domenica 31 marzo 2013

Intervento dell'Imperial-Regio Esercito Asburgico nella Legazione delle Romagne.

 
 
Breve introduzione


L'intervento dell'Imperial-Regio Esercito Asburgico nella Legazione delle Romagne rappresentò il primo  tentativo del Radetzky, dopo la sconfitta dell'esercito sardo-piemontese di Carlo Alberto a Custoza, di consolidare il controllo e l'ordine della Lombardia con il tentativo di occupare le piazzeforti di Ferrara e Bologna, appartenenti allo Stato della Chiesa di Pio IX.





 La prima guerra di espansionismo sabaudo ed il corpo di spedizione romano

Giovanni DurandoIl 18-23 marzo 1848, con le conseguenze dovute alle  cinque giornate di Milano, ebbe inizio la prima guerra di espansionismo sabaudo , che coinvolse con l'inganno , oltre all'esercito sardo-piemontese che era burattino dell'ingannatore, le armate toscana e romana, nonostante i giustificati dubbi, specie col senno di poi,  del Pontefice Pio IX.
In particolare, il 24 marzo Pio IX permise la partenza, da Roma per Ferrara, di un corpo di spedizione al comando del generale Durando. Si trattava un totale di 7 500 uomini, ben muniti di artiglieria e reparti ausiliari. Ad essi si aggiunsero, poco più tardi, nel generale entusiasmo che infiammava la penisola in quel ingannevole 48', sino a 13 000 volontari, guidati dal generale Ferrari e da Zambeccari.
Durando venne seguito, due giorni dopo, da un corpo di volontari, affidato a Ferrari. Per la via (specie a Bologna dove la propaganda liberale aveva fatto molti danni) quest'ultimo raccolse migliaia di volontari, cosicché raggiunse la notevole forza di circa 12 000 armati, cui si aggregarono altri 1 200 guidati da Zambeccari.



Pio IX scopre l'inganno e gli scontri a Vicenza


Rapidamente, le truppe romane si portarono nel Veneto , a Padova e Vicenza, evacuate dal d’Aspre per concentrarsi con il Radetzky a Verona, vera chiave dei legittimi possessi asburgici nella penisola Italiana.
Intanto a Roma , come altr'ove, si erano scoperti i veri intenti di Carlo Alberto e dei suoi oscuri alleati: i liberali cominciavano a pretendere sempre più fino a minacciare l'ordine legittimo, anche negli stessi stati dove con fiducia avevano ricevuto appoggi per l'idea della guerra federale contro l'Impero d'Austria. Questi avvenimenti indussero Pio IX ad emanare una allocuzione  il 29 aprile, con la quale condannava la guerra all'Impero d'Austria.
Durando che si apprestava al combattimento venne raggiunto dalla notizia.
Pur avendo ricevuto espliciti ordini dal Pontefice , parte  dell’esercito romano non abbandonò il campo e, intorpidito dalle parole di elementi sovversivi, si batté a Vicenza, il 23 maggio, riuscendo a malapena a contenere l'assalto di circa 20 000 imperiali. Ma nulla poterono quando Radetzky, spinto ad occidente dall'esercito di Carlo Alberto a  causa del fortunato esito a Goito, rovesciò il fronte e portò l'intero esercito (circa 40 000 uomini) direttamente su Vicenza. L'insubordinato Durando venne investito il 10 giugno: ancora una volta i suoi , scoraggiati e stanchi, furono costretti ad accettare battaglia e si portarono bene ma dovettero, infine, capitolare.
Secondo i patti, l’esercito del Durando consegnò Vicenza e Treviso e promise di non combattere gli imperiali  per tre mesi. In cambio, venne loro permesso di evacuare oltre il Po.




Ritirata del Carlo Alberto e l'Imperial-Regio Esercito passa il Po





Poi venne la serie di scontri passati alla storia come la battaglia di Custoza, il 23-25 luglio. Di lì Carlo Alberto cominciò una veloce, e disordinata, ritirata verso l’Adda e Milano. Giunto Carlo Alberto in Milano, accolto in malo modo, lì si svolse, il 4 agosto la battaglia di Milano, al termine della quale il tentenna  si risolse , tramite i suoi sottoposti, a chiedere l'armistizio di Salasco. I preliminari vennero sottoscritte il 5, in attesa di successiva formalizzazione.
Gli imperiali non avevano, tuttavia, atteso tanto per intervenire nello Stato della Chiesa: già all’indomani di Custoza, una piccola unità imperiale aveva passato il Po, diretta a Ferrara, probabilmente con fini di perlustrazione. Ma era stata respinta a fucilate da una piccola milizia liberale di Sermide (ciò che valse loro la medaglia come "Città benemerita del Risorgimento nazionale").
Non appena, però, Carlo Alberto si mise in marcia per Milano, gli uomini del Radetzky poterono organizzare una spedizione più significativa: mentre il Liechtenstein marciava su Modena e Parma, per liberarle e rinstaurare i legittimi sovrani, il generale Welden passò il Po verso Ferrara a partire dal 28 luglio.
L'avanzata nello Stato della Chiesa si segnalò, subito, per ordine e disciplina: usavano, i generali imperiali, una volta stabilitisi in una località ribelle, imporre alle teste calde e ai sovversivi delle somme di denaro pari ai danni che essi arrecavano alle imperial-regie truppe, a volte la ottenevano, altrimenti provvedevano a rifornirsi direttamente attingendo dalle proprietà dei colpevoli.
Così facendo il Welden prese posizione a  Ferrara e puntò su Bologna. Qui, il liberale podestà Bianchetti cercò un accomodamento ed ottenne che le truppe restassero accampate fuori città.




Combattimenti e punto della situazione







Poi avvenne un incidente (in una trattoria un ufficiale imperiale era stato malmenato da alcuni sgherri prezzolati) e Welden ordinò l'ingresso in città. Al che la fazione liberale , che tirò nella mischia gente del popolo,  insorse e si ripeterono le scene già viste a Milano nel corso delle cinque giornate. Dopo i combattimenti, avvenuti in gran parte presso la Montagnola, rimasero sul campo circa 110  tra liberali Bolognesi e insorti di varia estrazione sociale, 170 imperiali morti e 500 prigionieri, oltre ad alcuni cannoni. Welden prese atto della situazione e, il 9 agosto, ripiegò verso il Po.
Per valutare correttamente quei fatti, occorre considerare che:
(I) l'esercito del insubordinato Durando, reduce da Vicenza, aveva da poco evacuato anche Bologna, la quale era difesa solo da carabinieri, finanzieri e guardia civica, i quali, per la maggior parte, non avevano intenzione di disubbidire al Pontefice.
(II) Radetzky era ancora impegnato nell'inseguimento di Carlo Alberto e al Welden non concesse, quindi, che 4 000 soldati .
(III) Welden agiva senz'alcuna autorizzazione da parte del governo papale e, anzi, Pio IX, che non voleva altro spargimento di sangue,  aveva protestato energicamente: scriveva di “invasione austriaca” e smentiva “altamente... le parole del signor maresciallo Welden … dichiarando che la condotta del signor Welden stesso è tenuta da Sua Santità come ostile alla Santa Sede ed a Nostro Signore".
Tutto ciò considerato, quindi, i Bolognesi, in quell'occasione, si comportarono da fedeli sudditi di Pio IX e, infatti, ricevettero il plauso del ministro degli interni del governo papale, conte Fabbri in un proclama ai Romani, parlò di “tracotanza dell'insolente straniero”, “eroica difesa”, “attentato allo Stato della Chiesa”.


Avvenimenti successivi


Popepiusix.jpgLo stesso giorno in cui il Welden ripiegava le bandiere e prendeva mesto, la via del ritorno, a Vigevano l'Impero Austriaco e Regno di Sardegna sottoscrivevano formalmente l'Armistizio di Salasco, che metteva fine alla prima fase della Prima guerra di espansionismo sabaudo.
Entrambi i contendenti principali (Carlo Alberto per folle asservimento alla setta e alle sue ambizioni, e il Radetzky per saggia previsione) sapevano che la tregua era temporanea: presto la guerra tornò . Il momento venne il 22-23 marzo con la sconfitta sardo-piemontese di Novara e l'armistizio del 24 dello stesso mese.
A quel punto il Regno sardo uscì di scena, per alcuni anni. Radetzky si comportò in maniera eccelsa, sedò  sul nascere alcuni tentativi di ribellione diretti sempre dai liberal-settari a Como e  a Brescia , mentre continuava l'assedio dell'ostaggio del Manin, Venezia. E fu libero di inviare un nutrito corpo di spedizione a liberare dall'anarchia rivoluzionaria la Toscana e di nuovo Bologna e la Romagna, cogliendo l’occasione offerta dal fatto che  Pio IX venne costretto a lasciare Roma, il 24 novembre e dalla proclamazione della settaria Repubblica Romana del Mazzini, il 9 febbraio.


Fonte:

Wikipedia

Memorie della guerra d'Italia sotto il maresciallo Radetzky. (Georges De Pimodan.)

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.

