lunedì 15 dicembre 2014

TRAR PROFITTO DELLE LEZIONI DEL PASSATO (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

 
 
François Guizot
Nel raccoglimento de' suoi ultimi anni, Guizot fece questa confessione: "Noi ci siam creduti i saggi,

i prudenti, i politici: abbiamo disconosciuto non solo i limiti della nostra potenza, ma i diritti della

Potenza sovrana che governa il mondo e noi medesimi; non abbiamo tenuto conto delle leggi eterne

che Dio ci ha imposte, ed abbiamo formalmente preteso di mettere al loro posto, e dappertutto, le

nostre proprie leggi ... Affrettiamoci ad uscire dalle pastoie in cui le spirito rivoluzionario ci ha

gettati; esse ci condurrebbero sempre nei medesimi abissi".

Noi troviamo in queste parole la seconda cosa a cui dobbiamo applicarci nella speranza di nuovi

passi anticipati dalla parte della misericordia divina; ed è di ben comprendere la lezione che ci

danno queste confessioni e queste previsioni. Ahimè! gli uomini dell'Assemblea nazionale incaricati

di riparare i disastri così annunciati, non se ne rammentarono o non ne tennero alcun conto. Saremo

noi più saggi se Dio ci stende ancora la mano per trarci dall'abisso in cui siamo di nuovo caduti

malgrado tanti avvertimenti?

Barricata all'angolo di boulevard Voltaire et Richard-Lenoir,
durante la Comune di Parigi.

L'invasione del 1870 e la Comune del 1871 erano talmente le conseguenze necessarie del disordine

che regnava nelle leggi, nelle idee e nei costumi, che gli uomini saggi annunziavano

anticipatamente ad alta voce questi crudeli avvenimenti.

Per non citare che Le Play, quando la Francia era nell'ebbrezza del piacere e dell'orgoglio che le

procurava l'Esposizione del 1867, egli non si inebbriava per nulla della gloria che gli procacciava la

grande e bella parte che vi ebbe. Egli prevedeva il disastro che dovea seguire. Si può quasi dire che

lo chiamava come il solo mezzo di salute che ci restasse. Egli scriveva: "Io temo che la salvezza

non possa uscire che da terribili catastrofi, se pure la nostra nazionalità può resistere a tante crisi

periodiche. Che fare in mezzo a tanto disordine? Quello che fecero gli Apostoli in mezzo alla

corruzione dell'Impero romano: consacrarsi a propagare il vero e il bene".(1) E qualche tempo dopo:

"Se le classi dirigenti di ogni grado e d'ogni professione rimangono nel loro stato di antagonismo,
nel mentre che le classi votate ai lavori manuali si uniscono per distruggere tutto ciò che esiste, noi

finiremo con una catastrofe tale che l'umanità non ha ancora veduta l'eguale. Lo sciopero


universale si costituisce sul disprezzo di ogni autorità divina ed umana, sulla distruzione di ogni

forma di rispetto, e sopra appetiti insaziabili. Niente resisterà a questi disordini senza precedenti, se

non si fa un grande sforzo per riunire in un comune pensiero del pubblico bene gl'individui d'ogni

partito".(2)

Lo sforzo non fu fatto. Gli apostoli non si levarono per restaurare il vero ed il bene. Ci fu qua e là

qualche tentativo, qualche saggio, ma restarono isolati e sopratutto non si produssero nel senso

voluto perché potessero riuscire.


Pierre Guillaume Frédéric Le Play
Le Play avea detto: "Dalla sola religione noi possiamo aspettarci questa evoluzione intellettuale e

sociale",(3) che deve partire dalla ristaurazione dei principii fondamentali negli spiriti. E, difatti, la

Rivoluzione, fonte di tutte le nostre disgrazie, si riassume in questo: cacciare Dio dagli affari umani,

dappertutto fare posto all'uomo a scapito di Dio. Donde risulta che la via da seguire per andar salvi

è di ricondur Dio dappertutto donde l'abbiamo sbandito: nell'insegnamento, nei costumi, nelle leggi,

nel potere; in una parola, ritornare ai principii sui quali si fondano le nazioni.

Non lo si comprese, o non si ebbe il coraggio di farlo. Si vedeva bensì l'imminente pericolo, si

voleva evitarlo e lavorare per sottrarvisi, ma senza far ricorso alla religione; era una continuazione

d'ateismo che rendeva più necessario il castigo, il quale venne colle calamità della guerra e

dell'insurrezione. Se la guerra era l'espiazione del passato, la Comune ergevasi come la spaventosa

minaccia dell'avvenire. Dio ci fece la grazia che potesse essere soffocata nel suo focolare quando

era per estendersi in tutta la Francia.

Ottenuta la repressione, gli spiriti illuminati, gli uomini di cuore doveano mettersi generosamente

all'opera a cui il chiaroveggente Le Play li avea invitati. "La lotta delle armi pel momento è chiusa -

scriveva, a sua volta, Stein - or ci resta di aprire quella dei principii, dei costumi, dei caratteri, dei

beni di fortuna".

L'ora era favorevole ed urgente per gli uomini, ai quali Dio aveva concesso più potenti facoltà, di

mostrarsi uomini di carattere, di lavorare d'accordo e con energia alla ristaurazione dei costumi ed

alla ristaurazione ancora più necessaria, delle verità fondamentali.

Il popolo ne avea loro dato i mezzi. L'istinto di conservare la vita, l'avea fatto rivolgere a coloro che

egli giudicava più francesi e più religiosi, ed avea rimessi nelle loro mani i suoi destini. Nello stesso

tempo con pellegrinaggi ai principali santuari della Francia, avea levato un grande grido a Dio.


I suoi rappresentanti rispondendo al suo desiderio, aveano favorito l'erezione d'un tempio al Cuore

infinitamente misericordioso a nome della Francia penitente che a Lui si consecrava.

Era una preghiera, ma non una conversione. La preghiera ottiene la grazia di convertirsi, ma sta nel

libero arbitrio di lasciare la grazia senza effetto. Disgraziatamente così avvenne.

