giovedì 31 ottobre 2013

L’AUTODEMOLIZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA: 9. Vulnus Missae

quirino9


La celebrazione “versus populo” è stata una inversione di marcia non solo in senso metaforico. A questo atteggiamento del celebrante è da connettere sia il prevalere dell’essenza della Messa come CENA, sia l’eclisse del Sacerdozio ministeriale. Ciò non è nemmeno tanto adombrato poiché esiste reticenza a chiamare altare ciò che in realtà nella maggior parte dei casi è una semplice tavola. D’improvviso, vanga e piccone hanno demolito gli altari, si, quegli altari spesso monumentali che erano al centro del tempio, sui quali troneggiava il tabernacolo entro cui si sapeva esservi il Signore Gesù; quegli altari fatti di pietra riccamente decorati che in una piccola teca incastrata al centro del piano, contenevano le reliquie dei martiri per i cui meriti si invocava il perdono dei nostri peccati (Aufer a nobis), e sulle quali si celebravano i riti cristiani come al tempo delle catacombe (è straordinario questo legame con i primi cristiani: noi ancora come loro!); quegli altari consacrati così solennemente dal Vescovo, per renderli idonei a celebrarvi il sacrificio. Sono stati rimossi, trasformati o sostituiti con una “tavola”. L’accesso all’altare era soltanto frontale, ma ora si doveva poter girarvi attorno proprio come nelle nostre case ci si siede tutt’intorno alla tavola per il pranzo.
“E’ bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girarvi intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Nell’edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea”. (Concilio Vaticano II - Sacrosanctum Concilium, 91).
La rivoluzione sta proprio qui: dall’altare del sacrificio, alla tavola per la cena. Pio XII lo aveva previsto e ci aveva allertati: “...è fuori strada chi vuole restituire all’altare l’antica forma di mensa”. (Mediator Dei, parte prima,V). L’altare richiede la vittima ed il sacerdote che la offre; per la mensa e la cena basta un presidente con la funzione di guida. Che significa presiedere? La Messa non è un’assemblea degli azionisti di un’azienda in cui il presidente ha il compito di guidare il dibattito e di trarne le conclusioni. Di tutto ciò non si era mai sentito parlare. Si diceva che il sacerdote è il celebrante che offre il sacrificio a Dio. E solo a lui era consentito di fare questo, in virtù della consacrazione sacerdotale. Non si era mai sentito parlare di presidente quando la Messa era considerata Sacrificio di Cristo. Abele, Abramo, Melchisedech, ecc. quando offrivano a Dio il loro sacrificio, non erano presidenti di niente! La parola giusta è SACERDOTE CELEBRANTE. Questa storia del presidente non fa che laicizzare un ruolo che spetta solo a chi possiede il sacerdozio ministeriale. Così è sempre stato. Ma oggi si cerca di far credere che sono tutti i fedeli insieme, a concelebrare col presidente, in forza del sacerdozio comune che possiedono tutti i battezzati. Così siamo al travisamento della Messa e del sacerdozio. Ciò che fa il presidente lo può fare chiunque. Quando la consacrazione già contiene degli elementi che talvolta ne rendono dubbia  la validità, la può fare chiunque, e non importa essere sacerdote. Un personaggio non sospetto di conservatorismo, Yves Congar, lo ha capito e dice: “La nozione cattolica del sacerdote, che risale a Cristo e agli Apostoli, viene cancellata per dare spazio alla nozione luterana di ‘Presidente dell’assemblea’.
Il Concilio di Trento ha posto Cristo nel tabernacolo, al centro della chiesa, sull’altare maggiore perché sia da tutti adorato, nel posto che gli compete come Dio e come Re. L’altare doveva essere il suo trono ornato riccamente (da qui è nato lo stile barocco). Ora Cristo è stato detronizzato e relegato in cappelle talvolta difficili da individuare, in posti desolati, in tabernacoli senza il conopeo e con un lumino talvolta bianco che si può confondere con un cero votivo. Il vecchio altare se non è stato demolito è ancora là a testimoniare una grandezza passata; e se Gesù è ancora nel vecchio tabernacolo di quell’altare, si capisce quanto è d’impiccio stando il fatto che con il nuovo tavolo posto davanti ad esso, il sacerdote è costretto a voltargli le spalle. Si è tanto parlato della sconvenienza che il sacerdote volti le spalle alla gente (come succede nella celebrazione della Messa tradizionale), ma oggi nessuno parla di sconvenienza che volti le spalle a Cristo Gesù. Ma tant’è, la cena è cena, non spettacolo cinematografico; la gente deve vedere in faccia il prete, e il prete deve veder la gente; Lo ha detto anche Papa Paolo VI che il prete ora “Parla con e per il popolo”. Infatti il prete parla, parla, parla...quando non s’incanta a guardare la gente...- E Gesù è là dietro le sue spalle che tace e sopporta.
