lunedì 30 settembre 2013

5 ottobre 2013: VIII giornata per la Regalità sociale di Cristo

 
francesco ricossa
 
Sabato 5 ottobre 2013 a Modena si terrà l’ottava Giornata di studi per la Regalità sociale di Cristo dedicata ad un’analisi ricca e il più esaustiva possibile sul settecentenario costantiniano e sull’inizio della Libertas Ecclesiae. Non mancherà ovviamente un raffronto duro e inesorabile con la rivoluzione conciliare in atto, prima rinnegatrice e demolitrice della società costantiniana. Anche Radio Spada presenzierà per la seconda volta, insieme ad altre benemerite associazioni cattoliche integrali (l'A.L.T.A. purtroppo non potrà esserci), con un piccolo banchetto informativo: un ringraziamento sentito e profondo per la disponibilità alla rivista Sodalitium e al centro studi “Giuseppe Federici”, organizzatori dell’evento.  
Modena, sabato 5 ottobre 2013 presso il Salone delle conferenze del Ristorante Vinicio, in Via Emilia Est n. 1526, fraz. Fossalta, la rivista Sodalitium e il Centro Studi Giuseppe Federici presentano la VIII GIORNATA PER LA REGALITÀ SOCIALE DI CRISTO con il seminario di studi:
 
“IL REGNO DI CRISTO, L’IMPERO DELLA CHIESA.  313 – 2013: considerazioni sull’anniversario costantiniano”.
 
E’ prevista un’esposizione di libri e oggettistica a cura di case editrici e associazioni culturali.
 
Programma della giornata:
 
ore 10,30 Recita del Veni Sancte Spiritus, presentazione della giornata e apertura dell’esposizione.
 
ore 11,00 prima lezione: “I DOCUMENTI IMPERIALI DA COSTANTINO A TEODOSIO”.
 
ore 12,15 pausa per il pranzo-
 
ore 15,00 seconda lezione: ”I NEMICI DEGLI EDITTI: PAGANI, GIUDEI, ERETICI“.
 
ore 16,00 pausa.
 
ore 16,30 terza lezione: “ IL RIFIUTO DELLA ‘CHIESA COSTANTINIANA’: DAL VATICANO II A BERGOGLIO ”.
 
ore 17,30 conclusione della giornata con il canto del Christus Vincit.
 
Le lezioni saranno tenute da DON FRANCESCO RICOSSA, direttore della rivista Sodalitium.
 
L’ingresso al seminario di studi e all’esposizione è libero. Non è permessa la distribuzione di materiale informativo da parte di associazioni non accreditate dall’organizzazione.
 
Quota per il pranzo: 30 euro a persona. Sono previste delle agevolazioni per gli studenti. E’ gradita la PRENOTAZIONE ENTRO giovedì 3 ottobre 2013 presso il Centro Studi G. Federici.
 
Il Ristorante Vinicio, in Via Emilia Est, 1526, fraz. Fossalta di Modena (tel. 059.28.03.13) si raggiunge:
- dal casello autostradale di Modena Sud seguendo le indicazione per Castelfranco Emilia; raggiunta la Via Emilia svoltare a destra;
- dalla stazione ferroviaria di Modena con l’autobus n. 760 e 751.
 
Per informazioni e iscrizioni al pranzo:
 
Centro Studi Giuseppe Federici
Via Sarzana 86 – 47822 Santarcangelo (RN)
Tel: 0541.758961
 

Eroi del legittimismo: Heinrich von Hess


Il feldmaresciallo Heinrich Hermann von Hess in una fotografia del 1860
Il feldmaresciallo Heinrich Hermann von Hess
 in una fotografia del 1860.
Heinrich Hermann Josef Freiherr von Hess, o von Heß nacque a Vienna il 17 marzo 1788, entrò nell'esercito Imperiale Asburgico nel 1805, venendo presto impiegato come ufficiale al comando durante le guerre napoleoniche.
Si distinse come subalterno nella battaglia di Aspern e nella battaglia di Wagram, e nel 1813, come Capitano, servì nuovamente nel comando delle operazioni. Nel 1815, era sottoposto al Principe Schwarzenberg. Tra le due guerre, ebbe l'incarico di commissionario militare nel Regno di Sardegna, ed una volta giunta la pace riprese il proprio ruolo, ottenendo conoscenze specifiche del territorio che successivamente lo renderanno fondamentale per l'esercito Imperiale.
Nel 1831, quando Radetzky divenne Comandante in Capo dell'Armata d'Italia, egli prese Hess a capo del proprio stato maggiore. Qui iniziò il legame tra i due famosi soldati che, come con Blücher e Gneisenau, fu un classico esempio di cooperazione armoniosa tra comandanti e capi dello staff. Hess appoggiò apertamente le idee militari di Radetzky, facendo divenire l'Armata d'Italia, situata nel Regno Lombardo-Veneto , una delle migliori d'Europa. Dal 1834 al 1848 Hess venne impiegato in Moravia, a Vienna, ma allo scoppio della rivoluzione venne mantenuto da Radetzky stesso dal ruolo di capo del suo stato maggiore.
Nelle due campagne contro il tentenna Carlo Alberto che seguirono e che culminarono nella Battaglia di Novara, l'assistenza di Hess fu essenziale per la sua conoscenza del territorio. Nominato Luogotenente Feldmaresciallo, Hess fu promosso a Feldzeugmeister, nominato dal consiglio personale dell'Imperatore, e Signore di Hess assumendo nello stesso tempo i privilegi di Quartiermastro-Generale. L'anno successivo venne messo a capo dello stato maggiore personale dell'Imperatore.
Egli venne utilizzato in missioni presso le capitali degli altri stati, e fu di nuovo sul campo di battaglia nel 1854 a capo delle armate Imperiali che intervennero nella Guerra di Crimea. Nel 1859 venne inviato nel Lombardo-Veneto invaso dalle truppe franco-piemontesi dove subì gli effetti delle successive e nefaste sconfitte. Divenuto Feldmaresciallo nel 1860, e successivamente, rassegnò le proprie dimissioni da capo dello stato maggiore, venendo nominato capo delle Guardie di Trabant. Heinrich von Hess morì a Vienna il 13 aprile del 1870.


Fonte:

Wikipedia(immagine).

Encyclopædia Britannica Eleventh Edition, 1911

  • (DE) Hesse, Heinrich Freiherr von. In Biographisches Lexikon des Kaisertums Österreich, Vol. 8, Vienna 1862.
  • (DE) Hesse, Heinrich von nel catalogo della Biblioteca nazionale tedesca

  • Scritto da:

    Il Principe dei Reazionari

    Eroi del legittimismo: Il Conte Eduard Clam-Gallas



    
    Eduard Clam-Gallas.jpg
    Il Conte Eduard Clam-Gallas .
    Eduard Clam-Gallas nacque a Praga il 14 marzo 1805, figlio primogenito del Conte Christian Christoph Clam-Gallas (1771-1838) ed entrò nell'esercito Asburgico nel febbraio del 1823 col grado di sottotenente in un reggimento di ussari, divenendo già dal 1831 primo corazziere del 1º Reggimento di Corazzieri. Il suo talento militare lo portò ad essere promosso nel 1835 a Maggiore, nel 1840 a Colonnello e nel 1846 a Maggiore Generale e Generale di Brigata a Praga.

    Nel 1848, il 18 gennaio, andò per la prima volta nel Lombardo-Veneto  col compito di comandare una brigata al comando del grande  Radetzky distinguendosi personalmente negli scontri di Santa Lucia, Vicenza e Custoza. A Milano si concentrò negli attacchi dei sovversivi a Porta Ticinese (specificatamente in piazza Sant'Eustorgio) ed a Porta Tosa ove comandò due battaglioni. Per questi suoi meriti gli venne riconosciuta l'onorificenza della medaglia dell'Ordine Militare di Maria Teresa ed ottenne il grado di Feldmaresciallo Luogotenente. Nel 1849 divenne comandante delle truppe che si scontrarono con successo contro gli insurrezionalisti settari ungheresi guidati da Józef Bem, ricevendo nel 1850 il comando del 1º Corpo d'Armata boemo. Il 17 aprile 1853 divenne consigliere privato dell'Imperatore Francesco Giuseppe I.

    Nel 1859, dato il suo brillante stato di servizio conquistato dieci anni prima, venne destinato ancora nel Lombardo-Veneto , ove prese parte alle battaglie di Boffalora, Magenta e Solferino. Dopo questi scontri lasciò il campo di battaglia, anche a causa delle gravi ferite subite nel corso degli scontri e venne destinato a comandante generale d'istanza a Praga. Dedicatosi quindi all'attività amministrativa, nel 1861 divenne membro della corte imperiale ed il 14 maggio di quell'anno venne avanzato al grado di generale di cavalleria, ricevendo l'anno successivo l'ordine del Toson d'oro. Nel 1865, entrò nello Stato Maggiore dell'Imperatore Francesco Giuseppe.

