sabato 10 novembre 2012

La Civiltà Cattolica anno IV, serie II, vol. III, Roma 1853 pag. 609-620. R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio D.C.D.G. O DIO RE COLLA LIBERTÀ O L'UOMO RE COLLA FORZA

 

§ I.

Vero problema della società moderna.

Non senza ragione la società viene rassomigliata in molti punti all'individuo umano nelle sue operazioni: perocchè sebbene dalla moltitudine di cui si compone essa sortisca notabili differenze; pure essendo ciascuno di quella moltitudine dotato di facoltà umane, queste facoltà finalmente sono quelle donde risulta l'operazione sociale. Ha dunque la società una logica, come una logica ha l'individuo: ma dalla diversità dei soggetti risultano notabili diversità tra le due logiche; quella dell'individuo, ristretta a ragionare nel breve giro di pochi lustri, divora col pensiero il tempo, e si sforza di percorrere in un attimo tutto l'arringo delle conseguenze: laddove la logica sociale, risultando dal concorso di molti intelletti discordi, vi s'inoltra oscillante piantando sulle prime fluttuanti, incerti e confusi i problemi, i quali a poco a poco si chiariscono e si contornano in formole esatte: cotalchè accade non di rado che si ravvisi solo dopo parecchie generazioni il vero stato di una quistione, la quale già venne agitata con calore e forse con rabbia da più di un secolo di diverbii e di scritture.
E tale appunto ne sembra la gran quistione del nostro secolo, presentata sotto mille forme diverse dai due che lo precedettero, la quistione vogliam dire della libertà, alla quale finalmente o in retto o in isbieco tutte riduconsi le quistioni presenti. Il libero esame di Lutero credea di riverire la Bibbia, lo spirito privato credea di consultarla; e solo a poco a poco giunse ad avvedersi d'aver distrutto e Bibbia e autorità. Indi passò in filosofia, e credette abolire la scolastica, mentre in verità colla ragione aboliva, dice il Proudhon, ogni possibilità di unità filosofica. S'impadronì della politica e credette affrancare lo Stato dalla Chiesa e i popoli dal dispotismo, mentre in verità affrancava il dispotismo dei prepotenti ad opprimere i deboli, e l'anarchia dei molti a spossessare l'autorità dei pochi.
Così i problemi andarono cambiando a proporzione dei disinganni; e anche al presente, dopo avere, sul finire dello scorso secolo, tanto perorato per ridurre il Governo in mano al popolo, si accorgono tirannide aristocratica o tirannide plebea non essere dissimili nella natura loro.
Tale è la doglianza del sig. Marescotti [1] ed a ragione; essendosi finora scambiato il vero stato della quistione, ed attribuito alle forme accidentali dei Governi quella importanza che dovea riporsi nella essenza stessa dell'autorità. Un certo segreto istinto facea sentire alla società che ella non godea libertà: ma invece di attribuirne la colpa al principio onde movea l'autorità, si volle attribuirla al soggetto in cui operava: invece di dire: «siamo oppressi perchè l'uomocomanda,» si disse; «siamo oppressi perchè comanda il tale uomo
Quindi è chiara la conseguenza che doveano tirarne: se il tal uomo era la causa dell'oppressione, la conseguenza era esautorare quell'uomo: e così fu fatto, e. g. in Francia che diede il tono sul quale l'altra Europa ha cantato, rimovendo successivamente Luigi XVI, poi il Delfino, poi Robespierre e Marat, poi il Direttorio, poi l'Imperatore, poi Carlo X, poi l'Orleanese ecc. ecc. Ma dopo tante sperienze frustrate d'effetto, eccoti un uomo o più sincero o più penetrante che comprende appieno e riduce a formola chiara il sentimento del mal essere sociale, o piuttosto della rivoluzione che lo mette a profitto. «Voialtri, dice Proudhon, scacciate gli uomini e serbate le istituzioni: sciocchezza! dovreste risparmiare gli uomini ed abolire le istituzioni. Il male della società non istà in ciò, che chi comanda si chiami Luigi, o Carlo, o Filippo: il male sta nella istituzione medesima del comando, nell'esservi una autorità che impera, essendo, finchè dura nella società un comando, impossibile la libertà». Questo si chiama parlare da socialista sincero!
