lunedì 29 aprile 2013

La Guardia dei Dazi Indiretti nel Regno delle Due Sicilie (1809-1861)


 L’esigenza di disporre di un corpo militare o militarizzato per il contrasto all’evasione... fiscale, che nei secoli XVIII e XIX consisteva nel contrabbando, fu fronteggiata dal Regno delle Due Sicilie affidando questa delicata funzione inizialmente a corpi militari, i “Fucilieri di montagna” con il compito di concorrere alle operazioni in tempo di guerra e di vigilare le frontiere ai fini fiscali in tempo di pace. Durante l’occupazione napoleonica del Regno di Napoli, Gioacchino Murat costituì il Corpo delle Guardie dei Dazi Indiretti con ordinamento civile che dipendeva da una Ispezione militare nell’ambito del Ministero della Guerra, con la missione di contrastare il contrabbando, allora endemico in molte zone del Paese, e di reprimere l’evasione fiscale. Nel 1806, con l’istituzione dell’Amministrazione generale dei Dazi indiretti, fu riorganizzato anche il Corpo di forza armata sul modello francese. Era formato da personale di fanteria (forieri, brigadieri e guardie), a cavallo (brigadieri e guardie), di marina (piloti, nostromi, cannonieri, marinai, mozzi), ed era ripartito territorialmente in direzioni, controlli (rette da ispettori e controllori), tenenze e posti, comprendendo in totale un organico di circa 6000 uomini. Il Regno delle Due Sicilie, dopo la restaurazione, conservò il tipo di vigilanza doganale attuato durante il dominio francese. L’Amministrazione delle Dogane e dei Dazi indiretti costituiva nel Regno delle Due Sicilie un organo fiscale di primaria importanza, in quanto la politica doganale svolta dal governo dei Borboni era indirizzata verso il reperimento di riserve finanziarie per l’Erario che non verso la regolazione dei traffici. Verso la fine del XVIII secolo, le condizioni economiche ed amministrative del Regno erano in buono stato, grazie alla proficua opera degli economisti della scuola napoletana che annoverava personaggi quali: Filangieri, Genovesi e Galliani. Con la riunificazione del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, sotto Ferdinando I di Borbone. All’interno del regno vi erano due enclaves appartenenti allo Stato Pontificio: i ducati di Benevento e di Pontecorvo. La non appartenenza di queste due province al territorio doganale del Regno delle Due Sicilie costituiva una fonte di perenne e grave contrabbando a danno del Regno. Fu necessario addivenire ad una apposita Convenzione doganale, firmata il 7 dicembre 1819, con la quale: “Benevento e Pontecorvo debbono essere assimilati sotto questo rapporto a tutti gli altri Comuni di dominii del governo di Sua Maestà e come tali dovranno in seguito essere considerati”; in pratica, un’unione doganale. Il Regno delle Due Sicilie era quasi interamente circondato dal mare ed aveva un solo confine di terra, quello con lo Stato Pontificio. Stante la scarsa vigilanza e l’elevatezza dei dazi vigenti nel Regno delle Due Sicilie era attivo un intenso contrabbando a danno del Regno, per combattere il quale venne stipulata una Convenzione fra i due Stati confinari regolante il traffico di terra. Vennero individuate le dogane abilitate al transito nelle due direzioni e venne istituita una particolare “bolletta di scorta”, che legittimava la regolarità dei traffici. L’amministrazione finanziaria del Regno era alla dipendenza del Ministro delle Finanze e comprendeva la gestione delle Dogane e dei Dazi di consumo, dei Tributi diretti, del Bollo e Registro, delle Lotterie, delle Poste, del Demanio, della Zecca, del Debito pubblico, della Tesoreria e Ricevitorie.
La Direzione Generale dei Dazi indiretti faceva parte del Ministero delle Finanze, ubicato nel Palazzo del Ministero di Stato nel cosiddetto “Locale di San Giacomo”.
Le dogane del Regno delle Due Sicilie avevano due Direzioni Generali: una a Napoli e una a Palermo; ognuna era divisa in Direzioni Provinciali di cui dieci nel continente e cinque in Sicilia; ogni Direzione Provinciale era presieduta da un Direttore coadiuvato da segretari, contabili, commessi.
Il personale doganale operativo era composto da tre categorie: servizio “sedentaneo”, servizio misto, servizio attivo. Il primo era composto da ispettori, controllori, ricevitori, commessi, bollatori, interpreti. Il servizio misto era disimpegnato da controllori attivi, da tenenti d’ordine che operavano lungo i confini e le linee di controllo interne. Il servizio attivo era diviso in tre branche: a piedi, a cavallo, di mare; la prima e la seconda erano composte da forieri, brigadieri, sottobrigadieri, guardie; la terza da piloti e marinai. Le principali materie di competenza del Consiglio di Amministrazione riguardavano: appalti per forniture e costruzioni, questioni di contrabbando fino ad un valore di 350.000 ducati, giudizi sui conti dei ricevitori, questioni disciplinari a carico degli impiegati, bilanci preventivi.
