sabato 16 marzo 2013

LA RIFORMA E LA RIVOLUZIONE FIGLIE DEL RINASCIMENTO (Estratto dall'opera di mons. Delasuss "Il problema dell'ora presente" Tomo I°)


 


Nel suo libro La Réforme en Allemagne el en France, un vecchio magistrato, il conte J. Boselli, narra che Paolino Paris, uno dei dotti più eruditi intorno al medio evo ed uno di, quelli che meglio lo conobbero, disse un giorno in sua presenza, ad un interlocutore che si stupiva della grande differenza della Francia moderna con quella di una volta, oscurata dalle tenebre del medio evo: "Disingannatevi, il medio evo non era sì differente dai tempi moderni come voi lo credete: le leggi erano differenti, come i costumi e le consuetudini, ma, le passioni umane erano le stesse. Se uno di noi si trovasse trasportato nel medio evo, vedrebbe intorno a sè degli agricoltori. dei soldati, dei sacerdoti, dei finanzieri, delle ineguaglianze sociali, delle ambizioni e dei tradimenti. Ciò che è cambiato, si è il fine dell'attività umana". Non si poteva dir meglio. Gli uomini del Medio evo erano della stessa natura di noi, natura inferiore a quella degli angeli e di più decaduta. Essi avevano le nostre passioni, si lasciavano come noi trascinare da esse, spesso ad eccessi più violenti. Ma il fine era la vita eterna: i costumi, le leggi, le usanze ad essa ispiravansi; le istituzioni religiose e civili dirigevano gli uomini verso il loro ultimo fine, e l'attività umana si svolgeva, in primo luogo, a migliorare l'uomo interiore.
Oggi la meta è cambiata, il fine non è più il medesimo; ciò che si vuole e si cerca, non da individui isolati, ma dall'impulso dato a tutta l'attività sociale, è il miglioramento delle condizioni della vita presente per giungere ad un più grande e più universale godimento. Quello che si tiene in conto di "progresso" non è ciò che contribuisce ad una maggiore perfezione morale dell'uomo, ma ciò che accresce il suo dominio sulla materia e sulla natura, onde porle più completamente e più docilmente al servizio del suo benessere temporale.




Questo cambiamento trae origine, l'abbiamo già detto, dal Rinascimento. Di là vengono le idee moderne: indipendenza della ragione dalla Rivelazione, indipendenza della società dalla Chiesa, indipendenza della morale dalla Legge di Dio. Queste idee, insinuate nello spirito degli uomini di quell'epoca, germogliarono, fermentarono e travagliarono senza tregua la società cristiana per rifarla secondo il nuovo concetto della vita. Da questa fermentazione sono usciti tre potenti sforzi di trasformazione: la Riforma, la Rivoluzione e quello di cui siamo attualmente testimoni.
Non bisogna credere che gli umanisti, letterati ed artisti, dei quali vedemmo le aberrazioni sotto il triplice aspetto intellettuale, morale e religioso, non formassero che piccoli cenacoli chiusi, senza eco, senza azione esterna. Dapprima, gli artisti parlavano agli occhi di tutti; e quando, per non addurre che questo esempio, Filarete prese in prestito dalla mitologia la decorazione delle porte di bronzo della basilica di S. Pietro, non edificò certamente il popolo che vi si recava. Inoltre gli umanisti tenevano le loro accademie alla corte dei principi; lì componevano i loro libri, diffondevano le loro idee ed ostentavano i loro costumi; ed è sempre dall'alto che discende tutto il male, come tutto il bene, tutta la perversione, come tutta l'edificazione.





