giovedì 12 settembre 2013

La Teologia nella Monarchia legittima.



Il miracolo reale è la prova dell’origine divina dell’autorità politica. Il potere dei Re è sacro. “Ogni potere proviene da Dio”, insegna, infatti, San Paolo. Dio è la fonte e l’origine di ogni legittima autorità, quella del Capofamiglia, del Sovrano e del Sacerdote.

Papa Leone XIII.

Il miracolo regio, tuttavia, riguarda espressamente la potestà temporale, l’autorità politica dello Stato legittimo, inteso come società perfetta, avente in sè i mezzi per conseguire il suo fine proprio, che è la felicità temporale, ossia il bene comune. Il potere dello Stato, quando è legittimo, è sacro, derivando da Dio, fonte di ogni autorità. Tale miracolo collima perfettamente con l’insegnamento costante della Chiesa Cattolica e la retta filosofia. L’autorità politica si fonda sul diritto e sulla legge di natura, il cui autore è Dio. «È la legge di natura – insegna Leone XIII, nell’enciclica Diuturnum illud – che spinge gli uomini a vivere in società, o meglio, più esattamente è l’autore della natura, cioè Dio». L’autorità civile, inoltre, procede da Dio immediatamente. «L’autorità procede da Dio immediatamente. Che gli uomini, infatti, non possano conferire l’autorità alla società si ricava dalle seguenti considerazioni:

(1) Gli uomini, quando vivono riuniti assieme secondo la legge di natura, non possono impedire l’autorità. Volenti o nolenti, infatti, occorre che nella moltitudine sia presente un’autorità su- prema.

(2) Gli uomini non possono annullare i diritti principali di quell’autorità. Pos- sono invero dividerla, separando, ad esempio, il potere legislativo da quello giudiziario, ed assegnare le diverse prerogative dell’autorità a soggetti diversi. Se vogliono, però, vivere in società, non possono annullarla completamente, abolendo, per es., il potere giudiziario.

 (3) La suprema autorità possiede alcuni diritti, ammessi come legittimi senza esitazione da tutti i popoli di tutti i tempi, diritti che superano la capacità dei singoli, e che quindi non possono essere da loro conferiti alla società, ma soltanto immediatamente da Dio. Tali sono per esempio il diritto di guerra, quello di comminare pene, di coercizione ed altri simili. Dalla vera dottrina circa l’origine dell’autorità segue che colui che viene insignito del supremo potere in una società, è propriamente un ministro di Dio. Non è in verità ministro del popolo, se non nel senso che egli adempie il suo ufficio a favore del popolo. Nella dignità del superiore quale ministro di Dio si fonda ciò che si dice maestà e inviolabilità dell’autorità». È quindi Dio, autore dell’ordine naturale, che conferisce immediatamente e direttamente allo Stato l’autorità. Il dettato scritturale, sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, è anche su questo punto assai perspicuo: «Per Me regnano i Re, per Me i Principi comandano» (Prov., XIII, 13); «Il Principe è ministro di Dio» (Rom., XIII, 2); «Chi resiste all’autorità, resiste all’ordine di Dio» (Rom., XIII, 4).

Il tocco guaritore dei sovrani, tuttavia, consente ulteriori considerazioni. Dicevamo trattarsi di un miracolo, per dir così, ‘politico’, tendente a confermare l’origine divina dell’autorità temporale. Esso pure comprova un altro punto della dottrina sociale cattolica: la monarchia è la miglior forma di governo. Sono infatti dei Re, dei Monarchi, che compiono il rito taumaturgico. La dottrina classica insegna che vi sono tre legittime forme di governo: la monarchia, governo di uno solo; l’aristocrazia, governo dei migliori; e la democrazia, governo di molti (purché non presupponga l’erronea dottrina della cd. sovranità popolare). Tali regimi politici, se rispettano la legge di natura e la religione rivelata, sono egualmente legittimi. Presentano, tuttavia, una gradazione di perfezione, dal meno al più perfetto, in ordine al fine che lo stato legittimo persegue, che è il bene comune.

San Tommaso d’Aquino.

La monarchia è il più perfetto, seguito dall’aristocrazia, per finire con la democrazia. San Tommaso d’Aquino nel De Regimine Principum dedica alcuni fondamentali capitoli a dimostrare l’eccellenza della monarchia da un punto di vista filosofico. Tale supremazia della forma monarchica è inoltre attestata, oltre che dalla retta ragione, anche dalla storia della civiltà cristiana e dall’esempio della Sacra Scrittura. La monarchia fu il regime politico quasi esclusivo della civiltà cristiana me- dioevale. Erano pure presenti le altre forme di governo. Si pensi alla democrazia dei Cantoni Svizzeri, o alla costituzione aristocratica di Stati prestigiosi e potenti come le Repubbliche di Genova e Venezia. Tuttavia il Cristianesimo non ha mai nascosto la sua predilezione per la monarchia. L’esempio dell’Antico Testamento, ove si narrano particolareggiatamente le vicende dei Regni d’Israele e Giuda, quello del Nuovo, ove lo stesso Cristo si proclama pubblicamente discendente del Re Davide, Re egli stesso, ove continuamente s’accenna al nuovo Regno che il Messia, l’Unto per eccellenza, è venuto a fondare, furono modelli troppo evidenti e importanti per non essere tenuti in considerazione in quelle epoche di fede. Cristo istituì poi la Chiesa secondo il modello della monarchia, ponendone al vertice, quale sovrano supremo, il Vescovo di Roma. Papa Pio VI (1775-1799) nell’Allocuzione al Sacro Collegio del 17 giugno 1793, commentando la drammatica, ma religiosa dipartita del Re Cristianissimo Luigi XVI (1775-1793), vittima della ferocia rivoluzionaria, rovescia completamente la tesi giacobina, che considera la monarchia il governo peggiore, incompatibile per essenza con gli ‘immortali princìpi’, sottolineando invece con forza, quale aggravante dell’empietà rivoluzionaria, l’abolizione della monarchia francese:  «La Convenzione … dopo aver abolito la monarchia, la miglior forma di governo, aveva trasferito tutto il pubblico potere al popolo, che non si comporta né secondo ragione, né secondo consiglio, e che non si forma su nessun punto delle idee giuste, apprezza poche cose in base a verità e moltissime ne valuta secondo l’opinione; che è sempre incostante, facile da ingannare, attirato da tutti gli eccessi, ingrato, arrogante, crudele; che gioisce nella carneficina e nell’effusione di sangue umano… ». La Chiesa, in sintonia con la sua predilezione per tale più perfetto regime politico, istituì appositamente per la monarchia il rito della consacrazione. Solo Re ed Imperatori, durante i felici secoli della civiltà cristiana, erano consacrati col rito dell’Unzione. Insomma:

