domenica 31 agosto 2014

31 agosto 2014 : 290° anniversario della morte di S.M.C. Luigi I di Spagna e 191° anniversario della vittoria nella Battaglia del Trocadero

Oggi , 31 agosto , ricorrono due anniversari ; il primo riguarda la morte , avvenuta il 31 agosto 1724, di S.M.C. Luigi I il beneamato, Re delle Spagne, Indie e delle isole e terra ferma del mare oceano. Il secondo invece, riguarda la vittoria della Battaglia del Trocadero del 31 agosto 1823.

S.M.C. Luigi I di Spagna
Appena sei giorni dopo il suo diciassettesimo compleanno e duecentoventinove giorni dopo la sua ascesa al Trono, il 31 agosto del 1724, moriva a Madrid il Re Don  Luigi  di Borbone e Savoia, vittima del vaiolo. Suo padre,  Filippo V, che aveva abdicato, fu cosi' costretto a tornare a brandire lo scettro di Spagna. Offriamo una preghiera per il riposo di Don Luigi.

S.A.R. Luigi Antonio di Borbone, Duca d'd'Angoulême

Oggi ricordiamo anche la grande vittoria nella Battaglia del Trocadero (1823) nella quale  l'esercito Franco-spagnolo comandato da S.A.R.  Luigi Antonio di Borbone Duca d'Angoulême (anche lui un Borbone e Savoia, figlio di colui che sarebbe divenuto Carlo X di Francia, e futuro Luigi XIX di Francia) sconfisse i liberali nel Forte del Trocadero, a Puerto Real (Cadice). Fu così che ebbe fine il terrore del famigerato triennio liberale spagnolo (1820-1823). 

Di Redazione A.L.T.A. 

CONTRO LA RETORICA DEI "TRE GRANDI MONOTEISMI".

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Tre monoteismi, tre opposizioni

[Risulta] sufficiente un'analisi delle nozioni insite nei monoteismi per chiarire la provenienza terrena o invece divina delle nozioni religiose non cattoliche. (…)

“Chi non è con me, è contro di me” (Matt., XII, 30), dice il Signore. Ora: quale dei tre monoteismi “è con il Cristo”? Quale “è con il Logos?” Quale dei tre monoteismi accetta e accoglie la divina Persona che parla e dice: “Chi non è con me è contro di me”?

Si rivela necessario davvero, alla luce di questa utile indicazione data dal Cristo per discernere infallibilmente le nozioni che corrispondono al vero, ossia alla realtà, dalle nozioni che non vi corrispondono, ossia dalla nozioni che non le si adeguano e che quindi, conformandosi piuttosto a qualcosa di irreale, si adeguano a un pericoloso nulla, a fantasie. (…)

Riassumendo: quei due monoteismi antagonisti al monoteismo trinitario, lo sono quanto l'antipersona è antagonista alla persona, perché di questo si tratta: quei due monoteismi vanno ritenuti pericolosi per l'uomo, affatto neutri, o addirittura utili, perché si tratta di due nozioni riduttive e snervatrici della somma realtà, che non aiutano l'uomo a riconoscere la realtà, ma lo allontanano da essa. Quando si parla di salvezza, infatti, e di salvezza dovuta alla fede, si parla di stare o non stare alla realtà, cosa che si compie attraverso la fede, ovvero attraverso la conoscenza per testimonianza, ovvero attraverso la gnoseologia: se l'uomo si adegua alla realtà vive, se invece ne resta fuori, non la tocca, non la afferra, si perde.
La nozione islamica presenta una deità che per le sue caratteristiche non sembra garantire all'uomo nulla di razionale, nulla di intellettualmente plausibile: quando, per usare un'altra metafora, alla persona del Nume vengono tolti gli occhi della visione, la testa della ragione e delle idee, le mani della donazione e della buona e anzi ottima volontà, non resta di essa che una cosa, e in questo consiste l'antagonismo di cui si parla: il tentativo di perpetrare, attraverso una nozione squisitamente religiosa e vera quale quella che si trova nell'insegnamento santo e trascendente della nozione di Dio, propria a un genuino monoteismo, la terrificante crasi tra persona e cosa.
 
Analoga la condizione della nozione giudaica, o talmudica: con il rifiuto della persona divina di Cristo l'uomo ne rigetta insieme tutte le implicazioni metafisiche che quella Persona divina porta con sé, tanto quanto il rifiuto della Causa di tutto porta con sé il rigetto, insieme, di tutti i suoi effetti, a partire da quel concetto imprescindibile della nozione di persona che è il concetto di relazione, di partecipazione. (…)

Rifiutando il Cristo l'uomo rifiuta la relazione, la partecipabilità metafisica della Persona divina alla persona umana, sicché, mentre la realtà Dio, ovviamente resta salva, viene intaccata la realtà conoscitiva che l'uomo ne ha, corrosa fino a perdere di senso; dall'invalidamento della nozione Dio nei Cieli, all'invalidamento sulla Terra dell'analoga nozione persona nell'uomo, il passo è breve, giacché dalla nozione che l'uomo ha della realtà Dio dipende ogni altra nozione di realtà.

L'abbiamo visto: se l'uomo ha di Dio una nozione tirannica, anche la sua scienza riguardo le cose sulla Terra gliele mostrerà tiranniche e il suo stesso agire sarà tirannico; se di Dio ha una nozione oscillante tra presenza e assenza, anche i suoi ragionamenti e le sue azioni sulla Terra perderanno la forza della certezza e onduleranno nel relativismo e nel dubbio; se invece l'uomo ha di Dio una nozione relazionale e partecipativa, anche la sua scienza delle cose terrene gliele mostrerà partecipanti – quindi intelligenti, libere, pacifiche, amorevoli – e il suo stesso agire sarà egualmente partecipante, cioè sarà un agire amorevole, un agire di caritas. (...)

