domenica 18 agosto 2013

Love is love, hate is hate

1079546_10200894261691648_533938648_n

di Massimo Micaletti

È fin troppo facile scrivere sulle dichiarazioni di Yelena Isembayeva, ed onestamente dobbiamo riconoscere che è facile scriverne in un senso o nel senso opposto. Entusiasmo, condivisione, apprezzamento, oppure disgusto e riprovazione.
Chiaramente, chi scrive queste poche righe condivide il pensiero della Isimbayeva, e spera di poterne dare pubblico conto ancora per un bel pezzo, sebbene le nubi che si addensano all’orizzonte siano sempre più fosche. Pioverà repressione? Probabilmente sì.
Ora, se delle parole della Isimbayeva è relativamente agevole discutere, davvero poco c’è da dire sulle reazioni scomposte ed allucinate di certo mondo pro gay. Fatta la sempre doverosa premessa che il gay sta all’omosessuale come la femminista sta alla donna, è chiaro che leggendo certe uscite appare evidente che versiamo in un ambito non di tutela dell’omosessuale, ma di affermazione ed imposizione anche normativa, comunque verbalmente violenta, di un modo di leggere e vivere la condizione di omosessualità che non ammette visioni a sé alternative, la cosiddetta “gay culture”. E’ da lì, e da chi per convenienza o buona fede ne dà pubblico e politico appoggio, che arrivano certe bordate.
Paradigma è il “caso Piras”, politico locale sardo che sul suo profilo Facebook ha ritenuto bene pubblicare il seguente post “Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono”. Il post, al momento (12:31 del 17 agosto) è stato rimosso, ma fino alle 9:30 circa c’era e tutti potevano leggerlo. Gianluigi Piras, sommerso, nei commenti al post, da una serie di insulti e proteste, ha poi ritenuto di pubblicare una nota a chiarimento che forse ha ulteriormente peggiorato le cose, usando l’espediente del paradosso e della sensibilità ferita per giustificare – giustificare – quella frase, chiarendone il significato. Frase che però, seppure giustificata dallo stesso autore, è stata da lui stesso rimossa.
Pazienza. Crediamo alla buona fede di Piras, ma rileviamo che non è certo il solo a lasciarsi andare ad una difesa, per di così, appassionata della cultura gay.
Potremmo citare Pietro Grasso, Presidente del Senato “Una corretta educazione su questi temi – ha sostenuto – la dobbiamo fare soprattutto per chi soffre di questa ‘malattia’, per chi vive male, sopraffatto da un’irrazionale paura, dal terrore di uscire di casa, dall’ansia di avere tra i suoi compagni di scuola, di lavoro, tra i suoi amici, i suoi familiari, una persona omosessuale. Diciamocelo, sono cittadini meno uguali degli altri, sono chiusi nel loro guscio, si frequentano solo tra loro, non allargano i loro orizzonti nè il loro cerchio di amicizie. Temono i viaggi all’estero, le feste, gli studentati all’università, gli spogliatoi delle palestre. E’ un problema sociale che dobbiamo affrontare davvero, da subito, a partire dai più giovani. Dobbiamo farlo insieme, le istituzioni con le associazioni”[1].
Grasso dunque non si limita a tracciare un quadro dell’omofobo come un essere sostanzialmente ed antropologicamente inferiore, ma dimentica di spiegare chi sarebbe l’omofobo. Ma lo dice per implicito, giacché le dichiarazioni sono espressa a corredo di una discorso favorevole ai matrimoni omosessuali. Ergo, par di capire che per Pietro Grasso chi si oppone ai matrimoni omosessuali è omofobo, è un “cittadino meno cittadino degli altri” e va rieducato, costituisce un problema sociale. E’ infatti notorio che coloro che sono contrari al matrimonio omosessuale “temono i viaggi all’estero, le feste, gli studentati all’università, gli spogliatoi delle palestre”.
Ma tale aperto disprezzo, pur espresso a chiare lettere dalla seconda carica dello Stato, non basta.
Solo in tempi recenti, vengono in mente le parole di Valdimir Luxuria in tv, il quale dichiarava “Omofobia non vuol dire avere paura, vuol dire odiare omosessuali e transessuali, con insulti, botti e, a volte, anche omicidi. Parliamo di violenza. Siamo l’ultimo paese occidentale che rifiuta di fare una legge sull’amore di due persone dello stesso sesso”. In altri termini, dal punto di vista LGBT che Luxuria pacatamente esprime, chi è contrario alle rivendicazioni gay è omofobo, odia gli omosessuali e lascia nell’arretratezza il Paese rispetto agli altri Stati occidentali. Ovviamente Luxuria ha torto nel merito (e dà immediata prova della sua autorevolezza nelel successive dichiarazioni “Con l’Isola dei Famosi abbiamo dimostrato che gli italiani non sono deficienti: gli italiani mi hanno votato per il mio comportamento, vincendo su una concorrente di un certo peso come Belen Rodriguez. Gli italiani sono più avanti della nostra classe politica”) ma il metodo è efficace ed impone più o meno questo sillogismo “Se sei contro le mie idee sugli omosessuali, allora odi gli omosessuali”. Saldiamo queste dichiarazioni con l’attuale dibattito sulla legge contro l’omofobia ed il gioco è fatto. Coerente è il riferimento fatto da Luxuria al rapporto con la Fede cattolica “Io sono buddista perché ho bisogno di pregare… Sono stata rifiutata dalla chiesa cattolica, se un giorno questo Papa aprirà un nuovo corso, ritornerò alla religione cattolica”. Non è stato dunque Luxuria a rifiutare il messaggio cristiano, è stata la Chiesa a rifiutare Luxuria.