Non reca dunque punto meraviglia se la Riforma, che fu un primo tentativo di pratica applicazione delle idee nuove pubblicate dagli umanisti, fu ricevuta e propagata con tanto ardore dai principi in Germania ed altrove, e se trovò nel popolo una sì facile accoglienza.
La resistenza fu piuttosto debole in Germania; più vigorosa in Francia. Il cristianesimo era penetrato più profondamente nelle anime dei nostri padri che in qualsiasi altro paese; combattuto in teoria dal Rinascimento, sopravvisse lungo tempo nella maniera di vivere, di pensare, di sentire. Quindi, tra noi, una lotta più accanita e più prolungata.
Essa incominciò colle guerre di religione, continuò nella Rivoluzione, e dura sempre. Con mezzi diversi da quelli dei principio, si continua sempre il conflitto tra lo spirito pagano che vuol rinascere, e lo spirito cristiano che vuol conservarsi. Oggidì, come nel primo giorno, l'uno e l'altro vogliono trionfare del proprio avversario: il primo, colla violenza che chiude le scuole libere, spoglia ed esilia i religiosi e minaccia le chiese; il secondo, col ricorso a Dio e colla continuazione dell'insegnamento cristiano, usando tutti i mezzi che restano ancora a stia disposizione.
Le varie peripezie di questo lungo dramma tengono sospesi il cielo, la terra e l'inferno; poichè se la Francia finisce col rigettare il veleno rivoluzionario, si farà nel mondo intero la restauratrice della civiltà cristiana, che per la prima comprese, adottò e diffuse. Se essa soccombe, il mondo ha tutto da temere.
Il protestantesimo ci venne dalla Germania e soprattutto da Ginevra, si comunicò da uno in altro individuo, e passò di provincia in provincia. Lo storico alemanno e protestante Ranke ci dice qual fu il suo gran mezzo di seduzione: la licenza che il Rinascimento avea messo in onore. "Molti abbracciarono la Riforma - egli dice - perchè assicurava loro maggiore libertà nella vita privata". Vi ha, infatti, sotto questo riguardo una differenza radicale fra il cattolicismo e il protestantismo, quale fu predicato da Lutero. Il cattolicismo promette alla virtù ricompense future e minaccia al vizio eterni castighi; in tal modo mette un freno potentissimo alle passioni umane. La Riforma prometteva il paradiso ad ogni uomo, anche al maggior delinquente, colla sola condizione di un atto di fede interiore a sua giustificazione personale mercè l'imputazione dei meriti di Cristo. Se per solo effetto di questa persuasione che facilmente si concede, gli uomini sono sicuri di andare in paradiso pur continuando ad abbandonarsi al peccato, anzi al delitto, stolto davvero sarebbe colui che rinunciasse a procacciarsi quaggiù tutto ciò che gli torna comodo.


Leopold von Ranke


La presenza, in un paese profondamente cattolico, di persone che hanno questi principi, e si sforzano di propagarli, doveva senza dubbio produrre nello Stato un certo turbamento, che divenne profondo quando il protestantesimo non si tenne più pago di predicare agli individui la fede senza le opere, ma si sentì abbastanza forte per impadronirsi del regno al fine di strapparlo dalle sue tradizioni, e foggiarlo a modo suo.
Dopo Clodoveo, il cattolicesimo non aveva cessato un sol giorno d'essere la religione dello Stato. E' la sola delle tradizioni carolingie e merovingie che siasi conservata intieramente intatta fino alla Rivoluzione. Per mezzo secolo, i protestanti si provarono a separare dalla sua Madre la Figlia primogenita della Chiesa; usarono alternativamente l'astuzia e la forza per impadronirsi del governo, per mettere il popolo francese, così cattolico, sotto il giogo dei Riformatori, come avevano fatto in Germania, in Inghilterra, in Scandinavia. E furono sul punto di riuscirvi.
Dopo la morte di Francesco di Guisa, gli Ugonotti erano padroni di tutto il Mezzodì. Non esitarono, per impadronirsi del resto, di chiamare gli Alemanni ed i protestanti inglesi.


Francesco I di Guisa
 

Agli Inglesi abbandonarono l'Havre; agli Alemanni promisero l'amministrazione dei vescovadi di Metz, Toul e Verdun (V. Ranke). Infine, colla Roccella, essi avevano materialmente creato uno Stato nello Stato. Era loro intenzione di sostituire alla monarchia cristiana un governo e un genere di vita "modellati su quelli di Ginevra", vale a dire la Repubblica (1). "Gli Ugonotti - dice Tavannes - si arrabattano per fondare una democrazia". Il piano era stato tracciato nel Béarn, e gli Stati di Linguadoca ne chiedevano l'esecuzione nel 1573. Questa forma di governo, concedendo agli agitatori un facile accesso alle prime cariche dello Stato, procura loro il potere di propagare le loro dottrine; nello stesso tempo, risponde meglio alle idee di indipendenza che formavano la sostanza della Riforma, al diritto che il Rinascimento voleva conferire all'uomo di dirigersi verso l'ideale di felicità ch'esso gli presentava. La Francia, per cagion loro, era sull'orlo dell'abisso.
La situazione non era meno critica per la Chiesa cattolica. Ella perdeva la Germania, la Scandinavia, l'Inghilterra e la Svizzera; i Paesi Bassi insorgevano contro di lei. L'apostasia della Francia, se si fosse compiuta, doveva cagionare nel mondo intero lo scandalo più pernicioso e la scossa più profonda; tanto più che la Spagna ne avrebbe seguito l'esempio. L'obbiettivo preso di mira da tutto il partito protestante, nel quale Coligny non cessò di lavorare, era, di attirare la Francia in una lega generale con tutti gli Stati protestanti per schiacciare la Spagna, la sola grande nazione cattolica ancora rimasta potente. Sarebbe stata la rovina completa della civiltà cristiana.



