mercoledì 15 maggio 2013

Il Regio governo sabaudo nella Lombardia occupata (1859 giugno 8 - 1860 novembre 1)

 

L'infausta entrata in Milano di  Napoleone III e Vittorio Emanuele II , l’8 giugno 1859, segna l'inizio dell'occupazione e del declassamento che questa città da , sotto il legittimo governo asburgico,  grande capitale d'Europa divenne, con il Savoia,  semplice provincia di un regno di second'ordine.

 

 

La direzione generale per le province occupate e annesse al governo sabaudo

Sin dall'anno precedente all'aprile 1859, il clima di pace e prosperità sulla penisola italiana si addensava di nubi che preludevano ad una  guerra tra l'alleanza franco-piemontese e l'impero Austria . Il 3 maggio del 1859 veniva istituita presso il ministero degli esteri di Torino, ma senza essere resa pubblica come non erano stati resi pubblici i complotti che da molto tempo si ordivano nella capitale sabauda dalla quale emissari piemontesi inviati appositamente nei vari Stati italiani del centro-nord avevano il compito di  creare disordini per sovvertire l'ordine legittimo, e anche per salvare le apparenze ed evitare proteste e complicazioni internazionali, la "direzione generale delle province italiane", diretta dal Minghetti (che era segretario generale agli esteri) e divisa a sua volta in due uffici: uno per "le province unite ai regi stati" (unite? Ma la volontà di popolo?), affidato ad Antonio Allievi, al quale partecipò inizialmente anche il pessimo Farini, e uno per "le province poste sotto la "protezione" , o per meglio dire sotto l'occupazione,  di S.M.", diretto da Costantino Nigra.
La direzione, che venne poi istituita formalmente e resa nota con il decreto 11 giugno 1859, a guerra quasi terminata, fu dunque lo strumento di coordinazione tra il centro decisionale piemontese e i centri di amministrazione delle province sovvertite,  occupate e annesse (Lombardia e ducati, in base alla farsa   del voto di fusione del 1848) e delle province poste sotto l'occupazione diretta  della monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II (Emilia e Toscana). Non a caso anche a essa fece capo la commissione Giulini.
La direzione sovversiva cercò di  promuovere e dirigere l'attività dei comitati insurrezionali delle città lombarde dopo l'inizio delle ostilità con l'esercito Imperiale  attraverso l'invio dei commissari regi, ma questi ultimi trovarono una forte opposizione da parte della maggioranza di coloro che nel 1848 impararono a non fidarsi di coloro che si presentavano come "liberatori" ma non erano altro che invasori e occupanti.
L'Allievi, a cui era stato affidato l'ufficio delle province occupate e annesse, teneva i carteggi con i governatorati rivoluzionari posti a Milano, Modena e Parma; sottoponeva al consiglio dei ministri i decreti preparati dalla commissione Giulini per l'approvazione; inoltrava con le istruzioni necessarie i decreti che si riteneva opportuno far pubblicare direttamente da ciascun governatore sabaudo e teneva anche i collegamenti tra i governatori stessi per uniformare alle altre province occupate eventuali provvedimenti presi.
La direzione delle province occupate rimase operante fin dopo la formazione del ministero Rattazzi, che la soppresse con il decreto del 31 luglio 1859. Con questo decreto gli affari amministrativi delle province occupate passavano di competenza ai singoli ministeri e di conseguenza furono tolti al governatore della Lombardia i poteri straordinari e la funzione di governo autonoma che gli era stata conferita per "rabbonire" i pochi favorevoli al Piemonte l'8 giugno del 1859, all'entrata di Vittorio Emanuele II nella capitale Lombardo-Veneta.



