venerdì 17 aprile 2015

DEMOCRAZIA SEDICENTE CRISTIANA (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)



Vi sono dunque attualmente dei cattolici, ed anche dei preti, i quali si presentano nella Chiesa di
Dio, come fossero una scuola ed un partito, scuola nuova, partito nuovo; e questi, per meglio
differenziarsi dai cattolici senza epiteti, si sono dati un nome speciale che serve a distinguerli dagli
altri cattolici, a metterli in evidenza e ad avvertire il mondo della novità che vogliono introdurre.
Le denominazioni particolari nella Chiesa furono sempre accolte con riserva, perché, troppo spesso,
son terminate cogli scismi. Siamo ben lontani dal dire e dal pensare che qui sia da temersi tanta
sciagura; ma non vi è forse da temere per l'integrità dell'ordine sociale cristiano che si dice di voler
ristabilire nella sua purezza, se pel concetto che se ne fa si è indotti a dare a quest'ordine un nome
nuovo?
Almeno bisognerebbe che questo nome non desse appiglio a veruna discussione, che fosse tale da
potersi approvare ed adattare da tutti. Ma disgraziatamente non è così. Quelli che formarono il
partito, quelli che hanno creato la scuola, quelli che hanno scelto questo nome, essi medesimi sono
obbligati a confessarlo.
La rivista mensile che ha preso per titolo le due parole, Démocratie chrétienne, ha pubblicato nel
suo numero di dicembre 1897 un articolo intitolato: L'Idea della democrazia cristiana (secondo
Toniolo). L'autore si sforza di esprimervi "il vero concetto della democrazia cristiana".
Naturalmente, egli si trova, fin da principio, dinanzi al termine stesso, al termine indice, ad una
parola bandiera. Ecco ciò ch'egli ne dice, o piuttosto ciò che è obbligato a dirne, poiché
evidentemente egli si sarebbe risparmiata la pena di criticare, se avesse potuto dispensarsi dal farlo.
"Questa parola - Democrazia - corrisponde ad una nozione, che tutto contribuisce a rendere
imprecisa, cominciando dalla sua naturale complessità, fino ai ricordi storici ch'essa evoca ed alle
ardenti polemiche che ha provocate" (pag. 459).
Non dimentichiamo essere questa la critica d'un amico; più ancora d'un partigiano, d'uno che ha
tutto l'interesse di dire solamente ciò che non può tacere.
Ripigliamo dunque ciascuna delle sue osservazioni per vederne il giusto fondamento.
1° "La parola democrazia ha provocato - dice il nostro autore - ardenti polemiche". Coloro che
l'hanno scelta ebbero dunque fin da principio la disgrazia di opporsi al fine che si erano proposti,
poiché, secondo lo stesso redattore, in questo medesimo articolo, il fine era di "poter unire gli
uomini e guidarli all'azione". L'azione non ha potuto essere una, né per conseguenza forte, come il
Sommo Pontefice la voleva, poiché fin da principio è stato sparso sull'opera del Papa un germe di
divisione.
2° "La parola democrazia evoca dei ricordi storici". Quali ricordi? Quelli della Rivoluzione e del
Terrore, quelli dei tempi in cui i democratici gridavano: "Gli aristocratici alla lanterna!" e
mettevano in esecuzione le loro minaccie. Perciò l'organo dei Circoli cattolici, la Corporation,
sconsigliava l'uso di questa parola nel 1894 e dava del suo consiglio questa ragione: "L'aggettivo
democratico non è peranco interamente sbarazzato dalle male compagnie che avea frequentate":
compagnia terrorista alla fine del secolo XVIII, compagnia rivoluzionaria radicale nel 1848,
compagnia internazionalista dopo il 1870, oggi compagnia socialista, la parola democratico si è
associata a tutte.
Infatti, oggi, come altra volta, i più focosi rivoluzionari, i socialisti più risoluti continuano a
chiamarsi democratici, e pretendono di essere i soli autorizzati dalle loro dottrine e dal loro stato di
possesso a menare vanto di questo titolo. Di qui, quale confusione! Ecco che coloro i quali vogliono
annientare tutto l'ordine cristiano e quelli che pretendono di restaurarlo si presentano al pubblico
portando la medesima bandiera, emettendo lo stesso grido di riunione. Come sperare che esso
conduca alla Chiesa ed a Cristo le popolazioni affascinate dalla Rivoluzione? allora sopratutto che i
democratici della prima ora non cessano di dire - non senza una certa apparenza di ragione - che i
democratici cristiani, sono falsi democratici, che hanno cavillato su questo titolo e che l'hanno tolto
a chi appartiene per meglio ingannare il popolo
Di guisa che, dopo aver sollevato ardenti polemiche, allorquando volevano "unire", i democratici
cristiani si trovarono assai impacciati a "guidare" le popolazioni come vogliono, fuori delle vie del
socialismo.
