mercoledì 18 dicembre 2013

R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.: Leone XIII e la Questione Biblica. (III)

 
 
La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. X (fasc. 1054, 9 maggio 1894) Roma 1894 pag. 417-431.

R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.

LEONE XIII E LA QUESTIONE BIBLICA

UN DIPLOMATICO IPERCRITICO E LA BIBBIA

I.

Avevamo già dato allo stampe la seconda parte del nostro lavoro sull'Enciclica: De Studiis Scripturae Sacrae [1], quando ci venne alle mani un insidioso e severo articolo contro di essa, pubblicato nel periodico acattolico inglese The Contemporary Review [2]. L'autore di questo scritto non è del tutto ignoto a' nostri lettori, essendo egli quel medesimo anonimo «diplomatico», di cui avemmo ad occuparci l'anno scorso nella risposta alle censure da lui fatte alla politica di Leone XIII. [3]
Lo scopo evidente del presente suo lavoro contro l'Enciclica, non altrimenti che di quello contro la politica del Santo Padre, è di oscurare o velare almeno gli splendori che dal trono pontificio, occupato con tanta gloria da Leone, raggiano su tutte le nazioni. Censurando la sua politica come gretta, egoista e perniciosa agl'interessi più vitali della Chiesa e della società, l'Anonimo ci rappresentava il Pontefice come un «idealista», pieno di «idiosincrasie e debolezze» [4], il quale, sacrificando ogni cosa, faceva tutto servire ad «incarnare in un fatto politico concreto una sua opinione astratta» [5], quella cioè della necessità di riacquistare «le poche miglia quadrate di territorio, conosciuto una volta sotto il nome di Stati pontificii»  [6]. Censurando ora la sua Enciclica, l'Anonimo rincara la dose, dandocelo a divedere 1°) come un uomo che non ha giudizio proprio, ma pensa con la testa altrui, e quel che è peggio, con la testa di certi teologi, «i quali vanno superbi di sapersi occupare de' più intricati problemi della Bibbia con quella medesima disinvoltura colla quale Hegel soleva trattare tutte le questioni scientifiche: a priori» [7]; 2°) come l'autore di una strana e spaventosa innovazione (startling innovation, [8]) «per la quale la Chiesa nulla guadagna e mette ogni cosa a repentaglio»; infine 3°) come un indegno Pontefice, il quale, mentre «a nome della ragione, ci mette, colla sua Enciclica, in un labirinto di difficoltà e contraddizioni, dal quale è impossibile alla sagacia dell'uomo trovare una uscita, a nome della religione scalza dai proprii fondamenti i nostri sentimenti di timore riverenziale per gli attributi divini, togliendo dalle spalle di uomini fallibili la responsabilità dell'errore, e dichiarando esser noi obbligati od a negare la sua esistenza, ovvero a tacciare d'ignoranza lo stesso Iddio [9]»!
Eppure l'Anonimo, che così scrive del Papa e del suo insegnamento a tutta la Chiesa, vuol farci credere sè essere un devoto figlio del Santo Padre [10]! Egli che pubblicamente ricusa di accettare la dottrina autorevolmente proposta nell'Enciclica [11], ed apertamente nega che i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, tutti, interi ed in tutte le loro parti, sieno stati scritti per dettato dello Spirito Santo ed abbiano Dio per loro autore [12]; egli che, con penna blasfema, descrive Dio, quale ci si rivela nel Vecchio Testamento, come un mostro d'iniquità «il quale è sempre intento a cercare il proprio interesse, eccita gli uomini gli uni contro gli altri, gli instiga a peccare, ed è connivente a' peccati de' suoi favoriti [13]», egli si professa, non ostante tutto ciò, cattolico, e cattolico intelligente e buono [14]! Credat Iudaeus Apella: non ego. [«Ci creda il Giudeo Apella: io no». Orazio, Satire, lib. I, Sat. V. N.d.R.]
Giudicando dal suo linguaggio, e segnatamente dall'alto disprezzo che egli nutre per tutta la Chiesa cattolica docente  [15], e dalla profonda stima che egli addimostra per gli scrittori acattolici razionalisti od infedeli, come per esempio Wellhousen, Tindal e Voltaire, i cui attacchi contro la Bibbia ciecamente e, ci si perdoni la parola, stupidamente copia, senza neppur correggerne gli evidenti errori; giudicando, diciamo, da tutte queste cose, noi lo diremmo un giovane ed inesperto razionalista, il quale fa mostra del suo valore, proponendo come cose nuove e cose sue, le cose dette, temporibus illis, da altri nemici e detrattori della Chiesa e della Bibbia.

II.