Il Marescotti ristringe alla economia le sue ricerche; ma in questa cerchia sostiene le dottrine medesime: e per allontanare le contraddizioni fra il potere esecutivo e la libertà industriale, non trova altro mezzo che abolire nell'economia la sovranità distributiva dello Stato o della nazione (vedi il suo proemio). «L'uomo, dice egli, è nulla agli occhi dei barbassori (economisti)..... Qualunque Governo venga da essi ideato, appare sempre una sovranità dispotica nell'essenza sua, non che nel suo esercizio (pag. 133, 134, 142). Quindi vorrei cancellate le classi governative, come sono state cancellate le corporazioni commerciali e industriali [2]. Al qual fine non perviene neppure la dottrina della democrazia.... conferendo alla massa del popolo il potere di imporre le leggi al cittadino» (pag. 142). Così il Marescotti; dalle cui parole vede il lettore che il male dell'economia sociale, secondo quell'autore, dimora in ciò che vi sia un'autorità che governi gl'interessi temporali.
Ammiriamo qui di passaggio un giusto castigo incolto al potere temporale; il quale mentre invade i diritti della spirituale autorità che a lui non competono, viene spogliato di ciò che gli spetta da quelle dottrine medesime che egli careggia. Ma per non uscire d'argomento, torniamo al Proudhon e al Marescotti, i quali supponendo ogni autorità tendere al dispotismo, ne inferiscono: «si abolisca ogni autorità». La conseguenza potrà parere spaventevole. Ma ammessi i principii eterodossi e soprattutto l'indipendenza umana, essa è vera ed innegabile. Se l'autorità è potere d'un uomo sugli altri, autorità e libertà sono impossibili; e tutti gli sforzi dell'ingegno e delle convenzioni umane andranno sempre a parare nella tirannia della forza. Quindi l'alternativa è inevitabile: o libertà che distrugga la società colla abolizione di ogni Governo, o Governo che mantenga la società colla abolizione almen virtuale di ogni libertà.
A questa alternativa sono ridotte tutte quelle società che abbracciano il principio eterodosso. E le teorie economiche del Marescotti altro non sono, che una specie di applicazione economica dell'universale problema sociale. Solo il cattolicismo colla sua dottrina intorno all'autorità ossia col diritto divino, può conciliare società e libertà: ed applicato alle teorie economiche, egli solo rende possibile la soluzione del problema proposto dal Marescotti, libertà della individualità sotto la sovranità distributiva. In somma o Dio Re colla libertà, o l'uomo Re colla forza: i miscredenti vogliono l'uomo Re? si rassegnino ad avere la società e l'economia sotto lo scettro della forza: vogliono all'opposto, spezzato lo scettro della forza, vivere sotto il governo della libertà, senza cadere nell'anarchia? aboliscano l'uomo Re, riveriscano il Re Dio, ossia i Re per grazia di Dio (Dei gratia rex), ossia un'autorità legittima come da Dio costituita.
Ecco il tema che tocchiamo qui solo in universale teoria: verrà poi il momento di entrare in alcune applicazioni, alle quali il Marescotti sembra invitarci promettendoci lo svolgimento di quelle dottrine che nel primo suo discorso vennero soltanto accennate. Se questo autore ci onorasse, non di una occhiata sfuggevole, ma di qualche riflessione ponderata, forse comprenderebbe per qual ragione l'abbiamo esortato nella Rivista [3]a studiare più profondamente la società, e potrebbe dare alle sue novità economiche quella vantaggiosa realtà, che mai non conseguiranno nelle regioni dell'utopia. Egli vedrebbe che il nostro dissenso da lui non è forse così profondo, come sembra a prima vista; che al pari di lui noi disapproviamo l'indebita ingerenza dell'autorità nella società e nell'economia; con questo divario, che egli deriva la rovina dalla natura del potere e per questo vuole abolirlo, noi lo vorremmo terso dalla macchia della eterodossia, e così corretto: egli coll'abolirlo rende impossibile la società, noi correggendolo la renderemmo perfetta.

§ II.

L' Uomo Re governa colla forza.