    Tornato sul campo di battaglia nel 1866 dovette affrontare una grave sconfitta nell'ambito della guerra austro-prussiana ad opera della potenza militarista protestante , che lo portò di fronte alla corte marziale, dalla quale si salvò per merito della propria posizione sociale ma anche perché non li si poteva fare una colpa diretta per l'accaduto. Venne costretto ad abbandonare la carriera dell'esercito il 23 marzo di quell'anno e si ritirò a vita privata, rinunciando a qualsiasi rendita o pensione da parte dello stato che lo aveva così insultato da costringerlo ad abbandonare la sua vocazione.
    Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Friedland, nelle montagne della Boemia, dove aveva sposato nel 1850 Clotilde (1828-1899), figlia ed erede del Principe Joseph Franz von Dietrichstein (1798-1858). Con questo atto egli divenne, tra l'altro, cognato di Alessandro di Mensdorff, Primo Ministro dell'Impero e già suo compagno d'arme nella Battaglia di Magenta.
    Il Conte Eduard Clam-Gallas si spense in sordina e lontano dalla vita pubblica a Vienna il 17 marzo 1891.


    Fonte:

    Wikipedia (immagine).

    Ambrogio Viviani, 4 giugno 1859 - Dalle ricerche la prima storia vera, Zeisciu Editore, 1997

    Scritto da:
    Il Principe dei Reazionari.

    Per fare la guerra dire bugie è la regola dei presidenti americani

    Proponiamo la traduzione integrale in italiano dell’articolo The Liefare-Warfare State di Thomas J. DiLorenzo, professore di economia alla Loyola University-Maryland’s Sellinger School of Business and Management, senior fellow del Ludwig von Mises Institute e membro associato dell’Abbeville Institute. Saggista economico-politico e storico indipendente autore del recente Organized Crime: The Unvarnished Truth About Government e dei libri The Real Lincoln: A New Look at Abraham Lincoln, His Agenda, and an Unnecessary War Lincoln Unmasked: What You’re Not Supposed To Know about Dishonest Abe. (Traduzione di Luca Fusari)

    Nel suo celebre saggio La guerra è la salute dello Stato, Randolph Bourne ha fatto una distinzione importante tra Paese e lo Stato. Un Paese è «un gruppo ineluttabile nel quale siamo rinati». In quanto tale, «non c’è maggior senso di rivalità con altre persone che quello all’interno della nostra famiglia». Il Paese è «un concetto di pace, di tolleranza, di vivi e lascia vivere», ha scritto Bourne. Lo Stato invece «è essenzialmente un concetto di potere e di competizione».
    Confondere i due concetti di Paese e di Stato, porta ad una confusione senza speranza e molto pericolosa. La storia del Paese americano è quella della «conquista della terra, della crescita della ricchezza, dell’impresa dell’istruzione, e della realizzazione di ideali spirituali». La storia dello Stato americano, al contrario, è quello di «fare la guerra, impedendo la sua divisione, ostacolando il commercio internazionale, punendo quei cittadini che la società concorda essere offensivi, e raccogliere i soldi per pagare tutto questo».
    In tempo di pace lo Stato «non ha alcun motivo per fare appello alle emozioni dell’uomo comune», ha scritto Bourne. Il cittadino medio ignora in gran parte lo Stato. Ad esempio, all’inizio della “guerra civile” americana l’unico collegamento che il cittadino medio aveva con il governo federale era il pagamento all’ufficio postale di circa 45 dollari annui di tasse. Questo, naturalmente, è considerato un disastro o una calamità da parte di tutti i statalisti.
    «Con lo shock della guerra», tuttavia, «lo Stato entra di nuovo in scena». La guerra è la salute dello Stato. E’ la ragione per le alte tasse, per le burocrazie nelle agenzie dell’entrate, per il pervasivo spionaggio, per la censura, per la coscrizione militare, per l’abolizione delle libertà civili, per un pesante debito, per una crescita esplosiva della spesa pubblica e dell’indebitamento, per una vasta applicazione delle accise, per la nazionalizzazione delle industrie, per la pianificazione centrale socialista, per le massicce campagne pubbliche di indottrinamento, per apporre pene e detenere i dissidenti del governo e dello Stato, per la fucilazione dei disertori dai suoi eserciti, per la conquista di altri Paesi, per l’inflazione della moneta, per la demonizzazione delle imprese private e della società civile per non essere sufficientemente “patriottici”, per la crescita di un complesso militare-industriale, per una vasta espansione della spesa governativa improduttiva, per la demonizzazione delle idee di libertà e di individualismo e di coloro che ne sono portatori, per una festa senza fine (se non una deificazione) dello statalismo e del militarismo.

    https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTMb6ke2-xpSpdoLJZiQ-I_u9tBrwc8_OOUuLDX9ObW0-mX51W7Il cittadino medio non ha alcun interesse in tutto questo. Il cittadino medio di un impero militarista non è altro che un contribuente-fornitore di carne da cannone, agli occhi dello Stato. Qui sta il più grande dilemma dello Stato: come fare per ottenere dalle masse il prosieguo della loro auto-schiavitù come contribuenti, come carne da cannone e cheerleaders della guerra.
    La risposta a questo dilemma è sempre stato il lavorio su una serie di bugie sull’”imperativo” del fare la guerra. Come Bourne ha scritto, «tutta la politica estera, i negoziati diplomatici che producono o risolvono la guerra sono (…) la proprietà privata della parte esecutiva del governo, e sono ugualmente esposti a nessun controllo da parte dei corpi popolari, o dal voto della gente in quanto massa».
    La maggior parte delle persone sono «razionalmente ignoranti» di quasi tutto ciò che il governo fa, e sono maggiormente ignoranti in politica estera. Questo permette ai politici di mentire e portare le nazioni in guerra con l’impunità, perché hanno sempre capito che «nel momento in cui la guerra è dichiarata (…) la massa delle persone, attraverso qualche alchimia spirituale, è convinta che essi hanno voluto ed essi stesso hanno eseguito l’atto [di iniziare una guerra]». A quel punto «il cittadino getta via il suo disprezzo e la sua indifferenza verso il governo e s’identifica con i suoi scopi, fa rivivere tutti i suoi ricordi militari e i suoi simboli, e lo Stato una volta di più passeggia in augusta presenza attraverso l’immaginazione degli uomini». Cosa ben più distruttiva, «il patriota perde tutto il senso della distinzione tra Stato, nazione, e governo».

    Menzogne americane per la guerra

    Questo articolo è stato scritto mentre il governo degli Stati Uniti sta diffondendo il racconto che il governo siriano avrebbe ucciso circa 100 dei suoi cittadini con gas velenosi. Il presidente Obama ha annunciato l’anno scorso, molto opportunamente, che questo è ciò che lo avrebbe costretto ad “attraversare la linea” e a dichiarare guerra al governo siriano, nonostante il fatto che quest’ultimo non costituisca una minaccia o un danno per ogni americano.
    Si tratta di un replay dell’ultima bugia adottata per iniziare una guerra, la menzogna promossa dall’amministrazione di Bush jr che l’Iraq di Saddam Hussein possedesse “armi di distruzione di massa” e che in qualche modo esse minacciavano gli americani. Questo è stato rapidamente dimostrato essere una bugia, ma ormai era troppo tardi. Come Randolph Bourne ha scritto, una volta che la guerra è iniziata la maggioranza degli americani diventa servilmente obbediente allo Stato guerriero e tendono a credere a tutte le sue bugie, per quanto spettacolari possano essere (la prima guerra del Golfo dei primi anni ’90 è stata in parte “giustificata” dalla menzogna che i soldati iracheni stavano tirando razzi contro gli asili nido dell’ospedale, e i neonati kuwaitiani nati prematuramente stessero morendo).

    La guerra del 1812


    http://www.bulletnewsniagara.ca/wp-content/uploads/2011/07/war1812.jpgAppena vent’anni dopo la ratifica della Costituzione degli Stati Uniti il “virus dell’imperialismo” infettò alcuni politici americani che credevano fosse loro “destino manifesto” quello di invadere e conquistare il Canada. Uno dei leader del Congresso del partito della guerra d’inizio Ottocento, Henry Clay, celebrò la dichiarazione di guerra, il 4 Giugno 1812, dichiarando che «in ogni petto del patriota deve pulsare con sollecitudine l’ansia per il risultato. Ogni braccio del patriota renderà quel risultato favorevole per la gloria del nostro amato Paese» (David and Jeane Heidler, Henry Clay: The Essential American, p. 98).
    Tra le “motivazioni ufficiali” per l’invasione del Canada nel 1812 vi furono il presunto “arruolamento” di marinai americani da parte del governo britannico, che però era in corso da decenni, come Justin Raimondo ha sottolineato. Il racconto narratoci fu che i “malefici” britannici incoraggiarono gli indiani ad attaccare i coloni americani.
    Il vero motivo della guerra, tuttavia, fu l’impulso alla crescita dello Stato attraverso una guerra imperialista di conquista. Il risultato della guerra fu un disastro: gli inglesi bruciarono la Casa Bianca, la Biblioteca del Congresso e gran parte di Washington DC, gli americani si ritrovarono con un enorme debito di guerra, il quale fu usato come scusa per resuscitare la corrotta ed economicamente destabilizzante Banca degli Stati Uniti, antesignana della Fed.