Che Leone XIII, con la sua Enciclica del 18 novembre 1893, non abbia fatto un mutamento e molto meno una spaventosa innovazione nella dottrina della Chiesa riguardo alla natura ed estensione dell'ispirazione dei sacri Libri, apparisce chiaro a chiunque voglia spassionatamente leggere quello stupendo documento. Ivi infatti il Santo Padre, insegnando che i libri, ritenuti dalla Chiesa quali sacri e canonici, tutti e tutti interi e in tutte le loro parti, furono scritti per dettato dello Spirito Santo ed hanno Dio per autore, e conseguentemente, condannando la sentenza di coloro i quali limitano l'ispirazione ad alcune parti soltanto delle Scritture, o concedono che abbia errato lo stesso agiografo, non solo apertamente dichiara che la dottrina da lui proposta è l'antica e costante fede della Chiesa, ma ne addita altresì le prove dedotte da' solenni decreti de' Concilii e dalla tradizione della stessa Chiesa attestata da' Padri e Dottori di essa. Haec est antiqua et constans fides Ecclesiae, solemni etiam sententia in Conciliis definita Florentino et Tridentino: confirmata denique atque expressius declarata in Concilio Vaticano... Hoc (etiam) ratum semper habuere SS. Patres. [«Tale è l'antica e costante fede della Chiesa, definita anche con solenne sentenza dai concili Fiorentino e Tridentino: e confermata infine e dichiarata più espressamente nel concilio Vaticano... Questo sempre ritennero (anche) i santi Padri.» N.d.R.]
Non insistiamo qui su questo punto, essendoci di esso ex-professo occupati ne' quaderni precedenti [16], dove riferimmo ed illustrammo tutte quelle autorevoli testimonianze dell'antichità in risposta alle aberrazioni della nuova Scuola. Aggiungeremo soltanto che il Santo Padre, nel dichiarare che Dio è l'Autore de' Libri sacri, e che però in essi non può contenersi alcun errore, espressamente osserva che ciò deve intendersi dei luoghi autentici [17], e delle sacre Lettere, quales ab hagiographis editae sunt. quali furono composte dagli agiografi» N.d.R.] D'onde segue che chi, volendo contraddire al Pontefice, si serve, come fa il nostro Anonimo, di una versione (in cui, per l'incuria de' copisti o tipografi, ovvero per abbaglio o per la poca perizia dell'interprete, è facile incontrare errori, putacaso, ne' nomi, nelle date ecc.) deve anzitutto accertare, co' mezzi ben noti a' critici, che la sua versione in quel punto, ove egli crede di vedere un errore o una contraddizione, sia fedele all'originale. Senza di ciò, è chiaro che la sua opposizione all'insegnamento pontificio non avrebbe neppur l'ombra di un solido fondamento. E questo vale eziandio se la difficoltà contro quell'insegnamento si fondasse sull'autorità della Volgata latina; poichè il decreto Tridentino che la riguarda, siccome non ha mai esclusa l'autorità degli altri codici o delle altre versioni, quas, al dir dell'Enciclica, christiana laudavit usurpavitque antiquitas, [«che l'antichità cristiana elogiò e di cui si servì» N.d.R.] così non ha punto inteso di assicurarci che neppure in menome cose, neppure in una cifra numerica o nel nome proprio di una persona o di un luogo vi possa essere incorso qualche errore di copista o di traduttore. La Volgata fu dichiarata autentica, in questo senso che essa possa e debba dirsi vero e genuino fonte della Rivelazione, di guisa che non solamente non se ne possa dedurre veruna falsa dottrina in cose di fede, o regola erronea in genere di costumi, ma che inoltre esprima fedelmente tutto ciò che appartiene alla sostanza del divino scritto primitivo [18].
Alle sopraddette testimonianze adunque de' Concilii e Padri della Chiesa rimandiamo l'Anonimo ipercritico, il quale, ove mai si degnasse di ponderarle con qualche diligenza, potrebbe forse ritrarne il convincimento, non solo di aver calunniato il «suo Santo Padre» nell'accusarlo di aver mutato la dottrina della Chiesa, ma altresì di non potere egli, senza aperta contraddizione, professarsi cattolico, e negare l'assenso alla dottrina che «Dio sia l'autore della sacra Scrittura intera in tutte le suo parti», dottrina riconosciuta e definita qual domma cattolico dalla suprema ed infallibile autorità della Chiesa. Diciamo forse, poichè l'Anonimo «intelligente cattolico», riservandosi espressamente il diritto di giudicare e definire quando e dove la Chiesa parla infallibilmente, non sembra essere disposto a concederle questa prerogativa, se non nel caso in cui le decisioni di lei sieno d'accordo colle sue opinioni.
Per gli altri casi, egli gravemente osserva, che «la nostra Chiesa è sì mirabilmente costituita; che il suo Sommo Pontefice può, come Papa Onorio (sic), dare una sanzione ancor più solenne (di quella data da Papa Leone alla dottrina della ispirazione) ad errori pericolosi e dannabili, senza compromettere l'infallibilità della Chiesa o perdere quella che a lui spetta [19]
Non essendo dunque le citate decisioni de' Concilii e del Pontefice rispetto alla Bibbia in armonia colle sue opinioni, l'Anonimo nega la loro infallibilità e rigetta le loro decisioni come erronee, pericolose e dannabili. In ciò quantunque egli abbia torto marcio, pure è logico. Muta antecedentia, diceva S. Agostino, si vis vitare sequentia.