In che consiste la libertà? Se parlassimo strettamente delle operazioni morali, dovremmo ristringere la risposta al libero arbitrio. Ma poichè parliamo genericamente di ogni libertà anche materiale, la diremo consistere nella esenzione di quei legami che contrastano la natura. Libero dunque è il sasso che cade senza ostacolo, libera la pianta non avvinchiata ad un palo, libero il passero non chiuso in gabbia o in istanza, libero il ragionevole che senza ostacoli siegue la ragione; libero l'essere che non ha limiti nel non essere. Da questa dottrina, altrove per noi chiarita [4], è facile inferire con tutta evidenza, che l'uomo non perde la sua libertà quando viene impedito dal seguire il delirio di una febbre o di una mania, ma sì quando gli si vieta di seguire colla volontà i dettami di una ragione retta, o di compiere colle braccia le deliberazioni di volontà onesta e ragionevole. E per qual motivo? perchè nel delirio l'uomo non opera come animal ragionevole, nel che consiste la sua natura.
Ciò posto, il gran problema della libertà non è già, quale i libertini lo fingono, trovare una combinazione sociale in cui ciascuno possa fare ogni suo libito, ma sì, ove le volontà ragionevoli non incontrino ostacolo.
Ora a tale intento due condizioni sono richieste, proporzionate alle due attività spirituali che formano l'uom ragionevole, composto d'intelligenza e di volontà. Affinchè la sua intelligenza non incontri ostacolo nel suo natural movimento, deve essere libera di aderire al vero, al vero essendo la naturale tendenza dell'intelletto; affinchè la volontà sia libera nel suo movimento naturale, dee senza ostacolo poter compiere il bene deliberato. Ogni società dunque, nella quale l'autorità pretendesse o far credere il falso, o far praticare l'inonesto, sarebbe sotto tale aspetto priva di libertà: libera all'opposto sarà finchè ciò che è onesto non le si vieta, ciò che è falso non sia costretta a crederlo, nè per conseguenza a praticarlo.
Quindi è facile il comprendere che il problema della libertà viene a risolversi in quest'altro: trovare una combinazione sociale in cui l'autorità possa esigere sempre dai sudditi l'osservanza dell'ordine, senza esigere mai nè un giudizio falso nè un atto inonesto. Or qual'è quell'uomo a cui tal proprietà si confaccia? datemelo pure dotto e santo quanto vi piace, moltiplicatene il numero, unite alla moltitudine dei suffragi la ponderatezza delle discussioni, chiedetene la pluralità, l'unanimità se volete; l'uomo sarà sempre uomo, e il comando col quale egli impone al suddito o il fare o il credere, sempre lascerà al suddito la possibilità di un giudizio, e per conseguenza di una coscienza, di una volontà contraria: sempre egli potrà dire: «il tuo insegnamento non ha guarentigia di verità, nè il tuo precetto di onestà indubitata». Ad un suddito così disposto lascerete voi la libertà di non obbedire? ecco vana la legge. Risponderete alle sue titubanze ai suoi rimorsi: Forza dee restare alla legge? Sarà sempre un eccesso di dispotismo se non fosse un delirio d'orgoglio e di arroganza. Giacchè chi così comanda o crede l'uomo infallibile, ed impazza; o lo crede fallibile, eppur vuole obbedienza dalla mente e dal cuore; ed è un tiranno.