    La guerra messicano-americana

    Quando James K. Polk divenne presidente nel 1845, annunciò al suo gabinetto che uno dei suoi obiettivi principali era quello di acquisire la California, che era allora una parte del Messico. Come scrisse nel suo diario (in rete come The Diary of James K. Polk), «dissi al gabinetto che fino a questo momento, come sapevano, non avevamo sentito parlare di nessun atto aperto d’aggressione da parte dell’esercito messicano, ma che il pericolo era imminente, che sarebbero stati commessi questi atti. Ho detto che a mio parere avevamo ampie motivazioni per la guerra».
    Così, molto tempo prima della presidenza di George W. Bush, James K. Polk sostenne l’idea neocon della ‘guerra preventiva’. Polk riconobbe che l’esercito messicano non aveva commesso alcun “atto d’aggressione”, così definito per provocare l’invio di truppe americane al confine col Messico, nel territorio che gli storici sono d’accordo fosse in quel momento “territorio conteso” a causa di una molto dubbia pretesa da parte del governo degli Stati Uniti. Niente meno che Ulysses S. Grant, in quanto giovane soldato sotto il comando del generale Zachary Taylor durante la guerra messicano-statunitense del 1846-1848, capì nelle sue memorie che fu mandato lì per provocare un combattimento:
    «La presenza di truppe statunitensi al confine del territorio conteso, seppur lontano dagli insediamenti messicani, non è stato sufficiente a provocare le ostilità. Siamo stati mandati a provocare un combattimento, ma era essenziale che il Messico desse inizio ad esso. Ero molto dubbioso se il Congresso avrebbe dichiarato guerra, ma se il Messico dovesse attaccare le nostre truppe, l’esecutivo [il presidente Polk] potrebbe annunciare, ‘considerando che la guerra esiste per gli atti di, eccetera’ la proseguiremo con vigore».
    http://blogs.defensenews.com/intercepts/files/2013/05/Cerro-Gordo-1024x670.jpgLo stratagemma di Polk funzionò e provocò l’esercito messicano. Nel suo messaggio di guerra al Congresso dichiarò che «il Messico ha passato il confine degli Stati Uniti, ha invaso il nostro territorio e ha sparso sangue americano sul suolo americano. (…) Dato che esiste la guerra (…) a seguito dell’atto del Messico, siamo chiamati da ogni considerazione di dovere e patriottismo a rivendicare con decisione l’onore, i diritti e gli interessi del nostro Paese».

    Questa truffa del provocare una guerra nel confine di un’altra nazione, armando pesantemente eserciti con armi finalizzate al conflitto, si sarebbe ripetuta molte volte nel corso delle generazioni successive, fino alla provocazione odierna di una guerra in Siria. L’invasione e la conquista del Messico hanno consentito al governo degli Stati Uniti di acquisire la California e il New Mexico a costo di circa 15 mila vittime americane e di almeno 25 mila vittime messicane. Fu una guerra imperialista aggressiva di conquista.

    La “guerra civile” americana

    Il 4 Marzo 1861, nel suo primo discorso inaugurale, Abraham Lincoln minacciò «d’invasione» e «spargimento di sangue» (sue testuali parole) qualsiasi Stato che si rifiutasse di raccogliere l’imposta federale e la tariffa sulle importazioni che era stata più che raddoppiata appena due giorni prima. In quel momento, le tariffe rappresentarono più del 90% di tutte le entrate fiscali federali, quindi quello fu un gigantesco aumento delle tasse. Ecco come Lincoln minacciò la guerra nel suo primo discorso ufficiale:
    «Il potere che mi è stato concesso verrà utilizzato per contenere, occupare e possedere la proprietà e i luoghi appartenenti al governo, e per riscuotere i dazi e le imposte, ma al di là di ciò che può essere necessario per questi scopi, non ci sarà nessuna invasione, né in ogni caso un utilizzo della forza contro o sul popolo».
    Ma naturalmente gli Stati meridionali del Sud avendo secesso, non avevano intenzione di «riscuotere i dazi e le imposte» e di inviare quei soldi a Washington DC, Lincoln commise tradimento (secondo la definizione dell’articolo 3, comma 3, della Costituzione degli Stati Uniti) attuando una guerra di riscossione nei confronti di Stati liberi ed indipendenti, che si sono sempre considerati come una parte dell’Unione americana. Per sua stessa ammissione (e per le sue azioni successive), ha invaso il suo Paese per riscuotere più imposte.
    Il Partito Repubblicano del 1860 era un partito protezionista e favorevole alle tariffe elevate.  La Costituzione confederata aveva del tutto posto fuori legge le tariffe protezionistiche. Il risultato sarebbe stata una massiccia deviazione del commercio mondiale verso i porti del Sud, il che avrebbe costretto il governo degli Stati Uniti a ridurre la sua tanto amata aliquota media dal 50% a livelli competitivi (10%-15%), privando i produttori del Nord di questa forma velata di welfare corporativo, e privando il governo delle entrate di cui aveva bisogno per perseguire il suo “destino manifesto” di impero mercantilista comprensivo di massicci sussidi alle imprese ferroviarie (tra gli altri).
    Il dilemma di Lincoln era che sapeva che sarebbe stato condannato in tutto il mondo per una guerra sanguinosa motivata dalla riscossione delle imposte. Un’altra scusa per la guerra doveva essere inventata, così inventò il “mistico” concetto di Unione permanente e non volontaria. Non voleva essere visto come l’aggressore nella sua guerra per le entrate tariffarie, così ordì un complotto per ingannare i sudisti, al fine di far sparare a loro il primo colpo con l’invio di navi da guerra americane a Charleston Harbor, mentre ostinatamente rifiutò di incontrarsi con i commissari della pace confederati o di discutere l’acquisto delle proprietà federali dal governo confederato. Aveva capito che i confederati non avrebbe tollerato un forte straniero sulla loro proprietà non più di quanto George Washington avrebbe tollerato un forte britannico nei porti di New York o Boston.

    http://24.media.tumblr.com/025e53ee8e368161ce8e3babb4f118de/tumblr_mq3yy5dyFd1qcwnv4o1_500.jpgUn paio di giornali del Nord riconobbero il gioco a cui Lincoln stava giocando. Il 16 Aprile 1861 nell’editoriale del Buffalo Daily Courier si può leggere che «la vicenda di Fort Sumter (…) è stata progettata come un espediente attraverso la quale la sensazione di guerra al Nord dovrebbe intensificarsi» (Howard Cecil Perkis, Northern Editorials on Secession). Il New York Evening Day Book scrisse il 17 Aprile 1861, che l’evento a Fort Sumter era «uno schema artificiosamente» forzato, atto «a suscitare, e se possibile esasperare il popolo del nord contro il sud». «Guardate ai fatti», ha scritto il Providence Daily Post il 13 Aprile 1861. «Per tre settimane i giornali dell’amministrazione [di Lincoln] ci hanno assicurato che Ford Sumter sarebbe stato abbandonato», ma «il signor Lincoln ha visto l’opportunità di inaugurare una guerra civile senza apparire nella parte dell’aggressore». Il Jersey City American Standard ha scritto che «vi è una follia ed una spietatezza» nel comportamento di Lincoln, concludendo che l’invio di navi a Charleston Harbor da parte di Lincoln fu «un pretesto per dare il via agli orrori della guerra».
    Dopo Fort Sumter, il 1 ° Maggio 1861, Lincoln scrisse al suo comandante navale, il capitano Gustavus Fox, «tu ed io abbiamo anticipato che la causa del Paese [cioè una guerra civile] sarebbe scaturita dal previsto esito di Fort Sumter, anche se esso dovesse fallire, ed è una non piccola consolazione sentire che la nostra previsione è giustificata dal risultato». Stava ringraziando il capitano Fox per il suo ruolo nell’aver ingannato i confederati facendoli aprire fuoco su Fort Sumter (dove nessuno rimase ucciso o ferito). Stava ringraziando il capitano Fox per la sua assistenza nell’avvio della guerra. Lincoln rispose con un’invasione su vasta scala di tutti gli Stati del Sud e con una guerra di quattro anni che, secondo le ultime ricerche, fu responsabile di ben 850 mila morti americani con un numero più che doppio di mutilati a vita.

    La guerra ispano-americana

    Subito dopo la “guerra civile”, il governo degli Stati Uniti condusse una guerra di genocidio della durata di 25 anni nei confronti degli indiani delle pianure «per far posto alle società ferroviarie», come dichiarò il generale Sherman (si veda il mio articolo su Independent Review, Violence in the American West: Myth versus Reality). Poi dalla fine del 1880 gli imperialisti americani vollero cacciare gli spagnoli da Cuba, dove gli interessi commerciali americani avevano investito in piantagioni di zucchero e tabacco.
    Una nave da guerra americana, la USS Maine, venne inviata a L’Avana nel Gennaio del 1898 per tutelare gli interessi commerciali americani, presumibilmente da una insurrezione. Il 15 Febbraio 1898, una misteriosa esplosione affondò la nave uccidendo 270 marinai. Gli spagnoli furono accusati per l’esplosione nonostante la mancanza di prove incriminanti.
    «Tu forniscimi le immagini e io ti fornirò la guerra», disse l’editore William Randolph Hearst all’artista Frederic Remington, il che implicò che, armati delle illustrazioni dell’artista, i suoi giornali generarono la propaganda di guerra. Il governo degli Stati Uniti dichiarò guerra alla Spagna ed occupò Cuba nei successivi quattro anni, rendendo il mondo sicuro per le multinazionali dello zucchero e del tabacco americano.

    Prima guerra mondiale


    Nel 1915 un sottomarino tedesco affondò la RMS Lusitania, una nave britannica la quale era presumibilmente una nave da crociera civile. Circa un centinaio di americani erano a bordo, il che consentì al presidente Woodrow Wilson di copiare la tattica di guerra di Lincoln e di utilizzare l’affondamento della nave per dichiarare la guerra.
    http://xroads.virginia.edu/~ma03/holmgren/ppie/images/lusit.jpgPrima dell’affondamento del Lusitania, Wilson sapeva che la nave stava trasportando armi, ma si rifiutò di emettere avvisi ai passeggeri americani, dal momento che la Gran Bretagna e la Germania erano in guerra, poteva essere rischioso essere un passeggero del Lusitania. Ha usato l’affondamento della nave per eccitare l’isteria anti-tedesca e convincere il Congresso a far entrare in guerra gli Stati Uniti in un conflitto europeo. Nel 2008 una spedizione subacquea ha scoperto che il Lusitania trasportava più di quattro milioni di munizioni per fucili, gran parte delle quali erano state impacchettate in scatole etichettate ‘formaggio’, ‘burro’ o ‘ostriche’.