La Messa è composta essenzialmente dall’offertorio, dalla consacrazione e dalla comunione. La parte che precede l’offertorio, detta dei catecumeni, consiste  nelle letture bibliche. Ora, la nuova Messa pur mantenendo lo stesso ordito, concede più visibilità alla parte didattica scompensando vistosamente l’equilibrio originario ove l’attenzione era prevalentemente orientata alla consacrazione, che è il cuore della Messa. Questa operazione è palesemente volta a condurre la nostra Messa sul terreno protestante. Nel mentre il peso e il numero delle letture viene aumentato, tutte le altre parti della Messa subiscono decapitazioni, sostituzioni o traduzioni vaghe. Inoltre, quasi tutte le preghiere sono seguite da una “opzione” che dà la possibilità al presidente di fare una scelta a sua discrezione. Succede però che in virtù della concessione conciliare di una certa creatività, il presidente si crea personalmente la preghiera, quando addirittura non la tralascia. Si assiste molto spesso a Messe ‘personali’ e caotiche. Tutto questo favorisce l’affievolimento nei riguardi del mistero, togliendo l’attenzione all’essenza del rito cui tutto dovrebbe convergere. Quando le preghiere, ridotte all’osso vengono banalizzate, vi rimane solo la lettura dei brani biblici e la conseguente omelia. Esattamente ciò che desideravano i protestanti: cioè mettere in risalto le letture e porre il silenziatore sul ‘sacrificio’ e sulla ‘presenza reale di Cristo’, a cui loro non credono. Questa è la ‘CENA’ protestante. La Messa è ancora valida grazie alla consacrazione, ma ha perso molto della Messa cattolica che rimane quella del Concilio di Trento, quella di ieri e quella di sempre.
Il SACRIFICIO si compie sull’altare, compito che viene svolto esclusivamente da un sacerdote consacrato. Nel caso della Santa Messa, siccome l’offerta e l’offerente coincidono nella stessa Persona (Gesù Cristo), il sacerdote celebrante agisce ‘in persona Christi’ cioè si presta come ‘alter Christus’.
La CENA si consuma su una tavola imbandita, seduti tutti intorno, tutti uguali, e il presidente è deputato dal popolo a gestire e guidare la cerimonia. Così la comunità parla con se stessa, festeggia se stessa, al che Cristo sembra avere una parte secondaria. A differenza del passato dove il sacerdote e il popolo insieme erano rivolti al tabernacolo, al Santo dei Santi.
“Essi (il popolo) non si chiudono in cerchio, non si guardano reciprocamente, ma, come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l’oriente, verso il Cristo che avanza e ci viene incontro”; “Qui non si tratta di qualcosa di casuale, ma dell’essenziale. Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l’adorazione comune”. (Joseph Ratzinger: ‘Introduzione allo spirito della liturgia’, ed. S.Paolo-2001, cap.III,p.76-77).
La nuova teologia postconciliare tende a svuotare la Messa del suo valore intrinseco, riducendola, come ebbe a dire Pio XII, ad una semplice commemorazione a ricordo dell’ultima cena e della passione e morte di Cristo. Con questa intenzionalità viene rimossa la presenza reale del Signore nelle specie del pane e del vino.
Jean Guitton, accademico di Francia e amico di Paolo VI, scrittore cattolico che tutti conoscono, non esitò, qualche anno fa, a dichiarare apertamente: “L’intenzione di Paolo VI a riguardo della liturgia, a riguardo della cosiddetta volgarizzazione della Messa, era di riformare la liturgia cattolica così che coincidesse pressoché alla alla liturgia protestante, con la cena protestante (...)    La Messa di Paolo VI si presenta anzitutto come un banchetto, non è vero? E insiste molto sull’aspetto di partecipazione ad un banchetto e molto meno sulla nozione di sacrificio, di sacrificio rituale, in faccia a Dio, mentre il sacerdote mostra le spalle. Allora non credo di sbagliarmi dicendo che l’intenzione di Paolo VI e della nuova liturgia che porta il suo nome, è di chiedere ai fedeli una più grande partecipazione alla Messa, è di dare un posto più grande alla Scrittura ed un posto meno grande a tutto ciò che in essa vi è, alcuni dicono, di magico (v. nota a fine capitolo), altri di consacrazione transustanziale, e che è la fede cattolica. In altre parole, c’è in Paolo VI un’intenzione ecumenica di cancellare, o almeno di correggere o attenuare, ciò che vi è di troppo cattolico, in senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa cattolica, lo ripeto, alla cena calvinista” (Intervista a Radio Courtoisie del 19 dicembre 1993).
Vorrei qui notare che secondo don Antonio Contri, della facoltà teologica del triveneto, il ritorno alla Messa tridentina equivarrebbe a “mettere in soffitta la Scrittura, privando i fedeli della ricchezza dell’AnticoTestamento”, e commenta: ”non ne esce una Messa magica, più vicina ai misteri pagani che all’assemblea del popolo di Dio? Non siamo più vicini al misterico che al mistero Paolino?” (“Verona Fedele” 5 agosto 2007).
Con tutto ciò, mi pare che l’analisi di Guitton sia molto chiara e...tragica. La Messa cattolica sfrondata dei suoi peculiari elementi per renderla accettabile ai protestanti e accelerare l’unità ecumenica.