Perciò il P. Lorrain constatava un fatto innegabile quando diceva nel 1879: "Gli anni che sono

passati sterilmente dopo il disastro militare e politico del 1870-71 rinchiudono nel fondo un senso

più inquietante del disastro stesso al quale seguirono. Esso non ha lasciato moralmente che le

traccie d'un accidente. Ed oggidì è troppo manifesto che i rovesci non servirono a nulla, che

avvertimenti sì formidabili furono prodigati invano, che poche orecchie li hanno raccolti, e la voce
delle grandi catastrofi che avrebbero dovuto provocare un serio esame di coscienza ed una revisione



rigorosa delle idee onde son vissute le generazioni, il disprezzo delle quali ha portato tali frutti,
 
non è stata punto intesa e nessuna riforma importante è stata introdotta. La legge di salute che

talvolta ricava il bene dall'eccesso del male, non sì è avverata. La Francia è schiacciata, ma non

illuminata".(4)

E spettava alle sue guide d'illuminarla, d'istruirla, di dirle d'onde veniva il male che avea sofferto e

che soffrirà ancor maggiore. Le sue guide spirituali certo non mancarono di farlo. Per non citare che

Mons. Pie, egli avea scritto nel marzo 1871: "Dopo ottant'anni che uscì dalle vie del cristianesimo,

che ha proclamato i diritti dell'uomo in concorrenza ed in opposizione ai diritti di Dio, dov'è oggidì

il nostro paese, rispetto alle cose che lo hanno di più appassionato, rispetto alle conquiste di cui si è

più gloriato? Nessun disinganno, nessun dolore, nessun'onta ci fu risparmiata. Sapremo noi
approfittarne "Differire l'azione all'avvenire sarebbe errore, differire la verità sarebbe un errore più

grande ancora. Poiché se si crede di dover soprassedere ai principii, di metter da banda le dottrine,


gli atti saranno una volta di più quello che furono ... I deputati del paese sanno quali sentimenti,

quali bisogni determinarono il voto delle popolazioni ... ci risparmino dunque i lunghi discorsi.

Questa non è l'ora di parlare, ma è l'ora di operare, perché tutto è stato distrutto nell'ordine materiale

e morale".(5)

Antoine Blanc de Saint-Bonnet
Condividendo i medesimi pensieri Blanc de Saint-Bonnet aveva chiesto: "Chi non si spaventa delle

ore solenni che Dio, in questo momento, si degna di accordarci? Se la Francia si ostina a

disconoscerlo, Dio vorrà egli salvarla suo malgrado?"

Questi saggi consigli non furono intesi. Coloro ai quali era stato conferito il mandato di ricostruire

la Francia, contrariamente a quello che loro era stato dimandato, parlarono molto e differirono

l'operare. E, colpa più grave, tennero schiava la verità. Più o meno imbevuti dei principii dell'89,

non compresero che non possiamo andar salvi altrimenti che col ristabilire in noi il regno di Dio.

Essi erano di quelli i quali, come dice S. Gregorio Magno, credono che Gesù Cristo è Dio e gli

offrono l'incenso, ma non vogliono offrirgli l'oro e ammettere che spetta a lui di regnare in ogni

luogo. Essi respingevano l'errore socialista, che dimanda i beni aspettando che dimandi le teste; ma

il liberalismo non permetteva loro di abbracciare la verità, la quale chiede che la società sia

ricostituita sui principii della fede. Essi non vollero fare il sacrificio dell'utopia liberale;(6)

sbarrarono la via a colui che Dio ci aveva dato e conservato per purgarcene. Pio IX li fece avvertiti;

essi non lo compresero.

S.S. Pio IX
Ricevendo nel 1872 la Deputazione francese venuta per celebrare il 25° anniversario del suo

pontificato, il Santo Padre esclamava ""Povera Francia! ... io amo ed amerò sempre la Francia, essa

mi sta impressa nel cuore. Ma io devo pur dirle la verità. Quello che affligge il vostro paese, quello

che gli impedisce di ottenere le benedizioni, è la mescolanza, o piuttosto la mistura dei principii

contraddittori. E dirò la parola, havvi in Francia un male più formidabile della Rivoluzione e di tutti

i miserabili della Comune, una specie di demoni usciti dall'inferno, è il liberalismo cattolico. Ecco il

vero flagello. L'ho detto più di quaranta volte, lo ripeto per l'amore che vi porto ...".(7)

Taluni, invece di rientrar in se stessi, quando queste parole vennero riferite, s'irritarono. Oggi

vediamo quanto fossero saggie, e quanto avrebbero dovuto essere prese in considerazione.

La Comune avea fatto orrore e spavento, e per ciò stesso poté essere repressa. Aveva provocato nel

complesso della popolazione un ritorno al vero ed al bene, il quale altro non dimandava che di

essere secondato.

Oh quanto fu più funesta la "mescolanza dei principii contraddittori", la volontà di conciliare la

verità cattolica coll'errore liberale o democratico! Essa fece allontanare dal trono il conte di

Chambord.

Egli si presentò nei giorni in cui lo smarrimento era estremo, ed i suoi non lo ricevettero. Essi lo

respinsero, precisamente perché egli conosceva la natura del male e le sue cause, e perché le aveva

rivelate. "Dio, facendomi nascere, m'ha imposto dei grandi doveri verso la Francia ... Compreso dei

bisogni del mio tempo, io non ho altra ambizione che di stabilire con voi un governo nazionale,

avente per base il diritto, per mezzo l'onestà e per fine la grandezza nazionale ... L'ideale della

Rivoluzione è la famiglia senza capo e lo Stato senza Dio. Affinché la Francia sia salva fa d'uopo

che Dio vi entri da Padrone, perché io possa regnare da re ... Voglia il Cielo che io possa

sacrificarmi interamente al trionfo del diritto sull'iniquità, della verità sulla menzogna, dell'ordine e

della libertà sulla licenza e sull'oppressione, in una parola della civiltà cristiana sulla barbarie

rivoluzionaria".

Come risposta a queste regali e cristiane parole, si piantò sulla via del trono la bandiera tricolore,

cui si faceva il simbolo dei principii dell'89. Accettarla, era un sanzionare tutte le pretese conquiste

della Rivoluzione, era un confermare la supremazia del Parlamento al sovrano che regna, ma non

governa. Per via d'intrighi e di istanze non meno irriverenti che ripetute s'intimò ad Enrico V

d'issarla colle sue proprie mani.

Nell'ottobre 1873 in una riunione dei membri dei quattro gruppi di destra dell'Assemblea - Estrema

destra, Destra moderata, Centro destro, e gruppo Changarnier - convocati per preparare le vie a

negoziazioni che sarebbero fatte a nome dell'Assemblea, il duca di Audiffret-Pasquier disse: "Siamo

profondamente convinti, i nostri amici del Centro destro ed io, che la monarchia non è possibile, se
non alla condizione di essere una monarchia costituzionale e d'essere la monarchia della bandiera


tricolore".(8)

Enrico Carlo Ferdinando Maria Deodato di Borbone,
Conte di Chambord (Enrico V di Francia).

Queste parole non facevano che dire francamente, apertamente ciò che i cattolici liberali si

ostinavano, dopo la caduta dell'impero, a voler più o meno insidiosamente imporre al re.

Essi compivano così, presso il conte di Chambord, la parte che l'imperatore Alessandro avea

giuocato con Luigi XVIII allorché gli avea imposto la Carta come condizione della Ristaurazione.