    L’inganno di Pearl Harbor

    Robert Stinnett, autore di Day of Deceit: The Truth About FDR and Pearl Harbor, è un veterano della seconda guerra mondiale e per diversi decenni dopo la guerra ha avuto una carriera di giornalista all’Oakland Tribune e alla BBC. Il suo libro riporta la scoperta, avvenuta nel 1993, dopo che il Naval Command Group Security degli Stati Uniti decise di porre in archivi pubblici presso l’University of Maryland, centinaia di migliaia di messaggi militari giapponesi ottenuti prima di Pearl Harbor con il monitoraggio/spionaggio da parte delle stazioni statunitensi. Queste registrazioni non erano state viste da nessuno dal 1941.
    Ciò che Stinnett ha trovato fu che, proprio come la stragrande maggioranza dei nordisti non era favorevole alla guerra alla vigilia di Fort Sumter nel 1861, così pure la stragrande maggioranza degli americani 80 anni dopo sosteneva l’America First, il primo movimento non-interventista guidato da Charles Lindbergh. L’80% del pubblico americano era non-interventista nel 1940-1941. Dopo che la Germania fece “l’errore strategico” di firmare un trattato con il Giappone, un tenente comandante statunitense, Arthur McCollum, della Naval Intelligence, vide la possibilità di contrastare l’America First provocando il Giappone ed inducendolo ad attaccare gli Stati Uniti al fine di porre il pubblico a supporto della guerra.
    Utilizzando proprie fonti nel governo, Stinnett ha scoperto che il presidente Franklin D. Roosevelt adottò il piano in 8 punti dell’Office of Naval Intelligence per indurre il Giappone ad attaccare Pearl Harbor, il più importante dei quali fu quello di mantenere la maggior parte della flotta americana ancorata a Pearl Harbor. Quando il comandante della flotta degli Stati Uniti, l’ammiraglio James Richardson, contestò il piano che avrebbe lasciato macellare i suoi marinai dai giapponesi, FDR rimosse Richardson e lo sostituì con il contrammiraglio Husband E. Kimmel.

    http://latimesphoto.files.wordpress.com/2011/11/fa_487_pearlharbor42_970.jpgFDR implementò l’intero piano in 8 punti, ma mantenne all’oscuro l’ammiraglio Kimmel e il generale Walter Short, comandante delle truppe dell’esercito degli Stati Uniti alle Hawaii. Oltre mille messaggi giapponesi al giorno furono intercettati dalla marina degli Stati Uniti, la quale sapeva in anticipo tutto ciò che i giapponesi stavano facendo nel Pacifico sulla via per Pearl Harbor. Essa sapeva in anticipo che i giapponesi avrebbero attaccato Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Kimmel e Short ricevettero ordini direttamente da FDR, Stinnett li ha trovati, in essi vi è scritto di «restare in posizione di difesa», perché «gli Stati Uniti vogliono che il Giappone commetta il primo atto palese».
    Il 30 Ottobre del 2000, il presidente Bill Clinton ha ratificato il National Defense Authorization Act che, tra le altre cose, ha riconosciuto che a Kimmel e Short furono negate informazioni d’intelligence militari cruciali sulla flotta giapponese prima dell’attacco di Pearl Harbor. Kimmel e Short furono poi rimossi da FDR dopo l’attacco, ma dopo 59 anni sono stati riabilitati.

    “L’incidente” del Golfo del Tonchino

    Poco prima del suo assassinio, nel Novembre del 1963, il presidente John F. Kennedy aveva iniziato a richiamare i “consiglieri” militari statunitensi dal Vietnam. Il suo successore, Lyndon Johnson, era favorevole alla guerra totale in Vietnam. Ancora una volta il pubblico americano aveva poco interesse verso una guerra civile lontana migliaia di chilometri di distanza in Asia, ma furono poi facilmente indotti all’acquiescenza. Ancora una volta l’inganno coinvolse avvenimenti misteriosi tra navi da battaglia in mezzo al nulla, dove le uniche testimonianze degli incidenti provengono dal governo degli Stati Uniti.
    Il governo degli Stati Uniti fornì “segretamente” delle cannoniere all’esercito sudvietnamita che furono utilizzate per attaccare la costa del Vietnam del Nord. Ciò è stato riconosciuto nel 1964 dal Segretario alla Difesa Robert McNamara. Inoltre, navi da guerra americane aleggiavano attorno ai porti del Vietnam del Nord. Ciò ha incluso la USS Maddox. Il posizionamento delle navi in una situazione di ​​pericolo fu la strategia, sul tipo di quella di FDR, adottata da Johnson, e provocò un attacco da parte del Vietnam del Nord che ebbe successo.
    http://www.findingdulcinea.com/docroot/dulcinea/fd_images/news/on-this-day/July-August-08/On-this-Day--False-Claims-of-Attack-Lead-Congress-to-Authorize-Vietnam-War/news/0/image.jpgJohnson falsamente affermò che vi fu un secondo attacco alla USS Maddox, ma ciò è riconosciuto essere una bufala. Il suono del sonar navale e il radar americano della nave mostravano immagini causate dal maltempo, non da cannoniere nord vietnamite.

    Il presidente, tuttavia, fece un discorso radiofonico asserendo che un secondo “attacco” rese necessaria una rappresaglia militare. Poco dopo ordinò gli attacchi aerei. In un documentario televisivo del 2003 dal titolo The Fog of War, Robert McNamara ammise che il secondo attacco alla Maddox «non è mai successo».
    Può sembrare banale ma è vero, coloro che non riescono a imparare le lezioni della storia sono destinati a ripetere i medesimi errori. Gli americani sono in procinto di ripetere lo stesso errore di sperperare il loro sangue e il loro tesoro in un’altra avventura militare (in Siria), che non ha nulla a che fare con la difesa della libertà americana o di chiunque altro. Per studiare ed approfondire l’imperialismo e l’anti-imperialismo, prendete in considerazione la sottoscrizione del mio nuovo corso online di cinque settimane su tale tema attraverso la Mises Academy, inizio la sera del 9 Settembre.


    Di Redazione A.L.T.A.

    domenica 29 settembre 2013

    20 settembre 1870: dalla parte del Papa Re!

    Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
    Comunicato n. 72/13 del 13 settembre 2013, San Maurilio

    eglise-st-philbert-2310I caduti papalini del 20 settembre 1870
    Prima della resa imposta da Pio IX, il 20 settembre 1870, durante la difesa di Roma, i pontifici recarono numerose perdite all’esercito invasore: tra gli ufficiali 4 morti e 9 feriti, tra la truppa 45 morti e 132 feriti.
    I papalini, invece, registrarono 19 morti, deceduti il 20 settembre 1870 e nei giorni successivi in seguito alle ferite, e 68 feriti. Ecco l’elenco dei caduti secondo il Vigevano (altri autori, come Keyes O’Clery, riportano un numero minore di caduti, perché non calcolano alcuni decessi avvenuti negli ospedali dopo il 20 settembre) :
    Zuavi:
    Sergente Duchet Emilio, francese, di anni 24, deceduto il 1 ottobre.
    Sergente Lasserre Gustavo, francese, di anni 25, deceduto il 5 ottobre.
    Soldato de l’Estourbeillon, di anni 28, deceduto il 23 settembre.
    Soldato Iorand Giovanni Battista, deceduto il 20 settembre.
    Soldato Burel Andrea, francese di Marsiglia, di anni 25, deceduto il deceduto il 27 settembre.
    Soldato Soenens Enrico, belga, di anni 34, deceduto il 2 ottobre.
    Soldato Yorg Giovanni, olandese, di anni 18, deceduto il 27 settembre.
    Soldato De Giry (non si hanno altri dati).
    altri tre soldati non identificati, deceduti il 20 settembre.
    Carabinieri:
    Soldato Natele Giovanni, svizzero, di anni 30, deceduto il 15 ottobre.
    Soldato Wolf Giorgio, bavarese, di anni 27, deceduto il 28 ottobre.
    Dragoni:
    Tenente Piccadori Alessandro, di Rieti, di anni 23, deceduto il 20 ottobre.
    Artiglieria:
    Maresciallo Caporilli Enrico, italiano, deceduto il 20 ottobre.
    Soldato Betti, italiano, deceduto il 20 settembre.
    Soldato Curtini Nazzareno, italiano, deceduto il 20 settembre.
    Soldato Taliani Mariano, di Cingoli, di anni 29, deceduto il 20 settembre.
    Soldato Valenti Giuseppe, di Ferentino, di anni 22, deceduto il 3 ottobre.
    (Attilio Vigevano, La fine dell’esercito pontificio, ristampa anastatica, Albertelli Editore, Parma 1994, pagg. 672-673; nel testo del Vigevano i nomi di battesimo sono stati italianizzati)