“La Messa è il raduno della comunità che si ritrova per ricordare l’ultima cena di Cristo con gli Apostoli. E’ pasto, è convivialità: NO! La Messa è Sacrificio, come lo è sempre stato. Cambiata la prospettiva è cambiata la messa”.                                                                                                 Non sono parole mie, ma di un sacerdote col cuore spezzato dal dolore. A Bolsena dall’Ostia è uscito Sangue! A Lanciano, dopo 1300 anni c’è ancora l’Ostia di carne vera e il Sangue vero in una teca: Carne e Sangue che Gesù ha voluto lasciarci miracolosamente affinché noi credessimo che la Messa è il Suo Sacrificio rinnovato.
Ma era necessario togliere alla Messa la sua peculiarità di sacrificio propiziatorio: lo esigeva la ragione ecumenica. Per questo hanno affiancato al ricordo della Passione e Morte e alla cena, pure la risurrezione. Non meraviglia, poiché la Messa viene chiamata anche “Il Mistero pasquale” in quanto viene inclusa con la Passione e Morte, anche la Risurrezione di Gesù Cristo, ma evidenziando che la cosa principale è celebrare il trionfo di Gesù, la Risurrezione. Perciò la Santa Messa è una festa di giubilo. Ma la Santa Messa non è né può essere una festa di giubilo perché è la “quotidiana rappresentazione e rinnovazione del sacrificio del Calvario” (Pio XII: Mediator Dei) e non della risurrezione; ciò perché “I Suoi (del Cristo) acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui proviene la nostra salvezza” (ivi) mentre con la Risurrezione Gesù Nostro Signore non ha meritato nulla né per sé né per noi. E’ con la Passione che Egli ha meritato la Sua Resurrezione e la nostra resurrezione spirituale e corporale, e perciò la Santa Messa, istituita per applicarci i meriti della redenzione, non può che celebrare il sacrificio  della Croce (cfr Si si no no, del 28 febbraio 2007, p. 8).
La salvezza essendo venuta per tutti già dall’incarnazione, la croce deve scomparire all’interno della dinamica del mistero pasquale, che, in modo logico e conseguente alle premesse di questa teologia corrotta, nella Messa privilegia nettamente il memoriale di lode e di ringraziamento per la risurrezione, cioè per la salvezza già passata in giudicato per tutti! Si capisce quindi perché nella nuova Messa è scomparso l’Offertorio, nel quale si precisava minutamente che il sacrificio era offerto per il perdono e l’espiazione dei nostri peccati, sostituito da una semplice presentazione di doni che diventeranno pane di vita e bevanda di salvezza.
Deve essere quindi ben saldo il concetto essenziale della Santa Messa, pur non trascurando gli altri aspetti, ma tutti in sott’ordine per cui viene chiamata anche Eucaristia, Cena del Signore, Frazione del pane,, celebrazione eucaristica, Memoriale della Passione della Morte e della Risurrezione del Signore, Santa e divina liturgia, Santi misteri, ecc. (cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica,  275).
Mons. Bugnini, artefice della nuova Messa ha dichiarato che sarebbe “una nuova creazione”. Non c’è dubbio: è così. Son partiti da zero demolendo tutto e ricostruendo dalle fondamenta. In una Messa siffatta non è raro che vi siano infiltrazioni spurie e abusivismi di ogni genere, che vanno dalla gestione da showman del prete, ai canti ritmici moderni accompagnati dalle ormai immancabili chitarre e ogni altro genere di strumento musicale, ai battimani, al tenersi per mano e a infinite altre variazioni carnevalesche a seconda della creatività e della fantasia del ‘presidente’ e dei suoi ausiliari. In molti casi la preoccupazione sembra solo quella di fare più festa possibile, credendo in questo modo di attirare la simpatia della gente, ma la gente se vuole divertirsi sa dove andare, senza recarsi in chiesa..
La liturgia è fatta di segni e simboli tramite i quali è possibile percepire il giusto significato di ciò che intende fare la Chiesa. Ogni segno ha la sua valenza e un senso preciso. Nulla è (dovrebbe essere) lasciato al caso o all’inventiva estemporanea, anche perché ciò che viene trattato è materia troppo delicata per lasciarla in balìa dell’improvvisazione. Pio XII avverte: “Non è possibile lasciare e all’arbitrio dei privati, siano pure essi membri del clero, le cose sante venerande che riguardano la vita religiosa della comunità cristiana, l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo e il culto divino, l’amore che si deve alla SS. Trinità, al Verbo incarnato, alla Sua Augusta Madre e agli altri santi, e alla salvezza degli uomini” (Mediator Dei, V).
