, maiori parti Cardinalium et toti fere Concilio, illis videlicet, qui a toto Concilio, ut praemittitur, sunt electi et quoad hoc vices totius Concilii repraesentant, vel parti multo maiori, quinimo quatuor vel quinque partibus eorundem cuiuscumque nationis in Concilium existentium indubitatum videbatur, et ita dicti praelati et procuratores sua consilia dederunt, quod ipsi Ordini defensio dari deberet, et quod ipse Ordo de haeresibus, de quibus inquisitum est contra ipsum, per ea quae hactenus sunt probata, absque offensa Dei et iuris iniuria condemnari nequeat; aliis quibusdam e contra dicentibus, dictos fratres non esse (ad) defensionem dicti Ordinis admittendos, nec Nos dare debere defensionem eidem, si enim, ut dicebant praemissi, eiusdem Ordinis defensio admittatur vel detur, ex hoc ipsius negotii periculum, et non modicum terrae sanctae subsidii detrimentum sequeretur, et altercatio et retardatio ac decisionis ipsius negotii dilatio; ad haec multas rationes et varias allegantes.Verum, licet ex processibus habitis contra Ordinem memoratum ipse ut haereticalis per definitivam sententiam canonice condemnari non possit; quia tamen idem Ordo de illis haeresibus, quae imponuntur eidem, est plurimum diffamatus, et quia quasi infinitae personae illius Ordinis, inter quas sunt generalis Magister, Visitator Franciae et maiores praeceptores ipsius, per eorum confessiones spontaneas de praedictis haeresibus, erroribus et sceleribus sunt convictae, quia etiam ipsae confessiones dictum Ordinem reddunt valde suspectum, et quia infamia et suspicio praelibatae dictum Ordinem reddunt Ecclesiae sanctae Dei et praelatis eiusdem ac regibus aliisque principibus et caeteris catholicis nimis abominabilem et exosum, quia etiam verisimile creditur, quod amodo bona non reperiretur porsona, quae dictum Ordinem vellet intrare, propter quae ipse Ordo Ecclesiae Dei, ac prosecutioni negotii terrae sanctae, ad cuius servitium fuerant deputati, inutilis redderetur, quoniam insuper ex dilatione decisionis seu orditiationis dicti negotii, ad quam faciendam vel sententiam promulgandam terminus peremptorius fuerat in praesenti Concilio praefatis Ordini et fratribus assignatus a Nobis, bonorum templi, quae dudum ad subsidium terrae sanctae et impugnationem inímicorum fidei christianae a Christi fidelibus data, legata ed concessa fuerunt, totalis amissio, destructio et dilapidatio, ut probabiliter creditur, sequeretur; inter eos qui dicunt, ex nunc contra dictum Ordinem pro dictis criminibus condemnationis sententiam promulgandam, ed alios qui dicunt, ex processibus praehabitis contra dictum Ordinem condemnationis sententiam iure ferri non posse, longa et matura deliberatione praehabita, solum Deum habentes prae oculis, et ad utilitatem negotii terrae sanctae respectum habentes, non declinantes ad dexteram vel sinistram, viam provisionis et ordinationis duximus eligendam, per quam tollentur scandala, vitabuntur pericula et bona conservabuntur subsidio terrae sanctae.
Qui termina l'esposizione storica dei procedimenti tenuti dal Pontefice nella causa dei Templari. Dopo la quale viene immantinente la parte dispositiva della Bolla, cioè il decreto di abolizione, che è dei tenore seguente :
Considerantes itaque infamiam, suspicionem, clamosam insinuationem et alia supradicta, quae contra Ordinem faciunt supradictum, necnon et occultam et clandestinam receptionem fratrum ipsius Ordinis, differentiamque multorum fratrum eiusdem a communi conversatione, vita et moribus aliorum Christi fidelium, in eo maxime quod recipientes aliquos in fratres sui Ordinis, receptos in ipsa receptione professionem emittere faciebant et iurare, modum receptionis nemini revelare, nec religionem illam exire, ex quibus contra eos praesumitur evidenter; attendentes insuper grave scandalum ex praedictis contra Ordinem praelibatum subortum fuisse, quod non videretur posse sedari eodem Ordine remanente, necnon et fidei et animarum pericula, et quamplurimorum fratrum dicti Ordinis horribilia multa facta, et multas alias rationes iustas et causas, quae nostrum ad infra scripta movere animum rationabiliter et debite potuerunt; quia et maiori parti dictorum Cardinalium et praedictorum a toto Concilio electorum, plus quam quatuor vel quinque partibus eorumdem, visum est decentius et expedientius et utilius pro Dei honore et pro conservatione fidei christianae ac subsidio, terrae sanctae, multisque aliis rationibus validis, sequendam fore potius viam ordinationis et provisionis Sedis Apostolicae, Ordinem saepe fatum tollendo et bona ad usum, ad quem deputata fuerant, applicando, de personis etiam ipsius Ordinis, quae vivunt, salubriter providendo, quam defensionis iuris observationes el negotii prorogationes; animadvertentes quoque quod alias, etiam sine culpa fratrum, Ecclesia Romana fecit interdum alios ordines solemnes ex causis incomparabiliter minoribus, quam sint praemissae, cessare: non sine cordis amaritudine et dolore, non per modum definitivae sententiae, sed per modum provisionis seu ordinationis apostolicae praefatum Templi Ordinem et eius statum, habitum atque nomen irrefragabili et perpetuo valitura tollimus sanctione, ac perpetuae prohibitioni subiicimus, sacro Concilio approbante, districtius inhibentes, ne quis dictum Ordinem de caetero intrare, vel eius habitum suscipere vel portare, aut pro templario gerere se praesumat. Quod si quis contra fecerit, excommunicationis incurrat sententiam ipso facto. Porro, Nos personas et bona eadem Nostrae ac apostolicae Sedis ordinationi et dispositioni, quam, gratia divina favente, ad Dei honorem et exaltationem fidei christianae ac statum prosperum terrae sanctae facere intendimus, antequam praesens sacrum terminetur Concilium, reservamus; inhibentes districtius, ne quis, cuiuscumque conditionis vel status existat, se de personis vel bonis huiusmodi aliquatenus intromittat, vel circa ea in ordinationis, sive dispositionis nostrae per Nos, ut praemittitur, faciendae praeiudicium alíquod faciat, innovet vel attentet. Decernentes ex nunc irritum et inane, si secus a quoquam scienter ved ignoranter contigerit attentari. Per hoc tamen processibus factis vel faciendis circa singulares personas ipsorum templariorum per dioecesanos episcopos et provincialia concilia, prout per Nos alias extitit ordinatum, nolumus derogari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae ordínationis, provisionis, constitutionis et inhibitionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri el Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. — Datum Viennae, XI calendas Aprilis, pontificatus nostri anno septimo.
Tal è la sostanza e il tenore della Bolla, che estinse in perpetuo l'Ordine già sì illustre dei Cavalieri del Tempio, dopo quasi due secoli di vita. Ella sparge non poca luce sopra quel grande avvenimento, e soprattutto serve mirabilmente a giustificare Clemente V delle accuse onde molti scrittori hanno aggravato, quanto al fatto dei Templari, la sua memoria, Ma di ciò ci riserbiamo a discorrere in un altro articolo.