venerdì 30 novembre 2012

L'impresa dei Mille

La storica "impresa dei Mille" inizia storicamente il 6 Maggio 1860 con la partenza dei volontari da Quarto sui battelli a vapore Piemonte e Lombardo che Giacomo Medici acquista a nome di Garibaldi dalla società Rubattino.

Come garanti del rogito furono il re Vittorio Emanuele II e il conte Camillo Benso di Cavour.
E' ormai accertato che a finanziare la spedizione fu il governo inglese con una cassa di piastre d'oro turche che al tempo era la moneta di scambio del Mediterraneo.

L'esercito sabaudo, nella figura del maggiore Giorgini, armò la spedizione fornendo carbone, fucili, munizioni e 4 cannoni che vennero imbarcati a Talamone e e ad Orbetello
Lo sbarco avvenne il giorno 11 dello stesso mese a Marsala sotto lo sguardo vigile della flotta inglese che impedì di fatto alle navi borboniche di impedire l'invasione.
Sulle coste siciliane sbarcarono quindi 1089 uomini tutti della media e alta borghesia con provenienza per la metà dalla Lombardi e dal Veneto.
In appoggio alle camice rosse intervennero numerosi esponenti della malavita locale e in special modo dai capimafia Miceli e Badia radunati da alcuni nobili latifondisti come Rosolino Pilo conte di Capaci.
Il governo borbonico attivò le proteste presso il governo inglese e piemontese contro l'atto di pirateria tramite il ministro Carafa, proteste che caddero nel vuoto.
A Salemi Garibaldi il 13 maggio si autoploclama dittatore della Sicilia con l'appoggio del barone Sant'Anna.
Le collusioni e le corruzioni impediscono all'esercito regolare al comando del generale Landi (comprato con una fede di credito di 14000 ducati dai carbonari) di distruggere i garibaldini a Calatafimi dove il maggiore Sforza con sole 4 compagnie di cacciatori sbaraglia le forze invasori e le insegue ma deve desistere per la mancanza di munizioni e quindi deve ripiegare verso Palerno dove si stava ritirando il grosso delle forze lealiste.
E' incredibile il fatto che Landi non venne nemmeno sottoposto al giudizio di una corte marziale ma semplicemente sollevato dal comando dal generale Lanza che inviò 2 colonne di contrasto contro i garibaldini, una formata dal 3° battaglione estero, comandata dal maggiore Von Meckel, e l’altra dal 9° Cacciatori, al comando dal maggiore Ferdinando Beneventano del Bosco, per un totale di tremila uomini con quattro obici da montagna.
Un primo scontro avvenne a nelle campagne di Partinico, dove circa mille “filibustieri” furono rapidamente messi in fuga da Von Meckel. In questo scontro morì Rosolino Pilo. Il resto delle armate rosse con Garibaldi in testa, si rifugiò sul monte Calvario. Il giorno successivo, al primo attacco dei borbonici, Garibaldi, quasi circondato, fuggì fortunosamente nella notte con il resto delle sue truppe alla volta di Corleone.
Giunti al quadrivio di Ficuzza, i Garibaldini si divisero in due gruppi, uno con alla testa Garibaldi indirizzò verso Palermo, l’altro al comando di Orsini prese la strada per Corleone. Ad inseguire Garibaldi furono i reparti di Von Meckel, mentre le truppe di del Bosco inseguirono Orsini che, attestatosi a Corleone, fu immediatamente investito dalle truppe borboniche che lo annientarono con un rapido e violento assalto.
Von Meckel, intanto, aveva saggiamente inviato velocemente il grosso delle sue truppe con al comando il maggiore Colonna a posizionarsi al ponte delle Teste, poco fuori Palermo, per tagliare la strada ai filibustieri, i quali stretti tra due fuochi sarebbero stati facilmente sbaragliati.
Ma il Colonna all'arrivo trovò il generale Lanza che gli ordinò di acquartierarsi in città e quindi di non schierarsi.
La città in pratica aveva gli accessi (Porta S.Antonino e Porta Termini) praticamente sguarnite.
Con questo stato di fatto Garibaldi, che intanto era stato rafforzato da 3500 picciotti mafiosi, entra in Palermo attraverso Porta S.Antonino.
I borbonici in quel momento avevano in città circa 16000 uomini che il generale Lanza lasciò rinchiusi nei forti.
La stessa sorte la ebbero il 1° e il 2° battaglione esteri inviati da re Francesco II che rimasero imbarcate sui bastimenti fino al giorno 29 quando venne ordinato loro di occupare il palazzo reale.
Da notare inoltre che nel porto di Palermo vi era una consistente forza navale borbonica che non venne praticamente impiegata mentre navi piemontesi rifornivano impunite armi ai garibaldini.
In questo stato di cose Garibaldì occupò il palazzo pretorio usandolo come quartier generale e al carcere della Vicaria assoldò altri mille delinquenti comuni portando così il numero delle sue bande a circa 5000 uomini.
Le truppe di Von Meckel, giunto intanto a Palermo, all’alba del 30 attaccarono i garibaldini, sfondando con i cannoni Porta di Termini ed eliminando via via tutte le barricate che incontravano. L’irruenza del comandante svizzero e della sua truppa fu tale che arrivò rapidamente alla piazza della Fieravecchia dove era pronto ad assaltare il quartiere S. Anna, vicino al quartier generale di Garibaldi, che praticamente non aveva più vie di scampo. A fermare il maggiorefurono i capitani di Stato Maggiore Michele Bellucci e Domenico Nicoletti che, con l’ordine del Lanza, gli intimarono di sospendere i combattimenti perché ... era stato fatto un armistizio.
La rabbia dei soldati borbonici altamente motivati fu tale che vi furono episodi di disobbedienza con il proposito di combattere comunque nella notte, ma vennero fermati dal colonnello Buonopane perché a suo dire “non era finita la tregua” .
Il Garibaldi ed il Türr, insieme agli emissari borbonici Letizia e Chretien, si recarono il 31 maggio sul vascello inglese Annibal, ove, presenti anche ufficiali americani, conclusero i patti dell’armistizio. I giorno dopo il dittatore, annunciò boriosamente che aveva concesso la tregua per umanità. Tra gli accordi, però, era imperativa la condizione della consegna del denaro del Banco delle Due Sicilie di Palermo al Crispi e dello scambio dei prigionieri. I garibaldini vennero in possesso così di oltre cinque milioni di ducati in oro e argento che successivamente venne impiegata in parte per la “conversione” di altri ufficiali duosiciliani e il rimanente fu distribuita ai garibaldini, compresi i capi.
Un'altra condizione era che l'esercito borbonico lasciasse la città, questo avvenne l’8 giugno dove oltre 24.000 uomini, lasciarono Palermo per recarsi ai Quattroventi per imbarcarsi, tra lo stuporee la rabbia della popolazione che non riusciva a capire come un esercito così numeroso si fosse potuto arrendere senza quasi neanche avere combattuto.


Fonte:


http://www.duesicilieoggi.eu/