Che cos'è il Carlismo? ( Francisco Elías de Tejada y Spínola)

Francisco Elías de Tejada y Spínola
 
 
 
Attenzione: Il testo è in spagnolo.
Per accedere al testo cliccare sul link sottostante:
 
 

LA FRAMASSONERIA NEI SUOI ESORDI (tratto dall'opera di mons. Delasuss "Il problema dell'ora presente" , Tomo I°)




Abbiamo già più volte parlato della framassoneria, alludendo alla parte ch'essa ebbe nella trasformazione della società cristiana. E' tempo di considerarla più dappresso nelle sue imprese.
In una lettera pastorale, scritta nel 1878, Mons. Martin, vescovo di Natchitoches negli Stati Uniti, parlando della congiura anticristiana che, nell'ora presente, si estende in tutto il mondo, diceva:

"Di fronte a questa persecuzione d'una universalità fin qui inaudita, della simultaneità dei suoi atti, della somiglianza dei mezzi che adopera, noi siamo forzatamente indotti a riconoscere l'esistenza d'una data direzione, d'un piano comune, di una forte organizzazione che eseguisce uno scopo determinato a cui tutto tende.
"Sì, esiste questa organizzazione, coi suo scopo, col suo piano e colla sua direzione occulta a cui essa obbedisce; società compatta malgrado la sua dispersione sul globo; società mescolata a tutte le società senza dipendere da alcuna; società d'una potenza superiore ad ogni potenza, eccettuata quella di Dio; società terribile che è, per la società religiosa come per le società civili, per la civiltà dei mondo, non solo un pericolo, ma il più formidabile dei pericoli". 

Leone XIII espose in questi termini lo scopo preso di mira da questa organizzazione internazionale: "L'intento supremo della framassoneria è quello di ROVINARE DA CAPO A FONDO tutta la disciplina religiosa e sociale che è sorta dalle istituzioni cristiane E DI SOSTITUIRNE UNA NUOVA foggiata a suo talento, i cui principi fondamentali e le leggi sono tolti dal NATURALISMO" (Enciclica del 20 aprile 1884). L'idea di sostituire alla civiltà cristiana un'altra civiltà fondata sul naturalismo, è nata, abbiamo detto, nella metà del XIV secolo; lo sforzo sovrumano tentato per effettuarla, ebbe luogo alla fine del XVIII. Si comprende difficilmente, come combattuta durante tutto questo tempo dalla Chiesa, abbia potuto sussistere e svilupparsi attraverso quattro secoli, per scoprirsi finalmente con questa potenza, se non si suppone che attraverso così
lungo spazio, si trovarono degli uomini che se ne trasmisero la conservazione e la propaganda di generazione in generazione e ne prepararono il trionfo. 
Questi uomini, poiché cospiravano contro lo stato esistente delle cose, avevano tutto l'interesse di nascondersi nella loro vita, e di lasciare, il meno possibile, tracce della loro associazione e del loro complotto.

Papa Leone XIII


Tuttavia seri indizi ci permettono di credere che l'idea degli umanisti fosse raccolta dalla framassoneria fin dal secolo XV e che sia stata essa che ne tentò l'effettuazione nel secolo XVIII.
I framassoni pretendono di far risalire la loro origine al tempio di Salomone, e d'essere nel medesimo tempo gli eredi dei misteri del paganesimo. Non vogliamo qui esaminare quanto siano bene o mal fondate queste pretensioni; ma dobbiamo vedere se, nei tempi moderni, la setta sia stata veramente l'anima della trasformazione sociale incominciata dal Rinascimento, continuata nella Riforma e che vuol maturare per mezzo della Rivoluzione (si osservi che fra queste tre parole: Rinascimento, Riforma, Rivoluzione, avvi una parentela manifesta. Esse segnano le grandi tappe d'uno stesso movimento).
La seconda generazione degli umanisti, più ancora della prima, introdusse nelle menti umane una maniera assolutamente pagana di concepire l'esistenza. Questa tendenza doveva finalmente provocare la resistenza dell'autorità suprema della Chiesa. Ciò avvenne sotto il regno di Paolo II. Questo Papa rinnovò il collegio degli abbreviatori della cancelleria e ne fece uscire tutti quelli che non erano perfettamente integri ed onesti. Questa misura portò agli estremi limiti l'ira di coloro che ne erano vittime. Per venti notti consecutive assediarono le porte del palazzo pontificio senza giungere a farsi ammettere. Uno di essi, il Platina, scrisse allora al Papa minacciandolo di far ricorso ai re e ai principi, e d'invitarli a convocare un concilio davanti al quale Paolo II dovesse rendere conto della sua condotta verso di loro. Per questa insolenza venne arrestato e chiuso nel castel Sant'Angelo.
Gli altri tennero delle riunioni in casa d'uno di essi, Pomponio Leto, di cui Pastor disse che "nessun dotto forse ha mai impregnato al pari di lui la sua vita di paganesimo antico". Egli professava il più profondo disprezzo per la religione cristiana e non cessava di profondersi in discorsi violenti contro i suoi ministri (Vedere per tutti questi fatti l'Histoire dei papes depuis la fin du Moyen Age, opera scritta secondo un gran numero di documenti inediti estratti dagli archivi segreti del Vaticano e da altri dal Dr. Louis Pastor, t. IV, PP. 32-72). 

Papa Paolo II



Queste riunioni diedero origine ad una società che chiamarono l'Accademia romana. Una turba di giovani, di idee e costumi pagani vennero ad aggiungervisi. Entrando in questo cenacolo, essi lasciavano il loro nome di battesimo per prenderne altri, portati nell'antichità, e scelti anche tra i più infami. Nel medesimo tempo, si appropriavano i vizi più scandalosi del paganesimo. Volaterranus riconobbe che queste riunioni e le feste che vi si celebravano erano "il principio d'un movimento che doveva finire coll'abolizione della religione".
Forse giunse un momento in cui non si credettero più sicuri nella casa di Pomponio? Fatto sta che i nomi dei membri dell'Accademia romana si trovano inscritti nelle catacombe; Pomponio Leto è chiamato Pontifex Maximus e Pantagathus, prete (cfr. de Rossi, Roma sotterranea, t. I, p. 3 e seg). A questi nomi vanno aggiunte delle iscrizioni eccitanti alla dissolutezza. Non si vergognarono d'inciderle su quelle pareti così profondamente venerande. Lo storico Gregorovius non esita di chiamare quest'Accademia, "una loggia di framassoni classici". Essa aveva scelto le tenebre delle catacombe per meglio nascondere la sua esistenza all'autorità; e, dando ai suoi capi i titoli di "prete" e di "Sommo Pontefice", indicava chiaramente che non era altrimenti una società letteraria, ma una
specie di chiesa in opposizione colla Chiesa cattolica, una religione, la religione della Natura che la Rivoluzione volle più tardi sostituire in Francia alla religione di Dio Creatore, Redentore, Santificatore.
All'empietà e alla licenza pagana avevano associata l'idea repubblicana. Uno degli ultimi giorni di febbraio 1468, Roma, svegliandosi, apprese che la polizia aveva scoperto una cospirazione contro il Papa ed aveva operati molti arresti, principalmente fra i membri dell'Accademia. Il progetto era di assassinare Paolo II, e di proclamare la Repubblica romana.... "Non si dissiperà mai interamente - dice Pastor - l'oscurità che incombe su questa congiura". Questo si può ritenere ch'essa fu il fatto d'una società segreta, la quale era in pari tempo internazionale. Già, in quest'epoca, le sue ramificazioni sembrano estendersi ben al di là degli Stati Pontifici. Questo internazionalismo reca una nuova probabilità all'opinione che gli umanisti, o sono stati i fondatori della framassoneria, o si affiliarono a questa associazione tenebrosa, la quale non cessa, da secoli, di lavorare nello stesso tempo alla distruzione della Chiesa cattolica e allo stabilimento di una Repubblica universale. Più tardi daremo le prove di questa doppia asserzione.
L'azione della framassoneria si accentua nell'epoca della Riforma e la sua esistenza diviene più manifesta.
N. Deschamps dice che il più antico documento autentico delle logge massoniche risale al secolo XVI, nel 1535, ed è conosciuto sotto il nome di Charte de Cologne. Esso ci rivela l'esistenza, già vecchia forse di due secoli, d'una o più società segrete esistenti clandestinamente nei diversi Stati dell'Europa, e in antagonismo diretto coi principi religiosi e civili che avevano formato la base della società cristiana.
Lo stesso autore trascrive per intero la Charte de Cologne (Le Societá segrete e la Società; II, 318), ed offre prove della sua autenticità (ivi, pp. 323-325).L'originale si trova negli archivi della madre- loggia d'Amsterdam, che conserva nello stesso tempo l'atto della sua propria costituzione, in data del 1519.
Tutto è rimarchevole in questo documento, i fatti, le idee i nomi dei sottoscritti. Esso ci rivela l'esistenza e l'attività, da un secolo almeno - il che ci porta al di là di Paolo II e della società segreta degli umanisti -, d'una società diffusasi ormai per tutto l'universo, avvolta nel segreto più profondo, avente delle iniziazioni misteriose, obbediente ad un capo supremo o patriarca, conosciuto solamente da pochi maestri.
"Non obbedendo a nessuna potenza del mondo - dicono i sottoscritti - e sommessi solamente ai superiori eletti della nostra associazione sparsa per tutta la terra, noi eseguiamo le loro commissioni occulte e i loro ordini clandestini mediante un commercio di lettere segrete e mediante i loro mandatari incaricati di commissioni espresse".
Dicono ancora: "noi non daremo accesso ai nostri misteri se non a coloro i quali, esaminati e provati con tormenti corporali, si saranno legati e consacrati alle nostre assemblee con un giuramento orribile e detestabile".
Essi raccomandano a tutti i collaboratori, ai quali questa legge sarà comunicata, o potrà arrivare più tardi, di non "allontanarsi mai da questo documento di verità".
Infine, indicano la distinzione fra loro e il mondo profano con queste parole che si trovano in tutti i documenti della massoneria: "il mondo illuminato" e "il mondo immerso nelle tenebre", parole che
esprimono l'essenza della massoneria, poiché suo scopo è quello di far passare dalle tenebre del cristianesimo alla luce della pura natura, dell'incivilimento pagano.
Fra i sottoscritti di questa Charta, si trovano non solo Filippo Melantone, il grande amico di Lutero (1), Ermanno di Viec, arcivescovo elettore di Colonia, che venne messo al bando dell'impero per la sua connivenza coi protestanti, Giacomo d'Anversa, prevosto degli Agostiniani di questa città, e Nicola Vari Noot, che incorsero ambedue nelle stesse accuse come anche Coligny, il capo del partito calvinista in Francia. 