Ci auguriamo dunque, a questo punto, che ciascuno possa riflettere sulle nozioni di Dio con quel profondo e spirituale distacco, e, contemporaneamente, anche con quell'amorevole attenzione che le considerazioni su tali altissime cose sempre meritano: ad esse, solo ad esse, è demandata la salvezza e lì e riposta ogni nostra speranza, ogni nostra fiducia nel guadagnare un giorno il Regno dei Cieli preparato per noi dalla santa Trinità.



[Enrico M. Radaelli, Metafisica delle tre “grandi religioni monoteiste”: Cristianesimo, Ebraismo e Islam, Aurea Domus Edizioni, Milano 2005, pp. 36-40]

PIGIAMI A RIGHE, LA TROVATA COMMERCIALE DI ZARA

Forse come antidoto alla stagnazione dei consumi, la catena di negozi Zara ha lanciato sul mercato equivoche magliette per bambini che richiamano visivamente le uniformi degli internati nei campi nazisti. Bene o male purché se ne parli: chi si lacera le vesti e chi dà sfogo all'antisemitismo. Noi preferiamo sdrammatizzare con l'ironia di Franciscus Pentagrammuli.

zara

Che non si venga a parlarci di errori o di scuse. Questo non può essere scusato: presentare un pigiama dei campi di sterminio con la stella gialla delle ore oscure del nazismo e di Vichy.
Questo scrive in uno stato pubblico di Facebook l’ex Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim. Senza considerare che il pigiamino è dichiarato ispirarsi al Far West, che sulla schiena presenta la ben visibile scritta Sheriff (sceriffo), che la stella gialla dello scandalo ha, come ogni stella da sceriffo del Far West che si rispetti, una pallina sopra ogni punta, pallina che ognuno sa assente dalle sei punte della stella di David apposta sugli abiti degli ebrei.
Ma al di là delle errate interpretazioni sul corpo del pigiamino incriminato, nel 2009 il quasi Gran Rabbino Bernheim scagliò parole di fuoco dal giornale Le Monde contro monsignor Williamson e Benedetto XVI che gli aveva revocata la scomunica: il vescovo inglese era colpevole di NEGAZIONISMO, le sue parole erano degli "abietti propositi", Benedetto XVI "non poteva non sapere", e le pauvre Gilles era molto rattristato da ciò, non comprendeva: e il dialogo interreligioso, e il tè ecumenico delle cinque con i biscottini imburrati?
Monsignor Williamson negava (in realtà non parlava delle uniformi carcerarie, ma per metonimia) che i pigiami a righe con la stella davidica gialla fossero mai esistiti. Zara secundum Bernheim ricorda invece l’esistenza dei pigiami a righe con la stella, organizza una sorta di perenne Giorno della Memoria nel campo del prêt-à-porter per bimbi, e ciò è "un’onta".
Ora, sarò malizioso, ma non riesco a non vedere una certa contraddizione. Nell’attesa, credo che comprerò a mio nipote un pigiamino da tigre siberiana, così se qualcuno se ne lamenterà potrò scagliargli contro le associazioni animaliste anti caccia anti pelliccia, e il mio nipotino potrà dormire sonni da … leone!

Roma. La Fraternità San Pio X, il 9 agosto scorso, ha celebrato Messa in San Pietro


