martedì 4 marzo 2014

L’inflazione monetaria e la caduta dell’impero romano (1° parte)



Proponiamo la traduzione integrale in italiano dell’articolo Inflation and the Fall of the Roman Empire, tratto dal Ludwig von Mises Institute, scritto da Joseph R. Peden, saggista ed autore di varie pubblicazioni, ha insegnato storia al Baruch College of the City University of New York. Si tratta di una trascrizione della lezione da lui tenuta al Seminar on Money and Government a Houston in Texas, il 27 Ottobre 1984. La registrazione audio originale è qua reperibile. (Traduzione di Luca Fusari)
Due secoli fa, nel 1776, furono pubblicati in Inghilterra due libri entrambi ancora avidamente molto letti: La ricchezza delle nazioni di Adam Smith e Declino e caduta dell’impero romano di Edward Gibbon. Opera in più volumi, quella di Gibbon è il racconto di uno Stato che sopravvisse per dodici secoli in Occidente e per altri mille anni in Oriente a Costantinopoli.
Eppure nel guardare a questo fenomeno, Gibbon commentò che la sua meraviglia non era che l’Impero romano fosse caduto, quanto piuttosto che fosse durato così a lungo. Gli studiosi a partire da Gibbon hanno dedicato grande quantità di energia per esaminare questo problema: come è stato possibile che l’Impero romano sia durato così a lungo? E’ declinato o è stato semplicemente trasformato in qualcos’altro (quel qualcos’altro è la civiltà europea, di cui siamo gli eredi)?.
Mi è stato chiesto di parlare sul tema della storia romana, in particolare sul problema dell’inflazione e del suo impatto. La mia analisi si basa sulla premessa che la politica monetaria non può essere studiata o capita isolandola dalle politiche generali dello Stato. I temi monetari, fiscali, militari, e le questioni politiche ed economiche sono tutti molto intrecciati, e la ragione per cui lo sono è in parte dovuto al fatto che lo Stato, qualsiasi Stato, cerca di solito di monopolizzare l’offerta di denaro sul proprio territorio.
La politica monetaria serve sempre, anche se in modo pessimo, i bisogni percepiti dai governanti dello Stato. Se anche accade che possa migliorare la prosperità e il progresso delle masse del popolo ciò è un vantaggio secondario, ma il suo primo obiettivo è quello di soddisfare le esigenze dei governanti non del governato. Ritengo che questo punto sia centrale per la comprensione del corso della politica monetaria nel tardo Impero romano.
Possiamo iniziare osservando la mentalità dei governanti dell’Impero romano a partire dalla fine del II° secolo d.C. fino alla fine del III° secolo. Gli storici romani si riferiscono a questo periodo come la crisi del III° secolo, e la ragione è che i problemi della società romana in quel periodo erano così profondi e così enormi che la società romana emersa dopo tale secolo fu molto, molto diversa in quasi tutti gli ambiti da quella che era stata nel I° e nel II° secolo. L’imperatore Settimio Severo diede questo consiglio ai suoi due figli Caracalla e Geta: «vivere in armonia, arricchire le truppe, ignorare tutti gli altri». Ora c’era una politica monetaria per cui essere ammirati!.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b0/051_Caracalla.jpgCaracalla non seguì la prima parte del consiglio, infatti uno dei suoi primi atti fu quello di uccidere il fratello. Prese così seriamente a cuore l’arricchimento delle truppe che sua madre protestò con lui invitandolo ad essere più moderato e di limitare le sue crescenti spese militari e le sue nuove assai onerose tasse. Lui rispose affermando che non c’erano più entrate giuste o ingiuste, ma di non preoccuparsi, indicando la spada disse «finché abbiamo questa non saremo a corto di soldi».
