sabato 14 settembre 2013

SUCCESSI OTTENUTI FRA IL CLERO (Estratto dell'opera di mons. Delasuss "Il Probblema dell'ora presente", Tomo I°) .



"Gettate le vostre reti - era detto ai Quaranta (1) e a tutti quelli che lavoravano sotto la loro direzione, a più o meno grande distanza - gettate le vostre reti come Simon Barjona. Gettatele nel fondo delle sacrestie, nei seminari e nei conventi, piuttosto che nel fondo del mare (cioè nella massa del popolo); e se non precipitate, noi vi promettiamo una pesca più miracolosa della sua".
Nubius, dopo aver preso conoscenza di queste Istruzioni, manifestava, alcuni giorni dopo il suo arrivo in Roma, il suo entusiasmo al caro Volpe: "Noi dobbiamo fare l'educazione immorale della Chiesa! questo progetto mi è parso sempre un'idea sovrumana". Infatti, Satana solo poteva concepirlo e tentare di attuarlo.
La propaganda delle false idee presso le persone del mondo può farsi quasi apertamente; ma non è così presso il clero. I suoi studi filosofici e teologici lo rendono atto a scoprire più facilmente i sofismi. Perciò si raccomandava di usare con esso molta destrezza e prudenza. "Unite la prudenza del serpente alla semplicità della colomba", era detto: pigliate le apparenze della colomba per poter arrivare ad introdurre, da veri serpenti, nel sangue di questa candida gioventù, un veleno mortale. Questo per i seminaristi ed i novizi.
Riguardo ai preti, era raccomandato di non rivolgersi a tutti nello stesso modo. Si diceva: "Mettete in moto ciò che aspira a muoversi". Di poi, metter in moto (donner le branle) fu chiamato uscir di sacristia; in altri termini distogliere l'attività sacerdotale dalle sue sante occupazioni e da' suoi principali doveri, portarla a trascurare la preghiera e lo studio, il confessionale, il catechismo e la cattedra, per darsi ad opere di secondo ed infimo ordine. "Allontanate il prete dal lavoro - dicevano ancora le Istruzioni - allontanatelo dall'altare e dalla virtù, cercate destramente di occupare in altre cose i suoi pensieri e le sue ore. Rendetelo ozioso e patriota; egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso". La corruzione morale seguirà la corruzione intellettuale, e la setta avrà il prete secondo il suo cuore.
Vincenzo Gioberti.