III.

Il metodo seguito dall'Anonimo ne' suoi attacchi contro la inerranza della Bibbia, mostra quanto giustamente il Santo Padre avesse nella sua Enciclica deplorato coloro, i quali nell'indagare e produrre i monumenti dell'antichità, i costumi e le leggi delle nazioni e le testimonianze di cose consimili, sembrano avere per loro principale intento quello di scoprire nei sacri Libri macchie di errori e di contraddizioni, per cui in tutto se ne infermi e vacilli l'autorità. «E ciò fanno con troppo infesto animo e con giudizio non abbastanza equo anche parecchi, i quali hanno tal fede ne' libri profani e ne' documenti dell'antichità, come se in questi non possa cadere nemmeno il sospetto di errore, ed invece a' libri della Scrittura sacra, per una apparenza soltanto appresa di errore, e nemmeno rettamente discussa, ricusano pure una simile credenza [20]
Tale è il caso del nostro Anonimo ipercritico, come apparirà evidente dall'esame de' così detti «fatti concreti» da lui citati per provare, contro l'insegnamento dell'Enciclica, che non solo possono trovarsi, ma che in realtà si trovano ne' luoghi autentici de' sacri Libri innumerevoli contraddizioni ed errori.
Nell'esporre la vanità ed il nessun valore di questi «fatti» terremo l'ordine seguito dall'Anonimo, mostrando allo stessa tempo con quanta ragione asserimmo nel nostro commentario sull'Enciclica [21], che le difficoltà contro la veracità della Bibbia, strombazzate con tanto apparato scientifico dagli ipercritici moderni, sono difficoltà vecchie e rancide, già da lungo tempo esaminate e risolte dagli apologisti ed esegeti cattolici.
Ed eccoci giunti al punto vitale della nostra polemica. L'Anonimo adunque asserisce che «secondo l'Esodo, il Levitico ed i Numeri, Mosè [22] decretò numeroso leggi per regolare gli olocausti ed i sacrificii, le quali leggi noi dobbiam credere essere state ispirate da Dio. Se non che Dio stesso (Jehova), parlando per la bocca del suo profeta Geremia (VII, 22) dichiarava con enfasi, che Egli non aveva mai (never) ordinato cosa alcuna intorno agli olocausti ed a' sacrifici. Nel Levitico (XIX, 5-6) leggiamo: Se immolate al Signore un'ostia pacifica a fin d'averlo propizio, nel dì in cui fu immolata e nel dì appresso la mangerete. Ed in un altro luogo del medesimo libro (XXII. 30) troviamo il seguente chiaro ordine rispetto alla identica (very same) ostia pacifica: Voi la mangerete lo stesso dì: non ne resterà nulla per la mattina del dì seguente. Io il Signore. Un altro esempio: Il libro dei Numeri positivamente afferma in due diversi luoghi (XX, 23-28; XXXIII, 38, 39) che Aronne morì sul monte Hor e che fu ivi sepolto; mentre il Deuteronomio (X, 6), dall'altro lato, asserisce con non minor forza, che Aronne mori a Mosera, che è sette stazioni distante, e che fu là debitamente sepolto.»
Ciò posto, senza darsi pensiero di discutere i fatti allegati, l'Anonimo conchiude: «Nessun giudice, nessun tribunale di giustizia, nessun uomo imparziale nel mondo incivilito oserebbe mantenere che queste incompatibili asserzioni non contengano contraddizioni ed incoerenze. E se i nostri teologi (cioè i cattolici) ciò affermano, sarà solo in virtù del principio che una cosa può essere e non essere allo stesso tempo. Principio che noi non siamo ancora disposti ad ammettere.»

IV.