La commissione Giulini

Nel timore che l'entrata in Lombardia delle truppe piemontesi risvegliasse il patriottismo che si vide fiorire durante la campagna militare del 1848, Cavour istituì una commissione per preparare un progetto di organizzazione politica, amministrativa e giudiziaria da applicarsi durante la fase dell'amministrazione separata della Lombardia e per soffocare eventuali rivolte , fino alla incorporazione definitiva del territorio lombardo con il Regno di Sardegna . Per evitare conseguenze a livello internazionale per il deplorevole comportamento  , la commissione  fece capo direttamente al presidente del consiglio subalpino e alla direzione generale delle province italiane occupate , dalla quale peraltro dipendeva l'ufficio per le province forzatamente unite diretto da un membro della commissione stessa, Antonio Allievi. E' chiaro che tutti i "direttori" della farsa erano massoni.
Incaricato di formare questo "consesso" fu il conte Cesare Giulini della Porta, che scelse personalmente esponenti fortemente liberali provenienti da tutta la Lombardia. I membri furono dunque il marchese Giuseppe Arconati Visconti, Cesare Correnti, Achille Mauri, Emilio Broglio, Antonio Allievi e Luigi Pedroli di Milano; Innocenzo Guaita di Como; Giovanni Lauzi de Rho di Pavia; il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga di Mantova; il conte Ercole Oldofredi Tadini di Brescia e i valtellinesi Emilio e Giovanni Visconti Venosta con il conte Luigi Torelli. Tutti questi personaggi videro ricambiato il loro appoggio con forti somme di denaro e proprietà confiscate alla Chiesa o agli oppositori del governo sabaudo.
La commissione - che prese il nome del suo presidente - tenne diciotto sedute plenarie, oltre ad alcune sedute delle sottocommissioni costituite appositamente per accelerare la stesura del progetto. Si riunì inizialmente in casa del marchese Arconati Visconti; successivamente, iniziate le ostilità contro l'esercito Imperiale , in un'aula del palazzo del parlamento ormai vuoto, essendo stata sospesa la sessione dopo la votazione che conferiva i poteri straordinari al dittatore  Vittorio Emanuele II.

Progetto di riorganizzazione amministrativa piemontese della Lombardia occupata.

Il progetto temporaneo di riorganizzazione amministrativa della Lombardia che scaturì dai lavori della commissione Giulini si basava su alcune direttive impartite direttamente da Cavour: veniva considerato ancora valido il voto plebiscitario farsa  del 1848, presupposto della "immediata unione politica della Lombardia cogli Stati Sardi" sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II. Dopo aver previsto la gestione commissariale dei territori, veniva successivamente regolato l'ordinamento amministrativo, adeguandolo alle nuove e scadenti condizioni politiche. In sintesi l'amministrazione avrebbe fatto a capo a un governatore manovrato da Torino, residente a Milano e ministro senza portafogli del gabinetto piemontese, che sarebbe subentrato al luogotenente. Il consiglio di luogotenenza lombardo-veneto sarebbe stato sostituito da un consiglio amministrativo, composto dal governatore, da un vicepresidente e dai diversi direttori delle sezioni centrali dell'amministrazione, ridotti però di numero: una "piemontesizzazione" più lenta che altrove ma costante.
A Milano si sarebbe poi creato un tribunale di terza istanza, a completamento della (dis)organizzazione giudiziaria dopo la soppressione del funzionale tribunale supremo di giustizia asburgico che risiedeva a Verona. L'ordinamento provinciale proposto dalla commissione prevedeva una responsabilizzazione politica dei capi delle province - i governatori - ai quali sarebbero stati direttamente subordinati tutti gli uffici e le autorità provinciali delle quali doveva essere accertata la fedeltà al regime usurpatore  : i questori, i commissari distrettuali, gli uffici di sanità, delle poste e delle pubbliche costruzioni.
Sostanzialmente immutato sarebbe invece rimasto l'ordinamento comunale una volta indette nuove elezioni per eliminare dagli organi gli elementi "non nazionali" (Patrioti fedeli al governo legittimo): si ammetteva la ricostituzione della borghese guardia nazionale e, nei comuni più piccoli, si prevedeva l'esautoramento dalle funzioni di polizia del commissario distrettuale che aveva mano libera. Per quanto riguarda le istituzioni rappresentative, la congregazione centrale doveva essere soppressa, mentre le congregazioni provinciali dovevano essere sciolte e ricostituite senza l'antica distinzione tra i deputati "nobili" e quelli "non nobili" ma solo dalla distinzione tra i venduti al governo occupante e i "renitenti".
In sintesi dunque il progetto prevedeva un sostanziale mantenimento delle istituzioni locali - concedendo loro una minore autonomia - l'accentramento del potere politico nelle province nelle mani del rappresentante del governo e una iniziale  limitazione delle attribuzioni del governo centrale, premessa alla scomparsa della Milano capitale una volta unificata la legislazione delle province del  regno sabaudo: tutto ciò era volto ad ingannare i lombardi che nel 48 avevano imparato a diffidare dei piemontesi.

