mercoledì 28 novembre 2012

Finalmente un libro recente che riabilita i buoni: Le cinque giornate di Radetzky

È possibile vedere le Cinque Giornate di Milano del marzo 1848 con gli occhi di Radetzky ? Rispondiamo tranquillamente che è giunto il momento di farlo. Non soltanto perché il feldmaresciallo austriaco si comportò da militare d' onore, ma per il semplice motivo che la storia del Risorgimento è da cancellare anche al Nord. Ripensiamo al così detto  Risorgimento con i primi gesti del 1848 a Milano: due damazze coccolate dalla città sentono odore di bruciato e cambiano aria. La prima è la russa Samoylov: ripara a Parigi (dopo aver seppellito il consorte finisce nel letto dello zar e poi in via Borgonuovo, in un esilio dorato); la seconda è la Elssler, strapagata alla Scala, che vende tutto, compreso - per la cifra folle di 600 lire - il suo vaso da notte. Se ne va a Vienna. Ma per meglio conoscere queste e altre vicende, è uscito nel 2008 un delizioso libro di Giorgio Ferrari: Le cinque giornate di Radetzky (Edizioni La Vita Felice, pp. 256, 12,50). Grazie a esso è possibile seguire la cronaca di Milano tra il 18 e il 22 marzo 1848, le « Cinque Giornate», senza lasciarsi irretire dalla retorica risorgimentale e da taluni eccessi patriottardi, cari al tempo che fu e al mal governo che è. Tra un pitale conteso da amanti insoddisfatti e i sogni interrotti dalla fuga della russa, c' è l' altra faccia della  storia. Ferrari ha scritto un libro accurato, lavorando soprattutto sui saggi di Luzio, sulle memorie del diplomatico austriaco Hübner - che, poverino, arrivò a Milano all' inizio della tempesta - sul testo dedicato all' insurrezione da Cattaneo. Il quale, sia detto una volta per tutte, «degli austriaci apprezzava senza remore la magnifica macchina burocratica e il buon governo del Lombardo-Veneto» e intuiva il ruolo egemone (per gettito fiscale, produzione e ricchezza individuale) che questo regno «avrebbe avuto in una federazione di province indipendenti se pur formalmente sotto la sovranità dell' aquila bicipite». Una sorta di Commonwealth che «più tardi sarebbe ridiventato un sogno fuggevole ma assai seducente per una moltitudine di lombardi e di veneti» (p.115). Il libro è anche una cronaca più vera di quei giorni, degli atteggiamenti tartufeschi di molta borghesia e di troppa nobiltà; è, di rimando, un piccolo inventario delle incertezze e della poca stoffa militare di Carlo Alberto. Radetzky, invece, anche se commise qualche errore si era temprato combattendo Napoleone. Per questo seppe perdere, riconquistare e salvare Milano, che non fece cannoneggiare: un uomo che merita di essere giudicato assolutamente non spietato al contrario di come abitualmente ce lo fanno ricordare. Insomma, un altro ritratto del grande maresciallo che a Milano ebbe una seconda famiglia, che era ben accolto nelle osterie e che, sconfitti i piemontesi, rientrò mentre il popolo diceva: «hinn stàa i sciuri», «sono stati i signori» (a volere la rivoluzione). Storia da ripensare attraverso gli entusiasmi popolari, le barricate , gli equivoci, le vittime. E Radetzky: servitore fedele dell' impero e del Gorno legittimo , con il cuore a Milano.


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Di Redazione A.L.T.A.