Ma è poi vero che le surriferite asserzioni sieno realmente incompatibili? Tale è la quistione che ogni giudice, ogni tribunale di giustizia ed ogni uomo imparziale dovrebbe proporre a se stesso prima di pronunziare il suo verdetto che «in realtà si trovano contraddizioni ed incoerenze nelle sante Scritture.»
Il primo caso è quello dell'opposizione, riguardo a' sacrifici, tra l'Esodo, il Levitico ed i Numeri da una parte, ed il profeta Geremia dall'altra. La difficoltà non ci è riuscita nuova, essendo essa stata proposta e sciolta da S. Girolamo, S. Agostino, S. Tommaso ed altri ne' loro commentarii sul testo del predetto profeta [23]. Voltaire, che soleva pigliare le sue difficoltà segnatamente da S. Tommaso, lasciando sempre da banda la soluzione che ne dà il Santo Dottore, la ripete nel suo Trattato sulla tolleranza, e da lui o da qualche altro ipercritico antico o moderno l'ha presa il nostro Anonimo, proponendola a' suoi lettori inglesi come una sua scoperta, degna di questa fin di secolo! Su tale punto non cade dubbio, ed il lettore potrà convincersene comparando il testo francese di Voltaire con quello inglese dell'Anonimo da noi letteralmente tradotto in italiano alla pagina precedente.
VOLTAIRE
«Dans l'Exode, les Nombres, le Lévitique, le Deutéronome il y a des lois très-sévères sur le culte et des châtiments plus sévères encore. Plusieurs commentateurs ont de la peine à concilier les récits de Moïse avec le passage de Jérémie.... Jérémie, dit expressément que Dieu ne demanda aucun sacrifice à leur pères.» Traité sur la Tolérance, Œuvres Complètes, Vol. VI, p. 266. Edit. Paris, 1817.

ANONIMO
«According to Exodus, Leviticus and Numbers, Moses enacted numerous laws regulating burnt offerings and sacrifices, which laws we must believe to have been inspired by God. And yet Jahveh himself, speaking through his profet Jeremiah, declares most emphatically that he never gave any directions whatever about burnt offerings and sacrifices.» C. R. pag. 584-585.

Due osservazioni basteranno a dimostrare che nessuna contraddizione esiste tra la dichiarazione fatta da Dio per bocca di Geremia e le prescrizioni dell'Esodo, del Levitico e dei Numeri. — 1°) È falsissimo ciò che asserisce l'Anonimo, cioè che Dio abbia dichiarato di non aver mai ordinato cosa alcuna intorno agli olocausti ed alle vittime. Le parole del sacro testo sono: «Io non parlai a' padri vostri e non ordinai loro nel dì in cui li trassi dalla terra d'Egitto, cosa alcuna intorno agli olocausti ed alle vittime [24]». Dunque la dichiarazione divina è determinata in quanto al tempo; Dio non dice di non aver mai ordinato cosa alcuna intorno agli olocausti ed alle vittime, ma bensì di non aver ciò fatto nel dì o nel tempo che liberò gli Ebrei dalla servitù dell'Egitto. Ora, 2°) è un fatto accertato dalla storia che la religione mosaica che prescrive olocausti e vittime non fu istituita se non dopo che gli Ebrei erano stati tratti dalla terra d'Egitto [25], e che segnatamente i sacrificii non furono ordinati se non come un preservativo, dopo la loro caduta nell'idolatria, quando cioè, trovandosi nel deserto a' piedi del monte Sinai, adorarono il vitello d'oro. Tale è la vera e solida soluzione della difficoltà data 700 anni fa dall'Angelico Dottore: Non enim Dominus hoc (cioè i sacrifici), propter se volebat; sed ut per hoc ab idololatria revocaret. Unde ante adorationem vituli, de quo Exod. XXII, nulla praecepta de sacrificiis data sunt [26]. [«Il Signore infatti non voleva i sacrifici in quanto tali, ma in quanto mezzi per distogliere dall'idolatria. Ecco perchè prima dell'adorazione del vitello d'oro, cfr. Es. XXII, non vi erano precetti per i sacrifici.» N.d.R.]
Il Du Clot, rispondendo alla medesima difficoltà, osserva che, se invece di addurre, siccome ha fatto Voltaire, e prima di lui Tindal, un passo staccato, questi critici avessero aggiunto ciò che precede e ciò che segue, la contraddizione tra il Pentateuco e Geremia sarebbesi ben presto dileguata. «Leggasi adunque questo capitolo (il settimo) e particolarmente tutto il versetto 20, e vedremo chiaro, che Geremia non si propone già di negare che Iddio chiesto avesse sagrifizi là nel deserto e che gliene avevano offerto; ma egli mira a far loro intendere, che l'ubbidienza alla sua legge si era quella che chiesto aveva anzichè altro e prima che qualsiasi olocausto [27]
Ci rincrescerebbe il dover supporre che l'Anonimo ipercritico ignorasse quell'aureo dettato giuridico: «Distingue tempora et concordabis iura». Diremo piuttosto che ha preso un abbaglio. Volendo trovare ad ogni costo una contraddizione tra Geremia ed il Pentateuco; ha fatto che Dio negasse per bocca di Geremia per ogni tempo, quello che egli nega solo per un tempo determinato. Potremmo dire di più, notando che l'ipercritico, nel citare il testo di Geremia (VII, 22), omette precisamente le parole nel dì in cui li trassi dalla terra d'Egitto, ed in loro vece sostituisce la parola mai (never)! È questo il metodo scientifico dell'ipercriticismo biblico moderno?