Per vedere il video della Santa Messa,

celebrata nella cappella di san Pio X presso la Basilica di San Pietro,

cliccare qui

AAA interprete cercasi

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di Massimo Micaletti - http://radiospada.org/  
Interpreti qualificati cercansi.
Nelle preghiere dei fedeli siamo abituati a trovare un po' di tutto - altro ottimo motivo per preferire il Vetus Ordo Missae al Novus, ma questa è un'altra storia – siamo abituati a trovare un po' di tutto, dicevo, ma Domenica scorsa abbiamo avuto in dono una perla rara: eravamo infatti invitati a pregare perché il Signore ravvivasse “il dialogo tra cristiani ed ebrei, facendo sì che il popolo primogenito della antica alleanza ci aiuti a riscoprire l’importanza della Bibbia”.
Per quanto mi consta, in qualche parrocchia le intenzioni sono state modificate rispetto al testo riportato, ma nella gran parte delle Chiese il prete – o chi per lui – ha invitato i fedeli chiedere a Dio quanto sopra, ed i fedeli, avvezzi ormai a questa ed altre meraviglie, hanno compostamente risposto il loro “Ascoltaci o Signore”.
Ora, se il prendo il Catechismo di San Pio X, punti da 232 a 236, leggo che la Bibbia dei cristiani è composta dall'Antico Testamento e dal Nuovo Testamento. Pure il Nuovo Catechismo la vede così. Quel po' che so di dottrina mi dice che il Nuovo Testamento parla della predicazione di Gesù e dei Suoi Apostoli nell'annunciare che Cristo è il Figlio di Dio, Uno e Trino. Quel pochissimo che so delle altre religioni mi dice che per gli ebrei Gesù Cristo non è Figlio di Dio, né tantomeno Messia: ergo per gli ebrei nella Bibbia non c'è il Nuovo Testamento, ossia i Quattro Vangeli, l'Apocalisse, gli Atti degli Apostoli, le Lettere. In più, c'è il Talmud, composto successivamente alla venuta di Cristo e che non può certo definirsi un testo cristiano. Mica poco, se chiediamo al Padreterno che costoro aiutino i cattolici “a riscoprire l'importanza della Bibbia”.
Non basta. Neppure sull'Antico Testamento c'è accordo. Qualcuno un po' superficiale vorrebbe farci credere che gli ebrei – inteso sempre come esponenti di un credo religioso, non su un piano etnico, ci mancherebbe! – in definitiva, Vangelo a parte, “hanno la nostra stessa Bibbia”. Anche fosse così, anche se essi riconoscessero per veri i nostri stessi testi del Vecchio Testamento, comunque nulla avrebbero a che fare con i cattolici, perché la Rivelazione di Cristo ha dato un nuovo significato ed un pieno compimento alle Scritture preesistenti; però va rilevato che gli ebrei non hanno neppure i nostri stessi testi veterotestamentari.
Se non credete al Catechismo leggetevi almeno Wikipedia, che ci spiega che la Bibbia ebraica differisce da quella cattolica perché anche quanto alle Scritture ante Cristo non annovera i medesimi Libri che osserviamo noi cattolici (per la verità, pure gli Ortodossi aggiungono ulteriori libri all'Antico Testamento, perciò neppure con loro possiamo dire di avere comunione di Scritture; non parliamo poi dei Protestanti: questo per chiarire una volta di più che non si può parlare banalmente di “Religioni del Libro” perché il cosiddetto “Libro” non è lo stesso per tutti).
La differenza in ordine al novero dei testi compresi nelle Scritture è di capitale rilevanza se si tiene presente che per noi cattolici i Libri sono ispirati, ossia sono letteralmente Parola di Dio. Segnatamente, i punti 105 e 106 del Catechismo recitano:
105 Dio è l'Autore della Sacra Scrittura. "Le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa" [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21].
106 Dio ha ispirato gli autori umani dei Libri Sacri. "Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse degli uomini, di cui si servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli stesso in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva" [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21].
Ora, se nelle Scritture è contenuta la Parola di Dio, è ben strano che Dio abbia detto a noi cattolici delle cose, agli ebrei altre, agli Ortodossi altre ancora e via di seguito. E' pur vero che molti al giorno d'oggi non si pongono più neppure il problema che Dio possa aver mandato Cristo ad alcuni, Maometto ad altri e nessuno ad altri ancora, e sostengono apertis verbis che questo dio sarebbe il medesimo per islamici, cattolici, ebrei e protestanti, ma questo è un altro capitolo...
Possiamo dunque serenamente affermare che la religione ebraica non ha riconosciuto né riconosce Cristo come Messia e non osserva le stesse Scritture che osserviamo noi. Perciò sarebbe da chiedersi cosa gli ebrei possano spiegarci e come possiamo rivolgerci a loro per “riscoprire l'importanza della Bibbia”, anche e soprattutto considerando che la Parola Vivente, ossia Cristo, Colui che a tutte le Scritture da senso e compimento e che attraverso esse ha parlato, non è stata da loro compresa; ergo, le Scritture tutte non sono state da loro comprese. E' più o meno come chiedere a Nerone di aiutarci a riscoprire l'importanza del bel canto e della buona politica.

La vera scienza storica è cristiana

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Da decenni sembra che il mondo cattolico guardi alla propria identità e alla propria storia con imbarazzo e che rifiuti, oltre alla Regalità di Cristo sulla società attuale, anche la Sua signoria sulla storia passata e futura. Proponiamo dunque questa illuminante citazione, da un autore - l'abate benedettino Prosper Guéranger - di chiara fama e solida dottrina.
da Il senso cristiano della storia. Il soprannaturale nella storia

Ma se è impossibile conoscere l’uomo nella sua totalità senza l’ausilio della luce rivelata, come è possibile supporre di spiegare la società umana in tutte le fasi che ne costituiscono la Storia senza far ricorso a questa stessa fiaccola divina che ci illumina sulla nostra natura e i nostri destini individuali? L’umanità avrebbe forse un fine diverso dall’uomo? L’umanità sarebbe qualcosa d’altro della somma degli uomini? No. Chiamando l’uomo all’unione divina, il Creatore vi convoca l’umanità.
[...]
Gli storici gentili non hanno teorie globali sulla storia. L’idea di patria è tutto per loro e dal tono della narrazione non trapela mai il minimo affetto per il genere umano in sé. Del resto, è soltanto con il cristianesimo che la storia ha incominciato ad essere trattata in maniera sintetica; il cristianesimo, non dimenticando mai il destino soprannaturale del genere umano, ha abituato il nostro spirito a vedere al di là del cerchio angusto dell’egoismo nazionale. È in Gesù Cristo che si è rivelata la fratellanza umana, e da allora la storia universale è divenuta oggetto di studio. Il paganesimo ha saputo dare soltanto una fredda statistica di fatti; non è mai stato in grado di redigere in modo completo la storia del mondo. Non è stato sottolineato con sufficiente vigore che è stata la religione cristiana a creare la vera scienza storica, dandole la Bibbia per base.
[...]
L’apparizione del Verbo incarnato sulla terra è il punto culminante della storia, che da questo evento viene divisa in due grandi epoche: prima di Gesù Cristo, dopo Gesù Cristo. Prima di Gesù Cristo, un’attesa di molti secoli; dopo Gesù Cristo, una durata il cui segreto è ignoto all’uomo, perché nessun uomo conosce l’ora della nascita dell’ultimo eletto; ed è per gli eletti, per i quali il Figlio di Dio si è incarnato, che il mondo è conservato. Con questo dato certo, di una certezza divina, la storia non ha più misteri per il cristiano. [...] Il criterio è unico, che si tratti di un uomo o di un popolo. Tutto ciò che esprime, conserva o diffonde l’elemento soprannaturale, è socialmente utile e vantaggioso; tutto ciò che l’ostacola, lo indebolisce e lo annienta, è socialmente funesto. Per mezzo di questo procedimento infallibile, lo storico comprende il ruolo degli uomini di azione, gli avvenimenti, le crisi, le trasformazioni, le decadenze; sa in anticipo che Dio agisce nella sua bontà oppure tollera nella sua giustizia ma senza mai derogare al suo disegno eterno che è di glorificare il Figlio nell’umanità.
[...]
Per demolire lo storico cristiano è necessario in primo luogo demolire la Chiesa su cui egli poggia. È vero che da diciannove secoli tiranni e filosofi sono all’opera, ma le sue mura sono così solidamente costruite che sino ad ora non hanno potuto staccarne una sola pietra.