Gaspard II de Coligny
 

Dio non lo permise, e neppure la Francia. I Valois vacillavano, esitavano, variavano nella loro politica. Nacque la Lega per prendere in mano la difesa della fede, per conservarla nel paese e nel governo. I cattolici, che formavano ancora quasi la totalità dei Francesi (2), vollero avere dei capi assolutamente incrollabili nella fede. Elessero la casa di Guisa. "Qualunque giudizio si voglia fare delle guerre di religione - dice Boselli - è impossibile disconoscere che la casa di Guisa fu, durante tutto questo periodo, l'incarnazione stessa della religione dello Stato, del culto nazionale e tradizionale a cui tanti Francesi rimanevano attaccati. Essa personificò l'idea della fedeltà cattolica. I Guisa sarebbero assai probabilmente divenuti re della Francia se Enrico III si fosse fatto protestante, o se Enrico IV non si fosse fatto cattolico. Dio volle conservare alla Francia la sua stirpe reale, come aveva fatto una prima volta colla missione data a Giovanna d'Arco. L'erede del trono, per la legge salica, era Enrico di Navarra, allievo di Coligny, protestante e capo dei protestanti. Dio cangiò il suo cuore. La Francia riebbe la pace, e Luigi XIII e Luigi XIV rimisero il nostro paese sul sentiero della civiltà cattolica. Diciamo tuttavia che quest'ultimo commise il fallo che doveva avere sì gravi conseguenze, di volere la dichiarazione del 1682. Essa portava in sè la costituzione civile del clero, iniziava l'opera fra tutte nefasta della secolarizzazione che si spinge oggidì fino alle sue ultime conseguenze.


Luigi XIV, Re di Francia, in un ritratto del 1661.
 


Luigi XV, che si lasciò andare ai costumi del Risorgimento, vide l'opera di scristianizzazione incominciata dalla Riforma, ripresa da Voltaire e dagli Enciclopedisti precursori di Robespierre, antenati di coloro che ci governano attualmente. Taine lo disse assai bene: "La Riforma non è che una fase particolare in una rivoluzione che cominciò prima di essa. Il secolo XIV apre la marcia; e dappoi, ogni secolo non è occupato che a preparare nell'ordine delle idee nuovi concetti, e nell'ordine pratico nuove istituzioni. Da quel tempo, la società non ha trovato più la sua guida nella Chiesa, nè la Chiesa la sua immagine nella società" (Etudes sur les Barbares et le Moyen-age, pp. 374- 375).
Il protestantesimo si era arenato; la Francia, dopo le guerre dì religione, era rimasta cattolica. Ma un triste lievito era stato deposto nel suo seno; la sua fermentazione produsse, oltre la corruzione dei costumi, tre veleni d'ordine intellettuale: il gallicanesimo, il giansenismo e il filosofismo. La loro azione sull'organismo sociale produsse la Rivoluzione, secondo e ben più terribile assalto dato alla civiltà cristiana.



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Luigi XV


Siccome tutto era cristiano nella costituzione francese, così tutto si dovea distruggere. La Rivoluzione vi si accinse coscientemente. In pochi mesi, essa fece tabula rasa del governo della Francia, delle sue leggi e delle sue istituzioni. Essa voleva "formare un popolo nuovo": è l'espressione che appare, in ogni pagina, sotto la penna dei relatori della Convenzione; meglio ancora: "rifare l'uomo" stesso.
Perciò, i Convenzionali, secondo il concetto nuovo che il Rinascimento aveva dato dei destini umani, non limitarono la loro ambizione alla Francia; ma vollero inoculare la follia rivoluzionaria ai popoli vicini, a tutto l'universo.
Il loro intendimento era di demolire l'edificio sociale per rifabbricarlo di nuovo. "La Rivoluzione - diceva Thuriot all'Assemblea legislativa, nel 1792 - non è solamente per la Francia; noi ne siamo garanti all'umanità". Siéyès avea detto prima di lui, nel 1788: "Eleviamoci unanimi all'ambizione di volere noi stessi servire d'esempio alle nazioni" (Qu'est-ce que le Tiers-Etat?). E Barrère, nel momento in cui gli Stati Generali si riunivano a Versailles, disse: "Voi siete chiamati a ricominciare la storia".