Quando era giunta a guadagnarne uno, lo adoperava a corrompere gli altri: "Gioberti, prete, parla ai preti il loro linguaggio", diceva uno dei Quaranta a' suoi complici, annunziando i libri che pubblicava uno di questi disgraziati, i quali fin da quell'epoca incominciarono dalla democrazia per finire nell'apostasia.
Le Istruzioni dicevano: "Quando su tutti i punti ad un tempo, questo lavoro di tutti i giorni avrà diffuso le nostre idee come la luce (quando esse saranno da per tutto, presentandosi a tutti gli spiriti come la luce si offre a tutti gli occhi); allora voi potrete apprezzare la saggezza dei consigli di cui prendiamo l'iniziativa". Nulla infatti si può immaginare di più efficace, per far accettare le false idee dal pubblico cristiano, quanto riuscire a farle adottare e propagare da un certo numero di ecclesiastici.
Bisogna dirlo, per l'istruzione delle generazioni presenti, queste speranze non furono assolutamente vane. Eccitati da esperti agitatori, si trovarono degli abati che presero a camminare col secolo nella via del progresso. Essi aprirono la loro mente a queste dottrine liberali che l'Alta Vendita metteva in circolazione, e contro le quali la S. Sede erasi tanto sforzata di premunire sacerdoti e fedeli. Fin dal 1824, il 3 aprile, Nubius poteva scrivere a Volpe: "Vi è una certa parte del clero che abbocca all'amo delle nostre dottrine con una vivacità meravigliosa".
Egli indica specialmente i preti stranieri che vanno a Roma col pensiero di crearsi una posizione. "Quest'ambizione - ci dice - ci è stata favorevole; essa ci ha aperto delle vie" che probabilmente ci sarebbero rimaste per lungo tempo sconosciute. Essa ci serve a consolidare ed a rischiarare il sentiero sul quale camminiamo, ed i loro lamenti, avvalorati da tutti i commenti e da tutte le maledizioni, ci offrono dei punti d'appoggio non mai sperati. La terra fermenta, il germe si sviluppa, ma la messe è ancor ben lontana".
Qualche tempo dopo, egli scriveva all'ebreo prussiano Klauss: "Non si contano più i preti guadagnati, i giovani religiosi sedotti, non lo si potrebbe, ed io neppure lo vorrei. Ma vi sono degli indizi che non ingannano guari gli occhi esercitati, e si sente da lungi, molto da lungi, il movimento che incomincia. Per fortuna, noi non abbiamo la petulanza dei Francesi; noi lascieremo maturare il frutto prima di raccoglierlo: è il solo mezzo da usare con sicurezza".
Non era soltanto Nubius che nudriva queste speranze. "Un giorno del 1825 o del 1826 - narra Lacordaire - io batteva alla porta d'un vecchio carbonaro, uomo di spirito, di dottrina, d'esperienza e che mi disse forse le due parole che più mi hanno colpito in tutta la mia vita. Non ne riferirò che una, perchè è la sola che riguardi il mio soggetto. Io era credente, ed anche mi sentiva già prete ed un poco frate; il mio uomo ne era mille leghe lontano. Parlammo della Chiesa. "Bah! - egli mi disse - vi credete voi? Ma la Chiesa si muore, ed io ve ne darò una prova. Non iscorgete voi il clero che
comincia a farsi liberale?" Io rimaneva come colpito dalla folgore e ne fuggii senza dir nulla. Questa parola risuonò mai sempre al mio orecchio, e il 2 febbraio 1848, un quarto di secolo più tardi, io dovea comprenderne ancor meglio la profondità".(2)
Intanto, le cose non correvano pienamente favorevoli ai congiurati.
Nel 1832, gettando uno sguardo su quello che era già stato fatto, e osservando le difficoltà che già incontrava, Nubius scriveva a Vindice: "Questi otto anni di lavoro interno aveano già recati frutti felici. Da gente sperimentata quale noi siamo, incominciavamo ad accorgerci che l'aria non circolava più tanto dolcemente intorno alla Chiesa. Le mie orecchie sempre intente come quelle d'un cane da caccia, raccoglievano con voluttà certi sospiri di anime, certe convenzioni involontarie, che sfuggivano dalla bocca di alcuni membri influenti della famiglia ecclesiastica. A dispetto delle Bolle di scomunica, e delle Encicliche, le persone venivano a noi col cuore se non col corpo. Sintomi d'ogni genere, la cui gravità stava piuttosto nel fondo che nella forma, apparivano nell'aria come grandi nuvoloni forieri della tempesta ... Se non che oggi si dice che la guerra si fa alla Chiesa, al Papa, al Sacro Collegio, alla Prelatura, ecc. Ora il prete che, come prete, considera tutte queste cose quale suo patrimonio, incomincia a riflettere. Il liberalismo a lui si presenta come un nemico implacabile, e il prete dichiara al liberalismo una guerra a morte. Perciò vedete quello che avviene. Si direbbe che il cardinale Bernetti abbia l'intuizione dei nostri piani".


Cardinale Bernetti .

Infatti, il cardinale Bernetti scrisse tredici anni più tardi una lettera molto significativa, sui progressi che il liberalismo avea fatti in una parte del clero e su ciò che ne risultava. Disgraziatamente, i timori manifestati da Nubius di vedere il clero ripudiare il liberalismo, non si sono avverati per tutti.
Il 23 gennaio 1844, Gaetano gli scriveva: "Nello spazio di pochi anni, noi abbiamo fatto molto cammino. La disorganizzazione regna dappertutto, nel Nord come nel Mezzodì, nel cuore dei nobili come in quello dei preti. Tutti hanno piegato sotto il giogo che noi vogliamo imporre all'umanità per abbassarla. Il mondo si è slanciato sul sentiero della democrazia".
Gaetano pigliava i suoi desiderii per realtà. No, non è vero il dire che tutti aveano piegato sotto il giogo che la massoneria vuole imporre all'umanità per avvilirla. Tuttavia ve ne erano e abbastanza in buon numero, tanto che l'anno seguente, il 4 agosto 1845, il cardinal Bernetti la cui perspicacia avea spaventato Nubius, potè scrivere ad uno de' suoi amici: "Vi ho sovente parlato delle nostre apprensioni sullo stato delle cose. Il Papa e il Governo cercano un rimedio al male, una fine al contagio; l'uno e l'altro fanno progressi senza che si possa arrestare il corso di questo torrente misterioso. Si agitano attorno a noi delle cose vaghe e misteriose. Si scorge molto di male e assai poco di bene. Il nostro giovane clero è imbevuto di dottrine liberali, e le ha succhiate da una cattiva fonte. Gli studi seri sono abbandonati. I giovani assai poco si preoccupano di divenire dotti teologi, gravi casisti o dottori versati in tutte le questioni del Diritto canonico. Sono sacerdoti, ma aspirano a diventar uomini,(3) ed è inaudito tutto quello che vanno ingarbugliando di fede cattolica e di stravaganze sotto questo titolo d'uomo ch'essi preconizzano con enfasi burlesca ... I più si lasciano vincere da suggestioni d'onde deriveranno evidentemente grandi crisi per la Chiesa ... Io so che in Piemonte, in Toscana, nelle Due Sicilie, come nel Lombardo-Veneto soffia sul clero il medesimo spirito di discordia. Dalla Francia ci arrivano deplorevoli notizie. La si rompe col passato per diventar uomini nuovi ... Verrà un giorno in cui tutte queste mine, cariche di polvere costituzionale e progressista, scoppieranno. Voglia il Cielo che dopo aver veduto tante rivoluzioni ed assistito a tanti disastri, io non sia testimone di nuove sventure per la Chiesa! La barca di Pietro resterà senza alcun dubbio a galla, ma io sento il bisogno di raccogliermi nella pace prima di presentarmi a rendere conto a Dio d'una vita così agitata pel servizio della Sede Apostolica. Sia fatta la sua divina volontà e tutto riuscirà pel meglio!".