(1) ragioni filosofiche;

(2) esempi storici;

(3) il modello della Sacra Scrittura;

(4) l’esempio di N. S. Gesù Cristo;

 (5) la costituzione monarchica della Chiesa Cattolica;

(5) il rito della Consacrazione dei Re, tutto predica a favore di tale forma di governo a preferenza delle altre. Non si può infatti dirsi cattolici, se non si è anche monarchici. Il miracolo dei Re conferma in pieno tali conclusioni.
Enrico II d’Inghilterra.
Gli autori che trattano del rito taumaturgico dei Re sottolineano spesso la sua connessione colla cerimonia dell’Unzione. «Confesso che assistere il Re equivale [per un chierico] compiere una cosa santa; perché il re è santo; egli è l’Unto del Signore; non invano ha ricevuto il sacramento dell’unzione», affermava con forza Stefano di Blois riferendosi ad Enrico II d’Inghilterra. «Il Re inoltre non solo è tenuto al culto divino come uomo e come signore, ma anche come Re, perché i Re sono unti con olio consacrato, come  risulta chiaro nel caso dei Re del popolo d’Israele, che venivano unti con olio santo dalle mani dei Profeti. Per- ciò erano anche detti Unti del Signore, per eccellenza di virtù e di grazia in unione con Dio, delle quali dovevano essere dotati. Per quest’unzione essi ottenevano un certo ossequio e un certo conferimento d’onore», insegna a sua volta San Tommaso. E si potrebbero citare altri esempi. Il Dottore Angelico con l’espressione «per quest’unzione essi ottenevano un certo ossequio e un certo conferimento d’onore», indica con chiarezza che non è l’Unzione che costituisce il sovrano. Il monarca riceve, infatti, la sua autorità diretta- mente da Dio. Tale potestà preesiste all’unzione. Il potere temporale si fonda sulla legge e l’ordine di natura, il cui autore è Dio. L’ordine soprannaturale, disciplinato in terra dall’autorità ecclesiastica, presuppone l’ordine naturale, lo perfeziona anche, ma non lo costituisce. Dio avrebbe potuto elevare il potere temporale dello Stato dall’ordine naturale a quello soprannaturale, come è avvenuto per il matrimonio, ma non l’ha fatto. Il Sacramento del Matrimonio (ordine soprannaturale) infatti presuppone il contratto (ordine naturale). Nel momento in cui in una monarchia ereditaria il titolare della sovranità muore, subentra il successore che, se, da un lato, riceve mediatamente e accidentalmente il potere per il fatto di appartenere a quella famiglia, dall’altro, in sé e per sé, l’ottiene formalmente, direttamente e immediatamente da Dio, sen- za doverlo a nessun altri che a Dio. L’unzione in questo senso profondo conferisce al sovrano solo “un certo ossequio e un certo conferimento d’onore”. In un’aristocrazia, in una democrazia, in una monarchia elettiva avviene la medesima cosa. Così il Papa, eletto dal Conclave, il Collegio che raccoglie l’aristocrazia della Chiesa, i Cardinali, una volta eletto non risponde ad altri che a Dio.
Sant'Ambrogio converte Teodosio il Grande,
tela di Pierre Subleyras, 1745.
 Mediatamente e accidentalmente il Pontefice Romano (nella monarchia elettiva che regge la Chiesa cattolica) è designato dal Conclave, avendo tale organo collettivo un effettivo potere di ‘designazione’ del candidato al Papato, ma formalmente, direttamente e immediatamente l’autorità proviene al Papa da Dio. L’autorità del Conclave è limitata alla scelta del candidato al Sommo Pontificato. Prima del diffondersi della consuetudine della consacrazione degli Imperatori e dei Re, v’erano certamente legittimi Re ed Imperatori cristiani, ben consci della propria autorità e dell’origine divina di essa. Teodosio il Grande (379-395) che emanò l’Editto di Tessalonica (380 d.C.) con cui inizia la vicenda dell’Impero Cristiano, non venne mai unto o consacrato. Pure il pio monarca era ben consapevole della sacertà del suo mandato e della origine divina della potestà che esercitava, come attesta la sua politica a favore della religione rivelata. Si comprende come, ben presto, sulla scorta dell’esempio biblico, sia andata diffondendosi la prassi di ungere e consacrare i sovrani con un’apposita cerimonia. Essa va riguardata sotto un duplice aspetto:



 a) da un punto di vista sacramentale;

b) da un punto di vista dottrinale.