    L’esercito pontificio in gran parte italiano. I romani a difesa di Pio IX
    In più luoghi del citato libro del generale Cadorna si dice che il Papa era schiavo della volontà dei capi delle sue truppe estere. Ebbene: chi comandava la zona militare di Trastevere e della Città Leonina? Il colonnello Azzanesi, romano. Chi comandava il forte S. Angelo? Il tenente colonnello Pagliucchi dello stato maggiore di piazza, romano. Chi comandava la sotto zona da Porta Portese a Porta S. Pancrazio (Trastevere)? Il tenente colonnello dei Cacciatori cav. Sparagana, frosinonese. Chi comandava la sotto zona da porta S. Pancrazio a Porta Angelica? (in questo perimetro è compreso il Vaticano) Il tenente colonnello di linea cav. Zanetti, bolognese. Quali truppe guernivono la zona Azzanesi?
    I difensori della zona era presidiato dai sedentari (veterani) quasi tutti italiani; il Vaticano e la persona stessa del Sommo Pontefice erano tutelati da una sezione d’artigliera nei giardini, dai Volontari di riserva e dalle Guardie Palatine, cioè da tutti romani, più la Guardia Nobile e Svizzera. Ecco la pretesa schiavitù di Pio IX durante l’assedio del 1870! Ma ecco, a maggior rincalzo, la situazione ufficiale dell’esercito pontificio in data 18 settembre 1870:
    Gendarmi 1.863 tutti italiani, molti romagnoli.
    Artiglieria 996 tutti italiani, eccettuati ben pochi.
    Genio 157 tutti italiani, non pochi romani.
    Cacciatori 1.174 tutti italiani, moltissimi romani.
    Linea 1.691 tutti italiani, molti romani.
    Zuavi 3.040 esteri, con un buon numero d’italiani, fra cui non pochi romani.
    Legione Romana o d’Antibo 1089 con molti italiani, specialmente di Corsica e Nizza, e molti savoiardi.
    Carabinieri esteri 1.195 con un certo numero di italiani.
    Dragoni 567 quasi tutti italiani, non pochi romani.
    Treno 166 tutti italiani, non pochi romani.
    Sedentari (Veterani) 544 in maggioranza italiani.
    Infermieri 119 italiani, meno pochi esteri.
    Squadriglieri 1.023 tutti italiani, e, nella maggior parte della provincia romana.
    Totale 13.624. Gli italiani superavano di circa quattromila gli esteri.
    A questo quadro dell’esercito, dirò così, di linea, sono da aggiungersi anche i seguenti Corpi, i quali, quantunque addetti a servizi speciali, avrebbero concorso (e concorsero difatti in più incontri) all’azione militare attività:
    a) Guardia Nobile di Sua Santità, tutta formata di gentiluomini dello Stato Pontificio; in circa 70 uomini, comandati dai due Principi romani, un Barberini ed un Altieri.
    b) La Guardia Palatina d’onore, circa 500 uomini, reclutata in tutte le classi della borghesia romana e tra i proprietari, i negozianti e capi d’arte.
    c) I Volontari Pontifici di riserva, tutti italiani, anzi quasi tutti romani; circa 400 uomini tra cui molti patrizi, e poi negozianti, impiegati e professionisti. Era un battaglione formato da 4 compagnie, comandato dal capitano Fischietti del 1. linea. I quattro capitani erano i principi di Sarzina e Lancellotti, il Duca Salviati e il Marchese Giovanni Naro Patrizi Montoro, Vessillifero ereditario (tenente generale) di Santa Chiesa.
    d) La Guardia Svizzera (120 uomini, circa).
    e) Gl’Invalidi, con quartiere ad Anagni.
    f) La compagnia di disciplina, che, ottenute dal comandante Papi le armi, si battè eroicamente insieme ai zuavi, gendarmi e finanzieri nel fiero attacco dato dal Cadorna a Civitacastellana.
    La Guardia di polizia, la piccola marina, il corpo di finanza e quello degli ufficiali di amministrazione, composti tutti d’italiani. E questi quattro corpi presero attivissima parte alle campagne del 1867 e 1870, e gli ultimi due anche campagne e fatti d’armi del 1859 e 1860.
    (Antonmaria Bonetti, Venticinque anni di Roma capitale d’Italia e i suoi precedenti, Libreria della Vera Roma, Roma 1895, parte II, pagg. 42-45)

    L’ultimo saluto dei soldati pontifici al Papa Re Pio IX, a piazza san Pietro il 21 settembre 1870
    … Era già suonata l’assemblea e stavamo in sulle righe, quando alcune voci dal centro della piazza gridarono: il Papa, il Papa. In un momento cavalieri e pedoni, ufficiai e soldati, rompono le file corrono verso l’obelisco, prorompendo in un grido turbinoso ed immenso di Viva Pio IX, Viva il Papa Re! misto a singhiozzi, gemiti e sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzatele mani al Cielo, ci benedisse, e riabbassatele, facendo cenno un gesto come di stringersi tutti al suo cuore paterno, e quindi, sciogliendosi in lacrime dirotte, si fuggì da quel balcone per non potere più sostenere la nostra vista, allora si che veruno più potè far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro coloro che erano stati causa di un tanto cordoglio all’anima di un si buon padre e sovrano …
    (A.Bonetti, op. cit., seconda parte, pagg. 74-75)

    Le due Rome
    … Vi ha la Roma vecchia e la Roma nuova. Vi ha la Roma dei Papi e la Roma dei framassoni. Vi ha la Roma che prega e quella che bestemmia; la Roma dei martiri e quella dei tiranni; la Roma benedetta e quella maledetta. Vi ha la Roma di granito e la Roma di cartapesta; la Roma eterna e quella che, nata ieri, non è certa di vedere il domani. Vi ha la Roma di Cristo e la Roma dell’Anticristo.
    (Gaetano Zocchi, sj, Le due Rome. Dieci anni dopo la Breccia, Tip. Giachetti, Figlio e C., Prato 1881, pag. 8)

    Quelli del 20 settembre: i brecciaioli massoni
    Venerdì 20 settembre, alle 10:30, presso il Complesso Monumentale della Breccia di Porta Pia, si terranno le celebrazioni del Grande Oriente d’Italia per l’anniversario del XX Settembre 1870, data storica da sempre commemorata dalla Massoneria italiana. Il Gran Maestro Gustavo Raffi deporrà una corona di alloro e terrà una breve allocuzione.
    L’evento del XX Settembre sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia, decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi. L’anno successivo la capitale d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma. L’anniversario del 20 settembre è stato festività nazionale fino alla sua abolizione dopo i Patti Lateranensi nel 1929.
    La colonna commemorativa della Breccia di Porta Pia è stata realizzata nel 1895 dal massone Giuseppe Guastalla, scultore e allievo di Ettore Ferrari, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Dopo le celebrazioni a Porta Pia, la delegazione del Grande Oriente d’Italia si recherà al Gianicolo per rendere omaggio al Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, simbolo dell’unità nazionale. Sarà deposta una corona di alloro ai piedi del monumento equestre a lui dedicato, accanto alla targa della Massoneria italiana.
    Grande Oriente

    Quelli del 20 settembre: i brecciaioli laicisti
    La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni intende richiamare l’attenzione sulla storica ricorrenza del XX Settembre 1870, evento fondante dell’unità nazionale del nostro Paese (…) In Piazza Carignano verranno esposte 6 MOSTRE STORICHE di grande interesse:
    Una mostra storica sul XX Settembre, curata dall’Associazione Nazionale Libero Pensiero “Giordano Bruno” Una mostra storico – fotografica su Ernesto Rossi, curata dalla Fondazione Critica Liberale.
    Una mostra storica su Giuseppe Mazzini, curata dall’Associazione Mazziniana Italiana.
    Una mostra storica su Giuseppe Garibaldi, curata dall’Associazione Mazziniana Italiana.
    Un estratto della mostra storica sulla Satira religiosa “Asini, muli, corvi e maiali”, curata dalla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni.
    Una mostra storica su “Evangelici e Risorgimento”, curata dalla Fondazione Centro Culturale Valdese.
    Se non ora quando

    FERROVIE NEL REGNO DELLE DUE SICILIE : IL GIOCATTOLO DEI BORBONE?



    Lo storico Galli della Loggia (un nome un programma),  nega il depauperamento del Sud dopo l’Unità e sostiene che il divario tra settentrione e meridione, al 1860, era già esistente. Egli ha contestato una scarsa presenza di vie di comunicazione nel regno borbonico e ha definito la ferrovia Napoli-Portici "un giocattolo del re", giudicandola inferiore alla Torino-Genova o alle ferrovie costruite dagli Asburgo in Lombardia. Egli giustifica questo suo giudizio affermando che collegare Napoli con Portici non avrebbe potuto in alcun modo favorire l'economia, non solo per l'estrema brevità della ferrovia in sé, lunga pochi chilometri, ma soprattutto perché Portici non era una zona produttiva, ma solo una zona residenziale. Si è espresso negativamente sulla politica economica adottata dai Borbone in Sicilia, da lui giudicata "coloniale". Se, alla luce dell'enorme mole di documenti emersi nel corso degli anni e che mostrano ciò che fu realmente il Regno delle Due Sicilie, questo non è  considerato negazionismo vorrei capire di che cosa stanno parlando!
    Vi sono le costruzioni della Ferrovia delle Puglie - Napoli-Brindisi - Sottoscrizioni Azioni 1857 che , a causa dell'invasione garibaldino-piemontese del 1860 non venne terminata.
    Dopo il 1860 le ferrovie del Regno sarebbero state il fiore all'occhiello della moderna industrializzazione. Anche se con i "se" non si fa la storia certo è che un tale progetto compiuto avrebbe esaltato ulteriormente il "Regno dei primati"...
     