"Nel medesimo tempo - scriveva allora G. de Maistre al conte di Vallaise - il re è ristabilito ed

avvilito ...; Luigi XVIII sa di essere strettamente legato, sa che gli sono dettate dure leggi e che deve

obbedire. La famosa Carta è ben più opera di Alessandro I che sua. Gli fu assai chiaramente

significato che doveva attenersi ad essa. Che può egli fare"?(9)

Anche prima di queste ultime intimazioni Enrico V avea risposto nella sua Dichiarazione del 25

gennaio 1872:

"Io non permetterò che si menomi, dopo di averlo conservato intatto per quarant'anni, il principio

monarchico, patrimonio della Francia, ultima speranza della sua grandezza e della sua libertà ...

"Incrollabilmente fedele alla mia fede e alla mia bandiera, io difendo l'onore stesso della Francia e

del suo glorioso passato, e preparo il suo avvenire.

"Ogni ora perduta nella ricerca di combinazioni sterili, torna a vantaggio di tutti coloro che

trionfano dei nostri abbassamenti ...

"Nulla scuoterà le mie risoluzioni, nulla stancherà la mia pazienza, e nessuno, sotto verun pretesto,

otterrà da me che io consenta a divenire il re legittimo della Rivoluzione".

Legittimare la Rivoluzione, o, come si disse più tardi, nel centenario di Clodoveo, battezzare la

Rivoluzione, ecco ciò che si voleva tentare, come nel 1814, senza badare alla funesta riuscita di

questo primo saggio. L'ostinazione a volergliene imporre un secondo, la vista di ciò che doveva

produrre, strappava al re questo grido di dolore: "E tuttavia la Francia, l'indomani de' suoi disastri,

affermando con mirabile slancio la sua fede monarchica, ha provato che non volea morire"!

Cattolici liberali e parlamentari continuarono a mantenere le loro "pretese della vigilia le quali

davano la misura delle esigenze del domani".(10)

Dopo un ultimo tentativo, Enrico V li scongiurò in questi termini: "Noi dobbiamo compiere insieme

una grand'opera. Io son pronto ad intraprenderla, quando lo si vorrà, dimani, questa sera, in questo

momento. Egli è per ciò che voglio restare interamente quello che sono. Scemato oggi, sarei

impotente domani. Si tratta nientemeno che di ricostituire sopra le sue basi naturali una società

profondamente turbata ... La mia persona non è niente, il mio principio è tutto. La Francia vedrà la

fine delle sue prove, quando vorrà comprenderlo. Io sono il pilota necessario, il solo capace di

condurre la nave al porto perché per questo ho la missione e l'autorità".(11)

Ascoltando queste parole, invece di arrendersi, gli Orleanisti, i più favorevoli all'unione,

dichiararono che tutto era finito.(12)

In un articolo pubblicato il 3 agosto 1874, Eugenio Veuillot ha riassunto molto bene tutto questo
tristo affare nell'Univers:


"Quando i parlamentari incominciarono i negoziati, non avevano da imparar nulla intorno ai

principii e alle risoluzioni del conte di Chambord. Il principe, in varie circostanze, aveva indicato il

fondo e il complesso delle sue idee. Si sapeva che egli voleva il regime rappresentativo con tutte le

libertà che garantisce e con tutti gli annessi che può reclamare lo spirito del tempo. Ma sapevasi

altresì che respingeva il regime parlamentare, che non intendeva di essere un re di parata annullato

da' suoi ministri, egli regnante, essi governanti. Chiare e franche dichiarazioni fatte in varie epoche

non lasciavano luogo a verun dubbio su questo punto. La questione della bandiera, che dovea essere
la leva della manovra parlamentare non offriva più alcun motivo all'incertezza e all'equivoco.


Questa questione che fu presentata come nuova, è, al contrario, di vecchia data. Essa fu sollevata fin

dal 1849 o 1850 dai primi fusionisti ... I fusionisti del 1871, dimenticando, o avendo deciso di non

tenerne alcun conto, si persuasero che il re accetterebbe i colori della Rivoluzione ... Di fronte a

dichiarazioni sì ferme, sì ripetute, sì validamente motivate, il dubbio sulla risoluzione del conte di

Chambord non era punto permesso ...

"Il comitato dei nove ebbe subito e sempre l'idea dì stendere un programma governativo e di indurre

il conte di Chambord a fare delle concessioni. Di qui i dibattiti interni, i colloqui e, qualunque sia il

nome che loro si vuol dare, i negoziati.

"Era perdere il tempo, quando importava di far presto; era agitare l'opinione, che voleva essere

rialzata, e provocare dissentimenti tra i realisti; in una parola, era correre ad una sconfitta. Invece di

cadere in questi calcoli parlamentari, uomini di Stato avrebbero semplicemente sottoposto

all'Assemblea due articoli così concepiti: il primo, che la monarchia rappresentativa era ristabilita

nella persona del capo della famiglia reale; il secondo, che l'organizzazione politica del governo

sarebbe regolata dal re e dai rappresentanti del paese ... Lo scopo era di giungere a rifare la

monarchia rivoluzionaria del 1830, col concorso del principe ch'essa avea spogliato e proscritto. Era

necessario che il rappresentante del re legittimasse la Rivoluzione".

La Repubblica fu proclamata con 353, voti contro 352(13) sotto riserva del diritto di revisione,

applicabile anche alla forma di governo. Fu allora che de Kerdel disse: "È un ricovero sprovvisto di

parafulmine e non pertanto esposto alla folgore".

Il 25 febbraio, prima che si votasse il complesso delle leggi costituzionali, il sig. di Belcastel salì la

tribuna e disse con le lacrime agli occhi e coi singulti nella voce: "Voi organizzate il regime

repubblicano ... Ebbene! io vi scongiuro ancora una volta in nome della storia, del patriottismo, a

nome delle rimembranze di tutta la vostra vita, a nome delle convinzioni che ancora possedete,

fermatevi! Non date la vostra sanzione definitiva ad un regime tante volte disastroso alla Francia ...

Non consumate, ve ne scongiuro, questa che chiamerei, senza voler offendere alcuno, ma nella

sincerità della mia coscienza, e nella piena indipendenza del mio mandato, questa, dico, che io

chiamerei una infedeltà alla santa missione, che, in un giorno d'indimenticabile prova avete ricevuta

dalla Provvidenza e dalla patria".(14)

Léon Gambetta
Subito dopo, Gambetta si mise in moto; egli recossi di città in città a tenere i suoi discorsi che tutti

si compendiano in questo motto: "La democrazia è ormai al potere". E dicendo questo non

intendeva dichiarare soltanto che la monarchia era sbandita, ma che la Rivoluzione era trionfante,

che riprendeva la sua marcia, e questa volta per annientare definitivamente i diritti di Dio sulla

umanità. Egli lo dichiarò apertamente allorché indicando il clericalismo esclamava: "Ecco il

nemico". Ma per rendere la vittoria certa e duratura. egli scongiurava la democrazia a "moderare le

sue impazienze, a non voler nulla ottenere che dal tempo e dai progressi della ragione pubblica".