V.

Se volessimo giudicare dal saggio che di questo metodo di omissioni e sostituzioni ci offre l'illustre ipercritico della Contemporary Review, saremmo costretti ad affermare che è proprio così e non altrimenti. Eccone un altro luminoso esempio nel secondo «fatto concreto» di contraddizioni bibliche da lui citato. Questo si fonda, come vedemmo, sopra due testi del Levitico (XIX, 5, 6, e XXII, 30) dove il «supposto» sacro Scrittore, parlando, secondo che afferma il nostro Anonimo, dell'identica (very same) ostia pacifica, dichiara nel primo testo che quell'ostia sarà mangiata «nel dì in cui fu immolata, e nel dì appresso», e nel secondo testo dice che bisogna mangiarla lo stesso dì, e che «non ne resterà nulla per la mattina del dì seguente
La contraddizione in questo caso sarebbe evidente, se fosse vero quello che l'Anonimo, corrompendo il sacro testo, afferma con tanta sicurezza, cioè che, in tutti e due i luoghi, si parli dell'identica ostia pacifica. Che non sia così apparirà chiaro al lettore, comparando i due testi citati e segnatamente il verso 5 del capo XIX col verso 29 del capo XXII.
Levitico XIX
5. Se Immolate al Signore un'ostia pacifica a fin d'averlo propizio,
6. Nel dì, in cui fu immolata e nel dì appresso, la mangerete; tutto quello poi che ne resti il terzo giorno, lo darete alle fiamme [28].

Levitico XXII
29. Se immolate al Signore un'ostia per rendimento di grazie, affinchè egli vi sia propizio,
30. Voi la mangerete lo stesso dì: non ne resterà nulla per la mattina del dì seguente. Io il Signore [29].

L'Anonimo ipercritico, fedele al suo metodo scientifico, omette interamente, nella sua citazione, il verso 29 e, mentre questo parla espressamente di un'ostia per rendimento di grazie, egli vi sostituisce deliberatamente «the very same peace offerings» cioè l'identica ostia pacifica, identificando così una specie col suo genere! Nello stesso modo che, secondo la sana filosofia, ogni uomo è un animale, ma non ogni animale è un uomo, così, secondo la legislazione mosaica, ogni ostia per rendimento di grazia era un'ostia pacifica, ma non ogni ostia pacifica era un'ostia per rendimento di grazia. Quindi come si farebbe compatire, se non disprezzare, il filosofo il quale trovasse contraddizione nell'affermare alcune qualità dell'uomo in quanto è uomo, che si negano dell'animale in quanto è tale, così e non altrimenti si farebbe almeno compatire quell'ipercritico biblico, il quale ragionasse, come fa il nostro Anonimo, intorno all'ostia per rendimento di grazia e l'ostia pacifica. «Erat duplex hostia pacifica, dice Cornelio a Lapide [30], una quae offerebatur in gratiarum actionem pro prosperitate obtenta; altera quae offerebatur ad prosperitatem vel beneficium alicui impetrandum.» [«Vi erano due tipi di ostia pacifica: una offerta in azione di grazie per prosperità ottenuta; un'altra offerta per impetrare prosperità o un beneficio per qualcuno.» N.d.R.]
Nè questo è tutto. Trattandosi di un «Biblical scholar», vale a dire di un perito nelle cose bibliche, bisognerebbe supporre che egli, prima di asserire che nel Levitico vi fosse contraddizione nelle prescrizioni riguardo all'ostia pacifica, avesse diligentemente letto e studiato quel libro. Ora questo è precisamente quello che il nostro Anonimo ha trascurato. Se non fosse così, dovremmo accusarlo di mala fede, il che ripugna a' nostri sentimenti di delicatezza verso gli scrittori nostri avversarii.
Infatti non altrove, ma nell'istesso libro del Levitico, lo scrittore sacro al capo VII, 11-17, spiega la differenza nel rito dell'ostia in rendimento di grazia in quanto essa si distingue da qualunque altra. «Questa è la legge dell'ostia pacifica offerta al Signore. Se l'oblazione sarà per rendimento di grazie, si offriranno pani non lievitati aspersi con olio, e schiacciate azime unte con olio, e fior di farina cotta, cioè torte fritte intrise con olio: E anche de' pani lievitati insieme coll'ostia di ringraziamento, che s'immola nel sacrifizio pacifico; de' quali (pani) uno si offerirà al Signore per primizia, e sarà del sacerdote che spargerà il sangue dell'ostia: Le carni della quale si mangeranno lo stesso giorno e non resterà nulla fino al seguente mattino. Se (poi) per ragion di voto, o per libera elezione uno offrirà qualche ostia, ella sarà similmente mangiata lo stesso dì; ma quando alcuna parte ne avanzasse pel dì dipoi sarà lecito di mangiarla: Ma qualunque parte ne resti al terzo giorno, sarà consumata col fuoco.»
E così il capo VII del Levitico, ignorato dall'Anonimo, dimostra la perfetta concordia di ciò che, nello stesso libro, è detto al capo XIX con quanto è riferito al capo XXII.