Papa Gregorio XVI.

Non erano più di vent'anni che l'Alta Vendita aveva incominciato l'opera sua, ed erasi applicata a mettere in esecuzione il piano che le era stato tracciato per introdurre il massonismo nella Chiesa e già Gregorio XVI e i suoi fedeli ministri aveano ragione di lamentarsi, gettando uno guardo di tristezza e di pietà su quello che era stato fatto e uno sguardo di spavento sull'avvenire.
Non era solamente in Italia, ce lo dice il cardinal Bernetti, che l'Alta Vendita esercitava le sue seduzioni; essa aveva le sue ramificazioni in tutta l'Europa, e dovunque riportava più o meno dei successi. Il 5 gennaio 1846, cinque mesi prima della morte dell'energico e coraggioso pontefice Gregorio XVI, Tigrotto, che avea percorso l' Europa, faceva a Nubius un quadro della situazione generale. "Io ho trovato da per tutto gli spiriti molto eccitati. Tutti riconoscono che il vecchio mondo va in isfacelo e che i re hanno fatto il loro tempo ... Da per tutto ho trovato entusiasmo presso i nostri amici e indifferenza presso i nostri nemici. È cotesto un indizio sicuro e infallibile d'un felice successo". La Rivoluzione infatti scoppiò due anni dopo in tutta l'Europa, ma tutta l'energia cristiana non era ancora esaurita; di più, gl'interessi minacciati n'ebbero paura e l'istinto della conservazione scosse la indifferenza che Tigrotto si rallegrava di constatare. Sarà lo stesso nella prossima crisi che tutti sentono esser molto vicina?
Ciò che più fa temere una risposta negativa, è, oggi come nei giorni del cardinal Bernetti, lo stato d'animo d'una certa parte del clero.
Havvi al giorno d'oggi in tutte le diocesi, e si può aggiungere in tutti gli Ordini religiosi, in tutte le Congregazioni, un certo numero di giovani preti, lo spirito e le idee dei quali rendono pensierosi i Vescovi e i Superiori. Essi cadono nel Kantismo, prestano l'orecchio alle temerità dell'esegesi tedesca, si sclanciano e spingono nel democratismo: "Parlano molto - dice Mons. Isoard - parlano ad alta voce e la loro sicurezza è imperturbabile. Si giudica subito, fin dal primo incontro con loro, ch'essi intendono aprire la via in cui dovrà fatalmente inoltrarsi il clero di Francia".
Un'asserzione così penosa dimanda delle prove. Noi non le prendiamo in nessun'altra parte che nei lamenti dell'episcopato francese e del sommo pontificato.
S. Em. il card. Coullié, arcivesco di Lione, in una lettera al suo clero, dopo d'aver parlato del pericolo di scoraggiamento aggiunse: "Noi possiamo incorrere in un altro pericolo: dimenticare la potenza divina dei mezzi di santificazione messi a nostra disposizione dal Sommo Pastore e credere che dobbiamo sostituirli, notate la parola, con nuove industrie".
Mons. Lelong, vescovo di Nevers, espresse pure a' suoi sacerdoti raccolti in ritiro, la necessità di assodarsi più che mai nel vero spirito ecclesiastico e ne addusse questo motivo: "Sembra che in questo momento l'inferno si scateni contro il sacerdozio con raddoppiato furore. Passa sul clero un soffio di razionalismo e di mondanità. Gli si propone il suo ideale venuto dal di là dell'Occano; lo si vanta come il solo capace di far del prete l'uomo del suo tempo e delle società moderne".
Mons. vescovo di Belley: "Son già parecchi anni che certi sintomi, troppo manifesti per non essere veduti anche da chi meno osserva, appariscono di tal natura da far temere che nel clero di Francia lo spirito sacerdotale, l'unione e la disciplina, l'integrità stessa o almeno la purezza della fede siano in pericolo".