Astrattamente parlando, NS Gesù Cristo avrebbe potuto elevare la potestà po- litica dall’ordine naturale, ove poggia per volontà di Dio, all’ordine sovrannaturale, istituendo un apposito sacramento che conferisse e stabilisse soprannaturalmente l’autorità temporale, come avvenne per il matrimonio, per cui non vi sono vere nozze tra battezzati senza sacramento, il contratto naturale essendo insufficiente a stabilire e costituire un vero matrimonio. In questo caso il potere temporale dipenderebbe direttamente dall’istituzione cui Gesù Cristo commise la cura dell’ordine soprannaturale: la Chiesa Cattolica. Se così fosse stato, ne sarebbe derivata alla Chiesa un’autorità diretta non solo, come è ovvio, sulle cose sacre inerenti al fine della sua istituzione (la salus animarum), ma pure su quelle temporali (potestas directa in temporalibus). La Chiesa tuttavia non dispone di tale potere. Essa non costituisce i sovrani e i capi di governo. Dio, tuttavia, è autore sia dell’ordine e della legge di natura, sia dell’ordine e della legge sovrannaturali. È capo sia della Chiesa sia dello Stato. È istitutore sia del Sacerdotium che dell’Imperium. Tra le supreme potestà, che reggono le sorti dell’umanità, vi è quindi relazione. La Chiesa, infatti, in ordine alla maggior per- fezione del suo fine, ha una supremazia sullo Stato, quella che i teologi chiamano Potestas indirecta in temporalibus ratione peccati, potere indiretto sulle realtà ter- rene in ordine al peccato. I sovrani cattolici, non solo in quanto privati, ma pure come detentori della su- prema autorità, necessitano, come ogni altro fedele, della Chiesa per salvarsi. Per questo devono rispettarla, amarla, e sottomettersi alla sua potestà magisteriale, sacramentale e disciplinare. Lo Stato e l’autorità suprema che lo regge, infatti, non sono stati istituiti da Dio per se stessi. Essi hanno come fine diretto la prosperità temporale, ma indiretta- mente concorrono con la Chiesa allo scopo ultimo dell’uomo redento, che è la salvezza ultramondondana dell’anima immortale. Per questo la relazione e il rapporto tra le due potestà non può essere, né di stretta dipendenza l’una dall’altra, né di reciproca ignoranza od ostilità, ma di casta alleanza. Tale idea è ben espressa dalla mistica ceri- monia dell’unzione degli Imperatori e dei Re.
Il rito dell’unzione non è un vero e proprio sacramento, ma un sacramentale. Questa distinzione è fondamentale. I sette Sacramenti, istituiti direttamente da Cristo in ordine alla santificazione delle anime, producono il loro effetto soprannaturale ex opere operato. Sono, cioè, efficaci per se stessi, a prescindere sia dalle disposizioni di chi li conferisce, sia di chi li riceve. «La santificazione è prodotta dal Sacramento stesso come tale, indipendentemente dalla santità del ministro, e anche senza che le disposizioni del ricevente vi concorrano come causa efficiente» . Essi costituiscono chi li riceve nell’ordine soprannaturale. Poiché la potestà temporale deriva da Dio in quanto autore dell’ordine di natura, e non avendo disposto il Divin Redentore l’elevazione di tale autorità all’ordine soprannaturale, è conseguente che il rito dell’unzione dei sovrani non sia mai stato in- teso come vero e proprio sacramento, bensì come sacramentale. Vero sacramento è invece quello che conferisce autorità nella Chiesa, società perfetta soprannaturale. «L’Ordine è il Sacramento della potestà ecclesiastica. Esso infatti conferisce direttamente la potestà di santificare (potestà di Ordine) e dà insieme una particolare idoneità al governo e all’insegnamento sacro» . I Sacramentali, dice il Codice di Diritto Canonico Pio-Benedettino al can. 1144, “sono cose o azioni, che la Chiesa suole adoperare, imitando in qualche modo i Sacramenti, per ottenere mediante la sua impetrazione, effetti specialmente spirituali”. Vi sono tre specie di sacramentali:

 1) le consacrazioni;

2) le benedizioni;

 3) gli esorcismi.

«Le Consacrazioni sono riti con cui si costituiscono sacre, cioè dedicate a Dio, in modo irrevocabile e solenne, alcune persone o cose […] Uno di questi riti è vero sacramento, cioè la Cresima; gli altri riti consacratori sono sacramentali. Elemento essenziale è l’unzione con Olii sacri: l’olio penetrando profondamente l’oggetto unto, serve ad indicare molto bene la dedicazione completa dell’essere al servizio di Dio. Ministro della Consacrazione è per sé il Vescovo».  L’efficacia spirituale dei sacramentali si ottiene, parte ex opere operantis, ossia dalle disposizioni individuali di chi li riceve, parte mediante l’impetrazione della Chiesa: «Non si applicano in essi i meriti di Cristo ex opere operato [come per i sacramenti veri e propri]; insieme però si esclude anche che tutta l’efficacia sia ex opere operantis: l’efficacia viene soprattutto dalle suppliche della Chiesa. Poiché Cristo ha promesso di esaudire le suppliche della sua Sposa, i Sacramentali hanno un’efficacia ben grande». La Chiesa dal conferimento dei Sacramentali si ripromette principalmente dei benefici spirituali come «l’eccitamento ad atti di Fede, di Speranza, di Carità ecc., e con- seguentemente, a seconda della perfezione di questi atti, condono di pene, remissione di colpe e infusione di Grazia santificante. L’infusione diretta della Grazia non vi è inclusa, essendo riservata ai Sacramenti». Il sovrano, quindi, che s’accosta devotamente al rito consacratorio, riceve un Sacramentale, che non gli conferisce l’autorità, che detiene già per divina disposizione prima della cerimonia, ma, grazie ed in virtù dell’impetrazione della Chiesa, ottiene una serie di Grazie che gli saranno d’ausilio nel compimento dei suoi doveri di sovrano.
Il rito consacratorio non è dunque necessario stricto iure perché un Principe cattolico eserciti, nel rispetto della legge di natura e della Rivelazione, le sue prerogative sovrane. Il suo potere, la sua persona sono sacre anche prescindendo dalla benedizione e consacrazione della Chiesa. Vi furono ottimi Re ed Imperatori cattolici, che mai ricevettero tale consacrazione, e questo nulla tolse alla legittimità della loro autorità. Non si può a meno di cogliere, tuttavia, la convenienza per cui ordinariamente un monarca cattolico si sottoponga a tale solenne cerimonia. Essa esprime in maniera assai perspicua, semplice ed armoniosa, un punto capitale della dottrina cattolica: l’alleanza tra il potere dei Principi e l’autorità dei Pontefici sotto il supremo dominio di Dio, istitutore dell’una e dell’altra autorità. Nella cerimonia della Consacrazione ed Incoronazione degli Imperatori e dei Re si coglie l’unità e indivisibilità della società cristiana, pur nella distinzione tra ordine naturale e legge soprannaturale, tra potestà temporale e potere sacerdotale. Il monarca legittimo cui Dio, autore e creatore dell’ordine di natura, conferisce immediatamente la potestà sovrana, riconosce, sottomettendosi alla cerimonia dell’unzione, che tale autorità è anche al servizio dell’ordine soprannaturale e della legge di Grazia. La Chiesa gerarchica, per parte sua, con la sua speciale impetrazione, chiede a Dio, autore della natura e istitutore dell’ordine sovrannaturale, che il Principe ottenga in modo sovraeminente e sovrabbondante le grazie che gli sono indispensabili per l’esercizio della sua prerogativa. Il rito conferma visibilmente, tramite il conferimento dell’Olio santo, la speciale dedicazione del sovrano cattolico, non solo alla conservazione della legge di natura, ma soprattutto a difesa e salvaguardia della Religione Rivelata. Ne sottolinea la sacertà, la sacralità, il fatto che l’autorità divina di cui è investito, lo pone su di un pia- no che, se non è certo equiparabile a quello Sacerdotale, non è, tuttavia, neppure semplicemente e meramente profano e laico. La Chiesa ha, così, tradotto, con una speciale cerimonia, l’idea misteriosa, ma salutare, che il potere temporale è d’istituzione divina, e che riveste una sua singolare sacralità in ordine alla conservazione della legge di natura e alla salvaguardia dell’or- dine soprannaturale (religione rivelata). Da un punto di vista giuridico, poi, la cerimonia dell’Incoronazione comporta- va anche l’impegno solenne assunto sotto giuramento dal Sovrano di rispettare i diritti della Chiesa e dei vassalli. Il giuramento prestato in tale fastosa occasione vincola- va maggiormente il monarca alla fedeltà ai solenni impegni presi davanti a Dio, al potere sacerdotale ed ai rappresenti del regno, o dei regni di cui era sovrano, nel caso del Sacro Imperatore, che lo assistevano durante la consacrazione. Così l’Imperatore, prima della cerimonia vera e propria, era condotto dal deca- no dei Cardinali diaconi nella Chiesetta di S. Maria in Turri, ove, tenendo la mano sul Vangelo sorrettogli da un suddiacono, pronunciava il seguente giuramento: «Io, N. Re dei Romani, per divina disposizione futuro Imperatore, prometto, garantisco, attesto e giuro, dinanzi a Dio e al Beato Pietro, che per il resto sarò difensore e protettore della Santa Chiesa Apostolica Romana, e tuo, N., della medesima Chiesa Som- mo Pontefice, e dei tuoi successori, in tutte le vostre necessità ed interessi, custodendo e conservando i vostri possessi, dignità e diritti, in quanto, sostenuto dall’aiuto di Dio, sarò capace, come saprò e potrò, con retta e pura fedeltà. Così mi soccorrano Dio e questi suoi santi Vangeli».