Si ringrazia CattoMaior per la citazione - http://radiospada.org/ 

venerdì 29 agosto 2014

La miseria dell'Italia unita



Gli Alpini calpestavano la  bandiera Imperiale?
Deridono chi non è come loro?
Forse vogliono vendicarsi dei loro avi, che nel 1868...
"... il 27 e 28 (dicembre) a Castelnuovo di Sotto (Reggio Emilia) si calpesta la bandiera nazionale..."
"... Le loro grida rimangono: «Viva Pio IX», «Viva il Papa e la religione » e talvolta «Viva il Governo Austriaco»"
" I moti avvengono al grido di «Viva il Papa », o nel milanese «Viva il governo austriaco»" (già nel 1867 era insorta la campagna veronese al grido di Viva l'Austria ndr).
Di cosa parliamo? Delle rivolte contadine per la tassa sul macinato, argomento conosciuto da quasi tutti gli italiani ma mai compreso perchè si scontra con la loro ideologia patriottica.
La tassa più iniqua, che colpiva i più poveri. Alcuni contadini dovettero sorbirsi 4-5 nuove tasse prima di quella sul macinato, che colpiva i loro autoconsumi di cereali, perchè solo i possedimenti più grandi erano in grado di produrne tanti da venderli sul mercato.
Dove potevano trovare i soldi per pagare le tasse?
Solo dagli strozzini e dai mezzi strozzini, ossia la nuova classe dirigente che aveva accesso al credito ed i quali esponenti giravano la campagne in calesse per comprare per un tozzo di pane le ultime piccole proprietà dei contadini o per portare le ordinanze di sfratto per morosità.
In precedenza, ci aveva pensato il loro "Stato" ad impoverire ancora di più i contadini tramite la fine degli usi civici (legnatico, pascolatico, caccia, pesca, raccolta....) e degli espropri, che andavano a favore degli unici acquirenti possibili: gli avvocati ed i notabili che finalmente amministravano i Comuni ed i loro amici con la tessera della massoneria in tasca.
Il Governo Sardo era già partito alla conquista dei territori ad est ed a sud (ad ovest non potevano certamente) sull'orlo della bancarotta. Nonostante le predazioni, le spogliazioni e la rapina dell'oro di Napoli, i sardi spendevano sempre più di quanto producevano (quasi nulla).
Arrivarono al 1866 con due pesantissime sconfitte militari ma con il "regalo del Veneto e del Friuli" grazie all'alleanza con la Prussia.
E le loro casse erano ancora più paurosamente vuote del solito.
Avevano dovuto finanziare 20 anni di guerre di conquista e la corruzione di ufficiali e notabili degli Stati che avevano nel mirino; 8 anni di stragi e massacri nelle Due Sicilie, l'ultima guerra per terra e per mare con il pagamento in oro delle costose corazzate, dovevano pagare la costruzione della nuova capitale a Firenze e varie spesucce (i capitalisti italiani non pagarono tasse sui titoli al portatore fino al 1947).
Fare guerra in tutta la penisola costa moltissimo, chiedetelo a tedeschi ed americani. Bottino di guerra non ci fu per gli imperiali perchè Franz Josef era stato ferreo ed anzi si era fatto pagare gli indennizzi, mentre i prussiani, ottenuta la supremazia e conquistati un paio di principati germanici, si erano accontantati ed avevano scaricato gli italiani.
Anche Napoleone III stava iniziando a stufarsi di loro, non aveva mai digerito che Cavour avesse acconsentito al pagamento di una pensione  alla vedova di Felice Orsini che dieci anni prima aveva tentato di ammazzarlo.
Così il governo italiano  dovette inventarsi delle nuove tasse, che non colpissero i ricchi e la loro nascente borghesia framassonica che li sosteneva.
Ed inventarono, o meglio perfezionarono la tassa sul macinato. La tassa era già stata applicata nel rinascimento e da Napoleone, ma non all'italiana.
Pertanto inventarono un contagiri per le ruote dei mulini e nominarono esattori i mugnai, che dovevano versare una cospicua caparra a garanzia. Per questo motivo migliaia di mulini chiusero i battenti e tra il 68 ed il 69 quando sarebbe entrato in vigore il nuovo regime, si misero anche in sciopero; probabilmente per non essere massacrati dai contadini affamati.
Ne nacque una rivolta generalizzata di tutti i contadini in tutti i luoghi conquistati dal governo settario, compreso il natio Piemonte. Ricordiamo che a quei tempi, i contadini rappresentavano il 95% della popolazione.
Chi nominarono Duce supremo della repressione? Il generale Cadorna, quello che due anni prima aveva tentato di marciare su Trieste per portare ad essa, la "libertà" dell'Italia. E che aveva già dato alla luce l'illustre figlio Luigi, che nel 1915 avrebbe sublimato l'opera del padre, massacrando i contadini in un modo molto più intelligente ed efficace. Lui non era massone, era solo un "fedele servitore dello Stato" come ce ne sono ancora tanti.
Ora siamo alle solite. Equitalia usa gli stessi metodi di Quintino Sella, lo Stato se la prende con la stragrande maggioranza della popolazione spingendola alla miseria e senza avere pietà di nessuno, a parte le classi dirigenti che sostengono lo Stato con la tessera della massoneria in tasca. E gli Alpini, sono contenti.