Lo vedete, l'alternativa è inevitabile: o perdere la società, o perdere la libertà. Se voi poteste dire al suddito, ma ragionevolmente, evidentemente:«Ciò che io t'insegno è vero, ciò che ti comando è giusto, nè tu puoi ragionevolmenterifiutarlo»; il suddito allora, secondo uomo, cioè seguendo la propria natura, la quale è ragionevole, dovrebbe obbedirvi; e questa obbedienza, appunto perchè nascerebbe dalla sua natura, non iscemerebbe per nulla la sua libertà; il braccio in lui obbedirebbe al volere, il volere alla ragione, la ragione alla verità; il tutto in pienissima conformità alla natura delle cose; e per conseguenza colla libertà che consiste nel seguirla senza ostacolo. Ma disgraziatamente l'uomo non può mai pronunziare assolutamente ad una moltitudine: «Il mio intelletto è norma dei vostri». E qual differenza passa fra l'intelletto di chi comanda e quello di coloro che obbediscono? non sono uguali per natura? non è il primo talora molto inferiore per tempra individuale, per istruzione e studio, per interesse o passione?
In questa materia non abbiamo a temere dai nostri avversarii dissentimento alcuno, sgorgando anzi dalla persuasione di questo vero il gran favore accordato oggidì alle pluralità. Teste incredule e superficiali! fatto gettito disperatamente d'ogni certezza e verità, si adagiarono nel probabile, nell'apparente, e dissero stolidamente ai sudditi, i quali più stolidamente vi si quietarono: «Vogliamo assolutamente sterminato il gotico dritto divino; troppo essendo contrario alla dignità umana che l'uomo obbedisca a Dio, o ad un uomo che gli tenga vece di Dio, o che creda aver Dio parlato. L'uomo, l'uomo solo dee comandare agli uomini: questo si è nobiltà. Ma l'uomo che comanda non è certo agli occhi dei sudditi, nè di conoscere il vero, nè di ordinare il giusto. Dunque come faremo a far legge, e vere e giuste leggi, alle quali l'uomo obbedisca per sua natura? Ecco lo spediente: ciascuno dica ciò che a lui pare vero e giusto: chi non vede esser probabile che i più imberceranno nel segno? I più dunque daranno la legge, e gli altri dovranno obbedire.»
Dovranno! Dio buono, che eccesso di scempiaggine, di viltà, di tirannia! Credere che i più dicano vero è solenne scempiaggine, in noi soprattutto che vediamo come si formino le pluralità, nelle quali l'essere vero o falso, giusto o ingiusto un partito, può dipendere da una distrazione, da un mal di pancia, da una soccorrenza, se mi perdonate il vocabolo. Ecco, signori pluralisti, a che avete ridotto il vostro Dio, la vostra causa suprema del vero e del giusto. Inchinatevi alla buonora a codesta vostra divinità se siete vili abbastanza: e la viltà (sia detto ad onor del vero) non è infrequente. Ma il peggio è che costoro come sono vili nell'adorare l'idolo di lor fattura, così sono dispotici nell'esigerne l'adorazione dalle coscienze cattoliche: «La legge è fatta: persuasi o no, sarà pur forza obbedirle. Gendarmi, cittadella, carnefice, eccovi tre argomenti che dimostrano la giustizia della legge.»
Scempiaggine, viltà e tirannia: ecco la triade a cui debbono prostrarsi gli adoratori della pluralità che non credono potersi goder libertà senza un Parlamento eletto dal popolo, e il fatto sembrerebbe impossibile in questa Europa, la cui inflessibile coscienza cattolica resistè un tempo si generosa alla mannaia dei Cesari e alla prepotenza degli Arrighi. Ma sapete voi dove si appoggia questa codarda mollezza, questa elasticità delle coscienze, questo despotismo della libertà? «La società, dicono, non potrebbe sussistere se una legge non governasse. Or non è giusto che i pochi dieno leggi ai molti, o che l'uno dia legge a tutti. Dunque se la legge è necessaria, perchè la società sussista, tocca ai molti imporla ai pochi.»