Jacques Alexis Thuriot de la Rozière
 


Si scorge il cammino che ha fatto l'idea del Rinascimento; quanto appariva essa più compiuta nel suo sviluppo e più audace nelle imprese che non si era mostrata, un secolo innanzi, nella Riforma!
Nell'aprile dei 1896, Le Monde Maconnique diceva: "Quando ciò che si è per lungo tempo riguardato come un ideale si realizza, gli orizzonti più vasti d'un nuovo ideale offrono all'attività umana, sempre in moto verso un miglior avvenire, nuovi campi da esplorare, nuove conquiste da compiere, nuove speranze da effettuare".
Questo è vero nella via del bene. Come dice il Salmista, il giusto ha disposto nel suo cuore delle ascensioni per elevarsi fino alla perfezione che desidera (Sal. 88). Ciò è parimenti vero nella via del male.
Gli uomini del Rinascimento non portarono le loro vedute - almeno tutti - tanto lungi quanto quelli della Riforma. Gli uomini della Riforma furono superati da quelli della Rivoluzione. Il Rinascimento aveva rimosso il luogo della felicità e cangiate le sue condizioni; aveva dichiarato di vederla in questo basso mondo. Restava l'autorità religiosa per dire: "Voi vi ingannate; la felicità è in Cielo". La Riforma si sottrasse all'autorità, ma custodiva il libro delle Rivelazioni divine che continuava a tenere il medesimo linguaggio. Il filosofismo negò che Dio abbia mai parlato agli uomini e la Rivoluzione tentò di affogare i suoi testimoni nel sangue.
Il Journal des Débats in uno de' suoi numeri d'aprile 1852 riconosceva questa figliazione: "Noi siamo rivoluzionari; ma siamo i figli dei Rinascimento e della Filosofia prima d'essere i figli della Rivoluzione".
E inutile estenderci lungamente sull'opera intrapresa dalla Rivoluzione. Essa distrusse dapprima l'ordine ecclesiastico. "Per milleduecento e più anni - secondo l'espressione energica del Taine - il clero avea lavorato alla costruzione della società come architetto e come manovale, in principio solo, poi quasi solo" ; lo si mise nella impossibilità di continuare l'opera sua e di mai ripigliarla. Poi si soppresse la dignità regale, il vincolo vivente e perpetuo dell'unità nazionale, il giudice di ogni attentato contro di essa.
Si tolse di mezzo la nobiltà guardiana delle tradizioni, e delle corporazioni operaie, pur esse conservatrici del passato. Quindi, tolte di mezzo tutte queste sentinelle, si venne all'opera molto atta per demolire, il che era facile; poco per riedificare, il che era ben altra cosa.
Non faremo qui il quadro di queste rovine e di queste costruzioni. Diciamo solamente che per ciò che riguarda l'edificio politico, la Rivoluzione si affrettò a proclamare la Repubblica, che il Rinascimento aveva sognato per Roma stessa, che i protestanti avevano già voluto sostituire in Francia alla monarchia, e che oggidì compie sì bene le opere della framassoneria.
Discepoli di G. G. Rousseau, i Convenzionali del 1792 diedero per fondamento del nuovo edificio questo principio che l'uomo è buono per natura: sopra di esso innalzarono la trilogia massonica: libertà, eguaglianza, fraternità. Libertà a tutti e per tutti, poichè non vi sono nell'uomo che istinti buoni; eguaglianza, perchè egualmente buoni, gli uomini hanno eguali diritti in tutto; fraternità, o distruzione di tutte le barriere tra individui, famiglie, nazioni per lasciare il genere umano abbracciarsi in una Repubblica universale.