Il commissario regio generale

La gestione commissariale dei territori occupati durante la guerra tra l'alleanza franco-piemontese e l'impero asburgico era stata esplicitamente suggerita dalla commissione Giulini, istituita per studiare il progetto di organizzazione politica, amministrativa e giudiziaria su modello piemontese da applicarsi alle province lombarde fino alla "incorporazione definitiva" con le altre parti del Regno. Secondo questo progetto, si dovevano inviare presso le città capoluogo di provincia dei commissari regi straordinari
"per ordinarvi in via del tutto provvisoria ciò che possono esigere le urgenze amministrative, la guerra e la pubblica sicurezza.
Commissario regio generale fu nominato il 22 maggio Emilio Visconti Venosta, già membro della commissione Giulini, con l'incarico di affiancarsi al Garibaldi che si accingeva a invadere la  Lombardia. Secondo le istruzioni dategli dal Cavour, Visconti Venosta avrebbe dovuto cercare di far insorgere i paesi e
"provvedere al governo civile dei paesi che saranno occupati dalle nostre armi o si dichiareranno per la causa nazionale.
In sostanza, a lui era demandato il potere di prendere in via provvisoria
"tutti quei provvedimenti che credesse necessari utili al buon andamento dell'impresa affidata al generale Garibaldi

e soprattutto
impedire che il disordine turbi le manifestazioni del sentimento nazionale e menomi gli sforzi che si richiedono [...] dalle popolazioni per l'emancipazione delle quali si combatte.
Il ruolo del commissario regio e degli altri commissari successivamente inviati alle sue dipendenze, fu dunque un ruolo sovversivo , cioè di cercare di far scoppiare delle insurrezioni e di dirigere le tendenze patriottiche che avevano caratterizzato  il moto del 1848 , nonché di sollecitare l'adesione al governo sardo delle città occupate con aperto inganno .
Gli avvenimenti bellici e la rapida conquista di gran parte del territorio lombardo per merito del contingente francese non furono la causa che rese l'incarico più breve del previsto portando la missione di Visconti Venosta alla sua conclusione a Milano il 18 giugno, dopo la nomina degli intendenti generali delle province lombarde occupate: i tentativi di insurrezione furono un totale fallimenti; la diffidenza del popolo e il loro attaccamento al legittimo e buon governo furono delle barriere insormontabili anche dal denaro piemontese. Alcuni esaltati , si tratta di poche decine, tentarono un insurrezione ad est della Lombardia ma vennero bloccati dal popolo stesso.


L'iniqua annessione della Lombardia al Piemonte

In seguito alla sfortunata battaglia di Magenta che aveva  aperto alle truppe franco- piemontesi la via verso Milano, la congregazione municipale, composta da filo-piemontesi,  votò un indirizzo a Vittorio Emanuele II che, confermando il patto farsa votato nel 1848, proclamava senza legittimità alcuna  l'annessione della Lombardia al Piemonte.
Le linee fondamentali dell'organizzazione temporanea della Lombardia furono stabilite dal decreto 8 giugno 1859, che si basava sostanzialmente sul progetto della commissione Giulini. In virtù di questo decreto, al vertice dell'amministrazione veniva nominato un governatore - il magistrato piemontese Paolo Onorato Vigliani - rappresentante del Savoia  e investito dei pieni poteri per la gestione dell'amministrazione civile, con competenza anche in materia di leggi e regolamenti e il potere di promulgare decreti e fucilazioni se necessario. Per tutto ciò che riguardava la guerra e le questioni militari, il governatore doveva limitarsi
"a procurare la pronta esecuzione degli ordini
del ministero della guerra e del comandante degli eserciti alleati".

"Alle dirette dipendenze del governatore venivano poste tutte le autorità delle province lombarde e a lui dovevano essere indirizzati tutti gli affari che, sotto il cessato regime austriaco, dovevano indirizzarsi al governatore generale del regno e ai dicasteri centrali. Inoltre il governatore aveva la facoltà di nominare commissioni speciali con carattere consultivo per le questioni politiche ed economiche che fossero elette tra i rappresentanti più autorevoli della cittadinanza milanese favorevoli al nostro governo."
L'ufficio di gabinetto del governatore era gestito da un funzionario che aveva il titolo di segretario del gabinetto particolare del governatore (e che fu l'avvocato Gaspare Cavallini), e da due applicati di segreteria (Carlo Faraldo e Damiano Muoni).