Di Redazione A.L.T.A. 

giovedì 28 agosto 2014

[DA VEDERE] L'ECCEZIONALITÀ DEL LIBANO

Qualche settimana fa l'ISIS ha attaccato l'esercito libanese vicino al confine siriano. Questa infografica mostra che cosa rende il Libano una "preda" appetibile per gli islamisti.

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Per Israele è un eroe. Ma ne condanna le azioni

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Una figura della resistenza olandese restituisce la medaglia al valore dopo aver perso dei parenti a Gaza. Questo articolo, a firma di Christopher F. Schuetze e Anne Barnard, è comparso sull'International New York Times del 16 agosto 2014. [traduzione a cura di Ilaria Pisa]
1943. Henk Zenoli affronta un pericoloso viaggio in treno, eludendo i checkpoints dell'esercito collaborazionista, per portare un undicenne ebreo ortodosso da Amsterdam alla cittadina di Eemnes, dove la famiglia Zenoli, già attenzionata per l'ostilità all'occupazione nazista, nasconderà per due anni il fuggitivo. Quel ragazzo, Elchanan Pinto, è l'unico membro della propria famiglia a sopravvivere alla Shoah. Dopo la vittoria alleata, nel 1945, uno zio di Elchanan lo trasferisce in un orfanotrofio ebraico e nel 1951 il ragazzo giunge in Israele
71 anni più tardi, 20 luglio. Un attacco aereo israeliano rade al suolo un palazzo nella striscia di Gaza, uccidendo sei parenti acquisiti di Zenoli. La sua pronipote, una diplomatica olandese, è infatti sposata con un economista palestinese, Ismail al-Zeyada, che ha perso in quest'attacco tre fratelli, una cognata, un nipote e la prima moglie del padre.
Giovedì (14 agosto, ndt) Zenoli, 91enne, il padre perso in un campo di concentramento nazista, si è recato presso l'ambasciata israeliana a L'Aia e ha restituito la medaglia conferitagli in quanto Giusto tra le Nazioni (il riconoscimento dato da Israele ai non ebrei per aver salvato ebrei dalla Shoah). In un'angosciata lettera all'ambasciatore, ha descritto il prezzo terribile che la sua famiglia dovette pagare per essersi opposta alla tirannide nazista. "Mia sorella perse il marito, giustiziato tra le dune della costa dell'Aia. Mio fratello perse la fidanzata, ebrea, deportata e mai più tornata a casa", ha scritto. Nel 1943, il padre di Zenoli fu imprigionato dai nazisti per la sua attività sotterranea nel movimento di resistenza olandese. "Con questo background, è particolarmente tragico che oggi, quattro generazioni più tardi, la nostra famiglia affronti la perdita di congiunti in Gaza, per mano proprio dello Stato di Israele".
Il gesto di Zenoli è come se cristallizzasse la controversia etica sull'operazione militare condotta da Israele su Gaza e costata più di duemila vittime, in maggioranza civili. Da campione di Israele a critico delle sue politiche, lo slittamento di Zenoli è speculare a quello che riguardò l'Europa, scossa dalla tragedia degli ebrei europei e quindi pronta a sostenere, nel 1948, la fondazione di Israele come "paradiso terrestre" sicuro per gli ebrei di tutto il mondo.
Ma a partire dall'occupazione del West Bank e di Gaza durante la guerra del '67, gli europei divennero più critici. Israele denuncia una recrudescenza di antisemitismo, ma persone come Zenoli testimoniano che le obiezioni alla politica israeliana non sono antisemite, anzi sono coerenti con i princìpi di umanità che portò tutti a condannare la Shoah e ad appoggiare il nascente Stato.
"Ho restituito la mia medaglia, perché dissento da quello che lo Stato di Israele sta facendo alla mia famiglia e all'intera Palestina" ha detto Zenoli, avvocato in pensione, in un'intervista rilasciata venerdì (15 agosto, ndt): conservare l'onorificenza sarebbe stato, ha scritto nella lettera, un insulto alla memoria di sua madre, di cui i parenti di Gaza sono i discendenti. Zenoli ha specificato che il suo gesto si dirige solo contro Israele e non contro il popolo israeliano: "gli ebrei erano nostri amici". Dispiacere per la scelta è stato espresso da un portavoce dello Yad Vashem, dove un lussureggiante giardino commemora i 25mila "Giusti tra le Nazioni", tra cui 5mila olandesi: la nazionalità più rappresentata, dopo la Polonia. 
L'atto di Zenoli riceve invece consenso a Gaza. Hassan al-Zeyada, fratello maggiore di Ismail, è uno psicologo che si occupa di traumi e che ha in terapia molti abitanti di Gaza, duramente provati dalla guerra e dalla vita da profughi; ha riflettuto, come Zenoli, sulla curiosa circostanza che proprio Israele si è trovata coinvolta nella Shoah, uno degli eventi collettivi più traumatici della storia umana. "E' particolarmente doloroso [per la famiglia di Zenoli] subire l'aggressione di chi si è cercato in tutti i modi di salvare", aggiunge. Nella sua lettera, Zenoli ricorda il grande impegno della sua famiglia nel sostenere la ricerca degli ebrei di uno Stato nazionale, ma annota anche di essersi progressivamente convinto del carattere razzista del progetto sionista, nel voler costruire uno Stato per soli ebrei.
Nessuna delle vittime era militante. Israele asserisce di prendere precauzioni per evitare morti tra i civili, e accusa Hamas di aumentarne scientemente il numero, operando in quartieri densamente abitati. Non è chiaro se il colpo che ha distrutto l'abitazione sia partito per sbaglio e quale fosse il reale obiettivo; al quotidiano Haaretz l'esercito israeliano ha riferito che sono in corso indagini. 
La lettera di Zenoli si conclude così: "l'unica via d'uscita per gli ebrei d'Israele dalla palude in cui si son invischiati è garantire a quanti vivono nel territorio israeliano gli stessi diritti politici e opportunità sociali ed economiche. Anche se ciò implicherà il venir meno di uno Stato esclusivamente ebraico, sarà uno Stato con un livello di giustizia compatibile con il titolo di "Giusto tra le Nazioni" riconosciuto a me e a mia madre, che sarò allora ben felice di accettare. In tal caso, non esitate a contattare me o i miei discendenti".