Mons. Luçon si è creduto in dovere di svolgere questo tema doloroso in una lunga circolare al clero della sua diocesi su certi pericoli che minacciano il clero di Francia nei tempi presenti (2 ott. 1902). Non ne citeremo che questo passo il quale rivela il carattere dei capi del movimento: "Un sintomo allarmante proprio della nostra età, è, sembra, questa confidenza in se stessi e nello spirito privato che decide tutto, osa tutto, non teme di nulla; è, senza dubbio, sotto pretesto d'imparzialità, e per evitare il rimprovero d'essere di partito preso, d'aver idee preconcette, la propensione a discutere le questioni religiose colla stessa libertà delle altre, e, disputando da filosofi, dimenticare che sono cristiani; è il disprezzo che ostentano per le dottrine e i metodi tradizionali e pei maestri più rispettati dei secoli passati; è una critica irreverente della condotta, non solo del clero di questo o quel paese, ma della Chiesa medesima, come quella che non seppe conservarsi all'altezza della sua missione; è il loro entusiasmo sistematico per una filosofia formalmente condannata dalla Santa Sede; è una tendenza generale al naturalismo nella teologia, nella Santa Scrittura, nella storia; è l'infiltrazione nei loro scritti dello spirito razionalista e protestante; è la leggerezza e il cuor contento con cui si ammettono, direi si abbracciano, si salutano le concessioni spesso non ancora verificate dalla critica contro le nostre tradizioni nazionali o contro il carattere soprannaturale dei nostri Libri Santi e dei loro racconti; è la temerità con cui si esprime, si sostiene, si propaga tutto un complesso d'idee novatrici, di formole equivoche, di teorie pericolose; è infine l'incoscienza con cui si accettano principii che compromettono, se non sempre direttamente, almeno per via indiretta, l'ordine soprannaturale, i dogmi essenziali del cristianesimo e perfino i fondamenti della certezza. La temerità di questi autori non ha d'eguale che la temerità dei lettori a seguirli".
Per quelli che osservano, questo quadro non è per nulla esagerato.
Il vescovo di Nancy, testimonio dei medesimi traviamenti, pubblicò un opuscolo intitolato: Les périls de la Foi et de la discipline dans L'Eglise de France. Dopo averlo letto, Monsignor Fallize, vicario apostolico della Norvegia, recò a Monsignor Turinaz, questa desolante testimonianza:
"Da parecchi anni, i giornali e le riviste protestanti dei nostri paesi scandinavi non cessano di narrare ai loro lettori il rapido progresso che facevano in Francia, e soprattutto fra il clero francese, i principii protestanti. Essi non si tengono paghi di esaltare gli sciagurati apostoli usciti dal ceto di questo clero; essi si fanno forti soprattutto degli articoli di certe riviste teologiche francesi e di molti giornali che si pretendono più cattolici dei vescovi, articoli scritti tanto da preti che da laici cattolici, ma animati da uno spirito assolutamente contrario alla fede e alla disciplina cattolica.
"Leggendo questi articoli, noi missionari non abbiamo, in realtà, nessuna difficoltà a constatare ch'essi predicano, sia apertamente, sia sotto un velo assai trasparente, i medesimi errori che siamo chiamati a sradicare da questi popoli protestanti, e tante fiate ci siamo dimandati come l'episcopato francese potesse permettere che si predichi in Francia ciò che la Santa Chiesa ci die' la missione di combattere nei paesi protestanti; ce lo siamo dimandato colle lagrime agli occhi nel vedere che questa libertà, almeno apparente, accordata all'errore, non solo conduceva la Francia, la madre nutrice delle missioni, all'eresia e allo scisma, ma colpiva ancora di sterilità il nostro apostolato nei paesi in cui abbiamo consacrato le nostre forze e la nostra vita.
"Ora non piangeremo più. Dopo aver letto nei giornali francesi un certo numero di ammonizioni emanate da molti Vescovi in occasioni particolari, ho letto il vostro opuscolo: Les Périls de la Foi et de la discipline dans l'Eglise de France, nel quale, con un solo tratto di penna, disvelate tutti questi errori, quasi direi tutta questa congiura contro il Cristo e la sua Chiesa. Vi ricompensi il Signore di questa parola veramente episcopale".
Son note le parole che Mons. Germain, vescovo di Coutances, sul letto di morte disse a' suoi sacerdoti: "Signori, siate fedeli alle tradizioni della Chiesa; non datevi alla novità. Non è per mezzo dei preti che vi si lasciano trascinare che il buon Dio salverà la sua Chiesa. Si è dato alle direzioni del Papa un senso ch'esse non hanno; i giovani preti e i seminaristi ne diffidino. Io non desidero per la diocesi abati democratici".
Queste parole levarono un gran rumore. Molte Semaines religieuses le riprodussero.