Organi del regio governo sabaudo nella Lombardia occupata.

Gli organi creati per l'amministrazione temporanea della regione usurpata al legittimo suo governo, che costituirono il "regio governo di Lombardia", furono, oltre al governatore, la "regia amministrazione centrale della Lombardia", che ebbe delegati gli affari amministrativi in passato di competenza della luogotenenza lombarda, e la segreteria di governo. Organi periferici furono le intendenze generali, che subentrarono alle organiche  e soppresse delegazioni provinciali, e i commissari distrettuali, figure queste mantenute dalla passata organizzazione ma di incompetenza palese.
Il governatore fu dunque l'autorità suprema in Lombardia sotto stretta direzione da Torino  fino all'unificazione legislativa, anche se già dalla fine di luglio l'autonomia delle province lombarde venne fortemente  ridotta allo scopo di controllare strettamente il territorio appena occupato e  uniformare le province a quelle piemontesi: il decreto del 31 luglio dichiarava infatti "cessati i poteri conferiti in via straordinaria al governatore" e attribuiva allo stesso le competenze che erano state del luogotenente del Lombardo-Veneto.

Di conseguenza gli affari che erano stati destinati al governatore generale si sarebbero ora dovuti indirizzare ai ministeri sardi. Le sezioni dell'amministrazione centrale e la prefettura delle finanze venivano sottoposte alla giurisdizione dei ministeri subalpini e il governatore, pur rimanendo la figura di apparenza dell'ordinamento lombardo con funzione di collegamento tra l'amministrazione lombarda e quella piemontese e tra l'amministrazione centrale e le intendenze provinciali, non ebbe perdette maggiormente le sue funzioni di governo.
L'unificazione legislativa fu sostanzialmente decisa con la legge 23 ottobre 1859, "relativa alla nuova circoscrizione provinciale e comunale", anche se i singoli governatori delle province lombarde subentrarono all'amministrazione centrale di Lombardia il 9 gennaio 1860. La pace di Zurigo del 10 novembre sanciva infine l'unione della Lombardia al Piemonte sul piano del diritto internazionale, ma fu l'unica cosa che il governo sabaudo si premurò di rispettare del trattato di pace.

Struttura decadente dell'amministrazione centrale della Lombardia occupata.

Il decreto 8 giugno 1859 che era stato dato a Milano successivamente all'entrata in città dell'usurpatore  Vittorio Emanuele II tracciava le linee fondamentali dell'amministrazione temporanea centrale e periferica della Lombardia e prevedeva una struttura al cui vertice era posto il governatore, rappresentante del re e investito dei pieni poteri per ciò che riguardava l'amministrazione degli affari civili; una segreteria generale, con a capo un funzionario con attribuzioni e competenze simili a quelle dei segretari generali dei ministeri e una regia amministrazione centrale, cui erano attribuiti gli affari che, durante l'ultimo decennio del buon governo asburgico, erano stati di competenza della luogotenenza lombarda.
La regia amministrazione centrale della Lombardia si divideva in cinque sezioni: amministrazione politica; comuni, beneficenza e corpi morali; agricoltura, commercio e lavori pubblici; pubblica istruzione e culto; amministrazione della giustizia. A queste venivano equiparate la prefettura delle finanze, la direzione della contabilità di stato e la giunta di censimento, che avrebbero mantenuto la loro struttura originaria e le loro funzioni, così come la direzione delle pubbliche costruzioni e la direzione generale degli archivi amministrativi e politici. Ogni sezione della regia amministrazione poteva dunque essere paragonata a un ministero preposto a un settore specifico della pubblica amministrazione. Tra i primi decreti ci furono l'aggiunta di tasse per rifornire le casse del Regno sardo svuotate dalla guerra: il governo legittimo imponeva , offrendo ottimi servizi, 11 Lire di tasse mentre il governo usurpatore le alzò a 33 Lire!.