Stefano di Blois.
Rovesciando la più volte citata espressione di Stefano di Blois: «Il Re è santo; egli è l’Unto del Signore; non invano ha ricevuto il sacramento dell’unzione», potrebbe dirsi che il Sovrano legittimo è unto proprio perché è sacro. Egli è di già sacro, prima e senza l’unzione. La Consacrazione, però, operata dalla Chiesa, che sola dispone sulla terra del potere di santificare e benedire, dichiara tale sacralità d’origine divina. La Chiesa, istituendo la cerimonia della Consacrazione, ha tradotto col linguaggio mistico che le è proprio, la dottrina dell’origine divina della prerogativa sovrana. Nella cerimonia solenne e complessa con cui il Sacro Romano Imperatore, il principe titolare della potestà universale in temporalibus, era unto e incoronato a Roma dal Pontefice Romano, Gerarca e Pastore supremo della Chiesa Universale, s’evidenza con chiarezza tale connotazione della potestà sacra temporale. Accanto infatti ad elementi strettamente connessi all’esercizio della sovranità temporale, come la consegna delle insegne del potere: corona, spada, scettro, pomo d’oro, ve ne sono altri nella cerimonia che sottolineano, alla maniera ecclesiastica, tale tratto distintivo:

 (I) l’Imperatore si prosterna a terra e su di lui si cantano le Litanie che s’impiegano nell’ordinazione del Suddiacono;

(II) poi avviene l’Unzione vera e propria: «Procedono all’altare di San Maurizio, dove il Vescovo di Ostia unge col segno di croce con Olio dei catecumeni il suo braccio destro e le scapole…». Si noti che dal secolo X il Pontificale Romano ha svilito la prassi dell’unzione imperiale:

(a) introducendo l’uso dell’Olio dei catecumeni al posto del Sacro Crisma, unguento più pregiato;

 (b) restringendo l’unzione al braccio e alle scapole, e non, come in antico, sul capo e sulla mano alla maniera episcopale. Solo nei regni più pre- stigiosi della Cristianità (Francia, Inghilterra e Germania) l’antica prassi rimase in vigore.

(III) Subito dopo l’unzione il sovrano riceve dal Papa il bacio della pace “sicut unum ex diaconibus”226 [come uno dei diaconi].

(IV) All’Incoronazione, secondo momento capitale della cerimonia, il Papa pone la corona “supra mitram imperiale”, ossia la corona s’appoggia su una mitria simile a quella dei vescovi . Al riguardo va poi menzionato il fatto che il Sacro Imperatore veste durante la cerimonia paramenti para-sacerdotali come la tunica, la stola, la dalmatica (para- mento proprio del Diacono) ed il piviale, il “manto” citato nell’Ordo del Pontificale Romano.

 (V) L’azione liturgica, tuttavia, davvero notevole e che vale la pena di commentare è la seguente: durante la Santa Messa pro Imperatore, all’Offertorio, l’Imperatore “more subdiaconi offert [Pontifici] calicem et ampullam”[alla maniera del suddiacono porge al Papa il calice e l’ampolla].