Jean-Jacques Rousseau
 

In fatto di religione, si organizzò il culto della natura. Gli umanisti del Rinascimento l'avevano invocato. I protestanti non avevano osato spingere fin là la Riforma. I nostri rivoluzionari lo tentarono.
Essi non giunsero di primo acchito a questo eccesso: cominciarono coi chiamare il clero cattolico alle loro feste. Talleyrand pontificò il 14 luglio 1790, nella gran festa della Federazione, attorniato da 40 cappellani della guardia nazionale, portanti sui loro camici fasce tricolori, orchestrata da 1800 musicanti, alla presenza di 25 mila delegati e di 400 mila spettatori. Ma ben presto non volle saperne più di queste mostre "più patriottiche" che religiose. "Non conviene - egli disse - che la religione compaia in queste feste pubbliche, è più religioso escluderla". Abolito il culto nazionale, bisognava cercarne un altro. Mirabeau ne propose uno molto astratto dicendo: "L'oggetto delle nostre feste nazionali, dev'essere solamente il culto della libertà e il culto della legge". Ciò parve poco. Boissy d'Anglas, rimpianse ad alta voce il tempo in cui "le istituzioni politiche e religiose" si porgevano vicendevole aiuto, in cui, "una religione brillante" si presentava con dei dogmi che promettevano il piacere e la felicità ornata di tutte le cerimonie che colpiscono i sensi, delle finzioni più ridenti, e delle più dolci illusioni.


Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
 


I suoi voti furono presto esauditi. Una nuova religione fu istituita, avente i suoi dogmi, i suoi preti, la sua domenica, i suoi santi. Dio fu sostituito dall'Essere supremo e dalla dea Ragione, il culto cattolico dal culto della Natura (3).
"Il grande scopo inteso dalla Rivoluzione - diceva Boissy d'Anglas - si è di ricondurre l'uomo alla purità, alla semplicità della natura". Poeti, oratori, Convenzionali, non cessarono di far udire delle invocazioni alla "Natura". E il dittatore Robespierre indicava cori queste parole le tendenze, la volontà dei novatori: "Tutte le sètte devono confondersi da se stesse dinanzi alla religione universale della Natura" (Discorso del 7 maggio 1794). Attualmente è quello che vuole l'Alleanza Israelita Universale, quello per cui lavora, quello che ha la missione di stabilire nel mondo, solamente con minor precipitazione e con maggior accorgimento.
Niente poteva meglio rispondere alle aspirazioni degli umanisti dei Rinascimento. Nella festa del 10 agosto 1793 una statua della Natura venne eretta sulla piazza della Bastiglia, e il presidente della Convenzione, Hérault de Séchelles, le rivolse quest'omaggio a nome della Francia ufficiale: "O Natura! sovrana delle barbare e delle colte nazioni, questo popolo immenso radunato ai primi raggi del giorno davanti alla tua immagine, è degno di te. Egli è libero; nel tuo seno e nelle tue sacre sorgenti ha ricuperati i suoi diritti, si è rigenerato. Dopo aver attraversato tanti secoli di errori e di servitù, era pur mestieri ch'egli entrasse nella semplicità delle tue vie per ritrovare libertà ed eguaglianza. Ricevi, o Natura, la protesta dell'attaccamento eterno dei Francesi alle tue leggi!"
Il processo verbale aggiunge: "Dopo questa specie d'inno, sola preghiera, dai primi secoli del genere umano in poi, indirizzata alla Natura dai rappresentanti d'una nazione e dai suoi legislatori, il presidente riempì una coppa di forma antica, dell'acqua che scaturiva dal seno della Natura: ne fece delle libazioni intorno alla Natura, bevette nella tazza e la porse agli inviati del popolo francese". Come si vede il culto è completo: preghiera, sacrificio, comunione.