Spuller, dal canto suo, diceva: "Bisogna andar lentamente per giungere sicuramente".(15)

Da tutto ciò che abbiamo ricordato avvenne quello che noi vediamo e che ci minaccia. Il

parlamentarismo che si volle salvare ad ogni costo e che era da prima quello dei cattolici liberali,

divenne ben tosto quello dei Gambetta e dei Jules Ferry; ora è quello dei Valdeck-Rousseau, dei

Combes e del Bloc, vale a dire lo strumento della tirannia la più odiosa e la meno responsabile,

della persecuzione la più efficace per arrivare sicuramente alla distruzione dell'idea cristiana in

Francia.

Vi fu, nel corso di questa persecuzione, un momento fra tutti pericoloso, quello in cui certi cattolici

credettero e vollero far credere "allo spirito nuovo", annunziato da Spuller, affine di aprire i cuori

dei cattolici alla confidenza, e di indurli a rimettersi candidamente al beneplacito della massoneria,

celante le sue fattezze sotto la maschera repubblicana.

Bastava, per non lasciarsi ingannare da queste lusinghe, tenere le orecchie aperte.

Come è possibile di lasciarsi ingannare a questo punto?


Jean Casimir-Perier.jpg
Jean Paul Pierre Casimir-Perier
La legge di computisteria delle fabbricerie era votata. Casimiro Périer dimostrava, nell'adunanza del

17 marzo 1894, essere ferma volontà del governo di cui egli era il capo di far della Chiesa di

Francia la serva dello Stato.

"Quando si trattò di conservare i diritti della società civile rispetto al clero - quando la Chiesa

cattolica ebbe a dire: Non ispetta a voi solo (Stato) di risolvere questa questione; noi (Chiesa) avere

la nostra parte nei soggetti di questa natura, perché il regolamento degli affari di quest'ordine in

Francia riguarda insieme i due poteri: il potere della Chiesa e quello dello Stato; - noi abbiamo

replicato: il vostro reclamo non è ammissibile! la legge è stata fatta in Francia dall'autorità civile; e

l'autorità ecclesiastica, in questo caso, non deve che obbedire.

"Nessun governo sarà più fermo di noi a mantenere questi principii ... Noi avevamo il

convincimento (quando abbiamo parlato dello spirito nuovo) che se non sapessimo arrestare a

tempo certe invasioni, e se si cercasse nel nostro linguaggio altra cosa da quella che abbiamo detto o

voluto dire, saremmo obbligati a colpire per i primi noi medesimi; allora desidereremo che non ci si

obblighi.

"Io faccio appello ai repubblicani, a quelli che, in questa Camera o in altre, hanno da quindici anni

sostenuto, nel medesimo tempo, al pari di me, qui e nel paese, il buon combattimento, e dimando

loro se trovano nel mio passato qualche cosa ch'abbia la natura di far dubitare della mia fermezza

sul terreno repubblicano, e della mia incrollabile volontà di mantenere i diritti dello Stato laico. Io

mi sono associato a tutte le leggi che considero come l'onore della Repubblica; dopo averle votate

non le lascierò certo pericolare nelle mie mani". Spuller perorando l'indomani a Chaulnes, ebbe

l'audacia di dire alla presenza di un Vescovo:

"Concordato vuol dire concordia e non antagonismo. Io sono felice in questa occasione di ripeterlo,

all'indomani del giorno in cui il Presidente del Consiglio ha così bene circoscritti i doveri degli uni e

degli altri".

Eugène Spuller
Di lì a pochi giorni, Spuller medesimo faceva delle dichiarazioni del tutto somiglianti. Inaugurando

a Versailles un liceo femminile, cominciò dal ricordare la parola che lo rese celebre, la parola che

ha tracciato in una maniera precisa il cammino da seguire nella guerra contro il "clericalismo".

"La Repubblica - disse Spuller - deve proseguire il suo scopo senza interruzione. Io non posso che
ripetere quello che diceva nell'esordire la mia carriera politica: Si tratta di andar lentamente, ma



sicuramente, verso la meta assegnata.
 
"Perché arrestarsi nel cammino? Niente vi ci invita" (neppure "lo spirito nuovo" di cui abbiamo


fatto pompa). Poi, con una superbia tanto offensiva quanto sdegnosa: "Un grande partito che ha

riportato la vittoria deve ispirarsi ad uno spirito largo, tollerante. Egli lo deve per assicurare l'opera

sua. Fa d'uopo che le donne vengano tutte alla Repubblica, alla democrazia, bisogna chiamarle colla

tolleranza.

"Spira in Francia uno spirito nuovo.

"Si è detto che questa parola non era compresa. Se essa ha potuto sorprendere un istante, il ministro

ha troppo fiducia nella Repubblica, ne' suoi amici, nel solo partito che abbia sempre servito, perché

il suo pensiero sia disconosciuto.

"Qual vincitore può recarsi a male di essere tollerante verso il vinto?"


In questo medesimo tempo una circolare confidenziale era indirizzata dal sig. Dumay, capo del

gabinetto di Spuller, al Ministero dei culti, a tutti i prefetti. Essa avea lo scopo di organizzare lo

spionaggio amministrativo sull'attitudine, sulla condotta, sui sentimenti di ciascun membro del
clero; e l'Estafette, interpretando il pensiero di colui che l'aveva dettata, diceva: "Essa è una risposta

perentoria a quelli che pretendono che l'êra novella debba segnare la capitolazione dello Stato


davanti alla Chiesa".
Dopo la legge delle fabbricerie, venne la legge d'accrescimento. Il padre dello spirito nuovo,


Spuller, votò senza eccezione contro tutti gli emendamenti che tendevano a modificare la legge in

un senso più equo, e votò pel solo emendamento che aggravò il carattere spogliatore della legge.

È dunque permesso di credere che l'assicurazione, la promessa di questo "spirito nuovo" non era che

uno stratagemma di guerra, qualche cosa come la polvere che i malfattori gettano negli occhi delle

loro vittime prima di assalirle. Mercé questo stratagemma si poté far passare la legge sulle

fabbricerie, poi quella sulle congregazioni.

Fin dal primo gennaio 1894, Spuller, nell'allocuzione di metodo agli impiegati del Ministero dei

culti, aveva rivelato in questi termini la sostanza del suo pensiero:

"Voi avete a che fare nel clero con un corpo di cui tutta la forza è stata fin qui l'astuzia e la

pazienza. Ora noi siamo risoluti di adoperare contro di lui gli stessi mezzi: l'astuzia e la pazienza". E

pieno di gioia il ministro gridò: "Noi li teniamo in nostra balia".