Alcuni giorni dopo, ebbe luogo a Roma l'inaugurazione delle conferenze di morale che si tengono ogni mese nella chiesa dell'Apollinare. S. Em. il Cardinal Vicario credette di non poter far meglio che leggere integralmente e di commentare con una emozione che fu da tutti partecipata, le parole del santo vescovo di Coutances.

                     
Leo XIII..jpg
Papa Leone XIII.

L'anno seguente, Leone XIII parlò nella stessa guisa.
Nel maggio 1899, Mons. Mollien, ritornando da Roma nella sua città vescovile, riferì al suo clero questa conversazione che avea avuta col Papa: "Avete nel vostro clero degli abati democratici? - Io non credo, Beatissimo Padre. - Tanto meglio!" E il Papa accentuò queste due parole, aggiungendovi delle riflessioni che ne aumentavano l'importanza. Queste riflessioni che la Voix de Notre-Dame de Chartres non osava riprodurre per una discrezione eccessiva, le troviamo nella corrispondenza privata d'uno degli uditori: - Il Papa animandosi continuò: "Io sono molto preoccupato di ciò che mi vien riferito su questo soggetto intorno alle tendenze del giovine clero, di molti dei vostri collegi ... molto preoccupato ... Il Papa parla, lo si ascolta e non se ne fa nulla ... Oh! fa duopo che ciò cessi ... ciò non può durare ... Voglio mettervi buon ordine".
S. S. Pio X dimostrò la medesima sollecitudine. Leggiamo nella sua prima Enciclica: "Quanto a Noi, Venerabili fratelli, invigileremo colla massima cura affinchè i membri del clero non si lascino sorprendere dalle manovre insidiose d'una certa scienza nuova che s'adorna dell'apparenza della verità e in cui non si respira il profumo di Gesù Cristo, scienza mendace la quale, col favore d'argomenti fallaci e perfidi, si sforza di aprire la via agli errori del razionalismo e del semirazionalismo, e dalla quale l'apostolo già avvertiva il suo caro Timoteo di guardarsi".
Ricevendo, poco tempo dopo, un pellegrinaggio di cattolici della diocesi di Mantova fra i quali si trovavano diversi ecclesiastici, il Papa, per testimonianza del corrispondente del Patriota di Bruxelles, disse loro: "Ai nostri giorni, troppi sacerdoti, massime giovani (non parlo di voi, Mantovani, poichè io veggo che le vostre relazioni col vostro vescovo sono soddisfacenti), vorrebbero fare la legge ai vescovi. Questi preti presumono di saper tutto. Essi credono di non avere bisogno dei consigli altrui. Essi soli conoscono lo spirito e le esigenze dei tempi nuovi. Sono fermi nei loro disegni, ostinati nelle loro opinioni, presuntuosi all'eccesso. Essi pretendono di fare la pioggia e il bel tempo in ogni questione, in ogni circostanza, non si curano dei vescovi, ponendosi sotto i piedi non solo i loro desiderii, ma i consigli, le esortazioni, gli stessi ordini. Costoro, certamente, non sono il buon odore di Cristo, ma il fetore dell'inferno. Sono luciferetti che il Signore umilierà infallibilmente".
Al tempo della celebrazione del cinquantenario dell'Immacolata Concezione, S. S. Pio X, parlando ad un centinaio di vescovi di varii paesi, disse ancora: "Vi faccio, Ven. Fratelli, questa raccomandazione: vegliate sui seminari e sugli aspiranti al sacerdozio. Voi lo sapete: tira anche troppo sul mondo un'aria d'indipendenza mortifera per le anime; e quest'indipendenza si è introdotta anche nel santuario: indipendenza non solo rispetto all'autorità, ma eziandio rispetto alla dottrina. Ne consegue che taluni dei nostri giovani chierici, animati da questo spirito di critica sfrenata che predomina oggidì, giungono a perdere ogni rispetto per la scienza derivata dai nostri grandi maestri, dai Padri e Dottori della Chiesa, interpreti della dottrina rivelata"
Nell'udienza data agli alunni del seminario francese, S. S. Pio X ritornò su questo argomento: "Badate di non lasciarvi sedurre dal demonio della scienza, dico della falsa scienza; senza avvedervi, cadreste in una estrema rovina".
Ahimè! di questa rovina abbiamo disgraziatamente degli esempi.


Papa Pio X
Papa Pio X.