Proseguiamo richiamando le polemiche seguite (ve le ricordate?) al brano di Giuseppe Povia “Luca era gay”, Sanremo 2009. Nel vespaio generale (in cui, non a caso, il cantante fu invitato anche da Bruno vespa), si distinse Vittorio Agnoletto (ve lo ricordate?), il quale, ovviamente, bollò il testo come “omofobico”[2]. Da notare che a quei tempi – solo quattro anni fa – il tema omofobia era ancora un po’ acerbo, dunque anche maitre a penser avevano qualche esitazione nel decidere tra “omofobo” o “omofobico”: il Word tuttora lo segna come errore o lo corregge con “omofono” o “omofonico”. Speriamo non se ne accorga nessuno.
Ma tornando al caso, la veemente reazione fu giustificata dal fatto che una persona, da gay che era, tornava eterosessuale e si sposava; evento, questo, inaccettabile per la gay culture, nella quale ben si può nascere etero (nascere omosessuali è un po’ difficile, ma questa è un’altra storia) e “scoprirsi” gay, mentre è inaccettabile essere omosessuali e tornare eterosessuali. Insomma, gay si nasce o si diventa, ma etero si può solo nascere ed è bene che vi si ponga presto rimedio.
Chiudiamo il brevissimo florilegio con le ormai celeberrime parole di Umberto Veronesi. Nel 2011, L’allora Sindaco di Sulmona, Federico, aveva definito l’omosessualità una “aberrazione sessuale”; poco dopo, il Sindaco di Bologna, Merola, osava esprimere la per cui le coppie sposate avrebbero dovuto avere la priorità sulle coppie omosessuali nella tutela sociale; per dare una (non richiesta, ma evidentemente impellente) replica a tali improvvide gravissime uscite, Veronesi esordiva come segue: “l’omosessualità è una scelta consapevole e più evoluta. L’amore omosessuale è quello più puro»; in quello eterosessuale, invece, una persona direbbe «io ti amo non perchè amo te, ma perchè in te ho trovato la persona con cui fare un figlio. Nell’amore omosessuale invece non accade: si dicono «amo te perchè mi sei vicino, il tuo pensiero, la tua sensibilità e i sentimenti sono più vicini ai miei»”[3]. Ecco dunque che mentre gli eterosessuali sarebbero sostanzialmente e ferinamente regolati, nell’amore, dalle logiche della continuazione della specie, gli omosessuali sarebbero svincolati da questo retaggio belluino e sarebbero più evoluti, aperti, apertissimi verso un sentimento più puro che accoglie il pensiero, la sensibilità, i sentimenti dell’altro.
Quindi, nel pensiero di Veronesi l’omosessualità è una scelta premiante rispetto a quella di noi poveri trogloditi eterosessuali, scelta che garantisce un amore pure perché non riproduttivo. Veronesi non se ne accorge, ma i presupposti del suo ragionamento sono quanto di più omofobo possa oggi dirsi: che essere omosessuali è una scelta, e che l’amore omosessuale è sterile. Però, a parta questa esilarante svista, sento di dover ringraziare il professore per aver poeticamente e rispettosamente definito il sentimento che provo per mia Moglie come una sorta di cavernicola interessata melassa a finalità riproduttive.
Omettiamo le dichiarazioni concilianti di diversi soggetti su Facebook, frasi aperte al dialogo e piene d’amore per tutti come “Troie russe che parlano a nome del regime. Ti tornerà tutto indietro maledetta mignotta schifosa e lurida. Devi morire”; oppure “Isimbayeva, next time you jump break a neck”.
Ora, se la musica è più o meno quella che abbiamo sinteticamente sentito suonare nelle parole delle persone di cui sopra, non c’è poi da meravigliarsi se qualcuno augura alla Isimbayeva di spezzarsi l’osso del collo, se qualcuno vuole insegnare sin dalle scuole ai nostri figli che il bacio tra due uomini è uguale al bacio tra la loro mamma ed il loro papà, e via discorrendo.
Se chi non la pensa come te è “meno cittadino di te”, se è un nemico, se è qualcuno da odiare e perseguitare anche a mezzo della legge, se non tieni alcun conto delle sue ragioni, se ti rifugi piuttosto dietro una continua pressante martellante campagna emotiva e di rivendicazione con ogni mezzo di istanze tutte da dimostrare quanto a fondatezza e priorità e che sovvertono l’ordine naturale e plurimillenario delle cose, beh, significa che dietro alla pretesa campagna per l’amore tu bello mio covi un sacco ma un sacco di odio, che proviene da un disagio un sacco ma un sacco grande. Fattene una ragione.

[1] http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1244047/Grasso-e-Boldrini—Subito-unioni-gay—gli-omofobi-sono-cittadini-inferiori-.html
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/01/22/gay-protesta-contro-povia-marceremo-sanremo-per.html