     
    Di Redazione A.LT.A.

    sabato 28 settembre 2013

    Adam Kadmon: veleno per le menti.



    Adam Kadmon? Chi è costui? Chi è questo uomo mascherato con le sue teorie? Nel suo blog ufficiale vi si legge :

    "Ogni Creatura ha diritto alla Serenità, senza che NESSUNO la privi di Libertà, Dignità o Vita: né per ragioni di Stato, né per religioni, né per altro motivo. Il Sistema, anche il più potente e intoccabile, è fatto di Persone. Dunque se le Persone migliorano, anche il Sistema migliora. Un Abbraccio, Adam".

    Al lettore sprovveduto queste parole sembreranno la risposta teorica alla soluzione d'ogni male esistito , esistente e futuro , mentre il lettore più attento si sarà immediatamente accordo dell'inganno nascosto tra parole altisonanti. Certo, quando si parla di libertà , specie nella caotica società odierna, frutto della sconsiderata sete di libertà astratte dei due secoli precedenti, le masse si infiammano senza conoscere il significato di VERA libertà.
    Tornando all'ambiguo personaggio , si noti che la sua "politica" , se così si può chiamare, è rivolta verso l'anarchia , verso una sorta di società new age dove la Verità , così come accade del resto oggi, viene sottoposta all'arbitrio dei singoli i quali creano le loro verità deambulando di conseguenza nella menzogna...e cosa c'è di più manovrabile , di più fragile , di un individuo che non sa distinguere il Vero dal Falso? 

    Il sedicente  Adam Kadmon afferma nelle sue uscite radiofoniche o televisive di essere una sorta di paladino della libertà e della giustizia contro i poteri forti che controllano il mondo. Peccato che più volte egli abbia dimostrato di agire da buon istrumento della setta mischiando verità e menzogna in un mix letale per le deboli menti di giovani e meno giovani. Più volte ha affermato che "non tutta la massoneria è malvagia ma solo una parte" (ciò equivarrebbe a dire che non tutti i demoni sono malvagi) , che essa ha combattuto per la "libertà, l'uguaglianza e la democrazia"....classica pubblicità propagandistica rivoluzionaria degna del Direttorio.

    Dato che il nefasto fenomeno Adam Kadmon, sembra aver preso ancor più popolarità nell'ultimo periodo , mi sento in dovere di contribuire a smascherare, per quanto mi sia possibile, questo fenomeno deleterio. Nel sito di Adam Kadmon (http://777babylon777.blogspot.it/), troverete anche il suo logo, che è un serpente che si morde la coda, l'Uroboro, e il bastone di Hermes al centro. Ebbene io in questa foto che vi mostro qui sotto, vi faccio notare il bastone di Hermes nella quale figura è rappresentato e in più vi spiego il significato di questo serpente che si morde la coda: L'Uroboro detto anche Ouroboros, Ourorboros, Oroborus, Uroboros o Uroborus è un simbolo molto antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio. È un simbolo associato all'alchimia, allo gnosticismo e all'ermetismo. Rappresenta la natura ciclica delle cose, la teoria dell'eterno ritorno, quella dell'Uno-Tutto e tutto quello che è rappresentabile attraverso un ciclo che ricomincia dall'inizio dopo aver raggiunto la propria fine. In alcune rappresentazioni il serpente è raffigurato mezzo bianco e mezzo nero, richiamando il simbolo dello Yin e Yang, che illustra la natura dualistica di tutte le cose e soprattutto che gli opposti non sono in conflitto tra loro.

    Ora vi pongo questa domanda: E' ATTENDIBILE UNA PERSONA CHE SI RIFA' A TEORIE GNOSTICHE ED ERMETICHE? CHE HA COME SIMBOLO IL BASTONE DI HERMES RAFFIGURATO NEL BAPHOMETTO? E' DI DIO QUEST'UOMO? Ammettendo che sia un uomo in carne ed ossa e non , come penso da un po' di tempo , un personaggio di pura fantasia introdotto dai soliti ambienti settari per contribuire alla "rieducazione delle menti" ,  è di Dio perchè è figlio di Dio, ma poi nella sua vita ha deviato le sue vie verso altro.


     

    In questo video Adam Kadmon parla in modo positivo, definendolo il simbolo della sapienza, della saggezza, dell'intelletto e del bene, il Baphometto, raffigurazione per eccellenza di Satana. Guardate questo video e sentite le cose assurde che queste persone propinano alle menti. Adam Kadmon parla di "armonizzare" il male. Il male non si può distruggere secondo lui, si può armonizzare solo con l'intelletto. Qualcuno spieghi a quest'uomo , o presunto tale , che il male, la morte, è stata distrutta per sempre da Cristo sulla Croce. Inoltre il male stesso ha una fine. Mi spiego. Leggendo il catechismo della Chiesa Cattolica, più precisamente "Demonologia", si trova scritto che Satana, si ribellò a Dio e si fece al contrario di Dio, diventando il male in persona. Ma la natura di Satana, prima della disobbedienza e dopo della disobbedienza a Dio, è che lui è una creatura di Dio. Qualcosa di finito, al contrario di Dio che è infinito. Satana quindi è destinato a scomparire, il male è destinato a questo. Non è infinito. Al contrario di quanto dice Adam Kadmon, il male non può coesistere in armonia col bene, almeno noi Cattolici , seguendo la Verità , crediamo in questo (nella Verità assoluta).  





    Quindi non fidatevi di questi falsi profeti che si fanno paladini delle genti e della loro libertà, ma dalle cui parole sgorga menzogna e male. Sperare che  il suo scadente programma in prima serata su Italia Uno vada in onda con 0 spettatori è a dir poco utopico vista l'attuale marcia mentalità dei più. Nonostante ciò io ho voluto avvertire da codesto fenomeno fine a se stesso. Informate più persone possibile di questi inganni che vengono dispensati incessantemente e con il solo fine dell'inganno.


    Scritto da:

    Il Presidente e fondatore dell'A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.

    venerdì 27 settembre 2013

    Libertas Ecclesiae e stato islamico

    croce e mezzaluna
     
     
    Pur cercando di evitare toni di fallaciana memoria o discorsi dal sapore neoconservatore e perfettamente consapevole di trattare un’argomento iper-inflazionato al giorno d’oggi, in questo articolo ho deciso di trattare brevemente la gravosa questione della libertà dei cristiani nei paesi a maggioranza islamica, che professino essi l’Islam come religione di stato (come l’Arabia Saudita e l’Iran) o che siano, almeno teoricamente, laici (come la Siria e la Turchia).
    Dato l’elevato numero di paesi che corrispondono a questa descrizione mi è impossibile considerarli tutti, ho intenzione quindi di limitarmi alla descrizione della situazione dei cristiani nei paesi islamici più noti.
     