Oggi tuttavia ogni prete si costruisce la Messa a sua misura, cosicché il fedele è disorientato e capisce solo che questa nuova Messa non è una cosa seria, e si domanda: “Ma come è stata possibile una tale metamorfosi? Come si fa a pensare che lo Spirito Santo abbia guidato la Chiesa in quella che già Paolo VI indicava come opera di autodistruzione? Queste sono le domande che ogni cattolico deve porsi urgentemente. Se chiedersi il perché delle cose è segno di intelligenza e di saggezza, a maggior ragione per un cristiano quando l’argomento tocca le verità di fede in cui crede per grazia di Dio; fede che deve difendere da ogni attacco da qualsiasi parte provenga. Il comune fedele tuttavia non ha i mezzi per questa difesa, anche perché gli attacchi sono condotti in modo subdolo, strisciante. Quasi sempre per esempio, e non solo per la Messa, ci hanno posti davanti al fatto compiuto, senza nemmeno spiegarci le ragioni del cambiamento. La Messa è stata cambiata con successivi colpi di scena, e spesso i fedeli non avevano il tempo di metabolizzare una riforma che già incalzava quella successiva. La rivoluzione liturgica, è stata uno stordimento generale, e, benché si avverta qualche debole segnale di frenata, non si vede ancora la via d’uscita, e per una semplice ragione: la nuova Messa è stata concepita con un intento ecumenico, quello cioè di avvicinare i tempi della riunificazione con i protestanti, ma poiché questa è ancora lontana, qualcuno pensa  di abbattere ciò che vi è rimasto d’inciampo. Ad esempio, in qualche ambiente cattolico serpeggia la teoria che Cristo sarebbe presente solo durante la celebrazione della Messa, sempre che a questa presieda pure il popolo, ma non lo sarebbe, posto nel tabernacolo nelle Specie conservate per l’adorazione. Tra noi e i protestanti c’è un diaframma: quello della fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
La sacra Ostia ormai è circondata, assalita e profanata in ogni maniera. Ormai tutti i segni di attenzione e riverenza le sono stati rimossi. E’ l’eclissi della fede! Se prendiamo sotto gamba l’Eucaristia significa che non c’è più fede. Di questo fanno testo le statistiche che vedono un tracollo di presenze alla Messa festiva, ma pure l’ignoranza sui più elementari principi della nostra religione anche fra molti frequentatori della Chiesa. Purtroppo ancora, sono state introdotte, e ormai consolidate, abitudini che scivolano verso l’indifferenza nei riguardi del grande mistero e, se continua così ci troveremo fatalmente e senza avvedersene alle porte del protestantesimo.
Per accelerare il trapasso, hanno imposto, cosa inaudita, ai sacerdoti e ai vescovi di presentare le dimissioni dai loro incarichi, al compimento dei 75 anni. Ciò si configura come un controvalore dal punto di vista cristiano, e un adeguamento al mondo, quasi che il ministero del sacerdote fosse da equiparare ad una professione qualsiasi. Ciò avviene oggi, in piena crisi di vocazioni. In questo modo però si sono sbarazzati della vecchia generazione che poteva infastidire e opporre resistenza. Oggi, ormai, sono pochi i preti che hanno dimestichezza con il rito antico, e ai giovani non è data la possibilità di conoscerlo; su di esso è calato il silenzio, e sarebbe già tutto dimenticato se non fosse per l’accortezza, la preveggenza e il coraggio del vescovo francese Mons. Marcel Lefebvre e pochi altri a lui uniti, i quali hanno opposto resistenza con il preciso intento di salvare il sacerdozio e la Messa tradizionale cattolica.
Ma perché quella Messa sarebbe da salvare? Perché quella è la sola Messa veramente e totalmente cattolica, e fa parte della tradizione che, con la Bibbia attiene alla Rivelazione.
Non è un segreto che nella Commissione voluta da Paolo VI per rivedere tutto il rito della Messa e adeguarlo alle esigenze attuali, come era stato auspicato dal Concilio Vaticano II, facessero parte ben sei teologi protestanti. Non avevano funzioni decisionali, ma è facile capire che furono invitati intenzionalmente con lo scopo di dare alla Messa che si accingevano a riscrivere, un taglio che favorisse l’avvicinamento delle confessioni cristiane non cattoliche: in altre parole, un contenuto meno cattolico. Poteva essere diversamente? Tutto trae origine non dalla bizzarria di un qualche monsignore, no, bensì da un piano preciso messo in atto con lucidità. In ordine, ancora prima della Messa, c’è la nuova visione dell’ecumenismo in funzione del quale è stata modellata. In questo senso la Messa tradizionale cattolica ostacolava le nuove aperture ecumeniche che ormai il Concilio aveva spinto al largo. Non lo sappiamo, ma è evidente, che i desideri dei sei protestanti sono stati bene accolti.
Provate a dire che la Messa di Paolo VI è una Messa protestantizzante; minimo vi prendete del matto. Invece son proprio loro, i protestanti a dire che quella potrebbe essere la loro Messa: “D’ora in poi delle comunità non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le stesse preghiere del ‘Novus ordo Missae’ della Chiesa Cattolica” (Courrier de Rome - n°49, Paris, 1969 - Riportato da ‘Chiesa viva’ n°254 p.9).
Ha dell’incredibile che la Messa cattolica sia stata sottoposta all’assenso di un gruppo di eretici! Pertanto, se la Messa di San Pio V è stata promulgata in modo speciale per creare una barriera contro le eresie di Lutero e dei suoi accoliti, la nuova Messa di Paolo VI abbatte queste barriere favorendo il più possibile la teologia luterana, o comunque protestante.