VI.

Veniamo adesso allo strano caso di Aronne, il quale, se crediamo alle Scritture, come esse sono interpretate dall'Anonimo ipercritico, sarebbe morto e stato sepolto, allo stessa tempo, in due diversi luoghi, cioè sul monte Hor ed a Mosera. Così, nell'opinione dell'Anonimo indubitatamente asseriscono, contradicendosi, il libro de' Numeri (XX, 23-28; XXXIII, 38-39) e quello del Deuteronomio (X, 6).
La soluzione è ovvia. Supponga il lettore che il monte Hor fosse rispetto a Mosera quello che, per esempio, è il colle Capitolino rispetto a Roma, vedrebbe egli seriamente una contraddizione o incoerenza nello storico che asserisse, in una parte del suo libro, che un tale è morto ed è stato sepolto sul colle Capitolino, ed in un'altra parte, parlando dello stesso uomo, dicesse che quegli è morto ed è stato sepolto a Roma? Certamente no; purchè, s'intende, egli non ignori che il Capitolino è uno de' sette colli della Città eterna. Ora lo stesso vale pel monte Hor rispetto al territorio chiamato Mosera. Non è questa una nostra scoperta: noi l'imparammo, anni fa, dal celebre Dott. A. F. James, membro della Società asiatica di Parigi. «Il faut admettre, dic'egli, che Mosera est le nom de la source ou du lieu où les Israélites campèrent au pied du mont Hor, lieu qui, à raison de sa proximité de ce mont, a été identifié avec lui [31]
Lo stesso c'insegnò il celebre De Laborde nel suo Commentario sul capo XXXVII de' Numeri (p. 181, c. 2): Le mont Hor et Mosera ne sont qu'un même endroit, qui toutefois n'a aucun rapport avec le Moseroth des Nombres XXXIII, 30; e più recentemente fummo confermati in questa opinione dall'erudito William Smith, D. C. L., LL. D., il quale, nel suo «Dictionary of the Bible» [32], insegna che «Mosera era attiguo al monte Hor che Aronne ascese, e dove morì.»
Senonchè l'Anonimo, confondendo, a quel che pare, Mosera con Moseroth, asserisce che Mosera dista sette stazioni dal monte Hor. Se così è, lo pregheremmo di voler ponderare le seguenti parole del sullodato De Laborde: «Associer ces deux noms (di Mosera e Moseroth), c'est contrarier la vérité, violenter le texte, pour arriver forcément à un réseau inextricable de difficultés.» Se poi Moseroth fosse realmente distante sette stazioni da Mosera, e perciò dal monte Hor, come non oseremmo affermarlo, così neppur lo neghiamo. Investigando ciò che insegnano i Critici su questo punto, ci siamo incontrati in nove diverse sentenze [33]! Il Vigouroux, peritissimo in queste materie, osserva al nostro proposito che «La route que suivirent les Hébreux, si elle est suffisamment fixée par les travaux de l'esploration scientifique du Sinai jusqu'au Djébel Mouça inclusivement, ne l'est plus de même à partir de la montagne de la Loi. Il reste encore quelque chose à faire aux explorateurs futurs [34].» Il che, a fortiori, lascia moltissimo a farsi dal nostro Anonimo ipercritico per dimostrare che fra Mosera ed il monte Hor vi è una distanza di sette stazioni.

VII.