    L’Arabia Saudita è probabilmente a livello mondiale tra i primi paesi ad opprimere la libertà di culto dei cristiani essendo in essa l’Islam nella sua variante teologico-giuridica hanbalista – wahabita religione di stato: l’ingresso ai sacerdoti nel paese è proibito ed è vietata qualunque manifestazione pubblica di fede religiosa che non sia quella islamica. Pur non esistendo una restrizione per pratiche cristiane in privato, non è concessa la costruzione di luoghi di culto cattolici, la polizia religiosa del paese viene incaricata di impedire lo svolgimento delle celebrazioni cristiane e vige il divieto di esporre qualsiasi icona o immagine di Cristo. Per un musulmano residente in Arabia Saudita è prevista la pena di morte per l’apostasia, ed è impossibile ottenere la cittadinanza se non si professa la fede islamica (ciònonostante vi è la presenza di circa 1,4 milioni di lavoratori stranieri cattolici, prevalentemente indiani o filippini).
    Negli Emirati Arabi Uniti pur essendo l’Islam la religione di stato raramente vi sono interferenze governative a danno dei cristiani e la loro presenza viene tollerata. La minoranza cattolica (100.000 fedeli su una popolazione di 4 milioni di abitanti) gestisce due scuole (la Santa Maria e la Al Rashid al Saleh) a Dubai e possiede 31 chiese (tra cui due nella capitale, la Santa Maria Assunta e la San Francesco d’Assisi) in tutto il paese. Il culto cattolico è però ammesso solo all’interno negli edifici adibiti ad esso, e il proselitismo verso i musulmani è vietato.
    Nella piccola monarchia del Bahrein vi sono 250.000 cattolici (il 2% della popolazione) e hanno una limitata libertà di culto.
    L’emirato del Qatar ha permesso solo nel 1999 la costruzione dell’unica chiesa del paese, che si trova tutt’ora nella capitale Doha. Precedentemente la pratica pubblica di una qualsiasi religione non-islamica era vietata.
    L’Iran riconosce come religione ufficiale del paese l’Islam sciita duodecimano, ma la tolleranza verso le altre religioni (quella cristiana, ebraica e zoroastriana nella fattispecie) è garantita dalla costituzione, che riserva inoltre a ciascuno dei rappresentanti di queste un seggio nel parlamento iraniano. Nonostante ciò nel paese vige l’applicazione integrale della Sharia, è quindi conseguentemente vietata l’evangelizzazione e l’abbandono dell’Islam è sanzionato con la pena di morte (l’ultima esecuzione per apostasia risale al 1989, anno in cui venne impiccato il pastore protestante Hossein Soodmand per aver lasciato la fede musulmana in favore del protestantesimo). Stando inoltre a quanto affermato dall’Arcivescovo caldeo Ramzi Garmou dal 1979 (anno dell’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini) due terzi dei cristiani d’Iran, a causa delle restrizioni a cui erano sottoposti per la loro fede, sono immigrati all’estero.
    In Giordania vi è un 3% di cristiani (250.000 fedeli, di cui 80.000 cattolici) che hanno i loro rappresentanti in parlamento ed è garantita loro la libertà di culto. Ad Amman, la capitale, esiste da 13 anni il centro Nostra Signora della Pace, che funge da casa di accoglienza per bambini disabili, e nel 2009 Re Abdallah II ha dato il permesso di costruire cinque nuove chiese. E’ stato proprio dalla Giordania che è partita l’iniziativa Una parola comune volta a distendere i rapporti tra cristiani e islamici in seguito alle tensioni scaturite dal fraintendimento di parte del discorso pronunciato dall’allora Pontefice regnante Benedetto XVI all’Università di Ratisbona del 12 settembre 2006. Rimane però il divieto per un musulmano di abbandonare l’Islam.
    La Siria ha una costituzione che il suo presidente debba professare la religione islamica, ma la stessa prevede la libertà di culto per i cristiani. Nel paese risiede un 2% di cattolici (circa 360.000), e il partito Baath ha sempre garantito loro una vita tranquilla e la libertà di professare la propria fede. Vi è purtroppo da chiedersi cosa potrà accadere a questa piccola comunità nel caso in cui Bashar al-Assad venga sconfitto nella guerra civile che è tutt’ora in corso. Di certo la presenza di miliziani salafiti tra le fila dei ribelli non è per nulla incoraggiante, specialmente in seguito alle violenze subite (comprendenti anche l’omicidio) dalla popolazione di Ma’lula, paese storicamente cristiano (in esso si parla ancora l’aramaico, la lingua di Cristo) per un breve periodo caduto nelle loro mani.
    Nel martoriato Iraq si è assistito, durante e dopo la Seconda Guerra del Golfo (2003 – 2011), ad un preoccupante esodo della comunità cristiana lì presente (nel 1987 essa contava 1.250.000 fedeli, oggi invece ne conta solo 400.000) causato dall’insicurezza in cui vivono e dalle violenze che subiscono. I dati dell’agenzia Fides riguardanti gli ultimi 7 anni parlano di oltre 2000 cristiani uccisi e 600.000 profughi, mentre l’Arcieparca di Kirkuk Louis Sako nel 2009 ha affermato che sono stati assassinati 710 cristiani da quando il fondamentalismo islamico ha iniziato a diffondersi in Iraq. I miliziani islamisti hanno inoltre imposto la tassa prevista dal Corano che i non-islamici devono pagare. Va detto però che l’attuale costituzione irakena preveda la libertà religiosa, ma allo stesso tempo essa afferma che non possono venire promulgate leggi contrarie all’Islam e nel 2011 Open Doors classificò l’Iraq come ottavo paese nella lista delle nazioni più violente nei confronti dei cristiani.
    Il Libano risulta essere il paese del Vicino Oriente con la più alta percentuale di cristiani, circa il 40% dei libanesi infatti appartiene ad una confessione cristiana (maronita, romano-cattolica, greco-cattolica, armeno-cattolica, ortodossa, protestante), anche se tale percentuale risulta decisamente inferiore rispetto alla prima metà del ‘900, periodo nel quale i libanesi cristiani rappresentavano il gruppo religioso più numeroso del paese (il 52% nel 1932). Una pacifica convivenza tra cristiani e musulmani venne sancita nel 1943, anno in cui fu creata una democrazia basata sulle comunità confessionali, andando a creare un modello di felice convivenza che purtroppo crollò come un castello di carte di fronte alla guerra civile che insanguinò il Libano dal 1975 al 1990: Beirut ovest venne progressivamente abbandonata dai cristiani e gran parte delle chiese vennero distrutte. Una volta dichiarato il cessate il fuoco, i cristiani libanesi furono ridotti ad una minoranza, situazione aggravata dal fatto che i musulmani tentarono di apportare una revisione sugli accordi del ’43, col rischio di far passare la comunità cristiana da avente pieni diritti nella vita politica e civile del paese allo status di una minoranza. Nonostante questi tentativi e le numerose tensioni nel Libano vige una situazione di sostanziale libertà per le comunità cristiane, e il presidente libanese Michel Suleiman è di religione maronita.
    La Cosituzione della Turchia è laica, non vi è infatti una religione di stato e sono teoricamente garantite la libertà di coscienza e di religione. Di fatto però, nonostante non sia sanzionata l’abbandono dell’Islam, un’eventuale conversione al Cristianesimo può comportare delle ritorsioni sia da parte della società che da parte delle istituzioni. Il fatto che poi l’appartenenza religiosa venga indicata nella carta d’identità turca aumenta di fatto la possibilità che i cittadini cristiani vengano considerati dei cittadini di seconda classe. Nel 2012 di Mons. Ruggero Franceschini (presidente della Conferenza Episcopale Turca) dichiarò che “Essere minoranza al confronto con una moltitudine musulmana si traduce spesso in limitazioni alla libertà di espressione e nell’impossibilità di manifestare la nostra fede se non all’interno delle chiese”, che ancora ai giorni nostri i cristiani spesso vengono apostrofati come “infedeli” (javur) e considerati degli “stranieri che introducono costumi occidentali, nocivi all’integrità dell’Islam, e che fanno proseliti soprattutto tra i giovani”. La Chiesa Cattolica turca non è inoltre riconosciuta giuridicamente dallo stato, il che le impedisce quindi di possedere beni immobiliari che devono invece essere intestati a nome di privati cittadini. Vi è però da chiedersi se tale politica sia svolta, più che per interessi puramente religiosi, nell’ottica in cui l’Islam venga utilizzato come instrumentum regni dallo stato turco come collante per l’unità nazionale.
    Nel Pakistan, nonostante sia previsto a norma di legge che una quota di seggi del parlamento venga riservato alle minoranze religiose e sia presente un partito a rappresentare i cristiani (il Pakistan Christian Congress), la legislazione sul cosìdetto reato di blasfemia (entrato in vigore nel 1986), volto a punire “quanti, con parole o scritti, gesti o rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insultano il sacro nome del Profeta” (tratto dall’articolo 295 del codice penale pakistano) con pene che partendo dal carcere duro e passando per l’ergastolo arrivano fino alla condanna a morte, viene utilizzata spesso e volentieri per opprimere la minoranza cristiana del paese (che è composta da circa 4 milioni di persone, ossia il 2,4% della popolazione totale). Va ricordato inoltre il divieto di scrivere via sms il nome “Gesù Cristo” imposto nel 2011.
    Una celebre vittima (purtroppo non l’unica) delle di fatto legalizzate persecuzioni anticristiane in Pakistan fu il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose dal 2008 assassinato il 2 maggio 2011 da un gruppo di uomini armati a causa della sua battaglia in favore di Asia Bibi, donna pakistana condannata a morte per “blasfemia”. Morte analoga fu quella che fece il governatore (di fede islamica) del Punjab Saalman Taseer, ucciso da una sua guardia del corpo il 4 gennaio 2011 per aver difeso anch’egli Asia Bibi e per il suo impegno nell’abrogazione del reato di blasfemia.
    Nella lontana Indonesia (islamica per l’86% e con 8 milioni di cattolici) è dal 1990 che la tolleranza religiosa ha iniziato a diminuire. Nel conflitto tra cristiani e musulmani nella zona dell’arcipelago delle Molucche (1999) si sono registrati casi di conversione forzata all’Islam, decapitazioni, evirazioni, sventramenti, infibulazioni, stupri, circoncisioni fatte col rasoio senza anestesia, oltre alla distruzione di chiese, centri medici, ospedali, lebbrosari e scuole.
    In Egitto i cristiani sono 7 milioni su un totale di 80 milioni di egiziani, il cui ruolo nella politica e nella società è risibile: meno dell’1% dei seggi parlamentari (3 su 454) sono occupati da essi e di fatto questa minoranza (circa il 10% della popolazione) viene fortemente limitata nella sua libertà di culto data la difficoltà di costruire chiese e le continue violenze subite da parte dei fondamentalisti islamici. L’intolleranza religiosa contro i cristiani è d’altronde cosa notoria nel paese, che nell’art.2 della sua costituzione definisce la sharia il fondamento della legislazione e l’Islam come religione di stato. Come ho già accennato prima, la costruzione di chiese è molto limitata da pratiche discriminatorie e restrittive delle istituzioni pubbliche. Pur non esistendo una legge sull’apostasia, il governo egiziano non riconosce ufficialmente le conversioni dall’Islam al Cristianesimo e permette l’accesso di missionari solo laddove si limitino ad iniziative di tipo caritativo astenendosi da ogni tentativo di proselitismo. Stando ai dati dell’ “Iniziativa egiziana per i diritti della persona” tra il 2008 e il 2010 sono avvenuti almeno due incidenti al mese a danno di cristiani.
    In Algeria vi sono circa 5000 cattolici (meno dell’1% degli algerini) in un paese a stragrande maggioranza musulmana nel quale sono tutt’ora vigenti leggi molto restrittive per chi professa la fede cristiana: è prevista la prigione da uno a cinque anni e multe fino all’equivalente di 10.000 euro per chi tentasse di convertire un islamico al cristianesimo, il senato algerino nel 2006 ha approvato una legge che vieta il proselitismo, imponendo alle comunità cristiane di pregare solo nei luoghi di culto assegnatigli e vi è inoltre l’art. 11, il quale punirebbe chi “fabbrica o distribuisce documenti stampati che tendano a confondere la fede di un musulmano”, nella cui categoria rientra anche la Bibbia. Le persecuzioni anticristiane hanno avuto il loro culmine in due episodi, il sequestro e assassinio (effettuato tramite la decapitazione) del 23 maggio 1996 di sette monaci trappisti risiedenti nel monastero di Tibhirine e nell’omicidio di Mons. Pierre Claverie, Vescovo di Orano, dell’1 agosto 1996.
    Nel Regno del Marocco il re è considerato la guida religiosa islamica, oltre che politica, del paese. Lo stato ha però un’ordinamento, rispetto ad altri stati a maggioranza musulmana, decisamente più laico che teoricamente difende la libertà di culto delle minoranze (i cattolici marocchini sono 23.510) e la Chiesa Cattolica gode di uno status speciale dal 1983 (anno in cui tale status le venne concesso da re Hassan II), ma nonostante questo nel marzo del 2010 sono stati espulsi un francescano di nazionalità egiziana e decine di cristiani con l’accusa di proselitismo. Va ricordato inoltre che è un reato per la legge marocchina tentare di convertire un islamico.
    In Sudan la sharia è in vigore dal 1983, e sebbene sia stato affermato che la legge islamica non debba essere vincolante per i cristiani sudanesi vi sono stati diversi casi di cristiani puniti per non aver osservato precetti dell’Islam quali il Ramadan. Nel 1991 l’Arcivescovo di Khartoum, la capitale del paese, ha dichiarato che ai cristiani è stato fatto divieto di riunirsi per pregare unitamente alla chiusura di diversi centri religiosi. Già nel 1964 il governo espulse i missionari stranieri e nel 1965 tentò di imporre ai cattolici la creazione di una “chiesa patriottica” affine a quella cinese, di fronte al rifiuto di tale imposizione partì una persecuzione che ebbe tra gli episodi degni di memoria l’incendio del seminario di Tore, la dispersione di molte comunità cristiane e la distruzione di diversi luoghi di culto.
    Nonostante sia una repubblica islamica, la Mauritania mantiene pacifici rapporti con la minuscola comunità cattolica (lo 0,2%, 4500 persone) al suo interno, essa infatti non ha limitazioni nell’apertura di strutture sanitarie e nella gestione di asili, centri culturali e biblioteche. Nonostante questo la legge vieta il proselitismo, la diffusione di materiale religioso e per i musulmani è illegale la conversione al Cattolicesimo.
    Il Mali, paese composto da un 80% di islamici, un 18% di animisti e da un 1% di cristiani, non ha alcuna limitazione nei confronti della libertà della minoranza cristiana e secondo l’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre nel paese “non vi sono ostacoli giuridici alla conversione da una religione a un´altra e i missionari sono liberi di operare; la maggioranza musulmana è tollerante verso le altre confessioni”.
    Il confinante Senegal presenta caratteristiche simili: costituzione laica che concede piena libertà alle minoranze cristiane (che ammontano al 6%).
    In Niger la coabitazione tra maggioranza musulmana (93%) e la minoranza cristiana sembra essere pacifica.
    La Somalia rappresenta uno degli stati con maggior omogeneità religiosa al mondo: il 99% dei somali è islamico e i cattolici sono solo un centinaio. Nel paese la persecuzione contro i cristiani è iniziata nel 1991 con la caduta di Siad Barre e la diffusione di gruppi armati integralisti (tra i quali vanno ricordati Al – Shaabab e Sunna Waljameca), venendo assassinati ad oggi, oltre che ad una trentina di cristiani somali, anche due italiane: Suor Leonella Sgorbati nel 2006 e la missionaria Annalena Tonelli nel 2003. Su sette luoghi di culto cristiani esistenti in Somalia sei sono stati distrutti dai fondamentalisti, compresa la Cattedrale di Mogadiscio, saccheggiata nel ’91 e distrutta nel 2008. Stando ad un rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre emerge che le conversioni al Cattolicesimo sono scoraggiate da forme di emarginazione sociale e di ostracismo, e che le attività di culto dei cristiani devono svolgersi in case di privati, senza essere visibili dall’esterno.
     
