martedì 15 ottobre 2013

Sulla misericordia

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Sulle esternazioni e dichiarazioni di Papa Francesco si è già detto parecchio . Si è già parlato del suo prestare il fianco a libere ed equivoche interpretazioni da parte della stampa riguardo fantomatiche aperture da parte della chiesa. Si è chiacchierato parecchio del suo “chi sono io per giudicare” , una frase banale e innocua se non fosse per il fatto che pronunciata da un Papa da l’idea di un mancato controllo del proprio ruolo storico. L’abbiamo sentito parlare di una certa impossibilità dell’ingerenza della dimensione spirituale in quella personale sebbene invece sia auspicabile il contrario. L’abbiamo visto protagonista di siparietti e comportamenti che ricordano più il cardinale Ignatius Glick del film Dogma piuttosto che il papa della chiesa Cattolica. Eppure nonostante le polemiche , le disinvolte dichiarazioni anche riguardo a temi cruciali per la chiesa, anche i suoi “chi sono io per giudicare” e le morbide prese di posizione verso questioni riguardanti il peccato non possono non suggerire in qualche modo una riflessione riguardo il recupero di un fondamento della teologia cristiana e fondamento soprattutto dell’essere uomini . Si tratta del concetto di misericordia. L’assenza di misericordia è una caratteristica pagana e precristiana. Per Platone e Aristotele si trattava di una debolezza. Per gli stoici addirittura di una malattia dell’anima. Si deve attendere Cicerone per avere una giusta valutazione della misericordia come caratteristica nobile. Eppure la misericordia è ciò che di più avvicina l’uomo alla strada dell’imitazione di Dio. Non c’è nulla di più consolante della forza della misericordia . La pietà verso l’intima innocenza umana nascosta e seppellita anche nella miseria. La pietà umana non è altro che la pallida ombra dell’infinita ed eterna misericordia di Dio. La forza del messaggio cristiano è rinchiusa nella commovente scoperta della pietà anche verso chi si è perduto . E’ proprio nella misericordia che si rende concreto l’amore ed è in questo che si costituisce il nucleo della rivelazione biblica su Dio. La misericordia non è una semplice mossa a compassione ma è il superamento della condizione dell’uomo preda delle tentazioni mondane. La tentazione di dimenticare la necessità della pietà per una umanità sradicata , galleggiante nel peccato e nella miseria nella speranza di trovare un appiglio del quale non riconosce la forma. Nella mondo cristiano di oggi, lacerato e percorso da mille debolezze e divisioni l’appello più o meno consapevole alla misericordia di Papa Francesco I è un invito prezioso all’imitazione di Cristo nel percorso del perdono dell’uomo il cui risveglio dell’anima e la sua redenzione è possibile fino agli ultimi istanti e riguarda il suo dialogo con Dio lasciando all’uomo l’arduo compito dell’esempio prima ancora del giudizio. C’è da chiarire che la misericordia non è da confondere con il lassismo e tantomeno è un abbandono al relativismo dell’ “ognuno ha la propria visione del bene da inseguire” ma è piuttosto il riconoscimento dell’umanità nelle sue caratteristiche Naturali ( con la N maiuscola) che nella concretizzazione dell’amore offre l’esempio della forza del perdono nonostante la ferma condanna del peccato lasciando aperta la porta della chiesa al peccatore nella speranza che riconosca in se la propria umanità come la riconosce il misericordioso . Rimanendo del contesto Bergogliano, quando ad esempio suggerisce alla chiesa di non rimanere fossilizzata in temi come il divorzio, questo non si dovrebbe tradurre in una relatività del sacramento ( vedi Friburgo) ma nella ferma lotta verso la cultura del rifiuto a causa della quale tanta gente si sta perdendo e che nelle porte aperte della misericordia può trovare la strada giusta. Partendo da questo esempio si può cogliere il vero obbiettivo della lotta che in questo caso è la cultura del rifiuto e dell’abbandono, non il soggetto che in questa cultura si è formato. Da qui a casi più difficili e pesanti (come l’aborto ad esempio) la misericordia diventa un esercizio difficile eppure probabilmente è la vetta più alta dell’essere cristiani. Chissà poi se è questa la vera motivazione che spinge il Vescovo di Roma nelle sue posizioni.
 
Federico Franzin (http://radiospada.org/)