Dopo il conferimento dell’unzione con Olio sacro e la consegna della Corona, si ha qui il momento massimo dell’espressione ecclesiastica delle potestà sacra dell’Imperatore. Egli porge al Pontefice, il quale sta esercitando il potere sacerdotale nella consacrazione delle Sacre Specie, il Calice, il vaso sacro ove sarà raccolto il Vino tra- sformato in Preziosissimo Sangue di NS Gesù Cristo, e l’ampolla con l’acqua da aggiungere al vino, simbolo della natura umana di Cristo.
Un semplice profano non avrebbe mai avuto accesso ai Vasi sacri, con cui si compie il rito principale della religione rivelata, il Santo Sacrificio della Messa. Così il sacro Imperatore partecipa «more subdiaconi», come un suddiacono, alla liturgia sacerdotale per eccellenza del Cattolicesimo. L’Ordo della consacrazione specifica:  «stat ibi [ad altare]»fino alla Comunione. L’Imperatore rimane presso l’Altare, ove il Pontefice offre a Dio il S. Sacrificio della Messa, nel Presbiterio, il luogo sacro per eccellenza dell’edificio di culto, fino alla conclusione del rito. In questa rubrica v’è l’intenzione di sottolineare la sacertà del sovrano, che «alla maniera del suddiacono», come un chierico ordinato, rimane accanto al Pontefice Romano, presso l’Altare, il fulcro dell’azione sacrificale, fino al compimento del rito sacro. (VI) Infine il sovrano riceve la Santa Comunione, sotto le due specie, ossia be- vendo al Calice, con il bacio della pace, come un sacerdote . «La  consacrazione [unzione]non era il solo atto che mettesse in luce il carattere quasi-sacerdotale dei re. Quando, verso la fine del secolo XIII, ci si abituò a riservare rigorosamente ai preti la comunione sotto le due specie, accentuando così energicamente la distinzione tra il clero e i laici, la nuova regola non venne applicata a tutti i sovrani. Nella sua consacrazione, l’imperatore continuò a comunicare sia col pane sia col vino».