Filippo Melantone
 
 

Dodici anni prima, quattro anni dopo la costituzione della loggia d'Amsterdam, Franz de Seckongen, la cui ribellione non era riuscita ad involgere tutta la Germania nella guerra civile, moriva per le ferite ricevute nella sua fortezza di Landstuchi, assediato dai principi alleati di Treviri, dell'Assia e del Palatinato. "Dove sono - esclamava - tutti i nostri amici? Dove sono gli Svizzeri, miei amici, alleati di Strasburgo, e tutti gli amici della fraternità che mi avevano fatte tante promesse e che sì male mantennero la parola?". Janssen, nella sua opera L'Allemagne et la Réforme, domanda: "Di quali elementi era composta questa fraternità di cui parla il morente?" Non è impossibile che la risposta si trovi in quello che precede. Infatti egli è da osservare che le città in cui, secondo la Charte de Cologne, si erano stabilite delle logge, sono quelle in cui il protestantesimo trovò i suoi primi aderenti.
Da questi fatti, vediamo emergere una seria probabilità che la framassoneria avesse una grandissima parte nel movimento d'idee che si manifestò nel Rinascimento e che volle imporsi alla società cristiana mediante la Riforma, sia che già esistesse, sia che dovesse la sua esistenza agli umanisti, i quali l'avrebbero creata precisamente per incarnare in qualche guisa in essa il loro concetto della vita e della società. Nelle sue origini la framassoneria doveva avvolgersi in un segreto assai più impenetrabile di quello che non le conviene ai giorni nostri, dopo un'azione continua di più secoli; di qui la difficoltà di ritrovarne le tracce. Ma la parte ch'ebbe nella Rivoluzione porge agl'indizi che veniamo raccogliendo un valore autentico che non avrebbero così grande per se stessi; poiché, come vedemmo, è il pensiero degli umanisti che la Rivoluzione ha voluto attuare colla distruzione della Chiesa cattolica e con lo stabilimento del culto della natura.

NOTE :

(1) L'editore di Melantone, il dotto Bretschneider, disse: "Melantone riceveva nella sua intimità degli stranieri che non aveva mai prima conosciuti, e li raccomandava calorosamente dovunque essi andavano e sovveniva a tutti i loro bisogni. Io non so se una simile familiarità fosse cagionata soltanto dalle virtù di questi uomini ovvero dalla rinomanza di Melantone e dalla dottrina che aveva comune con loro".

sabato 30 marzo 2013

Filippo III

 
 
Passato ad altra vita Ferdinando il Cattolico nel 1516 , gli succede la figliuola di lui Giovanna III, la quale governò questi Regni insieme col suo figliuolo Carlo V procreato con Filippo I Arciduca d'Austria marito di lei, e così passò questa Monarchia nella linea primogenita dell'Augusta Casa d'Austria. L' Augusta Casa d' Austria gli diede cinque Re : il primo fu l'Imperador Carlo V, figliuolo di Filippo I Arciduca d' Austria , e Nipote dell' lmperador Massimiliano. Costui dopo 29 anni di Regno rinunciò la Corona Imperiale al suo fratello Ferdinando d' Austria , e i Regni di Spagna , e delle due Sicilie al suo figliuolo Filippo II nel 1555. Morto Filippo II, Principe rinomato nella Storia, nel 1578 gli succedè il suo figliuolo Filippo III, il cui Regno fu sempre pacifico per 23 anni, che vi regnò. A questo succedette il suo figliuolo Filippo IV nel 1656, il di cui regno fu infelice perla perdita fatta del Portogallo; e gli succede il suo unico figliuolo Carlo II nel 1665, il quale morto nel 1700 senza figli, istituì suo erede Filippo V di Borbone Duca d' Angiò , e Nipote ex filio di Luigi XIV e vi regnò sino all'anno 1707 in qest' epoca l'Imperador Carlo VI figliuolo dell'Imperador Leopoldo I credè di far valere i suoi diritti, d' agnazione, e di escludere le ragioni di Filippo V fondati sopra i diritti di Maria Teresa d' Austria figliuola di Filippo IV e moglie di Luigi XIV onde armò un potente esercito , e si rese padrone di questo Regno nel 1707 con rimanere non però la Sicilia a Filippo V che ne fu pacifico possessore sino al 1714 col trattato di pace di Utrecht l'Imperador Carlo VI ottenne i Regni di Napoli, e di Sardegna: Filippo V la Spagna, e Vittorio Amodeo Duca di Savoia la Sicilia. Questa pace durò poco tempo, poiché nel 1720 nacque nuovamente disputa tra l'Imperador Carlo VI e Filippo V, la quale poi terminò con cedere Carlo VI la Sardegna al Duca di Savoja , e Filippo V la Monarchia di Napoli , e di Sicilia all'Imperador Carlo VI, il quale regnò in Sicilia 14 anni, e 22 in Napoli , dopo di che terminò di signoreggiare in questi regni l' Augusta Casa d'Austria nel 1734 , e venne a dominare l'Infante D. Carlo Borbone figliuolo di seconde nozze di Filippo V, e di Elisabetta Farnese, figliuola di Odoardo VII, Duca di Parma.

Tratto da Istorica descrizione del regno di Napoli, di Giuseppe Maria Alfano, Napoli 1823
 
 
 
Fonte:
 

Otranto 1480



"Al contrario di quanto pretende la falsa storiografia garibaldina artificialmente fabbricata nel secolo XIX, nel secolo XV l'Italia era un'espressione geografica, nè più nè meno che la Spagna: due penisole sul cui territorio coesistevano diverse e, il più delle volte, ostili signorie. Non v'è nulla in comune tra Napoli e le altre entità politiche italiane. Non lo è la lingua perchè a Napoli si usava un idioma chiaramente diverso dal toscano, le cui peculiarità sono riassunte in esaurienti esempi da Antonio Altamura nel suo Testi napoletani del Quattrocento. Non lo è l'ascendenza letteraria: basti paragonare lo straordinario influsso di Dante Alighieri nella letteratura catalana, mentre a Napoli esso non suscita che due imitazioni ad opera di Marino Ionata e di Pietro Iacopo de Gennaro più alcune scelte citazioni di Loise de rosa. Non lo è il riferimento alla Roma classica, perchè l'amore per il classicismo è patrimonio comune del secolo e non una particolarità italiana. Si aggiunga che Antonio de Ferrariis disprezzerà Roma in favore della GRecia, contemporanea all'affermazione del Cantalicio secondo cui non v'è altra Roma politica che le Spagne. Non lo è culturalmente tanto che il gruppo degli eruditi di Napoli vedeva in quelli di Firenze i peggiori nemici: ciò secondo l'esame dettagliato che ne fece l'inglese William Roscoe. Tanto poca corrispondenza esisteva tra Napoli e la Toscana, che in seguito assumerà l'egemonia culturale in Italia, che l'unico capace di scrivere in corretto toscano, con perfezione non superata neanche dal Sannazaro, è un napoletano nato a Barcellona: Benito Garret, detto il Cariteo; ciò perchè aveva appreso il toscano prima di venire a Napoli... L'avversione di fiorentini e veneziani verso il regno ne è una valida prova. A Napoli il maggiore pericolo per la Cristianità che fu causato dalla valanga turca del 1480 fu dovuto in gran parte al fatto che veneziani e fiorentini incitavano i musulmani ad attaccare Otranto. I fiorentini, con meschino calcolo egoistico, negazione palese di un'Italia politica e, cioè che è peggio, negazione della stessa Cristianità, incoraggiarono i turchi nel timore che Alfonso di Calabria avrebbe potuto esercitare l'egemonia nella penisola, secondo quanto riferisce Camillo Porzio. Venezia agi nello stesso modo, come ha dimostrato G. Pipitone-Federico., tanto più che essa coltivava la pretesa di installare le proprie basi in Puglia. Appena respinti i turchi, assunse l'offensiva in maniera diretta". 