Il rannodamento(16) come è stato inteso e professato da molti, ha servito anche troppo ai disegni

del nemico.(17) Noi ricordiamo queste cose senza alcun pensiero di recriminazione, senza altra

amarezza che quella ispirata dal dolore di vedere lo stato a cui siamo ridotti, senza altro disegno

fuori di quello di ottenere che si eviti di ricadervi, quando la misericordia di Dio ce ne avrà liberati.

S.S. Leone XIII
Nella sua lettera del 16 febbraio 1892 al clero di Francia, Leone XIII cominciò col dire:

"Penetrando a fondo, nell'ora presente, la portata del vasto complotto che certi uomini hanno

formato di annientare in Francia il cristianesimo, e l'animosità che usano nell'attuare il loro disegno,

calpestando le nozioni più elementari di libertà e di giustizia per la maggioranza della nazione, e di

rispetto per i diritti inalienabili della Chiesa cattolica, come non sentirci compresi da un vivo

dolore? ... Noi crediamo opportuno, anzi necessario, di levar di nuovo la voce, per esortare più

caldamente, non diciamo soltanto i cattolici, ma tutti i Francesi onesti ed assennati a respingere
lungi da loro ogni germe di dissentimenti politici, a fine di conservare le loro forze unicamente alla


pacificazione della loro patria".

Per ottenere questa pacificazione, Leone XIII, pone questa prima regola di condotta: "Tutti i

cittadini sono tenuti ad unirsi, per mantenere nella nazione il vero sentimento religioso, ed

occorrendo, per difenderlo, se mai una scuola atea, a dispetto delle proteste della nazione e della

storia, si sforzasse di cacciar Dio dalla società". Ahimè! questa scuola esisteva, lo dice Leone XIII.

Essa era al potere, e moltiplicava le leggi per effettuare il suo disegno di cacciar Dio dalla società.

"Che in Francia, da molti anni - disse ancora Leone XIII - diversi atti importanti della legislazione

siano prodotti da tendenze ostili alla religione, e per conseguenza agli interessi della nazione, è

confessato da tutti, disgraziatamente confermato dalla evidenza dei fatti ... Ecco precisamente il

terreno sul quale, ogni dissentimento politico messo da parte, le persone dabbene devono unirsi

come un sol uomo, per combattere, con tutti i mezzi legali ed onesti, questi abusi progressivi della

legislazione. Il rispetto che è dovuto ai poteri non potrebbe interdirlo; ciò non può nuocere né al


rispetto, né molto meno all'obbedienza illimitata a qualunque misura legislativa pubblicata da questi

medesimi poteri".

La storia imparziale dirà che i dissentimenti fra cattolici non sono mai mancati in questo periodo sul

terreno della resistenza da opporre alle leggi empie e tiranniche. Gli uni la volevano, gli altri non

dicevano che non la volessero, ma vi si opponevano, e pretendevano che quelli i quali seguivano

una linea di condotta opposta alla loro, fossero mossi dal desiderio di sostituire una costituzione

politica ad un'altra; ed esigevano da tutti uno zelo eguale al loro per la forma repubblicana.(18)

Leone XIII aveva pur detto in questa medesima lettera: "Questa o quella forma di governo può

essere preferibile, come quella che meglio si adatta al carattere e alle abitudini di una nazione. In

quest'ordine speculativo d'idee, i cattolici come ogni cittadino hanno piena libertà di preferire una

forma di governo ad un'altra".
Quattro anni prima, nell'Enciclica Libertas del 20 giugno 1888, Leone XIII avea pur detto: "Quando


si abbia ragione di temere una dominazione che opprima ingiustamente i sudditi o tolga alla Chiesa

la libertà dovuta, è lecito il cercare un'altra organizzazione politica sotto la quale si possa

liberamente sperare".

Se mai un governo fece subire al paese una violenza ingiusta, e ciò per togliere alla Chiesa la sua

libertà legittima ed anche per ispegnere la fede nelle anime, è quello che noi sopportiamo.

Nella discussione alla Camera dei deputati per la validazione dell'elezione dell'ab. Gayraud, il sig.

Hémon disse: "Allorché gli uomini della mia generazione lottavano pel ristabilimento della

Repubblica, quello che ad essa li traeva, non era una formola vana, nemmeno la speranza di

miglioramenti amministrativi o sociali, ma era sopratutto un'alta e pura idea fino al presente
inseparabile al nome di repubblica: l'emancipazione dello spirito umano". Il Journal officiel del 5


marzo nota che queste parole furono salutate da vivi e prolungati applausi "all'estrema sinistra, alla

sinistra, e su diversi banchi del centro". Più ancora, la Camera fece suo questo discorso votandone

l'affissione in tutti i comuni.

Infatti, la Repubblica in Francia, oggi, si è identificata colla framassoneria e lo scopo preso di mira

dalla framassoneria da più secoli non è altro che l'emancipazione dello spirito umano rispetto alla

legge di Dio, all'autorità di Dio, alla sovranità di Dio. Annunziata dalla Dichiarazione dei Diritti

dell'uomo, questa emancipazione è proseguita di giorno in giorno dalla Repubblica sotto tutte le

forme. I fatti sono presenti alla memoria di tutti. Si comprende quindi come coloro che amano la

libertà della Chiesa e la santificazione delle anime non siansi mostrati molto solleciti ad obbedire

alle ingiunzioni che loro venivano fatte di gridare: Viva la Repubblica! e di non contrariarla in

nulla. Tanto più che i repubblicani non avevano nessuna premura di manifestare il fondo del loro

pensiero.
Il 4 dicembre 1887, alla festa delle Logge confederate, il F... Hubert, direttore della Chaîne d'Union,

diceva: "La Repubblica è l'opera della framassoneria". Il F... Poulle nel 1894 (19) e il F... Desmons


nel 1895 ripetevano: "La Repubblica è figlia del Grande Oriente".(20) "Framassoneria e Repubblica

sono precisamente la stessa cosa", avvalorando così le affermazioni del F.-. Lucipia, (21) e quelle
del F... Régnier, alle conferenze massoniche di Lione, il 23 maggio 1882: "Il regime repubblicano in


Francia è un'imitazione delle nostre istituzioni".
Il Bulletin Maçonnique ha riassunto in questi termini siffatte dichiarazioni e molte altre simili: "La


preoccupazione costante della Massoneria è sempre stata quella di introdurre nell'ordine politico la

forma repubblicana, e, nell'ordine filosofico, il trionfo del libero pensiero ... Si può dire che essa

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non è mai venuta meno alla sua missione e che è pervenuta a compiere una parte del suo mandato,

poiché diede un potente aiuto a stabilire la Repubblica in Francia ... Si può dire che l'organizzazione

attuale della Repubblica risponda a tutti i suoi desideri? No, certamente! ... Nondimeno la

Massoneria ci tiene grandemente a conservare questo modello repubblicano che solo, per la sua

elasticità e pel suo prestigio, può prestarsi alle trasformazioni successive ed assicurare il risultato sì

penosamente proseguito".(22)

Di fatto, la Repubblica, docile strumento della framassoneria, non deve punto cessare di lavorare

pel trionfo del libero pensiero.
"È nel seno della framassoneria - confessava il F... Lepelletier nel Mot d'Ordre del maggio 1885 -


che si elaborano in grandissima parte le grandi riforme sociali; l'istruzione laica e obbligatoria è

stata studiata, preparata e per così dire decretata nelle Logge; sono già parecchi anni, e questo rese

possibile che venisse votata dalla Camera". - "È la Massoneria - diceva Hubbard nell'adunanza del

1887 - che ha fatto passare nella legislazione della terza Repubblica le leggi militari e

scolastiche".(23)

"Noi dobbiamo eliminare dalla società francese l'influenza religiosa sotto qualsiasi forma si

presenti".(24)
Da tutte queste confessioni deriva la conclusione che si può dire della Repubblica ciò che il F...