Le retribuzioni andavano dai 2.000 ducati annui del Direttore Generale ai 60 ducati annui del Marinaio. Va però tenuto conto che per il personale del “servizio attivo” erano previste indennità particolari, oltre ai proventi di multe ed ai ricavati dalla vendita dei generi confiscati, nonché un’indennità di trasferta per operazioni doganali effettuate presso gli operatori. Le Dogane erano ordinate in varie classi: tre per quelle di mare, due per quelle di terra. Il mare territoriale era fissato in sei miglia dalla costa e la vigilanza era affidata al servizio attivo di mare, che disponeva di golette, gozzi, scorridoie. Il personale era dotato di un’uniforme color grigio marino, con mostrine verdi, bottoni bianchi con le lettere D.I. (Dazi Indiretti) sormontate da corona. I direttori provinciali avevano paramaniche verdi, calzoni blu, stivali, sciabola, cappello con coccarda con gallone d’argento; gli ispettori avevano un’uniforme simile ai direttori, senza alcune insegne, mentre controllori e tenenti avevano la stessa uniforme con fregi ancor più ridotti. L’armamento del servizio attivo era così costituito: per controllori e tenenti da una spada; per forieri e piloti da una sciabola corta; per brigadieri, guardie e marinai da un fucile con baionetta e sciabola. I forieri, i brigadieri e le guardie avevano un’uniforme più semplice, con giacca ornata di collare rosso, slakò guarnito con una placca di metallo. Il personale del servizio attivo era tenuto ad indossare sempre l’uniforme, i controllori ed il personale del servizio “sedentaneo” solo in servizio. Tutti gli impiegati dello Stato delle Due Sicilie erano di nomina regia, ogni funzionario o agente delle Dogane era munito di una patente da esibire a richiesta. La Dogana di Napoli aveva sede al Piliero e rappresentava il centro più importante dei traffici da e per l’estero: veniva per questo denominata “Dogana Grande”, altre sezioni erano attivate al Molo Grande, al Molo Piccolo, al Mandracchio. La seconda Dogana, per importanza, era quella di Messina, che regolava il Porto Franco, esteso a tutta la città. Il Porto Franco aveva due cinte doganali; nel territorio compreso fra queste due cinte le merci erano soggette al vincolo di una speciale bolletta per debellare il contrabbando. Oltre al Porto Franco di Messina, nel 1844, venne istituita una Scala Franca a Brindisi. Queste, a grandi linee, sono le strutture organizzative della Dogana del Regno delle Due Sicilie. Le infrazioni erano giudicate dalla Magistratura, mentre i Funzionari doganali accertavano fatti mediante processo verbale. La procedura e la competenza per la cognizione delle infrazioni erano contenute nella Legge 20 dicembre 1826 ed attribuite a due giudici di Napoli ed a uno di Palermo, i quali erano incaricati di dedicarsi esclusivamente alle cause riguardanti affari doganali, dei dazi di consumo e privative, della navigazione. I prodotti maggiormente soggetti a contrabbando erano il sale, i tabacchi, il caffè (proveniente da Trieste) ed i prodotti finiti di pregio, di origine inglese e francese, in particolare prodotti tessili. Per arginare il grande contrabbando, si dovevano adottare notevoli cautele per la circolazione, all’interno del territorio doganale, dei prodotti esteri sdoganati e dei prodotti nazionali.
L’art. 177 della Legge Doganale prevedeva che: “tutte le manifatture forastiere che sono introdotte ne’ Reali Dominii di qua e di là dal Faro, e che sono suscettibili di un bollo dopo la verifica e la riscossione de’ diritti, e prima d’essere consegnate ai proprietari, sono bollate a piombo, a secco penetrante o a colore, secondo la natura e la specie delle mercanzie” Se il contrabbando era scoperto a seguito di denuncia di persona estranea all’Amministrazione, questa veniva ricompensata con un terzo del prodotto. Il personale del servizio attivo era sottoposto a sanzioni disciplinari che prevedevano arresti, degradazioni o la destituzione; gli arresti fino a cinque giorni venivano inflitti dal Controllore o dall’Ispettore, fino a dieci giorni dal Direttore, oltre i dieci giorni dall’Amministrazione Generale. Nell’Amministrazione Doganale borbonica era prevista una forma di pagamento differito, con una scadenza massima di sei mesi, concessa ad operatori ritenuti solventi e classificati in sette classi di credito che andavano da 120.000 a 5.000 ducati. Una particolare istituzione commerciale e doganale era costituita dal Porto Franco di Messina, risaliva al XVII secolo e la franchigia era stata estesa dal porto all’intera città, ragion per cui più che di porto franco era più corretto parlare di città franca. Tale estensione della franchigia mal si conciliava con la libertà di movimento, per cui si avevano delle restrizioni al movimento delle navi e delle merci. In relazione a ciò fu richiesto di rivedere lo statuto del Porto Franco, richiesta accolta da Sua Maestà, la quale “si riservava di riordinare il Porto Franco ai termini della primitiva istituzione, onde far godere alla fedelissima città di Messina, cumulativamente i vantaggi del Porto Franco ed i favori della libera circolazione”.
L’ultima Tariffa doganale del Regno venne formata dai Regii Decreti 1° marzo, 15 marzo e 15 maggio 1860, firmati da Francesco II, a seguito delle conclusioni cui era giunta una apposita Commissione incaricata di rivedere la Tariffa Doganale. Le proposte di tale Commissione prevedevano un ulteriore abbassamento dei dazi in misura variabile dal 25 al 70 per cento, ma tutto ciò era destinato ad aver vita breve perché, a seguito dell’usurpazione sabauda  del Regno delle Due Sicilie , il 24 settembre 1860, veniva estesa  su tutto il territorio la Tariffa doganale sabauda , mutuata da quella del Regno di Sardegna del 9 luglio 1859.
 

Fonte:

UN Popolo Distrutto