Nel suo intervento del 22.ottobre 1962, durante la prima sessione del Vaticano II, il cardinale Ottaviani protestò vivacemente contro le modifiche radicali che si volevano introdurre nella Santa Messa: “Cerchiamo noi, forse, di suscitare la sorpresa o piuttosto lo scandalo del popolo cristiano, introducendo modifiche in un rito venerabile, approvato durante tanti secoli e che è divenuto famigliare? Non conviene di trattare il rito della Messa quasi si trattasse di un pezzo di stoffa che si taglia per adattarlo alla moda, secondo la fantasia di ogni generazione”. (da ‘Chiesa viva n°90 p.8).
Mi sento correre un brivido nelle ossa quando leggo quella frase del suddetto card. Ottaviani, titolare del Dicastero del Sant’Uffizio, che introduce il  ‘Breve esame critico’ sulla nuova Messa, la quale rappresenterebbe nel suo insieme, come nei particolari “Un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica”.  Questa espressione è di una gravità estrema, perché afferma la nuova Messa contenere elementi spuri o dissimulare verità sostanziali. Come può essere?
Nel capitolo I (del Breve esame critico) c’è una affermazione che non può passare inosservata, ove è ripreso il giudizio sulla nuova Messa scritto su un periodico ‘destinato ai vescovi’, nel quale si dice che “Si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto la teologia della Messa”.
Il card. Ottaviani dunque non è il solo a porre delle riserve, ma molti altri, compreso il Sinodo episcopale dell’ottobre 1967 (Nuova Messa ancora in fase sperimentale) che vide 109 vescovi su 187 opporsi o astenersi dal giudizio.
Nonostante queste resistenze il 26 novembre 1969 Paolo VI diede validità ufficiale al Novus Ordo Missae, rimuovendo, com’egli disse, quell’opaco diaframma che la Messa tradizionale “aveva disteso tra l’uomo e Dio” per poi esclamare: “Finalmente ci si prende gusto; finalmente il sacerdote parla ai fedeli e si vede che agisce con loro e per loro”.
Il card. Ottaviani non è stato ascoltato ma il suo documento resta a denunciare una svolta che ha dell’incredibile e testimonia la subalternità dell’episcopato a quel manipolo di vescovi e teologi progressisti tedeschi, belgi, francesi svizzeri e olandesi che hanno imposto le loro scelte al Concilio e dopo il Concilio.
Intanto proliferano gli abusi, la liturgia è nel caos. Qualche alto prelato si accorge della malaparata e arriva l’indulto (3 ottobre 1984) cioè la possibilità di celebrare l’antico rito previo consenso del vescovo titolare della diocesi, a sua insindacabile discrezione. A consolazione di quei pochi rimasti fedeli alla Messa Tridentina che praticamente era stata vietata ma contestualmente non decaduta. Nonostante questa concessione, la quasi totalità dei vescovi hanno reiteratamente negato a chi lo richiedeva, il permesso, eludendo persino gli appelli del Papa ad essere magnanimi verso chi era rimasto legato alla tradizione.
Col passare degli anni risulta sempre più evidente il deteriorarsi della liturgia. Interviene il Papa che parlando ai vescovi elvetici il 9 luglio 1982 deplora “Gli arbitrari esperimenti liturgici a cui i fedeli sono talora costretti ad assistere” (Jota Unum p. 602).
Se la esteriorità liturgica (musica, canto, paramenti, gesti, ecc.) è scesa a livelli di incuria  finora mai registrati  (Il Papa stesso assistette a cerimonie trasgressive, indecenti e oltraggiose) ciò che più preoccupa è la sostanza che struttura il rito.
a)     -  Il Motu Proprio “Summorum Pontificum”  Papa Benedetto XVI, con il Motu Proprio “Summorum Pontificum” in data 7 luglio 2007, concede la libertà a tutti i sacerdoti di celebrare la Santa Messa usando il messale romano di Pio V (edizione aggiornata del 1962) utilizzato sino al 1970 anno in cui venne sostituito da quello di Paolo VI oggi in uso in tutta la Chiesa. Il significato di tale atto è esplicitato in una lettera accompagnatoria indirizzata ai vescovi.
Non credo di sbagliarmi se giudico questa presa di posizione del Papa come un colpo di freno nella corsa ormai quasi cinquantennale della liturgia verso lo sfascio. Una frenata brusca che gli allegri preti cresciuti nella nuova era postconciliare, assistiti da un esercito di liturgisti specializzati, sempre in cerca di novità da sperimentare, da proporre e imporre, hanno accolto con stupore e forse con stizza e contrarietà. Mentre il clero più sobrio e riflessivo si è rallegrato constatando che finalmente qualcosa si muove per salvare ciò che di più sacro la Chiesa ha posseduto fin dai primi tempi e che dal generale naufragio postconciliare era miracolosamente scampato.
L’uscita del documento ha scatenato una valanga di apprezzamenti pro e contro, ma più contro che pro, perché, diciamo la verità, la Messa Tridentina dalla stragrande maggioranza del clero era considerata morta e sepolta e più nessuno pensava che potesse venire riesumata, tolti quei pochi esemplari di fauna paleolitica che viveva forzatamente nelle riserve confinatavi da vescovi che ostinatamente si rifiutavano di concedere ciò di cui questi meschini avevano diritto. Ma è venuta finalmente l’ora della verità.
Nessuno si illude, però, vista la fredda accoglienza, che sia facile l’attuazione della nuova norma. Se in pochi decenni erano riusciti a far dimenticare la S. Messa cattolica, ce ne vorranno almeno altrettanti per farla riemergere.