Che complesso anche qui di assurdità e di sciocchezze! La società non potrebbe sussistere? E qual bisogno vi è che sussista la società a spese della coscienza? non è egli l'uomo in società appunto per assicurarsi di poter vivere onestamente secondo coscienza? E voi volete fargli sacrificare la coscienza per salvare la società? fargli perdere il fine perchè non perda il mezzo? Voi volete prendere la medicina per salvare la sanità, e vi si vuol far perdere la sanità per salvare la medicina: il caso è identico. Se il vivere cittadino dee costarmi il rinunziare ad esser onest'uomo, preferisco mille volte una coscienza intemerata nella solitudine alla schiavitù del delitto nella città.
Non è giusto che i pochi dieno leggi ai più! E perchè no, se i pochi ed anche uno solo conoscesse il vero e ordinasse il retto? La legge agli intelletti e alle volontà non può giustamente imporsi nè dai pochi, nè dai molti, ma solo dalla verità e dalla giustizia. Il grido unisono di tutto un popolo non farà mai che due e due facciano cinque, nè che il bestemmiatore sia un salmista. E quando il voto del popolo voi lo trasformate in un tribunale di Giurati, non avete fatto alcun guadagno, potendo subornarsi e ingannarsi i Giurati al pari dei Magistrati e peggio. Il solo vantaggiodei Giurati è che essi parlano in nome di quella, che dal Marescotti medesimo appellasi tirannide plebea per neutralizzare la tirannide aristocratica.
Un solo caso noi conosciamo, nel quale la pluralità avrà diritto a trionfare, ed è quando il litigio non involga la coscienza e tutto si agiti nel fango dell'interesse. Allora sì sarà lecito ai pochi e talor doveroso sacrificare l'interesse proprio alla concordia sociale, bene ugualmente proprio e dei pochi e dei molti, perchè bene pubblico della società. Allora si potrà intimare ai pochi: «sacrificate qualche interesse all'ordine nella concordia sociale, che sono anche per voiassai maggior bene dell'interesse menomato». Ma per dilatare all'assoluto imperativo della coscienza questa relativa elasticità degli interessi, ci volea quella dottrina eterodossa che trasforma l'utilità in dovere e la voluttà in beatitudine.
Finchè non correte a rotolarvi in quella melma, la coscienza d'uomo non che di cattolico saprà ripetere con quel poeta pagano:
Non civium ardor prava iubentium
Mente quatit solida. [*]
Così parlava un pagano, un poeta, un cortigiano, un epicureo per descrivere un'anima grande. Cristiani, uomini positivi, millantatori di coraggio civile, di stoica severità, ergetevi rimpetto a costui e addottrinatelo ad imparare da voi quella codardia, che si striscia a piè del volgo, e trae la giustizia dal fango della piazza. Ma a noi cattolici se non permettete il dir cogli Apostoli: obbediamo a Dio e non agli uomini; permettete almeno di sfidare con quel poeta i furori della moltitudine e le minacce della tirannide plebea.
Riepiloghiamo: Finchè l'uomo comanda, nulla può rassicurare la coscienza del suddito che obbedisce, nè intorno alla verità presupposta nel comando, nè intorno alla sua giustizia: obbedienza senza tale persuasione non sarebbe obbedienza d'uomo, perchè non ragionevole, e però non volontaria: non potrà dunque ottenersi se non colla forza o del braccio o dell'ingegno: il suddito o violentato o ingannato, sempre avrà menomata la libertà. Dunque finchè l'uomo è Re solamente come uomo, esso governerà colla forza.