Desmons disse della framassoneria:

"La lotta ingaggiata fra il cattolicismo e la framassoneria è una lotta a morte senza tregua e senza

mercé".(25)
Fa egli meraviglia, in queste condizioni, che il F... Hémon, nella discussione che abbiam ricordata


sull'elezione dell'abate Gayraud, abbia potuto, tra gli applausi dell'estrema sinistra, della sinistra e

d'una parte del centro, chiudere la porta della Repubblica a quelli i quali, chiedendo d'entrarvi,

vogliono tuttavia conservare la libertà di adorar Dio e di riconoscerlo come Sovrano Signore di tutte

le cose? Fa meraviglia che la Camera abbia voluto, coll'affissione di questo discorso, far sapere alla

Francia intiera che, nel suo pensiero, i repubblicani cattolici non erano, né potevano essere

repubblicani nel vero senso della parola?

"State voi col Sillabo? - era dimandato su questo affisso officiale ...- ebbene! osservate allora i suoi

insegnamenti. Ma con qual fronte, voi e i vostri, vi chiamerete ancora democratici e repubblicani? È

egli mestieri che io vi ricordi la sentenza del Vangelo: "Non si può servire a due padroni ad un

tempo?"" (Vivi applausi sui medesimi banchi).

Si può credere che dopo ciò si poté continuare ad ordinare l'ostracismo contro i candidati più devoti

alla Chiesa perché essi non volevano nella loro professione di fede far figurare la parola: "Viva la

Repubblica!".

Vi ebbe qualche cosa di più rattristante ancora. Al Congresso dei cattolici riuniti a Parigi nel 1897,

l'ab. Dabry, parlando delle future elezioni e di certi candidati che si presentavano, riportò per

confutarla questa obbiezione fatta alla loro candidatura: "Per quanto sieno onesti, mi si dice, sono

framassoni, non si può far calcolo su di loro perché non sono padroni di se medesimi; essi ricevono

la parola d'ordine dalla setta, e, in un dato momento, se loro si domanda di pugnalare il Cristo, lo

pugnaleranno".


Egli rispose: "Io pregherei quelli che hanno siffatti timori di rassicurarsi. Gli individui che sono

entrati nella framassoneria per motivi assai diversi che si possono prendere in una serie così estesa

come la scala dei sentimenti umani, somigliano a tutti gli altri. Essi sono schiavi nella misura che

vogliono, e che lo zelo li spinge. Vi sono tra di loro i fanatici, i tiepidi, gli indifferenti, i noncuranti,

gli ingenui, gli ambiziosi, gli avidi, i millantatori, i codardi, i saggi e tutto ciò che forma la

collezione dell'umanità. Dire che essi camminano come un sol uomo, è così ridicolo come

pretendere che vi sono in Francia 36 milioni di cattolici, ai quali basterebbe volere per essere i

padroni".

Quest'arringa a favore dei framassoni che sollecitavano il suffragio dei cattolici parve un po'
straordinaria. L'ab. Dabry continuò a sostenerla nel Peuple français di cui era allora il redattore in


capo.

Sarebbe desiderabile non aver bisogno di richiamare questi ricordi, ma gli è necessario, poiché i

partigiani di questa bella politica continuano a voler fare la nostra regola di condotta.
Il medesimo Dabry, attualmente condirettore della Justice sociale coll'ab. Naudet, ha riferito nel suo

giornale (num. 8 luglio 1905) che al banchetto dell'Action démocratique che vi si fece, avea portato


un brindisi al Presidente della Repubblica e alla disciplina repubblicana nelle prossime elezioni. Ed
acciocché la parola d'ordine dell'Action démocratique fosse portata più lungi della sala del convito,


ne riproduceva il testo nel suo giornale: "In qualunque luogo che un conservatore oserà presentarsi

alla lotta, i repubblicani d'ogni colore si uniscano strettamente per impedirgli il passo!".
Qualche giorno appresso, si poté leggere nell'Univers-Monde: "Alcuni dei nostri tutto sacrificano a


ciò ch'essi credono più necessario: prova questa che noi accettiamo sinceramente e risolutamente la

Repubblica". Per conseguenza essi dicono: "Fra due concorrenti, l'uno repubblicano, l'altro

conservatore, nessuna esitazione. Fa d'uopo votare a favore del repubblicano, per quanto sia

radicale e progressista ... Noi accettiamo con tutta sincerità la Repubblica; è inutile dire che noi

daremo per quanto è possibile il nostro voto ad un candidato che l'accetta come noi, a un candidato

del nostro colore. Se non havvi chi lo rappresenti intieramente, ci rivolgeremo di preferenza ad un

repubblicano, ma a patto che non sia un nemico".

Dopo nuovi disastri che questi errori di condotta come di dottrina hanno resi inevitabili e che

accennano a divenire più grandi di quelli che abbiamo subito - se la nostra nazionalità, come Le

Play ne manifestava il timore, non è sparita, e se Dio ha la bontà di offrirci ancora dei mezzi di

salute, - è lecito sperare che non avremo più, per la quarta e quinta volta, la follia di gettarci di

nuovo da noi stessi nella voragine del liberalismo, ricusando sempre di prendere la mano divina che

vorrebbe trarcene sì lontano da non essere più tentati di ritornarvi sull'orlo.

 
Note:
 
(1) Le Play, dalla Corrispondenza, p. 147.


(2) Ibid. p. 157

(3) Ibid. p. 153.

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(4) Il problema della Francia contemporanea.

(5) OEuvre de Mons. Pie, t. VII, p. 111.