Francisco Elias De Tejada


Fonte:

http://historiaregni.blogspot.it/

L'ostilità tra Napoli e Venezia



Nel 1480 le armate del Sultano Maometto II compirono il massacro di Otranto. Cacciati i Turchi dalla Terra d'Otranto, Venezia assediò Gallipoli con la sua flotta per tre giorni. La città fu saccheggiata e incendiata. L'occupazione veneziana durò quattro mesi fino al settembre del 1484 quando Gallipoli fu liberata. L'ostilità tra Napoli e Venezia non ebbe fine...

"Nel 1483 [i Veneziani] invasero gli Abruzzi prendendo San Vito. Il 16 maggio 1484 saccheggiarono Gallipoli e il 21 occuparono Novito e altre piazze. Battuti da Alfonso di Calabria, il 3 novembre 1484 il Popolo di Napoli mostrò la propria profonda ostilità a Venezia riservando un'accoglienza delirante ad Alfonso che rientrava in città. Ostinati nel loro intento, i veneziani, fallito il tentativo militare provarono quello finanziario e Ferrandino smembrò il regno cedendo loro, in pegno di un prestito di ventimila ducati, il 10 marzo 1496, Trani, Brindisi e Otranto".

Francisco Elias De Tejada


Fonte:

http://historiaregni.blogspot.it/

venerdì 29 marzo 2013

Passione di Cristo Passione della Chiesa (Anno Domini 2013)

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In questi tempi di «apostasia silenziosa» emerge chiaro per così dire,ciò che stiamo vivendo,
ossia il Venerdì Santo della Chiesa,che essendo il Corpo mistico di Gesù Cristo nostro
Redentore ne ripercorre tutte le tappe fino al Trionfo finale.
In nostro aiuto in questa riflessione ci vengono le parole del racconto della passione di Gesù
fatto dalla Beata Anna K. Emmerick, mistica e veggente tedesca vissuta nel 19° secolo tra
visioni,preghiera e mortificazioni.
Nel capitolo 3 si racconta nelle prime pagine che Gesù fu condotto dalla casa di Caifa al
pretorio(Gv 18,28) e la mistica che non solo vedeva quegli avvenimenti ma li viveva, così
descrive la scena e da queste parole prendiamo spunto per provare (senza nessuna garanzia di
riuscirvi) a spiegare la situazione della Chiesa attuale : « Egli apparve sfigurato dalle percosse e dagli oltraggi della morte,indossava soltanto la tunica inconsuntile insudiciata di sputi e macchiata di sangue.»
Come non riconoscere in queste parole la situazione,lo stato attuale della Chiesa di Dio,
sfigurata ed insudiciata dai peccati del popolo e dei suoi stessi ministri.
« La plebaglia affluiva da ogni parte e seguiva il corteo lanciando grida e invettive contro il
Galileo»
Anche qui è evidente che tutto ciò sta succedendo anche alla Chiesa, oltraggiata ed accusata
dalla plebaglia che da ogni parte affluisce per attaccarla seguendo lo spirito del mondo e la
sua propaganda diffusa dai partigiani di satana ,molto attivi con le loro sètte.
«Nel vederlo in quelle condizioni sanguinante e pieno di lividi,molti amici esclusero Gesù dal
loro cuore,la loro fede si affievolì e si ritirarono scoraggiati,mentre i più superficiali si
unirono alla marmaglia.Essi non riuscivano a persuadersi che il Signore così barcollante e
malandato,potesse essere il Re,il Profeta,il promesso Messia,il Figlio di Dio.»
Accade anche oggi che nel vedere la crisi della Chiesa, il tradimento di molti suoi ministri, lo
scoraggiamento di alcuni dei suoi più importanti «rappresentanti» , molte persone perdono la
fede ed abbandonano l’unica Arca di salvezza e questi come allora sono i più superficiali che
molto spesso vanno ad unirsi alla già folta marmaglia che accecata dai vizi e dalla continua
propaganda anticristiana forma l’infame corteo che portò alla crocifissione di Gesù allora ed
alla persecuzione della Chiesa oggi.
Per capire cosa fare,occorre imitare la Madre di Dio che in questo passo del racconto della
Emmerick ci indica la via : « La Vergine mise il velo e il manto,mentre diceva a Maria Maddalena e Giovanni: «Seguiamo mio figlio fino al palazzo di Pilato,lo voglio rivedere!»
Alla vista del suo diletto Figlio,così orribilmente sfigurato, ella esclamò tra le lacrime: 
« Questo è mio Figlio! Come hanno ridotto il mio Gesù!»
Anche a noi quindi non resta che seguire la Verità,il Magistero infallibile della Chiesa e
riconoscerla come nostra Madre nonostante le debolezze dei suoi uomini,pregare per il suo
Trionfo e pregare la Vergine Adolorata che non ci faccia seguire il corteo della marmaglia ma
ci aiuti ad imitarLa a seguire Gesù,fino ai piedi della Croce,unica via di salvezza !
 
Alessandro Pini
 
Fonte:
 

La Passione di Cristo (film completo)

 
 
 
 
Cliccare sul link sottostante per accedere al film:
 

Trattato dell'11 maggio 1753 tra Austria e Modena



(Fonte: Consolidated  Treaty Series, vol 40, pag 61).
Questa convenzione è stata scritta in latino. E 'stata ratificata il 3 giugno da Maria Teresa, dall'imperatore Francesco I (come granduca di Toscana), il 13 giugno, e dal re di Gran Bretagna , il 14 giugno.