JOHN FLAXMAN E L'ELEMENTO GRAFICO AUTONOMO

1
Figura di spicco del movimento neoclassico inglese, Flaxman (1755-1826) non fu solo disegnatore ma anche progettista e scultore. Dopo aver studiato alla Royal Academy School (dove incontrò William Blake con cui si legò in amicizia per tutta la vita) lavorò per il vasaio Josiah Wedgwood dal 1775 al 1787. I disegni prodotti per Wedgwood non solo rafforzarono il suo interesse per l'arte antica, ma svilupparono una sensibilità innata per la linea, particolare artistico per cui dimostrò un grande dono naturale. Recatosi a Roma nel 1787, dove rimase sette anni, dalla pittura vascolare greca, trasse ispirazione per i suoi disegni illustrativi dell'Iliade e dell'Odissea (1793), a cui seguirono illustrazioni di Eschilo (1795) e Dante (1802). Ritornato in Inghilterra nel 1794 con una reputazione consolidata, divenne immediatamente uno scultore di successo fino ad essere nominato come primo professore di scultura alla Royal Academy nel 1810.
2
Le illustrazioni di Flaxman inseguono la tendenza già anticipata dalla totale eliminazione dell’elemento plastico nell’arte della silhouette, ideata da Étienne de Silhouette (1709-1767), la cui moda ha inizio intorno al 1760. Allo stesso modo, nell’ambito pittorico, l’elemento grafico reso autonomo - ossia la linea - ha l’unica funzione di disegnare i contorni e non di tratteggiare e di modellare i soggetti, perdendo completamente l’aspetto tridimensionale. Così anche il colore appare un elemento superfluo sacrificato sull’altare del puro disegno. Esemplificazioni di questa tendenza sono i disegni “Ulisse nell’Ade”, (1793, conservati alla Royal Academy di Londra) e le immagini poste a illustrazione alla Divina Commedia.
3
I suoi disegni hanno qualcosa a che fare con una sorta di impressione spettrale che accompagna lo sguardo dello spettatore. Non pare infatti essere un caso che questa nuova visione purista del disegno sia adatta specialmente per le rappresentazioni del mondo degli spiriti e degli spettri, di un mondo cioè freddo ed apatico. L’eredità artistica di Flaxman fu raccolta negli anni successivi da tutti quei movimenti artistici e pittori che fecero della bidimensionalità e della linea la cifra distintiva della loro arte; basti citare come esempio Toulouse-Lautrec, Gauguin, Rousseau il doganiere, Klimt, a tratti Kokoschka (ben esemplificato ne La donna che dorme, 1907/08), Matisse (in particolare si ricordino le immagini lineari della cappella del Rosario di Vance da lui progettata) e molti altri fino a giungere a quello che possiamo considerare l’estremo opposto del segmento evolutivo analizzato, cioè l’astrattismo “geometrico” il cui esponente universalmente più noto è Mondrian. Nella sua opera più famosa, “Composizione con rosso, giallo e bl”u, datata 1921, poche linee nere che si intersecano e i tre colori primari applicati alla tela con campiture piatte, entrambi particolari dell’insieme pittorico, vengono elevati a costituire la totalità dell’opera d’arte, un processo di “ideologizzazione” del prodotto artistico che proprio in Flaxman trova il suo inconsapevole fondatore.

Luca Fumagalli -http://radiospada.org

[DA VEDERE] CHI È STATO? LE ROTTURE DELLE TREGUE TRA ISRAELE E PALESTINESI

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martedì 26 agosto 2014

CHI SONO GLI YAZIDI?