Mi astengo dai commenti del testo: l’hanno già fatto in troppi, dagli angoli più disparati e pure da persone lontane dalla Chiesa e non in grado di capire ciò che oggi propone. Vorrei solo accennare a due aspetti fondanti: uno viene dal Papa che nella lettera ai vescovi di cui sopra afferma che “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del ‘Missale Romanum’. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura”. Così è sempre stato, ma non è detto che lo sia anche in questo caso; bisogna dimostrare che nella liturgia, dal Concilio in poi c’è stata crescita vera. O fa comodo dirlo, per giustificare una situazione di fatto? Nella Messa Tridentina nessuno ha trovato alcunché che non fosse in perfetta conformità alla dottrina cattolica. Per le ragioni già dette, hanno imposto un nuovo indirizzo portando la Chiesa veramente fuori dal solco della dottrina tradizionale. Del resto, il vero senso di un ripristino non può essere altro che, anche se mascherata, una ammissione di aver ritrovato la strada giusta.
Se certuni vedono il Papa come colui che ha riportato indietro l’orologio del Concilio, per il cardinale  Castrillon Hoyos, Prefetto della Congregazione per il clero e presidente della commissione Ecclesia Dei, “Non si tratta di un passo all’indietro, ma di una offerta generosa del Vicario di Cristo”.
Non lo si vuole ammettere, ma è stato veramente un provvidenziale passo indietro, un piccolo passo doveroso! Ma non è nemmeno una “concessione generosa del Papa”; è invece il riconoscimento di un diritto sacrosanto dei fedeli cattolici, perché è stato un tragico abuso aver accantonato la Messa tradizionale. Questo spero sia pure il pensiero del Papa.
Se infatti la Messa conciliare fosse un “progresso” non vi sarebbe motivo di affiancarle la vecchia Messa, posto che questa fosse rimasta un passo indietro. La realtà è diversa, e lo scadimento dal punto di vista teologico, pastorale e liturgico della nuova Messa è fin troppo evidente.
L’altro aspetto, viene da chi teme che “Il ritorno alla Messa in latino si potrebbe configurare come un ‘cavallo di Troia’ per proclamare il rifiuto del Vaticano II e dei Papi successivi a Pio XII”. (Mons. A. Contri in ‘Verona Fedele”,  5 agosto 2007). In questa insinuazione si avverte un processo alle intenzioni del Papa, ma comunque non si può escludere a priori che qualcosa di vero ci sia. Ma io mi chiedo: cosa c’è dietro questo timore? Il ritorno nel solco della tradizione? Significherebbe che il Concilio ha rappresentato un cambiamento di rotta e si è allontanato dalla tradizione, in barba a ciò che era il desiderio dell’ideatore del Concilio, e ciò che non vuol sentir dire Benedetto XVI che parla sempre di continuità nell’insegnamento della Chiesa.
La questione che si pone ora e che viene portata in evidenza dal Papa nella lettera ai vescovi che accompagna il Motu Proprio, è quella di un unico rito che si esprimerebbe in due modi. In sostanza l’antico e il nuovo rito della Messa avrebbero uguale dignità e uguale valore, sarebbe l’unico rito della Chiesa Cattolica Romana, in virtù del fatto che nella Chiesa non c’è soluzione di continuità, ma crescita nella tradizione.
Ora, il Papa fa questa enunciazione in modo solenne, per cui sembra che nell’uno e nell’altro modo di celebrare la Messa, tutto coincida perfettamente. Se così fosse, nulla vi sarebbe da eccepire e sarebbe del tutto logico lasciare ai preti e ai fedeli la massima libertà di scelta creando pari opportunità.
Del resto, che motivo c’era di dichiarare che il rito ufficiale rimane quello postconciliare, mentre l’antico sarebbe extra-ordinario? Se hanno lo stesso valore e la stessa dignità perché non parificarli anche nella pratica attuazione? Perché sottoporsi al vaglio dei parroci riluttanti con il rischio concreto di sentirsi respinta ogni lecita richiesta? Infatti sembra che addirittura l’80% dei vescovi si siano dichiarati contrari al Motu Proprio perché convinti che l’unica Messa consentita dovrebbe essere quella conciliare mentre sarebbe decaduta la validità dell’antico rito; per loro c’è una sola Messa: quella del Messale di Paolo VI. Se così tanti vescovi si ribellano al Papa, figuriamoci quanti preti saranno inorriditi da tanta sconsideratezza di Benedetto XVI, convinti come non mai che le due Messe siano fra loro inconciliabili, così come scrive un missionario: “ I modi di celebrare previsti dai due messali (quello di Paolo VI e quello di Pio V) sono assai diversi. Si potrebbero confrontare parola per parola, gesto per gesto. Tra l’uno e l’altro c’è stato un Concilio Ecumenico che è approdato ad una riforma liturgica soppesata e sofferta, dopo molte riflessioni e dibattiti. Parificare l’uso dei due messali corrisponde a dichiarare, nonostante le affermazioni contrarie, praticamente le riforme del Vaticano II “un optional”. (Paolo Bagattini, sulla rivista dei Padri Stimmatini di Verona “Il Missionario” – in un editoriale).