Le sue priorità furono rese più esplicite quando disse «a parte me nessuno dovrebbe avere del denaro, affinché io lo possa dare ai soldati». Fu di parola, alzò del 50% la paga dei soldati e per raggiungere questo obiettivo raddoppiò le imposte di successione versate dai cittadini romani. Quando questo non fu sufficiente a soddisfare le sue esigenze, diede a quasi tutti gli abitanti dell’impero la cittadinanza romana. Quello che fu un privilegio divenne semplicemente un mezzo di espansione della base imponibile.
Poi andò oltre, procedendo allo svilimento della moneta. La monetazione di base dell’impero romano in questo periodo, stiamo parlando del 211 d.C., era il denario d’argento (argenteus denarius) introdotto da Augusto alla fine del I° secolo prima di Cristo con circa il 95% di argento, la quale moneta continuò ad essere per due secoli il mezzo base di scambio nell’impero.
Al tempo di Traiano, nel 117 d.C., conteneva solo l’85% d’argento calando dal 95% di Augusto. Dall’età di Marco Aurelio, nel 180 d.C., il denario era per il 76% d’argento. Al tempo di Settimio la componente d’argento era scesa al 60%, Caracalla la livellò ulteriormente arrivando al 50%.
Caracalla fu assassinato nel 217 d.C. e dopo di lui seguì quella che gli storici chiamano l’era dell’Anarchia militare o dei soldati imperatori, perché per tutto il III° secolo tutti gli imperatori provennero dall’esercito e tutti giunsero al potere con colpi di Stato militari o con qualcosa di simile. In questo secolo ci furono circa 26 imperatori legittimi e solo uno di loro morì di morte naturale, il resto furono tutti assassinati o morirono in battaglia, il che fu assolutamente senza precedenti nella storia romana (con due precedenti eccezioni: il suicidio di Nerone e l’assassinio di Caligola).
Caracalla aveva anche svilito la moneta d’oro. Sotto Augusto circolavano 45 monete per una libbra d’oro. Caracalla ne fece 50 con una libbra d’oro. Meno di 20 anni dopo, circolavano 72 per una libbra d’oro, ridottesi a 60 alla fine del secolo da Diocleziano, solo per essere sollevate nuovamente a 72 da Costantino. Così anche la moneta d’oro fu inflazionata svilendola di valore.
Ma la vera crisi arrivò dopo Caracalla, tra il 258 e il 275 d.C., in un periodo di intense guerre civili e di invasioni estere, gli imperatori semplicemente abbandonarono a tutti gli effetti la moneta d’argento. Nel 268 d.C. c’era solo lo 0,5% d’argento nel denario. I prezzi in questo periodo aumentarono nella maggior parte dell’impero di quasi il 1000%. Le uniche persone che furono pagate in oro furono le truppe barbariche assunte dagli imperatori. I barbari erano così barbari che avrebbero accettato solo l’oro come pagamento per i loro servigi.
La situazione non cambiò fino a quando divenne imperatore Diocleziano nell’anno 284 d.C. Poco dopo la sua ascesa alzò il peso della moneta d’oro, l’aureo (aureus) a 60 monete per libbra da un minimo di 72. Ma dieci anni dopo abbandonò il conio argenteo, che da questo momento fu semplicemente una moneta di bronzo immerso in argento piuttosto rapidamente.
Egli l’abbandonò completamente e tentò di emettere una nuova moneta d’argento chiamato argenteo (argenteus) per 96 monete a libbra. Questo argenteus fu fissato come cambio pari a 50 dei vecchi denarii (del vecchio conio). Fu progettato per rispondere al bisogno di monete a più alta tariffazione sul mercato per riflettere l’inflazione. Egli batté anche una nuova moneta di bronzo tariffata a 10 denarii chiamata nummo (nummus), ma meno di un decennio più tardi dalla sua emissione fu tariffato a 20 denarii, e l’argenteo andò da 50 denarii a 100; in altre parole nonostante gli sforzi di Diocleziano l’Impero soffrì un’inflazione del 100%.
Continua…