In nomine sacrosanctae et individuae trinitatis dei patris, filii et spiritus sancti, amen. Notum testatumque vigore praesentium facimus omnibus quorum interest aut quomodocunque interesse potest. Cum Ser.mus Mutinensis dux pro paterno suo erga subditos populos affectu, non minus de eorum quiete ac prosperitate quam de antiquissimae stirpis suae decore et incremento, uti par est, enixe sollicitus, post praematura Serinissimi secundogeniti filii sui fata nihil prius nihilque antiquius habuerit quam unum alterumve scopum, quo fieri potest meliore modo, firmare, ea super re Serenissimum ac Potentissimum principem Dominum Georgium Secundum Magnae Britanniae, Franciae et Hyberniae regem, electorem Brunsvicensem et Luneburgensem, utpote Estensis domus caput, consuluit, cuius suasu hortatuque et interveniente eiusdem regis conciliatoria opera contractus matrimonialis hodierna die subscriptus, signatus et conclusus fuit. Quoniam vero provida haecce dispositio pro asserendo utroque
supramemorato scopo haud sufficiens visa fuit; hinc eaedem partes contrahentes, quae contractum istum inierunt aut eidem intervenerunt, nimirum Serenissimus et Potentissimus princeps Dnus Franciscus Romanorurn imperator, Germaniae et Hierosolymae rex, Lotharingiae et Barri Magnusque Hetruriae dux, tum Ser.ma ac Pot.ma princeps Dna Maria Theresia Romanorum imperatrix, Germaniae, Hungariae, Bohemiaeque regina, archidux Austriae, neque minus Ser.mus ac Pot.mus princeps Dnus Georgius Secundus Magnae Britanniae, Franciae et Hyberniae rex, elector Brunsvicensis et Luneburgensis, qua praedicti matrimonii suasor et conciliator ac denique Ser.mus Mutinensis dux de ulterioribus eum in finem mediis inter se secreta consilia conferre constituerunt; quapropter pro opere hocce peragendo altefatae Sacrae Ceae Mtes viros, Illmum et Excmum Dmum Rudolphum losephum sacri Romani imperii comitem Colloredo de Waldsee, vicecomitem in Meltz et marchionem sanctae Sophiae, dominum dynastiarum Oppotschnae, Staaz, Siebenhürten et Fölling, supremum in regno Bohemiae dapiférum haereditarium, aurei velleris equitem, Sacrarum C.aeum M.tum consiliarium actualem intimum, conferentiarurn ministrum, nec non Sacrae C.eae M.tis et sacri Romani imperii procancellarium; ac Ill.mum et Exel.mum D.num Corficium sacri Romani imperii comitem ab Ulfeld, consiliarium status actualem intimum, primum conferentiarum ministrum, nec non aulae et status cancellarium, supremum supellectili argenteae regni Bohemiae haereditarium praefectum dominum dynastiarum Ienikau, Hostaschow, Prödliz, Ottaslowiz et in feudo Zültsch, aurei velleris equitem; Sacra R.ia Britannica M.tas qualitate supradicta D.num Robertum Keith armigerum, suum in aulà C.ea ac C.eo R.ia nunc temporis ministrum; et Ser.mus Mutinae dux Ill.mum D.num Antonium comitem de Montecuccoli, equitem Hierosolymitanum, praetoriae cohortis praefectum et eiusdem in aula C.ea et C.eo R.ia ablegatum extraordinarium, et Dnum abbatem Antonium Grossatesta, eiusdem in aula regia Britannica administrum selegeruntt plenisque facultatibus muniverunt, habitisque insuper colloquiis et permutatis prius plenipotentiarum tabulis de sequentibus articulis conventum est.   1. Cum merito pertimescendum sit ne, si forsan Estensis in Italia stirps legitima mascula citius aut tardius extinguatur, novae exin turbae in Italia exoriantur, iis praecavendis Ser.mus Mutinensis dux eiusmodi successorem seligere et quantum penes ipsum est jam nunc pro eo, qui modo memoratus est, casu in haeredem, nominare constituit, sub quo vetusta Estensis gentis gloria non revivisceret modo, sed novo decore ornaretur. Quem in finem non alius princeps idoneus eidem magis visus est quam unus ex postgenitis Ser.mis Austriae archiducibus, utpote qui et ipsi ex Estensi domo, quae in Germania floret, oriundi sunt, et quorum unus eum ipsum in finem in Ser.mae neptis suae sponsum destinatus est. Quapropter in casum, uti dicturn est, extinguendae citius aut tardius Estensis in Italia stirpis legitimae masculae, et non aliter, vigore praesentis articuli ac proinde vigore solemnis et irrevocabilis pacti conventi, idem. Ser.mus dux Ser.mum Austriae archiducern Petrum Leopoldum aut illum ex postgenitis eiusdem fratribus, qui juxta conclusum hodierna die contractum matrimonialem Ser.mae neptis suae sponsus erit, quo fieri potest, meliore ac validiore modo haeredem nominat omnium ditionum ac bonorum suorum, tam feudalium, quam allodialium tempore evenientis successionis existentium, absque eo tamen, ut hacce haeredis universalis designatione quoad allodialia bona quidquam decedat juribus, quae in ea Ser.mi saepefati ducis filiabus, neptibus et sororibus competunt aut competere possunt; quippe quae, ne in jura tertii ullatenus impingatur, quovis meliore modo reservata censeri debent. Ser.mus autem ita denominatus haeres Sers.mum Mutinensium ducem, qua caput familiae, conveniente modo nunquam non respiciet.   II. Quoniam vero evenire posset, ut non modo tota stirps Estensis in Italia mascula sed insuper quoque omnes ex praesentibus Ser.mis Mutinensibus principibus haereditariis descendentes foeminae, seu ante consummatum, de quo hodierna die conventum est, matrimonium, seu etiam posthaec prole nulla relicta decederent, ad hunc quoque casum, providam curam suam extendens saepememoratus Ser.mus dux ex postgenitis Ser.mis Austriae archiducibus illum, qui eveniente casu natu major erit, pari solemni et irrevocabili modo ex nunc pro tunc haeredem suum ac successorem universalem sub eadern tamen, quae praecedente articulo sancita est lege ac reservatione designat ac nominat.   III. Porro Ser.mus Mutinensis dux promittit curae sibi fore, ut non minus praesens secreta conventio quam contractus matrimonialis Ser.mi filii sui principis haereditarii consensu ante ratihabitionum permutationem corroboretur.   IV. Praefatam successoris et haeredis nominationem altefatae Sacrae C.eae M.tes pro unoquoque ex postgenitis filiis suis, quem illa citius aut tardius concernere poterit, quo fieri potest, solemniore ac validiore modo accipiunt suoque in antecessum consensu confirmant.   V. Quo autem designatus ita successor eveniente casu ditionibus, quae ad eundem devolvuntur, cum uberiore subditorum fructu et solatio praesse queat, altefatis Sacris C.eis M.tibus summae jam in praesens curae erit, ut Ser.mus sponsus rite de iis omnibus, quae eum in finem inserviunt, instruatur, eundem, ubi maturioris erit aetatis, ea de causa Mediolanum missurae.   VI. Conventum porro inter partes contrahentes est, ditiones ad Mutinensem successionem spectantes cum regnis et ditionibus, quae ad augustarn domum Austriacam spectant, nunquam conjungi multoque minus in speciern provinciae ab Austriaca successione dependentis redigi posse, sed separatum semper corpus statuum constituere debere, tenerique earundem possessorem ibidem domicilium suum figere, ac eodem modo uti praedecessores sui residere, neque minus sartas tectas servare internas ditionum leges et constitutiones. Conventumque insuper est, non eam esse contrahentium mentem, ut hac successoris designatione quicquam decedat libero exercitio auctoritatis et potestatis, quae Ser.mo duci et Ser.mis eius successoribus masculis competunt, vel etiam arbitrii huic auctoritati, et potestati quovis modo annexi.   VII. Praemoriente Ser.ma sponsa nepte ante Ser.mum sponsum Petrum Leopoldum aut postgenitum fratrem in locum eius, si ante consummatum matrimonium moreretur, subintrantem, absque eo ut soror ulla sit superstes, nihilominus firma manet supradicta successoris designatio vigore pacti solemnis et irrevocabilis familiae, uti supra dictum est, stabilita non solum favore Ser.mi sponsi eiusque descendentium masculorum ex quocunque demum legitimo matrimonio procreatorum, sed et quorumcumque archiducum Austriae, illis solummodo exceptis, qui regnis et ditionibus haereditariis praeerunt, cum mens contrahentium sit, extinctae Estensi familiae masculae generatim, substituere Ser.mam Austriacam domum, in quantum id absque laesione normae praecedente articulo sancitae fieri potest.   VIII. Quodsi proinde illi, qui supradicta ratione ad Mutinensem successionem vocatus est, etiam postquam eande adierit, successio Austriaca obtingeret, eum in casum succesionis in Mutinenses ditiones jus ipso facto vel in secund genitum filium suum, si plures haberet, vel in alium Austria archiducem ex antiquiore linea gradu proximum, transferri teneretur, sed ubi talis haud extiterit, cessabit tota, que in praesenti secreta conventione continetur, dispositio.   IX. Quo autem, quae praecedentibus articulis de successionis jure stabilita sunt, eo firmius subsistant, partes contrahentes disertim declararunt, a mente sua quam longissime alienum esse caesareis et imperii juribus ullum vel minimum praejudicium afferre, cum sint potius de iis sartis tectis servandis et cum supradicto scopo conciliandis quam maxime sollicitae. Quem in finem Sacra Cea Mas, qua caput imperii eventualis investiturae literas, huic ipsi dispositioni consona quantocyus adumbrare curabit, et tam, conjunctim quam se paratim cum reliquis partibus contrahentibus operam omne eo impendet, quo literae istae electoralis collegii vel etiam totius imperii consensu corroborentur atque sic exteris principibus omnis contradicendi ansa et praetextus adimatur.   X. Praeterea cum. saepefatus Ser.mus Mutinensis dum enixe institerit, ut perennis unio et indissolubilitas omnium quae ad ipsum et Ser.mam nurum suam actu spectant, ditionum pro quovis dabili casu asseratur, Sacraque C.ea & R.ia Hungariae et Bohemiae M.tas, in quantum absque laesione juris tertii id fieri potest, huic desiderio deferre cupiat; hin est, quod altefata M.tas Sua favore successionis per praesentem secretam conventionem postgenitis filiis suis assignatae pro se suisque in actu ab eadem possessa regna et ditione successoribus renuntiat praetensionibus, quae extincta Estensi stirpe in Italia mascula sibi in Mirandolae et Concordiae principatus tum Novellarae comitatum competunt. Praeterea M.tas Sua una cum dilectissimo conjuge suo Sacra C.ea M.tas operam omnem eo impendere promittunt, quo cum, consensu libero principum postgenitarum hodie viventium ex Cybensi domo aut, si hae forent praemortuae, illarum descendentium ad Massae ducatum et principatum Carrariae vocatorum aut vocatarum perennis quoque modo memorati ducatus et principatus unio cum reliquis ditionibus Mutinensibus, quovis possibili legati modo stabiliri queat, ea tamen sub expressa conditione, et non aliter, ut hac de causa aut sub ullo excogitabili alio praetextu nihil quicquam constitutae doti duarum florenorum Rhenensium myriadum detrahatur, et stabilienda perennis unio nullatenus in praejudicium Ser.mae sponsae aut Ser.mi sponsi eorumque descendentium vergat, cum Ser.mae sponsae, ubi Ser.ma eiusdem mater prole mascula haud relicta decesserit, potius ante omnes ex Ser.ma Estensi stirpe, non tamen ex Ser.ma eiusdem sponsae matre oriundos legitimos masculos jus in Massae ducatum et principatum Carrariae competat; quod ipsum jus hisce pro eadem tum mediante eadem pro Ser.mo sponso eorumque descendentibus hisce quam solemnissime reservatur.   XI. Et sicuti omnium eorum, quae in praesente secreta conventione continentur, primaria basis est arctissima et indissolubilis unio inter augustam domum Austriacam et Ser.mam Estensem in Italia domum earumque status, ditiones ac subditos, ita conventum porro est, subditos hosce in alterius contrahentis ditionibus iisdem juribus et immunitatibus, quibus indigenae ibidem gaudent, mutuo gaudere debere.   XII. Pro confirmanda magis perenni et indissolubili praecedente articulo memorata unione Sacra C.ea R.iaque M.tas Se.mo Mutinensium duci praefecturam suarum in Italia copiarum deferre eique administrationem gubernii Lombardiae Austriacae loco Ser.mi archiducis sponsi, cui id destinatur, concedere promittit, tam diu cum eodem auctoritatis titulo ac jure, quo Ser.mus archidux sponsus id suscipiet, exercendum, donec praefatus archidux majorennem aetatem, id est decimum octavum annum, attigerit; quo casu tamen Ser.mus dux emolumento huic gubernio annexo quamdiu vixerit gaudebit. Vicissim vero Sacrae C.eae R.iaeque M.ti eiusque successoribus Ser.mus Mutinae dux facultatem in munita loca sua praesidiarium militem in eo, de quo partes contrahentes communi consensu convenient, numero cum proprio miscendum, praestito prius consueto juramento, defert. Conventumque insuper est, quod is suum quoque militem C.eo R.io in munitis Insubriae locis miscere possit, quodque utriusque partis miles sumptibus eius, cui servit, sit alendus, tum quod haec mutua militis commiscendi facultas, quemadmodum non nisi a die susceptae praefecturae armorum et administrationis gubernii Lombardiae Austriacae exerceri potest, ita pariter cessare uno eodemque tempore debeat, quo tam praefata praefectura quam administratio cessabunt.  XIII. Quodsi tamen belli tempore princeps eminentioris dignitatis exercitui praeesset, sub eius ductu secundo loco militare haud detrectabit Ser.mus dux.  XIV. Si autem antequam Ser.mus archidux sponsus majorennem aetatem attigerit, Ser.mus Mutinae dux e vivis decederet, Sacra Cea Riaque M.tas pro uberius testando suo erga Estensem stirpem affectu, quem in filio pariter etiam post adeptam majorennitatem condecente ratione perennem fore dubium non est, Ser.mo Mutinensi principi haereditario, qui jam in vivis est, tam copiarum suarum in Italia praefecturam quam administrationem gubernii Lombardiae Austriacae conferre promittit, eodem modo et tam diu sub iisdem legibus exercendam, prouti articulo praecedente duodecimo dispositum est.  XV. Quo mediante praesente provida dispositione vetusta gentis Estensis gloria in nova prosapia non reviviscat modo, sed majora capiat incrementa, consentiunt altefatae Sacrae Ceae Mtes, ut ab eo archiduce, qui in possessione Mutinensium ditionum erit, cognomen Estensis assumatur.  XVI. Sicuti Sacra Ria Britannica M.tas tam qua rex quam qua elector supramemorati matrimonii suasor conciliatorque fuit, ita quoque omnibus consiliis et bonis officiis eo operam navabit, quo quae ad huiusce matrimonii scopum pertinent, plenum sortiantur exitum et effectum, et speciatim in utraque praefata qualitate, quo fieri potest, meliore modo eo allaborabit, quo tenor articuli huius conventionis noni, qui jura imperii concernit, eiusdem imperii aut saltem collegii electoralis consensu quam validissime, et quo citius eo melius, corroboretur.  XVII. Praesens conventio secreta maneto usque dum contrahentibus unanimiter aliter visum fuerit. Quodsi tamen, durante hoc temporis intervallo, Sacrae C.eaee M.ti qua capiti imperii e re visum fuerit, a Ser.mo Mutinensi duce separatum instrumentum, continens ea de quibus quoad eventualem successionem in Mutinenses ditiones hodierna die conventum est, expetere, praefatus Ser.mus dux tale separatum instrumentum pro facilius obtinendo seu collegii electoralis seu totius imperii consensu indilatim extradere promittit. Interea autem praesens conventio intra sex septimanarum spatium, aut citius si fieri poterit, ratihabenda erit, et ratihabitionum tabulas Viennae permutare partes contrahentes statuerunt. In quorum omnium fidem majusque robur nos infrascripti ministri plena ad id tractandum et peragendum facultate muniti praesens conventionis instrumentum propria manu subscripsimus ac consuetis sigillis nostris munivimus. Acta haec sunt Viennae Austriae die 11.a Maji, anno domini millesimo septingentesimo quinquagesimo tertio.  L. S. R. comes Colloredo. L. S. Ro. Keith.                                                             L. S. C. comes ab Ulfeld. L. S. comes Montecuccoli                                               L. S. abbas Grossatesta
sub spe rati.                                                                    sub spe rati.

