domenica 12 maggio 2013

“Dalla comunità al comunitarismo” (terza e ultima parte)

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Pubblichiamo. a cura di Marco Massignan, la terza ed ultima parte dello scritto del Prof. Danilo Castellano “Dalla comunità al comunitarismo”, pubblicato sulla Rivista Instaurare omnia in Christo (Anno XXXVII, n. 1; Gennaio-Aprile 2008).
 
La comunità politica: le sue esigenze, la sua natura e il suo fine
 
La questione del bene posta dal comunitarismo e come posta dal comunitarismo è di preclusione in ultima analisi al coglimento del bene e, quindi, a maggior ragione al coglimento del bene comune. Il bene definito comune dal comunitarismo è, infatti, un bene collettivo. Il collettivo, però, non è il comune. È per questo che il comunitarismo solo falsificando i termini può parlare di comunità. La comunità, infatti, esige in via preliminare di dare risposta filosofica, non sociologica, al problema del bene.
 
Aristotele, per esempio, comprese in profondità la questione tanto che nelle prime pagine dell’Etica a Nicomaco, affrontando la questione teoretica del bene e del fine, osserva che l’oggetto della politica è il bene dell’uomo e per l’uomo: il bene – scrive – è il medesimo per il singolo e per la città anche se è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. Non si tratta di una distinzione qualitativa ma solamente quantitativa.
 
Il bene della comunità è lo stesso bene dell’uomo individuo; un bene non eletto, non creato dalla volontà umana, sia essa del singolo (come insegna, per esempio, Locke) sia essa della collettività (come sostengono i comunitaristi), ma un bene oggettivo perché intrinseco alla natura dell’uomo. Il bene comune, infatti, è il bene di ogni uomo in quanto uomo e, perciò, comune a tutti gli uomini. Questo bene è il solo bene giusto e, perciò, esso è fine e regola della politica, la quale, quindi, non ha una pluralità di fini ma questo unico fine.
 
Questo bene, inoltre, si può e si deve conseguire pur in presenza di tradizioni diverse, di una pluralità di lingue, di una molteplicità di costumi. Esso unifica nella pluralità delle legittime scelte particolari che sono, talvolta, necessarie. La comunità che esso costituisce non ha problemi di minoranze e di etnie: il bene comune, infatti, è universale e particolare allo stesso tempo, non è legato alla fortuna (ricchezze, potere, ecc.) ma alla felicità per la quale premessa indispensabile e fine storico è la vita umana conforme alla propria natura, cioè vissuta umanamente.
 
Aristotele osservò che la felicità è direttamente proporzionale alla virtù, alla prudenza e all’attività informata a prudenza e virtù (Politica, VII, 1323 a-b). Esattamente il contrario di quanto la cultura cosiddetta politica contemporanea insegna e pratica sia essa stricto sensu liberale, socialista o comunitarista.
 
È necessario, perciò, riproblematizzare la questione del vivere bene che non è la “vita buona” come l’intendono le egemoni teorie politiche contemporanee. Ciò aiuterà alla riscoperta della comunità nel senso originario e tradizionale. E di tale comunità gli uomini di ogni tempo hanno bisogno.
 
 
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