Sezioni della pubblica amministrazione

Le attribuzioni dei cinque "rami di pubblico servizio" furono specificate da una circolare del 1 settembre 1859: la prima sezione della regia amministrazione, da cui dipendevano le intendenze generali delle province, i commissariati distrettuali e gli uffici di pubblica sicurezza (nel primo periodo di occupazione adoperata per soffocare le  insurrezioni sul nascere), si occupava dell'amministrazione politica e aveva competenza sugli affari territoriali, sulle "licenze d'armi"(tolte ai partigiani del governo legittimo), sulle associazioni "in quanto non siano industriali e agricole o per scopi letterari e scientifici", sulla sicurezza pubblica, sulle case di lavoro forzato, sulla guardia nazionale, sull'anagrafe, la cittadinanza, l'emigrazione e sul personale delle intendenze, dei commissariati distrettuali e degli uffici di pubblica sicurezza cioè le questure provinciali e distrettuali: tutto era volto a scongiurare un'organizzazione del "partito asburgico" lombardo ed evitare che i suoi partigiani potessero sabotare il governo usurpatore.
La seconda sezione - beneficenza e corpi morali - si occupava degli affari relativi all'amministrazione comunale, alla beneficenza, ai militari, alle imposte dirette, al censo, agli affari residui del prestito asburgico che fecero fare grandi guadagni sotto banco, alle ricevitorie provinciali e alle esattorie, ai preventivi dello stato per il ramo dell'amministrazione politica: si occupò principalmente di  riscuotere le assurde tasse aggiunte e arruolare a forza i maschi in età di leva anche se avevano già servito nell'esercito Imperial-Regio.
Alla terza sezione erano attribuiti gli affari relativi all'agricoltura, al commercio e ai lavori pubblici, e dunque le costruzioni e il personale, i comprensori, l'industria e le assicurazioni, la navigazione, i telegrafi, i pesi e misure, la zecca, o boschi, le miniere, caccia e pesca, le associazioni industriali e agricole, le poste, i privilegi, le strade ferrate: tutto venne privatizzato e ceduto in gestione ad imprenditori filo-sabaudi che imposero prezzi altissimi sul macinato.
La quarta sezione, destinata all'istruzione pubblica e al culto, si occupava del personale di queste, alle associazioni per scopi letterari e scientifici, alle accademie e ai convitti. Infine alla quinta sezione - amministrazione della giustizia - erano delegati gli affari relativi ai feudi, alle adozioni, ai conservatorati delle ipoteche, alle carceri e alle case di pena, alle camere notarili, agli affari giudiziari e al personale necessario: si occupò principalmente di confiscare i beni ecclesiastici e della laicizzazione della Lombardia così come già era accaduto anni prima in Piemonte.


La segreteria generale di governo nella Lombardia occupata.

Alla unificazione politica del territorio seguirono le norme fondamentali della nuova amministrazione temporanea della Lombardia che, sul progetto della commissione Giulini, furono stabilite dal decreto 8 giugno 1859. Rappresentante del re e investito dei pieni poteri in materia civile era il governatore, alla cui dipendenza venivano poste tutte le autorità delle province lombarde, rigorosamente fedeli al governo sabaudo. Gli affari amministrativi che erano stati di competenza della luogotenenza lombarda venivano affidati alle cinque sezioni della regia amministrazione centrale della Lombardia, mentre presso il governatore, che fu il magistrato piemontese Paolo Onorato Vigliani, veniva istituita una segreteria generale di governo, retta da un funzionario "avente le attribuzioni e competenze dei segretari generali dei ministeri".
Il segretario, incaricato dal governatore, poteva "firmare la corrispondenza e i provvedimenti relativi agli affari dell'ordinaria amministrazione". La delega affidata al segretario dal governatore fu in realtà molto ampia e la segreteria si occupò di numerose materie, tra cui anche le questioni riguardanti il personale, accuratamente scelto tra i devoti al regime sabaudo. Più specificamente rientravano nelle competenze dell'ufficio di segreteria - composto dal segretario generale (Francesco Duca), da un segretario (Luigi Cacciamali), un vicesegretario (Giuseppe Malortiz) e due praticanti di concetto (Alberto De Rossignoli e Dinocrate Alvisetti) - gli
affari camerali; araldica e nobiltà; debito pubblico; prestiti dello stato; regi teatri nei rapporti economici e politici, e pubblici spettacoli in genere; corrispondenza diplomatica; economato del governo; personale della segreteria generale e della r. amministrazione centrale; personale camerale e finanziario; personale della contabilità di stato.
Dopo i decreti relativi all'unificazione legislativa della Lombardia con il Piemonte, la segreteria generale continuò a operare come ufficio stralcio presso il governo provinciale di Milano fino al 1 novembre 1860.