giovedì 28 marzo 2013

A Papa Pio VII: "niuno dunque sia permesso lacerar questa carta di Nostra dichiarazione, condanna, comando, proibizione ed interdizione, o pure con temerario ardire trasgredirla. Che se alcuno presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà lo sdegno di Dio Onnipotente, e de' Beati Apostoli di lui Pietro e Paolo".

"Smascherare la Massoneria è vincerla!" Leone XIII





Fonte. il benemerito sito, Progetto Barruel...

Da: Atti Pontificii o sieno Lettera Enciclica e Sillabo degli 8 dicembre 1864 co' documenti in essi citati, testo e volgarizzamento curati per una Pia Unione di Sacerdoti napolitani, Napoli 1865, pag 109-115.

LETTERA ENCICLICA


DEL NOSTRO SANTISSIMO PADRE IL PAPA PIO VII


Ecclesiam a Jesu Christo, 13 settembre 1821.


La Chiesa fondata da Gesù Cristo Nostro Salvatore su ferma pietra, e contro di cui lo stesso Cristo promise non dover mai prevalere le porte dell'inferno, è stata sovente da tanti e sì terribili nemici assalita, che se non vi fosse stata quella divina promessa, che non può venir meno, sarebbe a temersi ch'essa assediata o dalla forza, o dalle arti o dalle astuzie di quelli perisse del tutto. Ciò che però accadde nei tempi passati, si è fatto ancora sopra tutto in questa Nostra luttuosa età, che sembra esser quell'ultimo tempo tanto prima prenunziato dagli Apostoli, in cui (In Epist. b. Judae Ap. v. 18.) verranno i derisori viventi secondo i loro appetiti nell'empietà. Poichè a niuno è ignoto, quanta moltitudine di uomini scellerati in questi difficilissimi tempi siasi radunata contro al Signore, e contro al suo Cristo, de' quali il principale impegno è, sebbene con inutili sforzi, indebolire e distruggere la Chiesa stessa, ingannando i fedeli per mezzo di una filosofia inutile ed ingannatrice (Coloss. cap. II, v. 8.), e strappandoli dalla dottrina della Chiesa. Lo che per ottenere con maggior facilità, molti di loro adunarono occulte assemblee e sette clandestine, dalle quali speravano con maggior libertà tirar moltissimi alla società della loro congiura e scelleratezza.

Già da gran tempo questa Santa Sede scoperte tali sette gridò grandemente e liberamente contro di esse, e scoprì i loro consigli clandestinamente concertati contro la Religione, anzi anche contro la Società civile. Fin d'allora eccitò la diligenza di tutti, acciò prendessero le precauzioni per non dar campo a queste sette di tentare ciò che scelleratamente meditavano. È però da dolersi, che a questi impegni della Sede Apostolica non corrispose l'esito ch'Ella si aspettava; e che gli uomini scellerati non si arrestaron mai dall'intrapreso disegno; donde poi son nati in fine quei mali che abbiam veduti co' nostri occhi. Anzi gli uomini, de' quali la superbia sempre più cresce, si sono resi arditi a formare ancora delle nuove segrete società.

Qui deve farsi menzione di quella società poco anzi nata, e molto estesa nell'Italia ed in altre regioni, la quale sebbene sia divisa in molte sette, e per la loro varietà prenda alle volte diversi nomi e distinti fra loro, in realtà però, per la comunione delle sentenze e delle operazioni, per una certa lega formata è una, e suole per lo più chiamarsi dei Carbonari. Fingono essi per altro una singolare osservanza, ed un certo maraviglioso impegno per la Religione Cattolica, e per la persona e dottrina di Gesù Cristo nostro Salvatore, che ardiscono anche qualche volta empiamente chiamare Rettore e gran Maestro della loro società. Ma questi parlari che sembrano ammolliti più dell'olio, non altro sono, che strali per ferire più sicuramente i meno cauti, adoperati da uomini astuti, i quali vengono vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci (Matth. VII. 15.).







Infatti quel severissimo giuramento, con cui imitando in gran parte gli antichi Priscillianisti promettono di non manifestare in qualunque tempo o in qualsivoglia caso gli arcani della società ad uomini in essa non ascritti, e di non comunicare a que' che sono ne' gradi inferiori cosa che appartenga ai gradi superiori; oltre a ciò quelle clandestine ed illegittime conventicole, che essi hanno secondo il costume di molti eretici; e l'arrolamento di uomini di qualunque religione e setta nella loro società, quando altro mancasse, persuadono abbastanza, che a tali loro parole niun credito prestar mai si deve.

Ma non vi è bisogno di congetture ed argomenti per così giudicarsi delle loro parole, come abbiam sopra additato. I libri da loro stampati, ne' quali si
descrive la maniera che suole adoperarsi nelle adunanze de' gradi soprattutto superiori, i loro catechismi e statuti, ed altri autentici documenti gravissimi a far fede, come anche le testimonianze di que' che avendo abbandonata quella società, a cui erano stati prima attaccati, manifestarono a' giudici legittimi i di lei errori e le frodi, apertamente dichiarano, che la mira principalc de' Carbonari è di dare ad ognuno una gran licenza di formarsi la religione a capriccio e secondo le proprie opinioni, indotta l'indifferenza in materia di religione, di cui non può escogitarsi cosa più perniciosa; di profanare e prostituire la passione di Gesù Cristo con certe nefande loro cerimonie; di sprezzare i sacramenti della Chiesa (a' quali pare, che sostituiscono de' nuovi da loro scelleratamente inventati), e gli stessi misteri della Cattolica Religione; e di rovesciare questa Sede Apostolica, contro la quale, perchè in lei è stato sempre in vigore il principato della Cattedra Apostolica (S. Aug. Epist. 43.), hanno essi un odio particolarissimo: e non fanno, che macchinare quanto vi è di pestifero e di pernicioso.