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Le terribili violenze perpetrate dai miliziani dell'ISIS in queste ultime settimane hanno portato all'attenzione dei mass media, oltre all'antichissima comunità cristiana caldea, anche un gruppo etnico-religioso poco o per nulla noto agli spettatori occidentali: gli yazidi.
Chi sono?
Lo yazidismo è la fede religiosa praticata dagli Yazidi (o Yezidi, dal medio-persiano ized o yazd, cioè "entità divina", "angelo"; in curdo Ezidi, in turco Cyrāǵ Sândëren, lett. "spegnitori di lampade", in persiano Shaiôān peresht, "adoratori del diavolo"), un piccolo popolo (ca. 300mila persone) di origine curda.
Dove vivono?
Il gruppo principale vive in due aree dell'Iraq: i monti al confine con la Siria e i distretti di Badinan e Dohuk (nord-ovest del Paese). Il nord-ovest dell'Iraq è l'area originaria del popolo yazidi, insieme all'Anatolia sud-orientale, ma la maggior parte degli yazidi residenti in Turchia (ca. 40mila) è emigrata in Germania negli anni '80 in cerca di asilo e lavoro, a causa delle persecuzioni del governo turco. Almeno 50mila yazidi vivono nell'ex Unione Sovietica (Armenia, Georgia caucasica); in Siria, soprattutto nei dintorni di Aleppo (ca. 5000) dove esercitano la pastorizia seminomade, e infine in alcune zone dell'Iran. 
Che fede professano?
La religione yazidi è una combinazione sincretistica di zoroastrismo, manicheismo e mazdeismo (culti gnostici), ebraismo e cristianesimo nestoriano sui quali sono stati successivamente innestati elementi islamici sciiti e sufi, frutto di una riforma avvenuta nel XI secolo ad opera di ʿAdī ibn Musāfir. Gran parte della mitologia è preislamica: la cosmogonia ha molti punti in comune con le antiche religioni persiane.
La figura centrale dello yazidismo è Melek Ṭāʾūs, un angelo dalle sembianze di un pavone (Melek vuol dire appunto "angelo" e Ṭāʾūs significa "pavone"): con tutta probabilità, esso deriverebbe dall'antico culto preislamico proprio del popolo curdo.
Gli yazidi credono in un dio primordiale, la cui azione è terminata con la creazione dell'universo. Melek Ṭāʾūs, invece, è un'entità divina attiva, in origine un angelo ribelle che, dopo essere decaduto, si pentì e decise di ricreare il mondo che era stato distrutto. Riempì perciò alcune giare con le sue lacrime e se ne servì per estinguere il fuoco dell'Inferno. Con questo atto l'angelo si è riconciliato con Dio.
L'Angelo Pavone, effettivo padrone del mondo, è anche l'origine del Bene e del Male. Il compito degli uomini è di aiutare il Bene a prevalere. Secondo gli yazidi, anche il Male è stato creato dal dio, ma ugualmente il dio vuole la vittoria del Bene. Oltre a Melek Ṭāʾūs, altre sei divinità minori/angeli possono essere adorate. 
Le sacre scritture dello yazidismo sono Kitāb al-Jilwa ("Libro della Rivelazione") e Mishefa Res ("Libro nero"), entrambi scritti in kurmanji, un dialetto della lingua curda.
Gli yazidi sono piuttosto diffidenti verso le persone di altre religioni e gran parte del loro credo è caratterizzato da un'accentuata riservatezza, che non consente agli studiosi di tracciarne compiutamente e soddisfacentemente i contorni. La preghiera (da effettuare due volte al giorno sempre in direzione del sole) non può essere recitata in presenza di persone estranee al culto. Il mercoledì è il giorno sacro. Sono monogami, anche se, in alcuni rari casi, ai loro capi è concesso avere più di una moglie. I bambini alla nascita sono sottoposti ad un rito para-battesimale; la circoncisione è una pratica diffusa ma non obbligatoria. Pare vi siano anche delle forme di "comunione". 
Non accettano né i matrimoni interreligiosi (neppure con i curdi di religione musulmana), né le conversioni. La pena più grave per un fedele è l'espulsione dalla comunità, poiché l'espulso va incontro alla "perdita dell'anima".
Lo yazidismo crede altresì nella metempsicosi o trasmigrazione delle anime (le anime dei "malvagi" trasmigrano nel corpo di esseri inferiori, per attingere una progressiva purificazione), mentre ai giusti è destinato il "paradiso". In realtà tali termini sono da prendere con cautela, dal momento che gli yazidi rigettano un autentico dualismo tra bene e male, come abbiamo visto, e non contemplano pertanto i concetti di "peccato" e di "inferno".
Il mausoleo del predicatore e riformatore "islamizzante" ʿAdī ibn Musāfir a Lālish (nord di Mossul) è meta di un pellegrinaggio devozionale, che si svolge una volta all'anno e dura sei giorni. Durante la celebrazione i fedeli si immergono nelle acque di un fiume, lavano le statue raffiguranti Melek Ṭāʾūs e accendono centinaia di lampade (donde il nome turco) sulle tombe di ʿAdī e degli altri "santi". Nel corso della cerimonia viene anche sacrificato un bue.
La società yazidi presenta una struttura gerarchica divisa tra "laici" e "chierici", che vede ai vertici rispettivamente un capo laico, detto "emiro", e un capo religioso, detto "maestro". L'Emiro, che risiede a Ba'adra (65 km a nord di Mossul), rappresenta gli yazidi presso le autorità pubbliche dell'Iraq. Ha il potere di insediare il "Maestro", che risiede invece nel Sinjar. Oltre ad essere il capo religioso supremo, rappresenta l'autorità infallibile nell'interpretazione delle Sacre scritture.
Una storia tormentata
Gli yazidi non sono certo nuovi a guerre e persecuzioni.
Nel XIV secolo, Mossul era una delle principali città yazidi. Bagnata dal fiume Tigri e situata ai piedi delle montagne delKurdistan, era un punto di passaggio obbligato per tutte le carovane che dall'Asia centrale si dirigevano verso la Siria (e il mare Mediterraneo) e l'Anatolia. Gli yazidi superarono il dominio dei persiani e dei turchi Ottomani, che si contesero nei secoli il controllo della città. I Mongoli, che pure avevano preso Baghdad dopo un assedio di una sola settimana, a Mossul dovettero mantenere l'assedio per un anno intero, a causa della fiera resistenza degli yazidi.
I musulmani combattono da sempre lo yazidismo: ciò deriva da un'interpretazione della figura di Melek Ṭāʾūs, accostato all'angelo ribelle Iblis, il "diavolo" della tradizione islamica, corruttore dell'uomo. Da qui la definizione di "adoratori del diavolo", presente soprattutto in area sunnita.
Le persecuzioni contro gli yazidi hanno toccato gli apici nel 1892, quando le truppe ottomane penetrarono nella valle di Lālish e massacrarono migliaia di abitanti, distruggendo il mausoleo di ʿAdī ibn Musāfir; poi nel 1957; dopo l'instaurazione della repubblica in Iraq fu Ahmed Hasan al-Bakr, il primo presidente del partito Ba'th, a riprendere le persecuzioni, la prima nel 1969 e la seconda nel 1975. Infine, negli anni 1987-88, Saddam Hussein scatenò una durissima repressione della comunità, ordinando anche una deportazione di decine di migliaia di yazidi in un'area montuosa al confine con la Siria, il Jebel Sinjar, peraltro loro storico insediamento.
Dopo la caduta di Saddam nel 2003, i curdi richiesero che gli yazidi fossero riconosciuti come facenti parte del popolo curdo a tutti gli effetti. Feleknas Uca, membro tedesco del Parlamento Europeo, è stata l'unica parlamentare di origine yazidi sino al 2005, anno in cui si sono tenute le prime elezioni "libere" in Iraq.