Nella lettera che abbiam citato, Mons. vescovo di Luçon osserva che, fra quelli di cui abbozza il ritratto, molti "hanno gittata via la maschera e ci hanno rattristato con defezioni che possono paragonarsi alle peggiori apostasie".
Dopo i tristi giorni della Costituzione civile del clero non si era riveduto in Francia ciò che si vede da sette od otto anni: preti che rinnegano la loro fede in piena adunanza di fedeli, che predicano l'errore o fanno pompa del loro scandalo nella parrocchia stessa dove erano stati parroci o vicari; preti che si uniscono in associazione per aprire la via ai predicatori dell'eresia. "Sono stati battezzati - dice Mons. Lelong, vescovo di Nevers - d'un nome che è la loro condanna e di cui nondimeno si gloriano; son chiamati "gli evasi" (les évadés). Essi non temono di farsi i tentatori dei loro fratelli. Voi forse avete ricevuto un giornale ch'essi diffondono nelle canoniche di Francia, per pubblicare da per tutto la loro apostasia e procurarsi aderenti ed imitatori".(4) Si videro nel 1899 spargere un appello "per evangelizzare la Francia per mezzo dei vecchi preti". Uno di questi appelli (factums) che ci sta sotto gli occhi, porta sette firme, un altro diciotto, un terzo tredici.
Un'agenzia avente una pubblicazione speciale: La Revue chrétienne, offre ai preti cattolici sospetti, come attrattiva all'apostasia, un domicilio e mezzi di sussistenza. Quanti ne ha guadagnati? Noi lo sappiamo. Il capo di quest'agenzia, l'ex abate Bouvrier, nel suo viaggio di conferenze in Germania, ha più volte affermato che ottocento preti erano evasi ed erano passati nelle sue mani. Ora un giornalista cattolico tedesco avendogli fatto sapere per lettera raccomandata che gli offriva la bella somma di 3000 marchi se poteva provare la esistenza di questi ottocento apostati, non ebbe alcuna risposta. Si fece allora un'inchiesta presso le amministrazioni diocesane. Ne risultò che. nello spazio di cinque anni, cioè dal 1° aprile 1897 al 1° aprile 1902, sessanta preti sui quarantamila che conta il clero francese, avevano abbandonata la Chiesa.
Le Christianisme au xxe siècle, nel n. del 28 luglio 1904, ha reso conto dell'assemblea dell'Opera protestante dei preti che aveva avuto luogo. Il pastore Picard, che la presiedeva, ebbe, disse, ad occuparsi durante il suo ultimo esercizio, di undici vecchi preti. Le riscossioni dell'opera salirono a 25,000 franchi. Erano state più generose gli anni precedenti, quando la morte non gli aveva rapito il "suo devoto agente Corneloup".
Il denaro viene dall'Inghilterra, e accadde più volte che gli apostati così soccorsi fossero invitati a recarsi a Londra, per dar testimonianza della loro fede protestante dinanzi alle conferenze metodiste.
Fra i disgraziati che si erano lasciati sedurre dalle idee liberali, ce n'erano nelle diverse fasi della Rivoluzione di quelli i quali, di caduta in caduta, giunsero al punto di farsi inscrivere sulle liste della setta. Essa desiderò sempre ardentemente di poter arruolare alcuni ecclesiastici: corruptio optimi pessima, scriveva Vindice, allorchè incoraggiava a lavorare per corrompere le idee nel clero. Noi abbiamo già osservato che nel documento pubblicato da Mons. Gerbet, era detto: "È sommamente importante di non trascurar nulla per trarre nel nostro ordine i membri ragguardevoli del clero". La setta si ricordava di quello che aveva ottenuto prima nell'89; le sue tentazioni da quel tempo non furono sempre respinte. "Quando si percorrono le liste delle loggie della seconda metà del secolo XVIII - dice Claudio Jannet - si è stupiti del numero relativamente considerevole di ecclesiastici e di religiosi che ne fanno parte".(5) Molti Vescovi, rispetto a questi ecclesiastici, si lasciarono andare ad una indulgenza fatale. Là si trova la spiegazione dell'apostasia di molti fra coloro, i quali, dopo aver prestato giuramento alla costituzione civile del clero, rinnegarono il loro sacerdozio. Vero è che tutti non finirono così male; parecchi anzi di questi ecclesiastici, forse molti, come molti nobili, si erano formati circa la massoneria delle illusioni che oggi non possono più aver luogo. "Noi abbiamo - dice Claudio Jannet - un gran numero di discorsi pronunciati in quest'epoca nelle Loggie. La maggior parte di essi sono pieni di caldi sentimenti sulla virtù, sul dovere, sull'amore degli uomini". Ma egli ha cura di aggiungere: "Tuttavia tutti questi discorsi spirano il naturalismo, esaltano la ragione umana; la religione rivelata si passa sotto silenzio o si affoga in frasi vuote".