Incoronazione a Roma di Carlo Magno a
Sacro Romano Imperatore (Natale dell'800).
Sarebbe da chiedersi se questa suggestiva cerimonia, che certo non costituisce il Sacro Romano Imperatore in quanto Imperatore, lo costituisca come vero Suddiacono. Essa, per certi versi, riveste un’importanza ancora maggiore, in ordine all’espressione della natura divina dell’autorità imperiale e della sacralità del sovrano, rispetto all’Unzione vera e propria, anche se, da un punto di vista simbolico, il rito dell’Olio, con il suo retaggio biblico, si mostra più appariscente e comprensibile. La domanda che ci si pone, infatti, è: l’Imperatore è un vero Suddiacono? Ovvero, durante la liturgia della sua Incoronazione gli viene conferito tale Ordine sacro? Se così fosse, secondo la più probabile e comune tesi teologica, il sovrano riceverebbe il Sacramento dell’Ordine sacro, e non un mero sacramentale. Ciò tuttavia non avverrebbe in virtù dell’Unzione sacra. Il conferimento del Sacramento, in tale ipotesi, sarebbe la consegna (traditio instrumentorum) al Sovrano del Calice sacro e dell’Ampolla, prerogative appunto dell’Ordine del Suddiacono. Solo nell’amministrazione della Cresima e nell’Estrema Unzione infatti l’Olio Sacro è materia necessaria del Sacramento.
In tutti gli altri casi, l’unzione è un rito accessorio, e quindi con valore di sacra- mentale. Così tra i riti accessori del Battesimo è contemplata sia l’unzione con l’Olio dei Catecumeni, sia, dopo il Battesimo vero e proprio, quella col Sacro Crisma. Nel conferimento dell’Ordine Sacro è pure prevista, ma sempre come rito accessorio e quindi come sacramentale, la sacra Unzione, sulle mani per il presbitero, sulle mani e sul capo con il Crisma per il Vescovo, che detiene la pienezza del Sacerdozio. Altra è la materia che conferisce con la debita formula il Sacramento vero e proprio: l’impositio manuum, l’imposizione delle mani. Nel caso del Suddiacono, invece è la consegna dei vasi sacri, (calice e patena) e dell’ampolla, che conferisce l’Ordine sacro, proprio come avviene al Sacro Imperatore al momento della sua consacrazione. Se così fosse, la cerimonia, con la consegna al Monarca principale della Cristianità del Calice sacro e dell’Ampolla, lo costituirebbe come vero Suddiacono.
Il Sacramento dell’Ordine costituisce nella Chiesa l’autorità governante. Esso conferisce, seppure in gradi diversi, la potestà di santificare. “I riti che conferiscono i poteri sacri sono otto nella Chiesa Latina, due sacerdotali [Episcopato, e Sacerdozio vero e proprio] e sei ministeriali [Diaconato, Suddiaconato, Accolitato, Esorcistato, Lettorato, Ostiariato]. Però i due Ordini sacerdotali si soglio- no computare come uno solo, perché l’Episcopato non è che un ampliamento del Presbite- rato. Rimangono dunque sette Ordini (numero mistico). Tuttavia non sono a rigore sette Ordini distinti, ma piuttosto sette gradi di uno stesso Ordine, perché tutti dicono relazione più o meno prossima all’Eucaristia. I tre gradi ministeriali inferiori ordinano remotamente all’Eucaristia: l’Ostiariato accogliendo il popolo in Chiesa; il Letto- rato istruendolo, l’Esorcistato provvedendo alla sua disciplina e soprattutto rimovendo un ostacolo alla Comunione (il dominio del demonio). I tre gradi ministeriali superiori ordinano prossimamente all’Eucaristia: l’Accolitato conferendo il potere sugli utensili non sa- cri necessari al Sacrificio; il Suddiaconato conferendo il potere sui vasi sacri; il Diaconato sulla stessa Eucaristia consacrata. Il Sacerdozio poi consiste soprattutto nel potere di consacrare l’Eucaristia, mentre l’Episcopato trasmette ad altri questo stesso potere consacratorio. Quest’unità dell’Ordine si deve concepire […] come l’unità di un tutto potestativo, nel quale i singoli partecipanti possiedono la stessa cosa in grado più o meno perfetto […]: colui che sta nel grado superiore possiede tutto quello che hanno i gradi inferiori e qualche cosa di più” . Oltre alla distinzione tra Ordini sacerdotali e ministeriali, v’è anche quella tra Ordini sacri o maggiori (in senso stretto) e Ordini non sacri o minori: “Ordine sacro è quello che dà potere diretto sulle cose sacre ed esige una speciale consacrazione a Dio mediante l’accettazione del celibato […]. Dal secolo XI in poi i La tini cominciarono a considerare come sacro anche il Suddiaconato, soprattutto perché […] realmente dà potere su cose sacre, ossia sui Vasi sacri eucaristici” . Il Suddiaconato è il primo degli Ordini Sacri, assieme al Diaconato e al Sacerdozio, di cui l’Episcopato rappresenta il perfezionamento. Esso fu istituito in aiuto dei Diaconi, sia nelle funzioni liturgiche, sia nell’amministrazione dei beni della  Chiesa. Il rito d’ordinazione del suddiacono indica come suo primo ufficio: “Aquam ad ministerium altaris preparare [Preparare l’acqua per il ministero dell’altare]. Come primo e più nobile ufficio del Suddiacono viene indicato quello d’in- fondere l’acqua nel Calice all’Offertorio della Messa, come il Diacono infonde il vino: è un’azione molto breve e poco appariscente, ma si tratta di preparare immediatamente la materia del Sacrificio, e precisamente in quella particolarità della mistione dell’acqua nel vino, che ha un alto valore mistico […]simboleggiando l’unione delle due nature in Cristo e la congiunzione delle membra del Corpo mistico con il capo, Cristo” . Accanto ad altre mansioni il Suddiacono ha inoltre la cura dei Vasi Sacri occor- renti per il S. Sacrificio: “Calicem et Patenam in usum Sacrificii eidem offerre” [Porge- re al Diacono il Calice e la Patena per il Sacrificio]. In questo modo al Suddiacono è conferita potestà sui Vasi sacri in ordine al Sacrificio Eucaristico. Qual è la natura sacramentale dei vari Ordini?  L’Episcopato e il Sacerdozio sono certamente Sacramenti. Si discute se lo siano o meno anche gli altri Ordini. È comunque dottrina certa che il Diaconato è vero Sacramento , mentre è più probabile che lo siano anche gli altri Ordini: “La questione è se a questi Ordini sia annessa la grazia sacramentale, e perciò abbiamo ragione di vero Sacramento: a) Molti, soprattutto tra i moderni teologi, lo negano […] b) Altri tuttavia, con San Tommaso, quasi tutti gli Scolastici, Tomassino e L. Billot, ritengono che questi Ordini nella loro sorgente, ossia nel Diaconato, siano d’istituzione divina, e che Cristo abbia poi lasciato alla Chiesa il potere di dividere il diaconato in vari Ordini inferiori […]: opinione che, un tempo comune tra gli Scolastici, noi consideriamo come più probabile”236. Tuttavia, anche prescindendo dalla questione se il Monarca sia o non sia ordinato e costituito vero Suddiacono al momento della sua solenne Consacrazione ed In- coronazione da parte del Sommo Pontefice, ovvero se egli riceva o meno il Sacramento dell’Ordine e quindi il Carattere e la grazia sacramentale che gli sono annessi, rima- ne il profondo significato teologico e dottrinale incluso alla partecipazione attiva more suddiaconi del depositario della Monarchia Universale, del Principe eminente della Cristianità, dell’Alter ego in temporalibus del Papa, alla cerimonia sacerdotale per eccellenza: il Santo Sacrificio della Messa cattolica. Non si sottolineerà mai a sufficienza l’importanza di tale situazione. Lex orandi, Lex credendi, la norma della preghiera è anche norma e regola della fede, recita un celebre adagio. La liturgia dell’Unzione imperiale nei suoi due elementi centrali, ossia l’Unzione del sovrano, e la sua attiva partecipazione more suddiaconi, come un sud- diacono, al Santo Sacrificio della Messa, gettano uno squarcio sulla concezione sacrale del potere politico. (1) Il Sovrano riceve l’Unzione, che non è un Sacramento, ma un Sacramentale, e che non lo costituisce come monarca, ma, pur nella sua solenne fastosità, appare come un rito accessorio e declaratorio. Ciò conferma la dottrina dell’origine divina del potere temporale, che si appoggia alla legge di