   “Come ha annotato nel suo diario il card. Antonelli, un membro molto importante del CONSILIUM che intraprese la revisione della liturgia dopo il Concilio, alcuni cambiamenti liturgici sono stati introdotti senza tanta riflessione, a casaccio, e fatti diventare successivamente una pratica accettata. Per esempio, la Comunione sulla mano non è stata studiata prima correttamente e non si è riflettuto prima che la Santa Sede l’accettasse. Essa è stata introdotta a casaccio in alcuni paesi del nord Europa e solo più tardi è diventata una pratica accettata, poi diffusasi in molti altri posti. Si tratta di una cosa che avrebbe dovuto essere evitata. Il Concilio Vaticano II non ha mai sostenuto un simile metodo per la riforma liturgica.”. Parole di mons. Ranjit (Segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti) in una intervista rilasciata ad Antony Valle, vaticanista del periodico ‘INSIDE THE VATICAN’.

Riflettiamo:

1) Lo Stimmatino di cui sopra, afferma che la riforma liturgica postconciliare è stata soppesata e sofferta dopo molte riflessioni e dibattiti? Il monsignore della Congregazione per il culto divino dice invece che si è agito con leggerezza, senza riflessione, a casaccio. Dove sta dunque la verità? Non è sfuggito a nessuno che i riformisti hanno avuto una gran fretta di “riformare”!

2) Sembra che tra un messale e l’altro vi sia un abisso (il Concilio). La Messa dunque non è più quella di prima, ci tengono a dire i progressisti. Ed è vero, nonostante gli sforzi del Papa per dimostrare il contrario.

3) Se è veramente così, i riformisti postconciliari non sono stati alle direttive del Concilio, che non chiedeva di rompere con la tradizione ma di appoggiare le riforme su di essa.

4) La riforma della Messa scaturita dal Vaticano II è un optional? Ebbene, si; è così!

   “Non si comprende perché il messale di Pio V, che avrebbe sfigurato una non meglio specificata, nel tempo e nella struttura, visione della celebrazione eucaristica, sia stato rappresentativo fino al 1970 - data precisa - mentre non possa più essere rappresentativo della Chiesa odierna, anzi sia da essa ed in essa inaccettabile. Se vale ancora, e per noi vale, il principio lex orandi - lex credendi, dovremmo trarne che nel 1970 la Chiesa è cambiata, non è più quella di prima. Anche la Santa Messa, allora, sarebbe cambiata nella sua essenza. Dovremmo, quindi, ammettere che nel 1970 c’è stata una frattura: la nascita di quella Chiesa conciliare di cui il Cardinal Benelli scriveva a mons. Lefebvre, non in continuazione ma in opposizione alla Chiesa di sempre”. ( Dante Pastorelli, su “Una voce” gennaio-aprile.2007).

   Dunque: c’è stata una rottura con la tradizione? Per il passato non si era mai verificato, ma con il Concilio Vaticano II sembra che ciò sia avvenuto; lo sostengono per ragioni diverse sia i conciliaristi sia i tradizionalisti, gli uni perché non ne vogliono sapere di tradizione e vedono il futuro della Chiesa solo nel nuovo e nel moderno, gli altri perché vedono che effettivamente per molti versi, specie nella liturgia, la Chiesa è già cambiata, la frattura esiste ed è agevolmente constatabile.

   Il summenzionato Dante Pastorelli nel suo ragionare non molla: “Qualcuno crede che col Vaticano II sia nata una nuova Chiesa, noi no: sfrondati di molte parole che li rendono in qualche punto ambigui, i documenti del Vaticano II possono e devono essere interpretati alla luce della tradizione per collocarsi nel solco della verità bimillenaria. Insomma (...) noi crediamo e professiamo che la Chiesa Cattolica continua ad essere quella fondata da Cristo e che la s.Messa continua ad essere il Sacrificio di Gesù, Sacrificio di lode, soddisfazione, propiziazione, che in modo incruento, sacramentale, si rinnova, si ripresenta, si ripete sull’altare”.

   La gran parte dei cattolici, oggi, posto che abbiano sentito parlare della cosiddetta ‘Messa in latino’ nemmeno ha l’idea di cosa si tratta e molti penseranno che si tratti di un vecchio rottame da non prendere in considerazione; saranno rimasti sorpresi di fronte all’iniziativa del Papa che ha voluto il Motu Proprio riportando a galla l’antica Messa. Molti, soprattutto preti, vedono questa Messa come un corpo estraneo, e il documento papale un provvedimento inopportuno che viene a gravare sul già troppo lavoro dei parroci, ai quali è affidato il compito di accordare il consenso di celebrare in ottemperanza a quanto stabilito dal Motu Proprio. Io so, quanto molti parroci siano repulsivi verso le richieste di gruppi e movimenti; diranno: ‘Ora ci si mette anche il Papa con questa novità che ci fa temere altre pretese, perciò altri fastidi e altre divisioni’. Molti preti che hanno sempre ostacolato questa Messa, vedranno il Motu Proprio come una imposizione e se acconsentiranno lo faranno per obbedienza, non per convinzione, perciò senza entusiasmo e in loro stessi aumenterà la ripugnanza a celebrare ‘in latino’ la Messa Tridentina; e mentre si commuovono fino alle lacrime nell’assistere alle fastose e interminabili liturgie degli ortodossi, rimangono freddi e impassibili di fronte alla liturgia cattolica.