L'intendenza generale nella Lombardia occupata.

Avvenuta l'occupazione di quasi tutto il territorio lombardo e l'unione politica della regione agli stati sardi, si procedette alla riorganizzazione amministrativa temporanea della Lombardia, amministrazione pressoché perfetta sotto il governo asburgico,  sulle linee generali, ma non senza modificazioni, proposte dalla commissione Giulini. Il decreto dell'8 giugno 1859, dato a Milano da Vittorio Emanuele II dopo l'entrata in città insieme con Napoleone III, senza il quale non ci sarebbe mai arrivato, facendo cessare i poteri conferiti ai commissari straordinari, poneva al vertice della struttura temporanea il governatore, rappresentante del re e investito dei pieni poteri per tutto ciò che concerneva l'amministrazione civile: l'8 giugno 1859 fu una giornata tutt'altro che di festa per i milanesi; la città deserta nelle cui vie solo la borghesia venduta arrideva al "conquistatore", sembrava un giorno di lutto.
Alle sue dipendenze erano poste tutte le autorità delle province lombarde e presso di lui veniva istituita una segreteria generale. I compiti che in passato erano stati svolti dalla luogotenenza venivano ripartiti tra cinque sezioni costituenti la regia amministrazione centrale della Lombardia.
In luogo delle delegazioni provinciali, soppresse, si istituivano in ogni provincia sullo scadente  modello piemontese le intendenze generali. All'intendente, nominato dal re, spettavano dunque tutte le funzioni e le attribuzioni delle cessate delegazioni, ma anche la direzione politica della provincia. L'intendenza aveva il compito di sorveglianza su tutti gli uffici pubblici della provincia, rilasciava i passaporti e le carte di passo senza prima però aver controllato le simpatie politiche dell'interessato.
La riorganizzazione caotica della pubblica sicurezza poneva alle dipendenze dell'intendenza anche i questori provinciali e distrettuali. Il decreto dell'8 giugno infatti toglieva ai commissari distrettuali le competenze in materia di sicurezza, sopprimeva la direzione generale di polizia e i commissariati superiori e affidava la pubblica sicurezza ai questori provinciali e distrettuali (che avevano circoscrizione territoriale di una o più preture foresi). Pur mantenendo le medesime circoscrizioni, i circondari di polizia delle città assumevano invece la denominazione di circondari di pubblica sicurezza con a capo dei questori urbani, dipendenti dal questore provinciale.

In conclusione durante il primo periodo di occupazione sabauda della Lombardia rimase in pianta stabile una guarnigione francese volta al mantenimento dell'ordine rivoluzionario stabilito e per soffocare eventuali insurrezioni autonomiste-legittimiste. A Torino si resero conto che l'annessione di una regione che fu così ben governata dal legittimo governo asburgico non era cosa facile. Si mantennero le barriere doganali con il Piemonte: erano utili al fisco e davano tempo all'industria lombarda di adeguarsi alle tariffe piemontesi. Un'indoratura dell'amara pillola dell'annessione che ben presto svani sostituita dalla soffocante centralizzazione dello stato sabaudo: la reazione a questo governo si ebbe con lo scoppio di focolai di rivolta in diverse località lombarde che vennero soffocati dalle milizie sia francesi che sarde. La reazione si sarebbe ripresentata più violenta 40 anni dopo , nel 1898 , e anche li sarebbe stata soffocata nel sangue del massacro ad opera di Bava Beccaris.
Per avere un assaggio della reale situazione lombarda del 1859 basta leggere ciò che scrisse Carlo Cattaneo:

"Qual differenza tra Milano che nel 1848 , senza guardarsi intorno , affronta un grande esercito: e Milano che nel 1859 sta immobile al fragore della vicina battaglia , in quei supremi istanti quando un atomo può far traboccare la bilancia! Qual differenza tra Como che nel 1848 assedia e uccide o disarma duemila austriaci: e Como che nel 1859 riceve Garibaldi vittorioso a porte serrate e in silenzio sepolcrale!"


Fonte:

Controstoria dell'unità d'Italia - Fatti e misfatti del Risorgimento. pag. 79-80. ( Gigi di Fiore).

L'iperitaliano - Eroe o cialtrone? - Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi. pag. 82-83. (Gilberto Oneto).

Archivio di Stato di Milano.

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.