(6) Non reca meraviglia la disposizione d'animo in cui si trovavano laici, cattolici convinti,

praticanti riguardo al liberalismo in un'epoca in cui si vedeva un vescovo (Mons. Darboy)

manifestare la medesima disposizione a tal punto di scrivere ad Emilio Ollivier, come Presidente
del Consiglio, la lettera che quegli pubblicò nel suo libro: L'Eglise et l'État au Concile Vatican, t. II,


p. 142: "... Io avrei a dire molto più di quello che non posso scrivere ... Nessuno ignora che esistono

fra noi (vescovi francesi), differenti opinioni che rispondono alle parole più o meno ben fatte

d'ultramontanismo e di gallicanismo. Queste differenze riguardano, sia certi privilegi del Papa, sia il

carattere dei rapporti della Chiesa con la società moderna e colle istituzioni generali dell'Europa.

Noi formiamo così due campi pressoché eguali di numero ... È d'uopo, giacché vi sono due corpi fra

noi, scegliere dei vescovi animati d'un medesimo spirito, dello spirito che si preferisce. A mio

avviso, quelli si devono preferire, tutte cose eguali del resto, che credono che la società non ha

meno bisogno d'essere consolata che d'essere istruita, che bisogna compiangerla e servirla più che

biasimarla e temerla; che vogliono camminare d'accordo col loro tempo e col governo del loro

paese, che si studiano d'aver tatto non meno che scienza e pietà, e sono risoluti a vivere di libertà

come d'autorità".

(7) Erano presenti ed hanno raccolto queste parole: LL. EE. i cardinali Pitra e Bonaparte, Mons.

Forcade, vescovo di Nevers, il generale dei Domenicani, il superiore del Seminario francese, il

conte Maumigny e circa cento altri personaggi. L'anno seguente, in un Breve al Circolo cattolico di

Sant'Ambrogio di Milano, 6 marzo 1873, Pio IX disse ancora: "Questi uomini che si sforzano di

stabilire un'alleanza fra la luce e le tenebre sono più pericolosi che i nemici dichiarati".

(8) Si conosce la definizione che de Bonald ha dato del sistema costituzionale: "L'arte di premunirsi

contro la religione e la dignità reale".

Riguardo alla bandiera tricolore, nessuno ignora ch'essa fu sempre il simbolo politico della

Rivoluzione francese. E per questo che il conte di Chambord l'ha rigettata, perché non voleva
acconsentire di essere e apparire il re legittimo della Rivoluzione.


"Il clero di Francia non ha scherzato abbastanza con questo vessillo, emblema dell'89? Non

l'abbiamo noi posto abbastanza nelle nostre chiese? Non l'abbiamo noi associato abbastanza alle

nostre cerimonie religiose? E non l'abbiamo eziandio unito all'emblema augusto e sacro dell'amore

di Gesù Cristo per noi? O Dio! quale profanazione, quale scandalo! Persino questa basilica di

Montmartre destinata a divenire il monumento espiatorio dei nostri peccati, vide spiegarsi

largamente, nel suo religioso recinto, il simbolo politico del gran peccato nazionale della Francia".
L. Chapot, Revue Catholique des Institutions et du Droit, sept. 1904, n. 9, p. 213.


Nessun organo di pubblicità accolse con tanta felicità, nessuno ha meglio propagata l'idea che

presiedette all'edificazione della basilica di Montmartre, nessuno pubblicò più grosse sottoscrizioni
quanto la Semaine religieuse della diocesi di Cambrai. Ma qual dolore e qual disinganno quando si


vide questa basilica pavesarsi ed illuminarsi per festeggiare il 14 luglio!!! l'anniversario della

vittoria che i Diritti dell'uomo credono aver riportata sopra i diritti di Dio!!! Che cosa più contraria a

ciò che il popolo fedele avea sperato, a ciò che il divin Cuore esigeva!
(9) V. OEuvres complètes de J. de Maistre, t. XIV, p. 148.


(10) Alla morte del duca d'Audiffret-Pasquier, che sostenne, l'abbiam veduto, una delle parti più
decisive negli affari di questo tempo, Arthur Loth pubblicò ciò che segue nella Verité française.


"Alcuni anni or sono, il duca d'Audriffet-Pasquier incontrando ai Campi Elisi il marchese di Dreux-

Brézé, che da lungo tempo non avea più veduto, disse all'antico rappresentante del conte di


Chambord: "Noi siamo stati assai colpevoli nel 1873, ma ne fummo assai ben puniti ... Ma

sopratutto non lo dite ..." M. de Dreux-Brézé non lo disse (tranne che ad alcuni confidenti), e nessun

altro fin qui.

E tuttavia, questa confessione del duca Pasquier é il riassunto il più esatto della storia del tentativo

di restaurazione monarchica dopo la guerra.

M. Arthur Loth aggiunge: "Un altro, ma in un modo più occulto, fece più di lui per impedire

l'avvento del nipote di Carlo X al trono".

Alcuni giorni dopo, Charles Mauras faceva comprendere che al liberalismo della mente, vi era

aggiunto, in alcuni, una disposizione del cuore per opporsi al ritorno del re: "... Difatti, non è

l'assenza del re che permette agli eletti privilegiati di gustare tutti i piaceri e tutte le soddisfazioni

d'un posto elevato senza averne alcun peso? È la buona anarchia! Si va dove si vuole. Nessun

superiore. Dunque nessuna disciplina... Essi dovrebbero frenarsi alla presenza di un nipote di Luigi

XIV".

(11) Lettera a Chesnelong.

(12) Lettera di Baragnon del 30 gennaio 1902.

(13) La Costituzione del 25 febbraio 1875 non fu votata dall'Assemblea nazionale che con un voto

di maggioranza e in modo surrettizio, come era stata decisa dalla Convenzione la morte di Luigi

XVI.

E quello che pur bisogna ricordare e che è ancor più curioso, si è che questa maggioranza di un

voto, in seno dell'Assemblea nazionale, non otteneva essa medesima che un voto di maggioranza

nel corpo elettorale. E così si è potuto dire, e questa è la verità, verità singolarmente ironica, che la

Repubblica è stata fondata in Francia da un negro della Martinica, poiché la famosa maggioranza

d'un voto contava fra i suoi membri un deputato di quella colonia, che era stata eletta con un voto di

maggioranza; il voto del negro.

In Francia dunque abbiamo una Costituzione fondata da un negro coloniale. La Rivoluzione è stata

compiuta perché si potesse giungere ad un risultato così derisorio, e questo è il trionfo del suffragio

universale che apparisce in questo voto perduto d'un indigeno della Martinica, di un'altra razza, di

un altro sangue, il cui effetto si fa sentire attraverso l'Oceano, per imporre alla Francia, a nome della

pretesa volontà nazionale, il regime sotto cui essa vive o piuttosto muore fin dal 1875.