Fu lo stesso in Alemagna. Barruel nomina dei preti, dei religiosi e anche dei vescovi sedotti da Weishaupt. Il primo era Mons. Hœffelm. Vero è ch'egli non aveva diocesi da reggere, ma era vice- presidente del consiglio spirituale di Monaco. Egli fu promosso al cardinalato; ma, prima di questa promozione, aveva scritto al Papa una lettera in data 15 marzo 1818 e resa pubblica nel Diario romano. Egli confessava d'essere stato ammesso all'udienza minervale sotto il nome di Philon di Biblos: "ma, non appena - egli dice - conobbi che i capi di quest'accademia avevano intelligenze segrete con una nuova setta di framassoni, conosciuta di poi sotto il nome d'Illuminati, troncai ogni relazione con una società sospetta".(6)
Il secondo vescovo era il barone de Dalberg, coadiutore delle sedi di Magonza, di Worms e di Costanza. "Ci si resta stupiti - dice Barruel - non si sa se gli occhi siensi ingannati (il suo nome si trovava sulla lista dei principali adepti, sequestrata dal governo di Baviera e pubblicata negli scritti originali). Uomini che avevano accostato molto dappresso Monsignore insistettero perchè lo cancellassi dal mio libro. Essi mi assicurarono che, nella sua opinione, la Rivoluzione francese era il frutto dei filosofi del secolo di cui detesta i sentimenti. Ma io ho presentato l'opuscolo pubblicato da Monsignore col suo nome, e co' suoi titoli in fronte. Si vide che l'oggetto di questo libro era di soffocare in germe ciò che Monsignore chiama i pregiudizi nocivi di certa buona gente dalla vista corta, provando loro che la filosofia del secolo non era la causa della Rivoluzione. In questo libretto si son veduti ancora tutti i ragionamenti che la loro filosofia suggerisce agli Illuminati per gabbare i popoli intorno alla grand'opera della cospirazione. Io non ho punto cancellato il nome di Monsignore; anzi vi aggiunsi quello di Crescens, sotto il quale egli è divenuto sì famoso tra gl'Illuminati. A quel nome che gli dava la setta, come ha potuto Monsignore fare a meno d'indietreggiare inorridito, e non immaginare i servigi che si aspettavano da lui? Crescens, le cui calunnie costrinsero san Giustino a scrivere la sua nuova apologia del cristianesimo!"
Altri ecclesiastici si lasciarono ingannare da Weishaupt In una lettera a Zwack egli parla di un certo Hertel, prete cattolico, ch'egli ha battezzato col nome di Mario. "Il nostro Mario - egli dice - è riservato al supremo grado. Nella maggior parte degli affari, egli va per tuziorista sugli oggetti religiosi; rispettiamo la sua debolezza. Il suo stomaco non è ancora capace di digerire bocconi un po' duri. Una volta bene avvezzato, potrà renderci dei grandi servigi".(7)
Anche l'Italia ebbe, in quel tempo, i suoi preti framassoni.
Nella Revue de la Révolution, publicata da Gustavo Bord, nei documenti del tomo IV, si trova questa lettera datata da Cesena, il 7 febbraio 1790, e indirizzata a Pio VI dal cardinal Chiaramonti: "Beatissimo Padre, io esito a portare a cognizione di Vostra Santità alcune informazioni che ho acquistate da un membro della setta dei framassoni. Egli si è presentato a me chiedendo di confessarsi, e mostrandosi assai pentito di essere entrato per leggerezza nella detta setta, aggiungendo che non aveva potuto dispensarsi d'avere relazione coi settari senza mettere in pericolo la sua vita ... Quanto alle persone che compongono la setta, egli indica un certo abate Pedrazzi, il quale mi disse d'essere sostituto al tribunale del Cardinal Vicario.
E il cardinale, più tardi, trascrisse questo messaggio, ricevuto del suo penitente: "Lunedì scorso è partito da qui un fratello assistente, sacerdote e mio particolare amico. Egli andò dalla parte di Mantova, incontro a Pietro Rosario di Cuem, maestro architetto della loggia di Trieste. Ora egli va da una parte e dall'altra, per compiere l'opera incominciata nello Stato Pontificio ... Il detto Pietro è
 un uomo che opera sotto le apparenze d'un missionario apostolico, ma trenta Cagliostro non hanno insieme il talento di quest'uomo ...".