natura, di cui Dio è l’autore. (2) Tuttavia, durante la Santa Messa della Sua Consacrazione (Missa pro Impe- ratore), esercita un reale potere sui Vasi sacri come un Suddiacono in ordine alla cerimonia essenziale della Chiesa Cattolica: il Santo Sacrificio della Messa. Come ammetteva candidamente il celebre canonista Guglielmo Durando, senza dirimere la questione se l’Imperatore fosse o no un vero suddiacono: “Esercita tuttavia tale ufficio [di suddiacono], poiché nel giorno della sua ordina- zione, dapprima viene ricevuto come canonico dai canonici di San Pietro, serve poi al Si- gnor Papa durante la Messa nell’ufficio di suddiacono, preparando il calice e compiendo quel che gli compete” . Così il potere sacerdotale ha espresso l’idea della sacralità della suprema autori- tà politica. Sull’esempio biblico, il detentore del potere politico non solo era degno d’essere unto, come i Sacerdoti, ma soprattutto partecipava attivamente, predisponendo la materia del Santo Sacrificio e preparando i Vasi sacri, al Santo Sacrificio. La sua dignità sacra lo rendeva abile ad  esercitare una funzione sacerdotale. Certo egli non godeva della pienezza di tale potere, che, la Provvidenza, isti- tuendo la Chiesa, aveva ordinato distinta dall’autorità temporale. Tuttavia, essendo unica la fonte delle due autorità, era come se vi fosse un punto di contatto. Insomma, l’Imperatore non era affatto un semplice laico.    Certamente la Chiesa Docente, equiparando la carica massima temporale della Cristianità all’Ordine minore del Suddiaconato, intendeva sottolinearne la costitutiva inferiorità rispetto alla pienezza del Sacerdozio. Un umile e povero parroco di campagna della più sperduta landa era, da questo punto di vista, di gran lunga superiore al principe più potente della terra. Il primo, infatti, disponeva di un potere diretto in ordine all’elemento più importante del culto e della religione cattolica: poteva consacrare le Sacre Specie, rinnovando come alter Christus il Sacrificio della Croce nella Santa Messa. Tale potestà il Sacro Romano Imperatore non aveva. In questo senso si ribadiva, anche liturgicamente, l’inferiorità dell’ordine naturale rispetto a quello soprannaturale. Tuttavia, v’era anche il rovescio della medaglia. Se, giusta il costante insegna- mento della Chiesa, la potestà naturale dei Principi legittimi era sottomessa ratione peccati al magistero e alla disciplina della Chiesa gerarchica, era anche vero, come di- mostrava il ministero suddiaconale dell’Imperatore che anch’esso partecipava, in qualche modo, di tale potere. Al punto che il sovrano, non come semplice laico, ma come Suddiacono, partecipava attivamente alla celebrazione della Santo Sacrificio della Messa. Da tale dottrina, come vedremo, sarebbero discese inevitabili conseguenze in ordine all’azione del monarca cattolico nella Chiesa.
L’elemento sacro presente nella potestà temporale cristiana spiega perché storicamente i sovrani cattolici rivendicarono con forza riti e prerogative che sottolineava- no e dichiaravano tale condizione non-ordinaria. Il potere sacerdotale, custode occhiuto della disciplina liturgica, sull’onda delle Riforma gregoriana del secolo XI, attenuò la portata dei riti di Consacrazione dei Sovrani. Così per mitigare l’analogia tra la Consacrazione episcopale, dove pure era presente, seppure come rito accessorio, il Rito dell’unzione sul capo col Sacro Crisma, e le cerimonie d’Incoronazione, abolì in queste ultime l’uso del Crisma, sostituito col meno pregiato Olio dei Catecumeni, e confinò l’Unzione su parti meno nobili del candidato come le scapole, il gomito, e la mano, anziché sul capo, come era in antico e come si leggeva nella Bibbia. Se tale cangiamento fu relativamente facile operare nella liturgia dell’Incoronazione imperiale, che dipendeva direttamente dal Papa, più difficile fu intervenire altrove. Così i Re di Francia, d’Inghilterra, e il Re di Germania (l’Imperatore Eletto) continuarono ad essere unti sul capo con il Sacro Crisma . L’intenzione della potestà sacerdotale non era quella d’abolire l’idea della sacralità dei Re, quanto d’attenuarla. Essa, ciò nonostante, faceva capolino nei riti più insigni della Religione cattolica. Così, in uno dei momenti più solenni della liturgia del Venerdì Santo (Feria VI in Parasceve) nelle Orationes, che si recitano per tutti i generi di persone, ed in primis a vantaggio di coloro che nella Chiesa sono costituiti in dignità, si cita espressamente anche l’Imperatore Romano: “Oremus et pro Christianissimo (si non est coronatus, dicatur: electo Imperato- re) Imperatore nostro N. ut Deus et Dominus noster subditas illi faciat omnes barbaras nationes, ad nostram perpetuam pacem.  […] Omnipotens sempiterne Deus, in cuius manu sunt omnium potestates, et omnium iura regnorum: respice ad Romanum benignus Imperium; ut gentes quae, in sua feritate confidunt, potentiae tuae dextera compriman- tur. Per Dominum. Amen. [Preghiamo anche per il nostro Cristianissimo Imperatore (se non è coronato si dica: Imperatore eletto) affinché Dio, nostro Signore, gli renda soggette tutte le nazioni barbare per la nostra perpetua pace… Dio onnipotente ed eterno, nelle cui mani stanno tutti i diritti e i poteri dei regni, guarda benignamente l’Im- pero Romano, affinché le nazioni che confidano nella forza brutale siano domate dalla potenza della tua destra].
Anche il Sabato Santo, alla Benedizione del Cero Pasquale, simbolo del Corpo di Cristo Resuscitato, si fa esplicita menzione, dopo il Sommo Pontefice, del Sacro Im- peratore. La luce del Cristo Risorto deve illuminare le due supreme potestà della Chiesa: “Precamur ergo Te, Domine: ut nos famulos tuos, omnemque clerum, et devotissi- mum popolum: una cum beatissimo Papa nostro N., et Antistite nostro N., quiete tempo- rum concessa, in his pascalibus gaudiis, assidua protectione regere, gubernare, et conser- vare digneris. Respice etiam ad devotissimum (si non est coronatus, dicatur: electo Imperatore) Imperatorem nostrum N. cuius tu, Deus, desiderii vota praenoscens, ineffabili pietatis, et misericordiae tuae munere, tranquillum perpetuae pacis accomoda: et coelestem victoriam cum omni populo suo. Per.” [Ti preghiamo dunque, affinché noi tuoi servi, il clero tutto, il devotissimo tuo popolo, assieme al beatissimo nostro Papa N., e col vescovo nostro N., concessa la pace dei tempi, ti degni, durante questi gaudi pasquali, reggere, governare,  e conservare con assidua protezione. Degnati pure di riguardare favorevolmente il nostro piissimo Imperatore N., e, conoscendo i desideri del suo cuore, accorda- gli, nella tua misericordia e nella tua bontà ineffabile, che egli goda del riposo di una pace duratura e che con tutto il suo popolo consegua quella vittoria che conduce al regno celeste].
Carlo V d’Asburgo.
Nell’occasione solenne del Triduo Pasquale, cuore della liturgia cattolica, pregando per la figura sacra dell’Imperatore, accanto a quella del Papa, si sottolineava ancora una volta l’unità e concordia dei due poteri ministeriali nella Chiesa, la loro origine divina, la loro sacralità. Si noti, per inciso, come la rubrica prevedesse la recita di dette orazioni anche nel caso in cui l’Imperatore non fosse stato effettivamente Unto dal Pontefice Romano, ma fosse solo Imperatore ‘eletto’. Evidentemente, anche in questo caso, l’Imperatore non era meno Imperatore, che dopo l’Unzione. Purtroppo l’epoca moderna vide cadere in desuetudine la solenne cerimonia della Consacrazione imperiale da parte del Pontefice Romano. Carlo V d’Asburgo (1519-1556) il 24 febbraio 1530 fu l’ultimo Sacro Imperatore a farsi incoronare dal Papa Clemente VII (1523-1534). Dopo di lui, fino alla fine del Sacro Romano Impero (1806), nessuno dei successori rinnovò l’antica cerimonia, che, iniziatasi ufficialmente nel Natale dell’800, con l’Incoronazione di Carlomagno, si protrasse, quasi senza interruzione, per poco più di sette secoli.