Nè meno, come costa dagli stessi monumenti, sono scellerati i precetti, che in ordine a' costumi insegna la Società de' Carbonari, quantunque piena di confidenza si vanti esigere da' suoi seguaci di coltivare ed esercitare la carità e le virtù di ogni genere, e di astenersi con tutta diligenza da ogni vizio. Ella dunque con somma impudenza favorisce i libidinosi piaceri; insegna, che sia lecito l'uccidere coloro, che non abbiano serbata la fede del segreto di sopra cennato; e sebbene il principe degli Apostoli Pietro comandi, che i Cristiani (Ep. I. cap. II, vers. 13.) sieno soggetti per riguardo a Dio ad ogni uomo creato, tanto al Re come sopra di tutti; quanto ai presidi come spediti da lui ecc. e Paolo Apostolo comandi (Rom. cap. III, v. 14.), che ogni anima sia soggetta alle potestà superiori, quella Società nondimeno insegna esser lecito, eccitate le sollevazioni, di spogliar della loro potestà i Re, e
gli altri Imperanti, che osa con somma ingiuria da per ogni dove appellare tiranni.



Questi ed altri sono i dommi e i precetti di questa società, da' quali nacquero in Italia que' delitti poc'anzi commessi da' Carbonari, che han recato sì gran dolore agli uomini onesti e religiosi. Noi dunque, che siamo costituiti sentinelle della Casa d'Israello, ch'e la Santa Chiesa, e che per Nostro pastoral dovere dobbiamo evitare che il gregge del Signore affidatoci dallo stesso Dio soffra verun detrimento, stimiamo in una causa tanto importante non poterci astenere dal raffrenare gl'impuri sforzi di costoro. Ci muove anche l'esempio della felice memoria di Clemente XII e di Benedetto XIV Nostri predecessori, dei quali il primo a' 28 aprile 1738, colla Costituzione In eminenti, e l'altro a' 18 maggio dell'anno 1751 colla Costituzione Providas, condannarono e proibirono le società de' Liberi Muratori , ossia Francs-Maçons, o con qualunque altro nome chiamate per la varietà deipaesi e de' linguaggi, delle quali società forse deve stimarsi un rampollo, o per certo una imitazione questa società de' Carbonari. E quantunque avessimo già rigorosamente proibita questa società con due editti proposti per la NostraSegreteria di Stato, pure seguendo i prelodati Nostri predecessori, stimiamo dover fulminare contro questa società delle gravi pene in una maniera più solenne, specialmente perchè i carbonari comunemente pretendono non esser compresi in quelle due Costituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV, nè soggetti alle sentenze ed alle pene in quelle stabilite e promulgate.

Udita dunque una scelta Congregazione de' Venerabili nostri fratelli Cardinali della S. R. C., per loro consiglio, ed anche per moto proprio, e per certa scienza, e matura deliberazione Nostra, colla pienezza dell'Apostolica potestà abbiamo stabilito e determinato condannare e proibire la predetta Società de' carbonari, o con qualunque altro nome ella sia chiamata, i di lei ceti, le unioni, congreghe, vendite, logge, conventicole, come colla presente Nostra Costituzione, da dovere aver vigore in perpetuo le condanniamo e proibiamo.

Laonde rigorosamente, ed in virtù di santa ubbidienza, comandiamo a tutt'i fedeli, ed a ciascuno di essi di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, siano laici, siano clerici, tanto secolari, quanto regolari anche degni di speciale ed individuale menzione ed espressione, che niuno ardisca o presuma sotto qualunque pretesto o colore intraprendere, formare e propagare la predetta società de' carbonari, o con qualunque altro nome chiamata, fomentarla, favorirla, ricettarla, ed occultarla nelle sue case o edificî, o altrove; e farsi ascrivere o aggregare a lei e a qualunque di lei grado, o intervenire alle di lei unioni, dar facoltà o comodo per radunarsi in qualunque luogo, somministrarle qualche cosa, o inqualunque modo darle consiglio, ajuto o favore in palese o in segreto, direttamente o indirettamente, per sè o per altri; come ancora esortare, indurre, stimolare e persuadere gli altri, affinchè si ascrivano, si annoverino, o siano presenti a tale società, o a qualunque di lei grado, o in qualunque modo giovarla e fomentarla; ma all'intutto debba ognuno mantenersi lontano dalla stessa società, e da' di lei ceti, unioni, aggregazioni, o conventicole sotto pena di scomunica da incorrerla ipso facto e senza alcuna dichiarazione, da tutt'i trasgressori come sopra, dalla quale nessuno possa ottenere il beneficio dell'assoluzione da chiunque, eccetto che da Noi, o dal Romano Pontefice esistente pro tempore, escluso soltanto il caso che sia costituito nell'articolo della morte.

Comandiamo oltre a ciò a tutti sotto la stessa pena di scomunica riservata a Noi, ed a' Romani Pontefici Nostri Successori, che siano tenuti a denunziare a' Vescovi, o agli altri, a cui spetta, tutti coloro che sapranno aver dato il nome a questa società, o di essersi imbrattati di alcuni di quei delitti, de' quali si è fatta menzione.

Finalmente per togliere più efficacemente ogni pericolo di errore, condanniamo e proscriviamo tutt'i così detti catechismi de' carbonari e tutt'i libri nei quali da' carbonari si descrive quanto suol farsi nelle loro adunanze, anche i loro stattiti, codici e tutti i libri scritti in loro difesa, siano stampati, siano manoscritti, e proibiamo a tutt'i fedeli sotto la stessa pena di scomunica maggiore dello stesso modo riservata, di leggere e ritenere i cennati libri, o alcuno di essi; e comandiamo, che assolutamente li consegnino agli Ordinari de' luoghi, o ad altri che hanno il dritto di riceverli.

Vogliamo poi, che a' transunti delle presenti Nostre Lettere, anche impressi, sottoscritti da qualche pubblico Notajo, e muniti del suggello di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti del tutto la stessa fede, che si presterebbe allo stesso originale se fosse esibito, o mostrato.

A niuno dunque sia permesso lacerar questa carta di Nostra dichiarazione, condanna, comando, proibizione ed interdizione, o pure con temerario ardire trasgredirla. Che se alcuno presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà lo sdegno di Dio Onnipotente, e de' Beati Apostoli di lui Pietro e Paolo.



Dato in Roma presso Santa Maria Maggiore l'anno dell'Incarnazione del Signore mille ottocento ventuno negli idi di settembre, l'anno vigesimo secondo del nostro Pontificato.

Pio Papa VII.

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 L'IMPOSTORE - frammento del documentario "La Framassoneria e il Concilio Vat. II" di C.A.Agnoli
 
Testo in Latino....

S. S. DOMINI N. PII VII


EPISTOLA ENCYCLICA [1]


Ad perpetuam rei memoriam.


Ecclesiam a Jesu Christo servatore Nostro supra firmam petram fundatam, et adversus quam ipsemet Christus promisit numquam portas inferi praevalituras, tot saepe ac tam formidolosi hostes aggressi sunt, ut nisi divina illa, et quae transire non potest promissio intercessisset, metuendum videretur, ne ipsa illorum aut vi, aut artibus, aut calliditate circumventa penitus interiret. Quod vero superioribus temporibus evenit, id etiam et praecipuae quidem luctuosa hac nostra aetate factum est, quae novissimum illud tempus esse videtur tanto ante ab apostolis praenunciatum, quo [2] venient illusores secundum desideria sua ambulantes in impietatibus. Nec enim quemquam latet, quanta scelestorum hominum multitudo difficillimis hisce temporibus convenerit in unum adversus Dominum et adversus Christum ejus, qui id praecipue curant, ut deceptis per philosophiam et inanem fallaciam [3] fidelibus et ab Ecclesiae doctrina avulsis, ipsam Ecclesiam irrito licet conatu labefactent, et evertant. Quod ut facilius aesequerentur, eorum plerique occultos coetus, clandestinasque sectas coegerunt, ex quibus futurum sperabant ut plurimos in suae conjurationis et sceleris societatem liberius pertraherent.

Jampridem sancta haec Sedes his sectis detectis, magna liberaque voce contra eas clamavit, et consilia, quae clam ab iis essent inita contra religionem, imo et contra civilem societatem patefecit. Jampridem omnium excitavit diligentiam, ut caverent, ne his sectis id conari liceret, quod nefarie meditabantur. Verum dolendum est his Sedis Apostolicae studiis non eum exitum respondisse, quem ipsa spectabat, et scelestos homines nunquam a suscepto consilio destitisse; unde consecuta tandem ea mala sunt, quae nosmetipsi perspeximus; imo homines, quorum superbia ascendit semper, novas etiam secretas societates iniri ausi sunt.



Commemorari hoc loco debet societas nuper orta et longe lateque in Italia, aliisque in regionibus propagata, quae licet in plures sectas divisa sit, ac pro earum varietate diversa ac distincta inter se nomina aliquando assumat, re tamen sententiarum, et facinorum communione, et foedere quodam inito una est, et Carbonariorum plerumque solet appellari. Simulant illi quidem singularem observantiam et mirificum quoddam studium in catholicam religionem, et in Iesu Christi servatoris nostri personam et doctrinam, quem etiam societatis suae rectorem et magnum magistrum nefarie aliquando audent appellare. Verum sermones hi, qui super oleum molliti videntur, nihil aliud sunt quam jacula ad tutius vulnerandos minus cautos a callidis hominibus adhibita, qui veniunt in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces [4].