Fonte: http://radiospada.org

Il ritorno di San Pietro (Quinta parte: A la guerre comme à la guerre)

Continuiamo la pubblicazione a puntate di un racconto di taglio apologetico-umoristico dal titolo "Il ritorno di San Pietro" che dobbiamo alla penna di Vic della redazione di Radio Spada". Il lettore coglierà nei toni ora lievi, ora pensosi della narrazione tutta intera la tragedia che vive in quest'epoca il cattolicesimo romano, traendone spunti di riflessione o di approfondimento. 
Erano passati pochi giorni dall'incontro di Pietro con l'uomo in rosso, ma egli ebbe presto sue notizie. Si parlava di una guerra, scoppiata improvvisamente in un lontano paese dell'Oriente. Si parlava di famiglie scacciate dalle proprie case, di bambini morti in bombardamenti a tappetto. Ma soprattutto si parlava di cristiani, di cristiani perseguitati da mussulmani che vomitavano parole d'odio contro quei nazareni, quei cani infedeli. E Pietro sapeva che dietro una guerra ingiusta c'era sempre lui, il Nemico vestito di rosso, del colore del sangue che sporcava in quelle terre. Pietro l'aveva visto quel giorno- una toga rossa mescolata alla folla che urlava, uno sguardo beffardo- mentre i chiodi gli trafiggevano i polsi. E molte volte, prima di quel momento, l'aveva visto nell'anfiteatro, mentre sussurrava velenose parole nell'orecchio dell'imperatore Nerone che assisteva al macabro spettacolo dei cristiani sbranati dalle belve, con lo sguardo feroce offuscato dalle orge della notte precedente.
Pietro cercò di concentrarsi sulle parole dei due cardinali che gli stavano davanti. Gli sembrò di capire che erano preoccupati per la sua salute e gli consigliavano di abbandonare per qualche tempo le questioni di morale e di occuparsi, visti i recenti avvenimenti, di scrivere un'omelia sulla pace. Pietro sorrise, mentre accettava. I due cardinali si guardarono con aria complice e se ne andarono soddisfatti dopo averlo salutato con molta deferenza. Ma Pietro sapeva bene che quell'espressione sarebbe scomparsa molto presto dalle loro facce appena avessero ascoltato quello che aveva di dire.

"Carissimi fedeli- disse Pietro dal balcone alla folla ondeggiante e rumorosa che si era riunita nella piazza- sapete che è in atto una guerra. Non è una semplice guerra: dei nostri fratelli vengono perseguitati a causa della loro fede e molti di loro hanno già perso la vita.
Di fronte a questa guerra e a questi morti non sono qui per parlarvi di pace.
Parlare di pace significa piegarsi all'ingiustizia rappresentata dalla persecuzione di cui quegli uomini e quelle donne sono vittime, piegarsi senza combattere, piegarsi di fronte al dio dei persecutori.
Quest'azione ha un nome: Apostasia!
Noi cristiani non cerchiamo la guerra, ma sappiamo...o almeno, sapevamo che il dialogo non può risolvere tutto. A volte è necessario impugnare la spada- non in nome dell'odio o della vendetta, ma della giustizia. Non può esservi pace senza giustizia, ma una guerra può essere fatta in nome della giustizia.
Ma non possiamo ignorare che i nostri fratelli vengono uccisi perché sono cristiani. Questa è una guerra santa, una guerra di religione.
Quest'espressione ci spaventa, perché nostro mondo è diventato un Pantheon dove ogni dio ha il suo altare e la statua della Verità è nascosta tra i simulacri di molti idoli.
Eppure vedete: c'è chi ancora è disposto a combattere per Dio.
Non vi dirò : cerchiamo di accordarci per la pace bensì: difendiamo i nostri fratelli. Difendiamoli con la preghiera, difendiamoli con le parole, ma se questo non basta impugniamo i fucili. Combattiamo per Cristo, come fecero in Vandea e in Messico, non inebriati dall'odore del sangue, ma in nome della fede.
E se vi sarà giustizia, vi sarà anche pace. "

La folla era immobile, ammutolita. Pietro leggeva nei cuori e trovava in mezzo allo scherno e allo stupore di molti, i semi delle sue parole che mettevano radici in alcune anime.
Mentre si allontanava dal balcone e passava lentamente tra due ali di cardinali, immobili e increduli ,Pietro notò distintamente i volti di due di loro, chiaramente sconvolti.
"Signore, disse dentro di sè, mi dispiace molto per loro"
"Pietro, rispose il Signore, posso assicurarti che hai fatto un buon lavoro. E comunque, da quassù è anche tutto piuttosto divertente".
Vic