§. III.

Dio Re governa colla libertà.

Egregiamente, dirà forse taluno dei lettori: non può negarsi essere ingiusto che l'uomo comandi: ma qual'è quella società sulla terra, almeno oggidì, ove comandi Dio? Trovate voi una teocrazia che sopravviva all'ultima dei Maccabei?
La troviamo sì, o piuttosto la trovano i nostri avversarii; i quali udendoci intimare essere inviolabile il diritto di Dio rivelante ad ottenere assenso ed obbedienza non meno dalla società, che dagli individui, non meno dai Principi che dal popolo, non rifinano di gittarci in volto volersi da noi ristorata la Teocrazia. Falsa, ipocrita, subdola è, cel sappiamo, l'imputazione; non essendo Teocrazia il governo dell'uomo secondo giustizia, ma sì l'immediato governo di Dio nell'ordine publico dei materiali interessi. Ma se la calunnia può talvolta mordere il suo autore, come il serpe il cerretano, accettiamola questa volta in buon'ora, come espressione enfatica di una indubitata verità. Sì: nella società cattolica Dio è che governa; e l'essere tale il governante cioè costituito da Dio e siccome tale riverito dalla coscienza di sudditi credenti, è ciò appunto che rende possibile col governo la libertà. Dimostriamolo in poche parole coi principii stabiliti pocanzi.
Non abbiam noi detto che allora è libera ogni natura, quando tende al proprio obbietto senza ostacolo? che natura dell'uomo essendo l'operare secondo che vuole, il volere secondo che giudica, il giudicare secondo verità, libero egli sarà quando sotto tali impulsi obbedisce? Se dunque il cattolico allora soltanto opera quando per coscienza giudica di dovere operare, è chiaro che il cattolico in tale obbedienza è liberissimo. Non mi state a dire che egli ha torto di giudicare doverosa e ragionevole questa obbedienza: noi non parliamo al presente del diritto ma del fatto; e il fatto è innegabile. Ogni catechismo vel dice: si obbedisce al padre, al superiore, al principe, alla legge perchè il quarto precetto del Decalogo così comanda. E questa libertà di obbedienza splende anche di maggior evidenza pel contrapposto della libertà nel disubbidire alla legge quando Dio ladisapprova. «Se obbedisco sono libero, grida altamente ad oggi cattolico la sua coscienza: e additandogli milioni di confessori e di martiri da Pietro e Paolo al cospetto del sinedrio fino al Droste ed al Marilley al cospetto di tirannide monarchica o democratica, lo convince essere volontaria e libera l'obbedienza del cattolico. Questo è il fatto che dura ormai da più che diciotto secoli, e che l'Episcopato francese, il piemontese, il belgico, l'olandese, il britannico, l'irlandese, il neogranatino, il germanico, l'elvetico non sembrano guari disposti a mettere in forse. Sia pure una servilità del cattolico questa indipendenza di sua coscienza: sia pure una stupidezza quella fede ai suoi preti, che gli rende possibile ed agevole l'obbedire senza perdere la libertà e il viver libero senza sacrificare la società: sia pur tutto come volete; e veggansi germogliare questi effetti portentosi di bene dal male, di libertà dal servilismo, di ordine sociale dalla sciocchezza di chi nulla comprende. Il fatto sarà sempre innegabile: il cattolico obbedisce all'uomo perchè Dio lo impone; obbedisce a Dio perchè crede doverlo: obbedendo perchè crede, obbedisce secondo sua natura: obbedendo secondo sua natura, obbedisce con libertà. Datemi una società di veri cattolici, e poi cassate dai ruoli tutti i gendarmi, atterrate le cittadelle, licenziate i carnefici: senza essi obbedirà il cattolico perchè anche con essi finora fu libero, fu ardito a disobbedire quando così gli ordinò la coscienza.
Non veggiamo che cosa possa replicarsi a questa dimostrazione, se non fosse una qualche declamazione contro l'esistenza, la verità, la credibilità del cattolicismo: le quali declamazioni non meritano certamente da noi una risposta, specialmente sul labbro di chi tanto millanta la libertà dei convincimenti e il rispetto ad ogni coscienza. Costoro che fan di berretta ad ogni paltoniere, il quale fermo nel suo diritto inalienabile, si professi quacchero, mormonita, razionalista, maomettano, ateo, con qual fronte possono dirci irragionevoli quando con ducento milioni dei più inciviliti uomini della terra, giudichiamo evidentemente credibile quella religione, senza la quale impossibile diviene il congiungimento della libertà colla sociale convivenza?
Posta la ragionevolezza della fede cattolica, il nostro argomento è dunque irrecusabile. Non obbedisce liberamente chi nell'obbedire non opera per propria volontà guidata da ragionevole persuasione. Ora finchè l'uomo siccome uomocomanda, la moltitudine non può costantemente ed universalmente persuadersi che non erri. Dunque non può secondo sua natura obbedire. Ma l'obbedienza è necessaria perchè sussista la società. Dunque dovrà ottenersi colla forza. Dunque l'uomo Re non può regnare che colla forza. All'opposto chi crede obbedire a Dio, dee credersi ragionevolmente obbligato a volere ciò che Dio comanda. Or chi obbedisce perchè vuole, è libero. Dunque, in tale sòcietà (e tale è appunto la cattolica) l'obbedienza è congiunta colla libertà. Pronunziamo dunque francamente la formola posta in fronte a questo articolo: o Dio re colla libertà, o l'uomo re colla forza.