Pio VII
Papa Pio VII.

Il card. Chiaramonti, a cui queste dichiarazioni sembrarono tanto importanti per farne l'oggetto d'una comunicazione al S. Padre, doveva egli stesso essere Papa un giorno. Egli era il futuro Pio VII.
Quello che era avvenuto prima dell'89 in Alemagna, in Italia e in Francia, si produsse, sebbene in minori proporzioni, durante l'epoca di cui ci occupiamo, nella quale l'Alta Vendita fu in piena attività. Parecchi ecclesiastici, anche di Roma, furono convinti di appartenere alla framassoneria. "Gli uni - dice Crétineau-Joly, furono condannati a far penitenza in qualche monastero, gli altri espiarono nelle prigioni di Corneto il tradimento verso la S. Chiesa loro Madre". "Tuttavia - aggiunge egli - tra questi apostati non se ne trovò pur uno che fosse giudicato degno dell'Alta Vendita perchè essa si decidesse di ammetterlo nelle sue file".
Più vicino a noi, nel febbraio 1894, Don André Gomez Somorrostro faceva, nella cattedrale di Segovia, la sua abiura solenne dalla massoneria. Pel corso di trent'anni egli aveva presieduto la loggia di Segovia, nel tempo stesso che compieva nella cattedrale gli uffici di arciprete ed era il confessore della regina Isabella.(8) Egli aveva compreso l'enormità del suo delitto.
In pari tempo il Magyar Allam, giornale che ha reso grandissimi servigi alla causa cattolica in Ungheria, affermò che un certo numero di dignitari ecclesiastici erano aggregati alla framassoneria. Non si tenne pago di questa affermazione, ma declinò il nome di due vescovi cattolici, di un vescovo cattolico-greco, d'un parroco, d'un abate, d'un professore all'Università. Un organo ebreo, La Correspondance de Buda-Pesth, dichiarò alcuni giorni dopo che i personaggi così designati non pensavano per nulla di abbandonare i loro amici.
Più di recente la The Review di Saint-Louis (America), parlava d'una società chiamata: "I Cavalieri di Colombo", fondata da un sacerdote, e pubblicava queste linee scritte da un ecclesiastico che vi era entrato tre anni prima: "Io non ho potuto ancora scoprire la vera ragion d'essere di questa società. Ella mi sembra sempre più una framassoneria cattolica".
Non si può temere qualche cosa di simile in Europa?
Gli è un fatto confessato dai framassoni, l'abbiamo veduto in più luoghi di quest'opera, che l'idea democratica è uscita dalle loggie, che è propagata dalle loggie, che è il miglior veicolo dello spirito massonico e che l'anticoncilio giudaico del 1869 dichiarò che lo svolgimento e la realizzazione dei principii moderni sono le più sicure garanzie dell'avvenire del giudaismo.
Gli è un altro fatto che nè in Francia, nè in Italia, i democratici-cristiani se la presero contro la framassoneria. Mai nei loro scritti e nei loro discorsi, essi cercarono di premunire il popolo contro l'influenza massonica. L'Enciclica di Leone XIII che dimandava a tutti gli scrittori cattolici di smascherare la framassoneria, non ebbe alcun'eco in mezzo a loro.
Nelle elezioni del 1898, uno dei loro abati ha eziandio patrocinato in un congresso e nel suo giornale candidature massoniche. Infine si sa che nel marzo 1903 l'Osservatore Cattolico si è fragorosomente associato ai framassoni italiani che celebrarono a Mantova il cinquantenario dei "martiri di Belfiore", carbonari condannati a morte dal governo austriaco.
 


Note:


(1) Dell'Alta Vendita.
(2) Queste parole sono state riferite dalla Gazzetta di Liegi nel novembre del 1872. Essa afferma di averle riportate testualmente. È inutile osservare che liberalismo cattolico e democrazia cristiana, è tutt'uno.
(3) Si confronti con ciò che Dabry scriveva nel suo giornale annunziando il primo dei congressi ecclesiastici: "Non si potrebbe avere il pellegrinaggio dei preti (a Reims) che andassero a farsi battezzar uomini?" Questa identità di pensieri e di espressioni a un mezzo secolo di distanza, non fa pensare ad una fonte unica d'ispirazione? Feurbach, nel suo libro: La Religion de l'Avenir (Die Religion der Zukunft) di cui voleva fare la Bibbia del popolo, avea così compendiato queste vedute: "Spetta al nostro tempo di cangiare il cristiano in uomo e l'uomo in cittadino"; cangiare il cristiano in uomo, cioè levargli ogni carattere soprannaturale, ogni aspirazione e pensiero cristiano; poi cangiare l'uomo in cittadino, cioè adattare il suo spirito al contratto sociale.
(4) Lettera del 9 febbraio 1898.
(5) Les Sociétés secrètes et la Société, III, 43.
(6) Gli si era affermato che in questa setta non si trovava niente contro la religione, niente contro i buoni costumi. Niente, però era troppo il giuramento su ciò che non si conosce e che la setta si riserva di manifestare quando giudicherà esser venuto il momento.
(7) Ecrits orig., t. I. Lettera 27 marzo 1778.
(8) Egli si fece ascrivere alla framassoneria verso il 1860. Nel 1863, fu nominato Venerabile della loggia Speranza dell'Oriente di Segovia. Tenne il martello per ventinove anni. Convinto nel 1892 d'essere massone, fu interdetto da Mons. Fernandez, vescovo di Segovia, e tenuto in penitenza per due anni. Allora fu assolto per delegazione apostolica da Mons. Fernandez e Mons. Cascaperez, arcivescovo di Valladolid.