Anche questa derisoria maggioranza non fu ottenuta che grazie alla riserva di revisione introdotta

nella legge costituzionale, in guisa che molti credettero che la Costituzione da loro votata non

ristabilirebbe che una Repubblica risibile e lascierebbe la porta aperta alle speranze della

monarchia. "Il mio emendamento - dicea Vallon - non proclama nulla. Egli prende ciò che esiste;

chiama le cose col loro nome, questo nome che voi stessi avete accettato. Egli tende a far sì che

questo governo qual è, duri finché voi non avrete niente di meglio da sostituire. Io non vi domando

che lo dichiariate definitivo". Gambetta più accorto diceva: "Poco importa il metodo e lo scrutinio.

Noi abbiamo il nome, del resto m'incarico io".

(14) Nella sua lettera al barone Baude del quale abbiamo già citato qualche riga, il card. Pitra disse,

circa questo voto che volea, ancora una volta, far violenza alla Costituzione che la Provvidenza

diede alla Francia:

"Se domani per la Francia tutto è posto in questione, non è forse colpa di queste Costituzioni audaci

e folli che pretendono periodicamente rifare da capo a fondo il carattere d'un popolo, come s'egli

uscisse dalla terra senza regola, senza legge, senza precedenti, cioè senza Dio?

"Mi ricordo di aver posto questo quesito ad uno dei fabbricatori delle vostre Costituzioni attuali:

Una nazione ha essa, più che un individuo, il diritto di suicidarsi?

"E se qualcuno osasse, da oggi a dimani, rovesciare il suo regime e la sua costituzione, non sarebbe

egli colpevole della sua morte?


"Un popolo che ad ogni generazione, e dieci volte per generazione, ed ogni giorno, se gli piace,

pretende di rifarsi intieramente, non è un folle che si uccide, o piuttosto un ateo che, ribellandosi a

Dio, sceglie la morte?

"Tutte queste questioni mi fecero passare come un sognatore presso quest'abile uomo, buon

cattolico del resto. Infatti io sfido che fra i molti cattolici che hanno conchiusa la Costituzione che

vi uccide, nessuno ebbe coscienza dell'attentato che commetteva contro l'ordine provvidenziale.

"Voi avete compreso, signor Barone, che io non entro nel sistema del diritto divino, ma che mi

pongo unicamente nell'ordine provvidenziale.

"Dio esistendo, vi ha pure una Provvidenza che fa e governa gli uomini ed i popoli.
"Come ogni esistenza riceve nascendo una condizione di vita - sine qua non - anche ogni popolo


riceve da Dio ma natura che è la condizione della sua vita o della sua morte.

E quando si tratta, come per la Francia, d'un popolo di quindici secoli e che, più di ogni altro, porta

in ogni età l'impronta divina, bisogna essere ciechi od atei per osar di rifare questo popolo e

disconoscere le sue condizioni di esistenza". "Cardinal Pitra".

(15) Le carte politiche di Bismarck pubblicate recentemente dal figlio, mostrano la parte ch'egli

prese alla fondazione dell'anarchia repubblicana.
Nel 1871, nel 1873 egli avea dichiarato come un casus belli questa ristaurazione monarchica, in cui,


meglio che in nessun altra, egli riconosceva la condizione necessaria del nostro risorgimento

nazionale. Solo dopo le elezioni respirò.

Niente di più significativo, niente di più triste che la lettura delle lettere scambiate fra il suo

gabinetto e la sua principale spia in Parigi il conte Henckel di Donnersmark, signore di

Pontchartrain, sposo della Païva, l'ebrea sì tristamente celebre. Ne abbiamo già parlato a pag. 117

per mostrare che la guerra alla Chiesa cattolica fu concertata tra Bismarck e Gambetta.

Il 30 ottobre 1877, il conte Herbert scrisse a questo agente che avea fatto portare il nostro debito di

guerra da 3 a 5 miliardi, affermando che le sue informazioni particolari gli permettevano di dire che

la Francia era in condizioni di pagarlo:

"Come ben dovete sapere, onorevole conte, mio padre è d'avviso che la forma repubblicana è la sola

in Francia che si convenga per rendere durevoli le relazioni pacifiche colla Germania".

Non fu meno grande la parte della framassoneria. Lo si vede chiaro negli avvenimenti del giorno,

solo che si getti uno sguardo ai documenti segreti. Coloro che non tengono conto delle società

segrete non sapranno mai apprezzare i fatti che si compiono sotto i nostri occhi. Con quella

disciplina con cui tutto vien organizzato, e da lunga mano tramato, il pubblico altro non conosce che

quello che i conduttori stimano buono di fargli conoscere.

Le Costituzioni, le istituzioni moderne, le discussioni dei grandi corpi dello Stato e le altre

manifestazioni della vita politica, continueranno a non essere sovente che insignì inganni

fintantochè vi saranno potenti società segrete.
(16) È il famoso ralliement consistente nel fare atto di adesione alla Repubblica, proposto ai

cattolici francesi da Leone XIII. (Nota del Traduttore).


(17) A Leone XIII bastava che si scegliesse il terreno comune della repubblica di fatto per lavorare

al bene del paese; gl'interessati la intesero come adesione a questa presente Repubblica francese

comprese le bricconate che avea consumate. I cattolico-liberali sempre perfidi, fecero da mezzani.
(Nota del Traduttore).

(18) M. Groussau, nella sua Revue administrative du culte catholique, numero di maggio, ha


dissipato l'equivoco in questi termini:

"Io mi appello a quelli che meglio conosco, ai preti e ai cattolici del Nord. Io affermo che non vi

sono due su cento i quali, lottando per la religione, pensino alla forma del governo. In nessuna parte

il rispetto ai consigli della Santa Sede è spinto tant'oltre, e tuttavia in nessuna parte si nutre in cuore

maggiore gagliardia e maggior ardore per combattere ciò che dev'essere combattuto.

"Scientemente o inscientemente, il governo realizza oggi il programma dei settari che han giurato

pubblicamente di rendere la Chiesa debole, povera, impotente, prima di separarla dallo Stato. Il

regolamento della computisteria delle fabbricerie, questo strumento perfezionato da tutte le tirannidi

locali, non è che un episodio della più sapiente delle persecuzioni. In verità, ed è un'onta per tutti

quelli che amano Dio e la Patria, la legislazione del nostro paese si trasforma in un vasto arsenale di

guerra contro la religione dei Francesi.

"Questa deplorevole situazione ci strappa lagrime di dolore. Che ci si disprezzi, via! ma, di grazia,

non si cerchi di coprirci colla maschera dell'ipocrita, noi che detestiamo l'ipocrisia".
(19) Bulletin du Grand-Orient, août-septembre 1894.

(20) Ibid., p. 401 et août-sept. 1895, p. 369.


(21) Ibid., décembre 1895, p. 467
(22) Bulletin Maçonnique, livraison de décem. 1890, pp. 229-230.

(23) Compte-rendu du Grand-Orient, 25 sept. 1897, p. 289.

(24) F... Faure, député, 30 oct. 1885.

(25) F... Desmons, député, 20 déc. 1884.