Un altro caso in cui l'Anonimo è pienamente convinto di avere scoperto «una contraddizione palpabile» (a palpable contradiction) è quello della conoscenza che la Scrittura allo stesso tempo afferma e nega aver avuto Saulle di Davidde [35]. La contraddizione, secondo lui, occorre nei capi XVI e XVII del 1° libro dei Re. Infatti, nel capo XVI, 21, 22 si afferma che «Davidde andò a trovar Saulle, e si presentò dinanzi a lui; ed ei gli pose grandissimo affetto e lo fece suo scudiere», e che «Saulle mandò a dire ad Isai (padre di Davidde): Si stia Davidde presso di me, perchè ha trovato grazia negli occhi miei.» Più innanzi, al capo seguente, narra che Saulle, nel giorno del celebre combattimento di Davidde con Goliath, ebbe una conversazione animatissima col suo giovane amico e si adoperò a dissuaderlo dall'intraprendere un siffatto pericolosissimo cómpito; ma, vedendo che le sue parole a nulla giovavano, consentì finalmente, e «rivestì Davidde delle sue vesti e gli mise in capo una celata di rame e lo armò di corazza». «Dunque, ripiglia l'Anonimo, Saulle e Davidde si conoscevano molto bene in quel giorno storico e prima di esso. E nondimeno, strano a dirsi, quando, quello stesso giorno, il duello fu compito e Saulle scorse Davidde che andava contro il Filisteo, egli (secondo il sacro testo) non conosceva affatto chi fosse quel giovane [36]; nè lo conosceva Abner, l'amico di Davidde, cosicchè Saulle fu obbligato ad interrogare lo stesso Davidde: Giovinetto, di quale stirpe sei tu? E Davidde disse: Io son figliuolo del tuo servo Isai di Bethlehem!»
V'è un proverbio inglese che dice: «Birds of a feather flock together» che reso in italiano significa: «Uccelli della stessa piuma si adunano insieme.» L'Anonimo ipercritico ha copiato anche questa difficoltà dall'infedele e razionalista Voltaire, le cui parole sono: «Il est plus difficile de répondre à ceux qui ne peuvent comprendre comment Saül ignore quel est ce David, comment il ne reconnaît point son joueur de harpe, son écuyer, qui portait ses armes [37]
L'Anonimo, credendosi sicuro del fatto suo, conchiude questa parte del suo criticismo dell'Enciclica con la seguente caratteristica domanda, che egli dirige ad oegni coscienzioso cattolico: «Se un razionalista critico si fosse contraddetto nello stesso palpabile modo, e poi, voltandosi con calma, avesse affermato che le due asserzioni, anzichè contraddirsi si corroborano a vicenda, che cosa penserebbero i nostri teologi dommatici dell'intelletto di quest'uomo, ed in quali termini si esprimerebbero i nostri casuisti intorno alla sua morale?» A questa domanda, rendendo al Diplomatico ipercritico pan per focaccia, risponderemo in un prossimo quaderno, nel quale ci occuperemo della soluzione di questa e di altre simili difficoltà.
[CONTINUA]
N.B.: questo lavoro fu pubblicato anche a parte col titolo: La questione Biblica e l'Enciclica Providentissimus Deus,  Roma 1894.
R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.
Leone XIII e la questione Biblica.
Fascicolo Data: Serie Volume
I — Leone XIII e la questione Biblica § 1-6. 1048 6 febbraio 1894 XV IX
II — Leone XIII e la questione Biblica §7-14. 1050 5 marzo 1894 XV IX
III — Un diplomatico ipercritico e la Bibbia §1-7 1054 9 maggio 1894 XV X
IV — Un altro saggio del diplomatico ipercritico § 8-14 1055 22 maggio 1894 XV X
V — La scoperta di "Eufrasio" e la questione Biblica 1056 6 giugno 1894 XV X
VI — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia § 1-9 1058 11 luglio 1894XV XI
VII — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia §10-16 1065 24 ottobre 1894 XV XII

NOTE:

[1] Vedi il Quaderno 1050 del 17 marzo 1894 pp. 652-665.
[2] Num. 340, aprile 1894, pp. 576-608. Londra, «Isbister and Company.»
[3] Vedi i Quaderni 1019, 1020, 1021 e 1029. Questo lavoro, sotto il titolo di: La Politica di Leone XIII e la Contemporary Review, è stato pubblicato in un opuscolo separato e tradotto in francese, tedesco, inglese e spagnuolo.
[4] Contemporary Review, ottobre 1892, pp. 458, 459.
[5] Ibid. p. 459.
[6] Ibid, p. 477.
[7] C. R. Aprile 1894, p. 578.
[8] Ibid. p. 607.
[9] pp. 606, 607.
[10] pp. 578, 581, 591. ecc.
[11]  p. 608.
[12] Ibid. Passim.
[13] p. 595.
[14] pp. 577, 578, ecc.
[15] p. 592.
[16] Vedi il Quad. 1048, pp. 407-408 ed il Quad. 1050, pp. 66l-664.
[17] «Qui in locis authenticis librorum sacrorum quidpiam falsi contineri posse existimant, ii profecto aut catholicam divinae inspirationis notionem pervertunt, aut Deum ipsum erroris faciunt auctorem». Ciò notiamo non solo per ragione della sua vitale importanza in questa questione, ma altresì perché l'Anonimo (p. 580), traducendo in lingua inglese per beneficio de' suoi lettori il testo latino dell'Enciclica, omette nella sua versione le parole «In locis authenticis»! Un'omissione piuttosto grave per un ipercritico diplomatico!
[18] Intorno a questo punto legga il lettore l'opera dell'E.mo Franzelin De Trad. et Script. (pp. 567 e seq.) e quella dell'E.mo Mazzella De Virtutibus infusis, D. IV. art. VI.
[19] «Our Church is so marvellously constituted. That its Sovereign Pontiff may — like Pope Honorius — confer a much more solemn sanction upon dangerous and damnable errors without in the least compromising her infallibility or forfeiting his own (p. 581).»
[20] Ecco il testo dell'Enciclica: «Dolendum enim multos esse qui antiquitatis monumenta, gentium mores et instituta, similiumque rerum testimonia magnis ii quidem laboribus perscrutentur et proferant, sed eo saepius consilio ut erroris labes in sacris Libris deprehendant, ex quo illorum auctoritas usquequaque infirmetur et nutet. Idque nonnulli et nimis infesto animo faciunt nec satis aequo iudicio; qui sic fidunt profanis libris et documentis memoriae priscae, perinde ut nulla eis ne suspicio quidem erroris possit subesse, libris vero Scripturae sacrae, ex opinata tantum erroris specie, neque eâ probe discussa, vel parem abnuunt fidem.»
[21] Quad. 1050, p. 665. L'Enciclica, parlando di siffatte difficoltà aveva già osservato che «non pauca illa, quae contrarii aliquid vel dissimile viderentur afferre (eadem fere sunt quae nomine novae scientiae nunc obiiciunt), non subtiliter minus, quam religiose componere inter se et conciliare (Patres) studuerunt».
[22] L'Anonimo tiene che Mosè non scrisse, nè dettò i libri che da' teologi cattolici gli sono comunemente attribuiti. C. R. n. 328, aprile 1893 pag. 473.
[23] Vedi Cornelio a Lapide, Comm. in Jeremiam, Oper. Vol. VI, p. 534, Edit. Napoli, 1856. Fra gli autori a noi più vicini hanno scritto sulla stessa difficoltà Clemence (Difesa de' libri dei vecchio Testamento), Guené, (Lettere di alcuni Ebrei a Voltaire). Du Clot, (La Bibbia Sacra difesa dalle accuse degl'increduli) ed altri.
[24] Jer. VII, 22. Non sum locutus cum patribus vestris et non praecepi eis, in die qua eduxi eos de terra Aegypti, de verbo holocautomatum et victimarum.
[25] Vigouroux, La Bible et les découvertes modernes, Tom. II, pag. 526. Edit. Paris, 1884.
[26] Expositio in Jeremiam Prophetam, Cap. VII. Oper. Vol. XIV, p. 597. Edit. Parma, 1863.
[27] La Bibbia Sacra difesa ecc., traduzione italiana, Vol. 2, p. 217. Edit. Torino, 1854.
[28] «Si immolaveritis hostiam pacificorum Domino, ut sit placabilis, Eo die quo fuerit immolata, comedetis eam, et die altero: quidquid autem residuum fuerit in diem tertium, igne comburetis.»
[29] «Si immolaveritis hostiam pro gratiarum actione Domino, ut possit esse placabilis, Eodem die comedetis eam: non remanebit quidquam in mane alterius diei. Ego Dominus.»
[30] Comm. in Leviticum, c. III, Oper. V. 1, pag. 511. Edit. Napoli, 1854.
[31] Nel Dictionnaire historique, archéologique etc. del Calmet, 4ª Edizione, Migne, Vol. 3º, p. 603.
[32] «Probably the people encamped in this spot (Mosera) adjacent to the mount which Aaron ascended, and where he died.» Vol. 2º, pag. 424, Edit. London, 1863.
[33] Il critico Trochon, nelle sue note sul Deuteronomio, quantunque opini che Mosera e Moseroth non fossero due luoghi diversi, pure così scrive: «Aaron mourut pendant que le peuple était campé à Mosera .... Le mont Hor est indiqué comme l'endroit de la mort d'Aaron. Mosera était par conséquent dans le voisinage du mont Hor.... Aaron ne mourut pas dans le camp: celui-ci n'était pas sur le sommet de la montagne, mais le long d'un de ses versant, ou à ses pieds, précisément sans doute à Mosera.» (La Sainte Bible. Le Deutéronome. p. 74. Edit. Paris, 1888).»
[34] La Bible et les découvertes modernes. Tom. 2°, pag. 597. Edit. Paris, 1884.
[35] C. R. p. 585.
[36] «He had not the faintest idea who he was» pag. 585.
[37] La Bible enfin Expliquée, nota 48 sul libro dei Re. Œuvres complètes vol. VI, parte 2ª, pag. 1185. Edit. Paris, 1817.