   Ora sono stati ripristinati i diritti della Messa Cattolica, tuttavia non sono cancellate le ombre sulla Messa conciliare. Perciò è da augurarsi che la prima riacquisti il suo posto di preminenza assoluta nella liturgia, come lo è sempre stato.

   Comunque diamo atto al Papa di aver affrontato con coraggio la questione, ma obiettivamente siamo ancora lontani dalla possibilità di attuazione concreta e libera; altri nodi vanno risolti: dal ritorno alla teologia classica e allo studio del latino obbligatorio per tutti, nei seminari, e quindi alla preparazione dei presbiteri a celebrare anche con il messale di s.Pio V, alla concessione non condizionata e alla sottomissione dei vescovi al Papa, ecc.

   Mons. Contri, già citato, sostiene che le preghiere eucaristiche del canone del nuovo messale, dicono “di più - e non qualcosa di diverso - del canone romano”; e chiede ai conservatori: “Quali elementi non accettabili trovate nelle modifiche apportate dal collegio dei vescovi col Papa nella Lex orandi? (Verona Fedele 5.agosto.2007). A tal proposito propongo di seguito uno specchio da cui il monsignore potrà facilmente desumere quanto la Messa postconciliare di Paolo VI sia lontana dalla Messa tradizionale di s.Pio V. Unito a queste testimonianze, in appendice, propongo il famoso “Breve esame critico”, dei cardinali Ottaviani e Bacci. “Il nuovo rito  secondo il meditato giudizio del dotto studioso (Michael Davies), non è uno sviluppo dell’antico nel senso descritto dal cardinale Newman, ma un tentativo per adattare la Messa Cattolica secondo un concertato programma che si propone di formulare una liturgia ecumenica che sia accettabile ai cattolici e ai protestanti”.

    A questo scopo sono state offerte molte opzioni; il vernacolo ha soppiantato il bimillenario latino; la mensa ha sostituito l’altare (si ricorda che Ridley vescovo di Rochester e i riformatori inglesi infierirono contro gli altari, distruggendoli, per cancellare ogni traccia di sacrificio); l’accento è stato posto sulla commemorazione dell’ultima cena anzichè sulla rinnovazione incruenta del sacrificio della croce; e molte altre preghiere che nel rito tradizionale mettevano in rilievo il carattere sacrificale della Messa e la presenza reale, sono state soppresse. Se non vi fosse stato lo scopo di adattare, in qualche modo, il rito della S.Messa nel senso d’un equivoco ecumenismo, perché hanno invitato sei liturgisti protestanti a partecipare come osservatori nel ‘Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia’?

   Michael Davies non contesta la validità del Novus Ordo Missae, ma dimostra, in maniera inconfutabile, che è ambiguo, soprattutto perché la natura sacrificale della Messa e la dottrina della presenza reale sono state così attenuate e ridotte al minimo da riuscire accettabile ad alcuni protestanti, ed è usato di fatto, da certi vescovi e ministri anglicani, senza che si ritengano obbligati a ripudiare le loro eretiche persuasioni religiose.

   Infatti, “mentre i protestanti di tutte le sette e sfumature respingono il rito tradizionale o tridentino, perché chiaramente esprime e afferma i dogmi dell’incruenta rinnovazione del Sacrificio del Calvario e della Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, non pochi pastori e teologi protestanti accolgono e usano il Novus Ordo Missae, perché queste dottrine fondamentali, attraverso le molte opzioni e l’omissione di alcune preghiere, sono state minimizzate”. (Da uno scritto di don Giuseppe Mizzi, su ‘Chiesa viva’ n°123 del 1982).

Max Thurian, della Comunità calvinista di Taizè, ha dichiarato che egli poteva, ora, celebrare la nuova Messa cattolica, mentre, prima, gli era impossibile di celebrarla. (da : “ la nuova Chiesa di Paolo VI” p.292 di Luigi Villa).
 “La riforma liturgica ha fatto un passo notevole in avanti: essa s’è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa Luterana”.  (L’Osservatore Romano del 13 ottobre 1969. L. Villa: c.s. pag.293).
Il Papa dice, nella lettera che accompagna il Motu Proprio, che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano: nella storia della liturgia c’è crescita e progresso,  ma nessuna rottura”. Allora :
1)    Se nel nuovo Ordo Missae c’è crescita e progresso rispetto a quello antico, perché promuovere quest’ultimo alla stessa dignità di quello nuovo? Il buon senso direbbe che se il vecchio è superato, si usa il nuovo e si lascia il vecchio proibendone l’uso. Parificarlo è un’operazione contraddittoria.
2)    Se è vero, come è vero, che il Novus Ordo ha protestantizzato la Messa Cattolica, l’unica cosa da fare era quella di ritornare sui propri passi, cioè non parificare i due riti, ma ritornare all’unico rito interamente e perfettamente cattolico, cioè quello di San Pio V.
3)    Non c’è ragione che da un Concilio orientato all’unità dei Cristiani siano scaturiti due riti che hanno suscitato divisione nella Chiesa.

Fonte:

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