Col culto, le istituzioni. "E per mezzo delle istituzioni - scriveva il ministro di polizia Duval - che si compongono l'opinione e la moralità dei popoli" (Moniteur dei 9, 10 e 11 piovoso, a. VII). Fra queste istituzioni, quella che si giudicò più necessaria per far dimenticare al popolo le sue antiche abitudini, fu la Decade, o domenica civile. Per questa creazione, la Repubblica spese la maggior parte de' suoi decreti e de' suoi sforzi. Alla Decade si aggiunsero le feste annuali: feste politiche, feste civili, feste morali. Le feste politiche avevano per iscopo, secondo Chénier, di "consacrare le epoche immortali in cui caddero le diverse tirannidi sotto il soffio nazionale e i gran passi della Ragione che emancipano l'Europa, e giungono agli estremi confini dei mondo" (Discorso del 5 novembre 1793. Moniteur dell'8). La festa repubblicana, per eccellenza, era quella del 21 gennaio, perchè vi si celebrava "l'anniversario della giusta punizione dell'ultimo re dei Francesi". Eravi altresì la festa della fondazione della Repubblica, fissata al 10 vendemmiale. La gran festa nazionale, risuscitata ai nostri giorni, era quella della federazione o del giuramento fissata ai 14 luglio.
Per la morale, eravi la festa della gioventù, quella del matrimonio, della maternità, dei vecchi e soprattutto quella dei di ritti dell'uomo. Molte altre feste furono, se non istituite e celebrate, almeno decretate o proposte.
Come coronamento fu inventato un Calendario repubblicano fondato tutto sull'agricoltura. Era una consacrazione solenne del nuovo culto, il culto della Natura.
Tale era lo sviluppo fatale delle idee che il Rinascimento aveva diffuso negli animi. La Riforma ne aveva fatto un saggio timido, imperfetto, erasi tenuta paga d'imbastardire il cristianesimo; la Rivoluzione, per quanto stava in lei, lo annientò, e sulle sue rovine eresse degli altari alla Ragione ed alla Voluttà. Si sa dove questo culto condusse. Barbé-Marbois nel suo rapporto al Consiglio degli Anziani denunciava la gioventù scolaresca come "quella che oltrepassava, ne' suoi eccessi, tutti i limiti, perfino quelli che la natura medesima sembra aver assegnato ai disordini dell'adolescenza". Ed all'altra estremità della vita, tutti i documenti dell'epoca ci mostrano i defunti lasciati in balla "d'impuri becchini", essendosi le famiglie abituate a "considerare gli avanzi d'uno sposo, d'un padre, d'un figlio, d'un fratello, d'una sorella, d'un amico, come quelli di ogni altro animale di cui si è sbarazzati".

François Barbé-Marbois marchese di Barbé-Marbois


Nel 1800, il cittadino Cambry, incaricato dall'amministrazione centrale della Senna di fare un rapporto sullo stato delle sepolture a Parigi, credette necessario di pubblicarlo in latino, tanto eravi di vergognoso in questi barbari funerali. Spesso i corpi erano dati in pascolo ai cani.
Tutti quelli che avevano conservato un po' di onestà si spaventavano del disordine dei costumi giunto così al suo colmo e chiedevano il ristabilimento del culto cattolico. Esso era stato mai sempre praticato anche col pericolo della vita. Eranvi dei preti rimasti in mezzo alle popolazioni, i quali si esponevano a tutti i pericoli per compiere clandestinamente il santo ministero. Nel 1800, l'opera di restaurazione s'imponeva, tutte le creazioni destinate a sostituire il cristianesimo erano cadute in un discredito assoluto ed universale. I Consigli generali erano unanimi nel riconoscerlo e dichiararlo (Analisi dei processi verbali dei Consigli generali dei dipartimenti per Vanno VIII. e IX. Bibl. Nazionale).
 

NOTE

(1) Hanotaux (Histoire du cardinal de Richelieu, t. XII, II partie, P. 184) giustifica cosi la revoca dell'editto di Nantes: "La Francia non poteva esser forte, finchè chiudeva nel suo seno un corpo organizzato, in piena
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pace, sul piede di guerra, con capi indipendenti, quadri militari, posti di sicurezza, bilanci e giustizia a parte, armata sempre pronta ad. entrare in campagna. Bisognava riconoscere l'esistenza d'uno Stato nello Stato? Si poteva ammettere che molti ed ardenti Francesi avessero sempre in bocca la minaccia e la rivolta nel cuore? Si tollererebbe il loro perpetuo e insolente ricorso allo straniero? Uno Stato non potrebbe sussistere, se è cosi diviso contro se stesso. Per assicurare l'unità di regno, per raccogliere tutte le forze nazionali, in vista delle lotte esterne che si prepararono, era dunque mestieri distruggere il corpo degli Ugonotti in Francia o indurlo ad un accordo".
(2) I protestanti non erano che quattrocentomila nel 1558. E la cifra che dà lo storico protestante Ranke. Casteinau, testimonio ben informato, andò ancor più lungi; egli afferma che i protestanti erano nel rimanente della nazione nella proporzione di 1 a 100. Per questo pugno di calvinisti, i cattolici videro il loro paese devastato per cinquant'anni.
(3) Nella festa dell'Essere supremo, è la Natura che ricevette gli omaggi di Robespierre e dei rappresentanti della nazione. Vedi A la recherche d'une religion civile dell'abate Picard, pp. 133- 144. Noi togliamo da questo libro i fatti che qui riportiamo.