mercoledì 24 luglio 2013

La corruzione del linguaggio

tower_of_babel_by_andreaszielenkiewicz
 
 
Corrompere il linguaggio, rendere incomprensibili i significati difficili (e la cultura in senso forte è fatta tutta di significati difficili), ridurre il numero delle parole e con ciò stesso ridurre la gamma di possibilità di comprensione della realtà, tutte queste sono azioni tipiche di un progetto culturale al vertice delle cui preoccupazioni si trovano l’improrogabile compito di impedire il “delitto di pensiero” e la necessità di addormentare le coscienze [1]. 
Questo processo di alterazione dei significati della lingua non è, come tutti sanno, una scoperta eccezionale. Uno dei massimi autori antiutopici che scrivono fra le due guerre, George Orwell, in una appendice al suo famoso romanzo 1984 descrive con eccezionale acutezza il processo di costruzione di una lingua ideologica, la neo-lingua. Quello che è particolarmente interessante dell’intuizione orwelliana è che lo stato burocratico e totalitario che egli descrive, l’Oceania, è impegnato a tenere costantemente due linee di condotta nella costruzione del proprio linguaggio. 
La prima è quella di ridurre tutte le parole ad un solo polo semantico (per esempio non buono e cattivo, ma soltanto buono e sbuono) con una conseguente diminuzione delle possibilità di captare, attraverso il linguaggio corrispondente, gli aspetti sic et simpliciter negativi, indipendenti e duraturi della realtà (mentre la neo-lingua tenderebbe a presentarli come macchie di ombra passeggere all’interno di una dimensione generalmente luminosa); la seconda consistente, invece, nella invenzione di lunghissime parole composte, coniate apposta per rendere difficile, grazie al meccanismo intrinseco di scorrimento e aggregazione, una pausa di riflessione sul contenuto e il valore singolo delle componenti verbali [2]. 
La descrizione offerta da Orwell in 1984 di un linguaggio impoverito, tendenzialmente sempre positivo, è perfettamente coerente con il linguaggio corrotto della moderna ideologia. Il linguaggio ideologico, infatti, può ben essere visto come un linguaggio, in tesi, sempre positivo, e che è appunto tale perché dice molte cose ma senza significati precisi. Si tratta cioè di una lingua che grazie alla sua indeterminatezza di riferimento, grazie alla vaghezza con cui indica il futuro verso il quale ci vuole portare, grazie a tutto questo riesce a caricarsi al massimo delle speranze private, delle proiezioni personali, delle aspettative individuali delle folle più eterogenee e, in virtù dell’incoraggiamento che offre alla proiezione di tutte queste singole attese, finisce per conquistare i consensi di un grande numero di uomini. Né potrebbe essere diversamente. (…)
Ora, una lingua imprecisa, costituita da una serie di aggettivazioni positive… senza il rischio di alcun sostantivo che verifichi la consistenza di questa positività… è proprio una lingua siffatta ad avere un grande influenza; e questo in quanto finisce per essere parassitaria del nucleo centrale del linguaggio poetico a cui ruba un po’ del potere fascinoso. Al posto di essere, infatti, secondo la definizione poundiana di poesia, un linguaggio investito in somma misura di significato, abbiamo un linguaggio costruito per avere molti significati, il maggior numero possibile. (…)
 
Il linguaggio ideologico, in altri termini, non dice delle cose perché queste sono vere, ma le dice per ottenere un certo effetto e con ciò rivela la sua natura meramente strumentale.
 
Un esempio classico di linguaggio ideologico-operativo, di un linguaggio, cioè, teso a persuadere piuttosto che non a significare è quello di cui fa sfoggio Humpty Dumpty in Alice nel mondo dello specchio (cap. VI) dove tradizione nominalistica e presupposto ideologico si combinano in questo dialogo: “Ma gloria non significa un ottimo argomento per darti torto” – obiettò Alice. “Quando io adopero una parola – disse Humpty Dumpty con un tono piuttosto sdegnoso – essa ha esattamente il significato che io le voglio dare… né più né meno”. “Bisogna vedere – disse Alice – se voi potete fare in modo che le parole indichino cose diverse”. “Bisogna vedere – disse Humpty Dumpty – chi deve comandare… ecco tutto (which is to be master-that’s all)”. Diventare padroni delle parole dunque è il problema fondamentale dell’ideologia. 
 
[E. Samek Lodovici - Metamorfosi della gnosi - Ares 1991, pp. 109-112].

[1] Il grande scrittore ebreo J.B. Singer ha messo in rilievo la connessione caratteristica che passa tra la seduzione più sottile e la corruzione delle parole: “Il mio potere sta nella lingua”, afferma uno dei demoni di un suo racconto (Lo Specchio, in Gimpel l’idiota) e un altro incalza mettendo in rilievo il potere che ha la lingua di portare gli uomini a compiere atti che altrimenti non compirebbero.
 [2]  Orwell dà diversi esempi di queste parole composte. Per darne l’equivalente di alcune a conoscenza di tutti bastino, per esempio, “internazionalismoproletario” oppure “statoimperialisticodelle multinazionali”, “forzeprogressivodemocratiche”, ecc.
a cura di Marco Massignan

Fonte:

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