    A analisi finita, si può tranquillamente affermare che su ventuno paesi a maggioranza islamica esaminati solo il Libano, la Siria di Assad, il Mali, il Senegal e il Niger garantiscano una completa libertà ai cristiani lì residenti, libertà comprendente anche la possibilità di evangelizzare (che ricorderei essere per un cattolico un dovere, sta scritto infatti “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.” Mt 16, 15-17.
     

    Santità e sacerdozio

    Santità e sacerdozio
     
    La santità sola ci rende quali ci richiede la nostra vocazione divina, uomini cioè crocifissi al mondo, e ai quali il mondo è crocifisso; uomini che camminano “vivendo nuova vita” (Rm 4,4), i quali, secondo l’avviso di san Paolo (2 Cor 6,5-7) nelle fatiche, “nelle vigilie, nei digiuni, con la castità, con la scienza, con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata; con le parole di verità”, si manifestino veri ministri di Dio: che unicamente tendano alle cose celesti e si studino con ogni zelo di rivolgere al cielo le anime degli altri. (San Pio XHaerent animo) 
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    Ma perché l’opera vostra sia davvero benedetta da Dio e copiosi ne siano i frutti, è necessario ch’essa sia fondata nella santità della vita. Questa è… la prima e più importante dote del sacerdote cattolico: senza questa, le altre doti poco valgono; con questa, anche se le altre doti non sono in grado eminente, si possono compiere meraviglie.
    Il sacerdote è ministro di Gesù Cristo; è dunque strumento nelle mani del divin Redentore per la continuazione dell’opera sua redentrice in tutta la sua mondiale universalità e divina efficacia, per la continuazione di quell’opera mirabile che trasformò il mondo; anzi il sacerdote, come ben a ragione si suol dire, è davvero alter Christus perché continua in qualche modo Gesù Cristo stesso.
    (Pio XIAd catholici Sacerdotii)
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    Per esercitare convenientemente il ministero dell’Ordine, non è richiesta solamente una virtù qualunque, bensì una virtù eminente. Coloro che ricevono il sacramento dell’ordine sono, per questo, istituiti al di sopra del popolo; devono quindi anche essere i primi per merito e santità. (San Tommaso d’AquinoSumma theologiae, Suppl. q. 35, a. 1, ad 3)
     
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    Quando vedete, all’altare, il ministro consacrato elevare al Cielo la sacra offerta, non crediate che quell’uomo sia il vero sacerdote, ma rivolgendo i vostri pensieri al di sopra di quello che colpisce i sensi, considerate la mano di Gesù Cristo distesa in modo invisibile. (San Giovanni CrisostomoOmelia LX al popolo di Antiochia)
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    Preghiamo Nostro Signore Gesù Cristo per i suoi servitori (…); che doni loro il suo Santo Spirito, per far loro conservare sempre l’abito clericale e difendere il proprio cuore dalle preoccupazioni del secolo e dai desideri mondani; affinché con questo cambiamento esteriore la sua mano divina dia loro un aumento di virtù, conservi i loro occhi da ogni accecamento dello spirito e della carne, e conceda loro la luce dell’eterna grazia. (Pontificale romanum, prima orazione della tonsura)
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    Ma sì eccelsa dignità esige dai Sacerdoti che corrispondano con fedeltà somma al loro altissimo officio. Destinati a procurare la gloria di Dio in terra, ad alimentare ed accrescere il Corpo Mistico di Cristo, è assolutamente necessario che così eccellano per santità di costumi, che attraverso di essi si diffonda dovunque il “buon profumo di Cristo” (2 Cor 2, 15).
    Il Sacerdote deve dunque studiarsi di riprodurre nella sua anima tutto ciò che avviene sull’Altare. Come Gesù Cristo immola se stesso, così il suo Ministro deve immolarsi con Lui; come Gesù espia i peccati degli uomini, così egli, seguendo l’arduo cammino dell’ascetica cristiana, deve pervenire alla propria ed altrui purificazione.
    (Pio XIIMenti nostrae)
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    La talare, che è un abito nero, indica la prima disposizione che deve albergare nel clero, e la prima parte della religione del santo clero, che è di essere morto ad ogni amore e ad ogni stima del secolo. (…) La talare contrassegna la religione della terra che consiste nell’essere umiliati, nel portare la propria Croce, nel sacrificarsi senza posa per Dio con Gesù Cristo con una mortificazione continua. (Mons. Jean-Jacques Olier P.S.S., Traité des saints ordres)
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    Se si vuol riflettere un istante sulla grandezza del sacerdozio, non ci si stupirà più che la Chiesa abbia sempre ostentato una gran pompa per le ordinazioni… Principalmente per aumentare nel futuro sacerdote la purezza di cuore e la santità dei costumi, e renderlo così meno indegno di offrire alla temibile maestà di Dio il Santo sacrificio della messa. (R.P. Martin de Cochem O.F.M., Explication du saint sacrifice de la Messe)
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    Il sacerdote lo capiremo bene solo in Cielo. Se lo comprendessimo sulla terra, ne moriremmo non di spavento, ma d’amore. (Santo Curato d’Ars)
    A cura di Marco Massignan(http://radiospada.org/)
     
    In foto, il messaggio: “La missione del prete: indicare la strada per il Cielo