La monarchia sacrale cattolica volle conservare la prerogativa che fra tutte la distingueva dal semplice stato laicale e che dimostrava il possesso, seppure in grado minore, di una connotazione sacerdotale: il potere di toccare i vasi sacri.
L’Imperatore – lo si è visto – partecipava alla Messa della sua Incoronazione, non come semplice fedele, bensì come un Suddiacono, offrendo al Pontefice, all’Offertorio, il Calice e l’acqua per il Sacrificio. I monarchi non pretesero certo d’essere impiegati ordinariamente quali Suddiaconi nella Messa papale, ma vollero conservare, anche in altre solenni circostanze, quel rito che, scaturendo dal loro ministero suddiaconale, li palesava sacri e non semplici laici: la Comunione sotto le due Specie, che comportava il contatto con il sacro Calice . A partire dal XI secolo infatti, nella Chiesa Latina, cominciò a diffondersi il rito di comunicare i fedeli con la sola specie del Pane, riservando il Calice ai Sacerdoti. Motivi pratici e ragioni dottrinali spinsero la Gerarchia in tale direzione. La Comunione al Calice era praticamente difficoltosa, nonostante i vari accorgimenti escogita- ti. Inoltre, poiché chi riceveva una sola Specie, riceveva anche l’altra, il conferimento del Vino diveniva inutile. Infine, restringendosi la Comunione sub utraque Specie ai soli Sacerdoti, a coloro che soli godevano del potere consacratorio, se ne sottolineava meglio la specificità ministeriale e la gerarchia rispetto al semplice laico. I sovrani più consapevoli, comprendendo che a mano a mano che l’antica prassi andava in desuetudine a vantaggio del Clero, essi rischiavano di veder, in un certo modo, menomata la propria aura sacrale, si rivolsero all’autorità ecclesiastica perché il rito fosse loro confermato come in antico.
Incoronazione di Filippo VI di Francia.
Così i Re di Francia, che, come il Sacro Imperatore, si comunicavano sotto entrambe le Specie il giorno dell’Incoronazione, ottennero nel 1344 con Filippo VI di Francia (1328-1350) da Papa Clemente VI (1342-1352) di poter comunicare al Calice senza limitazioni242. Sul finire del ‘300 tuttavia, il diffondersi dell’eresia hussita, che si proponeva, con speciose argomentazioni, la restaurazione integrale dell’antica prassi, fece sì che i Papi guardassero con diffidenza le eccezioni alla norma, che voleva riservata ai soli sacerdoti la Comunione al Calice. Gli eretici, in effetti, giustificavano il ritorno all’antico rito, in quanto rigetta- vano erroneamente la distinzione tra laici e sacerdoti, mettendo in discussione la natura sacramentale dell’Ordine Sacro. Tutti erano sacerdoti nella chiesa immaginata da Huss: tutti dovevano quindi comunicarsi sotto le Due Specie. Anche i Sovrani pagarono le spese di tale torbidi religiosi. Così, l’Imperatore Federico III d’Austria (1440-1493), incoronato a Roma il 15 marzo 1452 da Papa Niccolò V (1447-1455) rinunciò alla Comunione al Calice . Tuttavia il rito appariva troppo essenziale alla natura sacrale dei Principi per scomparire del tutto. Così, quando, con il Concilio di Trento (1542-1564), la reazione cattolica alla ben più grave eresia protestante confermò la prassi liturigica, che escludeva i semplici fedeli dalla Comunione al Calice per i semplici laici , i Sovrani tornarono alla carica. Il Re di Francia vide confermato per sè e i suoi discendenti la Comunione sotto entrambe le Specie il giorno della Consacrazione ed in punto di morte . Gli Imperatori-Suddiaconi invece, oltre che al momento della loro Consacrazione, rinnovavano il rito al Calice nella solennità del Giovedì Santo. Sicuramente Papa Pio IV (1559-1565) confermò l’usanza all’Imperatore Massimiliano II (1564-1576) usanza che rimase in vigore fino al 1918, quando cessò la monarchia austro-ungarica erede del Sacro Romano Impero .
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Carlo I d'Austria.
Francesco Giuseppe I (1848-1916) e Carlo I (1916-1918) quindi comunicarono al Calice ogni Giovedì Santo dei loro anni di regno. Non senza profondo significato, infatti, la cerimonia avveniva in quella solennità. Il Giovedì Santo è la festa ‘sacerdotale’ per eccellenza della liturgia cattolica. Nella Missa in Coena Domini si commemora fastosamente l’Istituzione da parte del Signore Gesù del Sacerdozio e della Santo Sacrificio della Messa. Il Vescovo, poi, benedice gli Olii santi: Olio degli infermi, Olio dei Catecumeni e Sacro Crisma “unde unxisti Sacerdotes, Reges, Prophetas et Martyres” [col quale unge- sti sacerdoti, Re, profeti e martiri] che sarebbero impiegati nell’amministrazione dei Sacramenti, o nella consacrazione di persone o cose. In quella solennità, ove risplende nell’azione liturgica, quasi ad ogni passo, la potestà sacerdotale che s’esercita nel Sacrificio Eucaristico, proprio allora gli Impera- tori si comunicavano al Calice, toccando i Vasi sacri. La natura sacrale della loro autorità era ancora riconfermata, come nel giorno dell’Incoronazione. In quella medesima solennità i Re Cristiani compivano, come i Sacerdoti e i Vescovi, il Mandatum, ossia la Lavanda dei Piedi, a dodici poveri.



Fonte:

La   Monarchia Sacra.

Scritto da:

Il Realista.