Sane severissimum illud jusjurandum, quo veteres Priscillianistas magna ex parte imitantes, pollicentur se nullo unquam tempore, nullove casu vel patefacturos hominibus in societatem non adscriptis quidquam quod eam societatem respiciat, vel communicaturos cum iis, qui in gradibus inferioribus versantur aliquid quod ad gradus pertineat superiores, clandestina illa praeter ea et illegitima conventicula, quae more a pluribus haereticis usurpato ipsi habent, et cooptatio hominum cujuscumque religionis et sectae in suam societatem, etsi caetera deessent, satis persuadent nullam memoratis eorum dictis fidem haberi oportere.

Verum conjecturis et argumentis opus non est, ut ita de eorum dictis judicetur, quemadmodum superius indicatum est. Libri ab ipsis typis editi, quibus ratio describitur, quae in conventibus superiorum praesertim graduum adhiberi solet; eorum cathechismi, et statuta, aliaque authentica et ad fidem faciendam gravissima documenta, nec non eorum testimonia, qui cum eam societatem deseruissent, cui antea adhaeserant, ejus errores et fraudes legitimis judicibus patefecerunt, aperte declarant, Carbonarios id praecipue spectare ut magnam licentiam cuique dent religionem, quam colat, proprio ingenio, et ex suis opinionibus sibi fingendi, indifferentia in religionem inducta, qua vix quidquam excogitari potest perniciosius, ut Jesu Christi passionem per nefarias quasdam suas caeremonias profanent, ac polluant, ut Ecelesiae sacramenta (quibus nova alia a se per summum scelus inventa substituere videatur) et ipsa religionis catholicae mysteria contemnant, utque Sedem hanc Apostolicam evertant, in quam, quoniam in ea apostolicae Cathedrae semper viguit principatus [5], singulari quodam odio afficiuntur, et pestifera quaeque ac perniciosa moliuntur.

Nec minus, ut ex iisdem constat monumentis, scelesta sunt, quae Carbonariorum societas tradit de moribus praecepta, quamvis confidenter jactet se a suis sectatoribus exigere, ut charitatem ac omne virtutum genus excolant, et exerceant, ac diligentissime ab omni vitio abstineant. Itaque libidinosis voluptatibus impudentissime ea favet; docet licere eos interficere, qui datam de secreto, quod superius memoratum est, fidem non servaverint; et licet Apostolorum princeps Petrus praecipiat, ut Christiani [6] omni humanae creaturae propter Deum subjecti sint, sive regi quasi praecellenti, sive ducibus tamquam ab eo missis, etc., jubeatque Paulus apostolus [7], ut omnis anima potestatibus sublimioribus subdita sit; ea tamen societas docet integrum esse, seditionibus excitatis, reges caeterosque imperantes, quos per summam injuriam tyrannos passim appellare audet, sua potestate expoliare.

Haec, aliaque hujus societatis dogmata, et praecepta sunt, ex quibus ea extiterunt in Italia facinora nuper a Carbonariis commissa, quae adeo gravem honestis ,piisque hominibus moerorem attulerunt. Nos igitur, qui speculatores domus Israel, quae est sancta Ecclesia, constituti sumus, et qui pro pastorali Nostro munere cavere debemus, ne Dominicus grex Nobis divinitus creditus ullum damnum patiatur, existimamus in causa tam gravi non posse ab impuris hominum conatibus cohibendis abstinere. Exemplo etiam commovemur felicis recordationis Clementis XII, et Benedicti XIV praedecessorum Nostrorum, quorum alter quarto kalendas majas anni millesimi septingentesimi trigesimi octavi, constitutione, In eminenti, alter decimo quinto kalendas aprilis anni millesimi septingentesimi quinquagesimi primi, constitutione Providas, damnarunt et prohibuerunt societates de' Liberi Muratori, seu Francs-Maçons, aut alio quocumque nomine pro regionum, et idiomatum varietate appellatas, quarum societatum fortasse propago, vel certe imitatio haec carbonariorum societas existimanda est. Et quamvis jam duobus edictis per Nostram Status Secretariam propositis hanc societatem graviter Nos prohibuerimus, memoratos tamen praedecessores Nostros sequentes, graves poenas in hanc societatem solemniori quidem ratione decernendas putamus, praesertim cum Carbonarii passim contendant se duabus illis Clementis XII, et Benedicti XIV constitutionibus non comprehendi, nec sententiis, et poenis in illis latis subjici.

Audita igitur selecta congregatione Venerabilium Fratrum Nostrorum S. R. E. Cardinalium, et de ejus consilio, ac etiam motu proprio, et ex certa scientia ac matura deliberatione Nostris, deque apostolicae potestatis plenitudine, praedictam societatem Carbonariorum, aut alio quocumque nomine appellatam, ejus coetus, conventus, collectiones, aggregationes, conventicula damnanda, et prohibenda esse statuimus et decrevimus, prout praesenti Nostra perpetuo valitura constitutione damnamus et prohibemus.

Quocirca omnibus et singulis christifidelibus cujuscumque status, gradus, conditionis, ordinis, dignitatis, ac praeeminentiae, sive laicis, sive clericis, tam saecularibus, quam regularibus, etiam specifica, et individua mentione, et expressione dignis, districte et in virtute sanctae obedientiae praecipimus, ne quis sub quovis praetextu, aut quaesito colore audeat, vel praesumat praedictam societatem Carbonariorum, aut alias nuncupatam inire vel propagare, confovere, ac in suis aedibus, seu domibus, vel alibi receptare, atque occultare, illi, et cuicumque ejus gradui adscribi, aggregari aut interesse, vel potestatem, seu commoditatem facere, ut alicubi convocetur, eidem aliquid ministrare, seu alias consilium, auxilium vel favorem palam, aut in occulto, directe vel indirecte, per se, vel per alios quoquomodo praestare, nec non alios hortari, inducere, provocare, ac suadere, ut hujusmodi societati, aut cuicumque ejusdem gradui adscribantur, annumerentur, aut intersint, vel ipsam quomndolibet juvent ac foveant,sed omnino ab eadem societate, ejusque coetibus, conventibus, aggregationibus, seu conventiculis prorsus abstinere se debeat, sub poena excommunicationis per omnes ut supra contrafacientes ipso facto absque ulla declaratione incurrenda, a qua nemo per quemquam nisi per Nos, seu Romanum Pontificem pro tempore existentem, praeterquam in articulo mortis constitutus, absolutionis beneficium valeat obtinere.

Praecipimus praeterea omnibus sub eadem excommunicationis poena Nobis, ac Romanis Pontificibus successoribus Nostris reservata, ut teneantur denunciare Episcopis, vel caeteris ad quos spectat eos omnes, quos noverint huic societati nomen dedisse, vel aliquo ex iis criminibus, quae commemorata sunt, inquinasse.

Postremo, ut omne erroris periculum efficacius arceatur, damnamus, et proscribimus omnes Carbonariorum, ut aiunt, catechismos et libros, quibus a Carbonariis describuntur, quae in eorum conventibus geri solent, eorum etiam statuta, codices, ac libros omnes ad eorum defensionem exaratos, sive typis editos, sive manuscriptos, et quibuscumque fidelibus sub eadem poena majoris excommunicationis eodem modo reservatae, prohibemus memoratos libros, vel eorum aliquem legere, aut retinere, ac mandamus, ut illos vel locorum Ordinariis, vel aliis, ad quos eosdem recipiendi jus pertinet, omnino tradant.

Volumus autem quod praesentium Litterarum Nostrarum transumptis etiam impressis, manu alicujus notarii publici subscriptis et sigillo personae in dignitate ecclesiastica constitutae munitis, eadem fides prorsus adhibeatur, quae ipsis originalibus Litteris adhiberetur si forent exhibitae, vel ostensae.

Nulli ergo hominum liceat hanc paginam Nostrae declarationis, damnationis, mandati, prohibitionis et interdictionis infringere, aut ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei, ac beatorum Petri et Pauli apostolorum ejus se noverit incursurum.

Datum Romae apud Sanctam Mariam Majorem, anno Incarnationis Dominicae millesimo octiiigentesimo ti•igesimo primo, idihus septembris, Pontificatus Nostri anno vigesimo secundo.

Pius PP. VII.

NOTE:


[1] Non appena fu vinta la rivoluzione ch'era stata suscitata dalla frammassoneria e dalle altre sette secrete, ricominciarono queste le loro macchinazioni, e specialmente in Italia il carbonarismo diffuse con incredibile rapidità le sue reti. Pio VII. palesò il male, e se le rivoluzioni posero nuovamente in iscompiglio l'Europa, ne fu cagione la negligenza de' governi nell'ascoltare gli avvisi che loro venivano da Roma.

[2] In Epist. b. Judae Ap. v. 18.

[3] Coloss. cap. II, v. 8.

[4] Matth. VII. 15.

[5] S. Aug. Epist. 43.

[6] Ep. I. cap. II, vers. 13.

[7] Rom. cap. III, v. 14.