«In somma o Dio Re colla libertà, o l'uomo Re colla forza: i miscredenti vogliono l'uomo Re? si rassegnino ad avere la società e l'economia sotto lo scettro della forza: vogliono all'opposto, spezzato lo scettro della forza, vivere sotto il governo della libertà, senza cadere nell'anarchia? aboliscano l'uomo Re, riveriscano il Re Dio, ossia i Re per grazia di Dio (Dei gratia rex), ossia un'autorità legittima come da Dio costituita.»


«Ogni società dunque, nella quale l'autorità pretendesse o far credere il falso, o far praticare l'inonesto, sarebbe sotto tale aspetto priva di libertà: libera all'opposto sarà finchè ciò che è onesto non le si vieta, ciò che è falso non sia costretta a crederlo, nè per conseguenza a praticarlo.»

«Credere che i più dicano vero è solenne scempiaggine, in noi soprattutto che vediamo come si formino le pluralità, nelle quali l'essere vero o falso, giusto o ingiusto un partito, può dipendere da una distrazione, da un mal di pancia, da una soccorrenza, se mi perdonate il vocabolo. Ecco, signori pluralisti, a che avete ridotto il vostro Dio, la vostra causa suprema del vero e del giusto. Inchinatevi alla buonora a codesta vostra divinità se siete vili abbastanza: e la viltà (sia detto ad onor del vero) non è infrequente. Ma il peggio è che costoro come sono vili nell'adorare l'idolo di lor fattura, così sono dispotici nell'esigerne l'adorazione dalle coscienze cattoliche: «La legge è fatta: persuasi o no, sarà pur forza obbedirle. Gendarmi, cittadella, carnefice, eccovi tre argomenti che dimostrano la giustizia della legge.»


«Se il vivere cittadino dee costarmi il rinunziare ad esser onest'uomo, preferisco mille volte una coscienza intemerata nella solitudine alla schiavitù del delitto nella città.»

«Il grido unisono di tutto un popolo non farà mai che due e due facciano cinque, nè che il bestemmiatore sia un salmista. E quando il voto del popolo voi lo trasformate in un tribunale di Giurati, non avete fatto alcun guadagno, potendo subornarsi e ingannarsi i Giurati al pari dei Magistrati e peggio.»

«Finchè l'uomo comanda, nulla può rassicurare la coscienza del suddito che obbedisce, nè intorno alla verità presupposta nel comando, nè intorno alla sua giustizia: obbedienza senza tale persuasione non sarebbe obbedienza d'uomo, perchè non ragionevole, e però non volontaria: non potrà dunque ottenersi se non colla forza o del braccio o dell'ingegno: il suddito o violentato o ingannato, sempre avrà menomata la libertà. Dunque finchè l'uomo è Re solamente come uomo, esso governerà colla forza.»

«Sì: nella società cattolica Dio è che governa; e l'essere tale il governante cioè costituito da Dio e siccome tale riverito dalla coscienza di sudditi credenti, è ciò appunto che rende possibile col governo la libertà.»

«Datemi una società di veri cattolici, e poi cassate dai ruoli tutti i gendarmi, atterrate le cittadelle, licenziate i carnefici: senza essi obbedirà il cattolico perchè anche con essi finora fu libero, fu ardito a disobbedire quando così gli ordinò la coscienza.»


NOTE:

[1] Sugli economisti italiani pag. 134.
[2] Ponete mente, lettore, a quest'ultima frase, la quale spiega il vero senso di quella guerra che fu fatta alle corporazioni di arte e mestieri; osteggiate per quel medesimo motivo e colla prudenza medesima, con cui venne combattuta ogni autorità. In quelle come in queste vi erano dei difetti; a quelle come a queste si applicò la chirurgia del carnefice, troncandone la vita per medicarne l'infermità.
[3] Questo vol., pag. 420 e segg.
[4] Vedi la Civiltà Cattolica I Serie, vol. II,Libertà ed Ordine.
[*] «Iustum et tenacem propositi virum // non civium ardor prava iubentium, non vultus instantis tyranni // mente quatit solida (...). Orazio, lib. III, Ode III. [L'uomo giusto e tenace nel suo proposito, col suo forte volere, non lo scuotono nè la passione di concittadini che comandino azioni malvage, nè il volto minaccioso di un tiranno (...) nota e trad. C.S.A.B.]