3° Se almeno la parola fosse chiara, se essa dicesse col suo incontestabile significato a chi
appartiene; se essa contenesse nella sua comprensione l'ordine cristiano e nient'altro che
quest'ordine, si sarebbe potuto non tener conto delle difficoltà che la scelta potea sollevare, ed
usarla egualmente. Ma niente di tutto questo. Il redattore stesso della Democrazia cristiana osserva
che "la naturale complessità di questa parola la rende indeterminata".
Dicendo questo egli disse vero e disse troppo. Nell'uso attuale, la parola non è precisa, è vero; ma
questo difetto non deriva dalla sua natura. Naturalmente e da se stessa, la parola democrazia non ha
punto un significato complesso, ma è semplicissima.(1) Essa significa la sovranità del popolo:
Democrazia, nazione governata dal popolo. Essa non è divenuta complessa, e per conseguenza,
indeterminata, se non perché coloro che non possono ammettere la sovranità del popolo nel senso
assoluto ed eterodosso, hanno voluto nondimeno far man bassa di essa ed inalberarla come una
bandiera. Essi le hanno dato allora tutti i significati, gli uni meno chiari degli altri, che né
l'etimologia, né l'uso antico giustificavano. Si sono sforzati di farvi entrare l'amor del popolo,
l'interesse per la sua causa, la sollecitudine a farlo giungere alla meta: tutte cose eccellenti, ma tutte
cose che il linguaggio cristiano sapeva esprimere con parole chiare, con parole usate da tanti secoli,
che non presentano alcun equivoco, e la prima di esse, quella che le contiene tutte, la carità, ha una
origine divina. Perché ripudiarla? perché sostituirne un'altra sì poco degna di fiducia, che si presta a
tante confusioni ed a tante polemiche?
Ah! si è che questa parola è di moda, e che il movimento democratico è un fatto, un fatto universale,
irresistibile. È la scusa che si può udire o leggere tutte le volte che vien fatta l'obbiezione.
Sì, vi è nel mondo, nel mondo intero un movimento democratico.
E per cagione della sua esistenza e della sua forza il nostro Santo Padre il Papa ha pubblicato molte
delle sue Encicliche, segnatamente quella sulla costituzione degli Stati e quella sulla condizione
degli operai. Ma egli non ha detto che la Chiesa è democratica, né che i cristiani devono farsi o dirsi
democratici.
Più tardi, verso la metà di agosto 1897, il signor Harmel in un indirizzo letto a nome del
pellegrinaggio che egli avea condotto ai piedi del Santo Padre, lo mise per così dire nell'impegno di
consacrare e la parola ed il partito che ne avea fatto il suo nome e distintivo. Egli avea detto al Papa:
"Noi domandiamo specialmente la vostra benedizione pei battaglioni dell'avanguardia, pei gruppi
della democrazia cristiana che qui hanno numerosi rappresentanti". Nella sua risposta il Papa non
diede alcuna benedizione speciale, e si astenne dal pronunciare la parola democrazia.
L'anno seguente nuova istanza. Harmel espresse al Santo Padre la speranza ch'egli ha di vedere la
democrazia cristiana ricondurre le masse del popolo nel seno della Chiesa. Nella sua risposta il
Santo Padre non pronuncia una sola parola che possa applicarsi specialmente ai democratici
cristiani.(2) Ma elevando il suo pensiero sopra ogni considerazione di persone e di partiti per
esaminare questo movimento che agita il mondo e che tutti si accordano nel chiamarlo
"democratico", crede venuto il momento di tracciare a questo movimento il cammino che deve
seguire se non vuole metter capo alle più terribili rovine.
"Poiché voi fate allusione alla democrazia, ecco ciò che su questo soggetto dobbiamo inculcarvi.
"Se la democrazia s'inspira agli insegnamenti della ragione illuminata dalla fede; se, tenendosi in
guardia contro le fallaci e sovversive teorie, accetta con religiosa rassegnazione e come un fatto
necessario la diversità delle classi e delle condizioni; se, nella ricerca delle soluzioni possibili dei
molteplici problemi sociali che sorgono quotidianamente, essa non perde mai di vista le regole di
quella carità sovrumana che Gesù Cristo ha dichiarato essere la nota caratteristica de' suoi seguaci;
se, in una parola, la democrazia vuol essere cristiana, essa darà alla vostra patria un avvenire di
pace, di prosperità e di felicità. Se, al contrario, si abbandona alla rivoluzione ed al socialismo, se,
ingannata da folli illusioni, agogna rivendicazioni distruggitrici delle leggi fondamentali sulle quali
riposa tutto l'ordine civile, l'effetto immediato sarà, per la stessa classe operaia, la servitù, la miseria
e la rovina".
Alcuni giorni dopo, l'Osservatore Romano si vide obbligato a protestare contro l'abuso che i
democratici cristiani fecero subito del discorso del S. Padre ai pellegrini francesi, così in Italia come
in Francia e nel Belgio. "Il S. Padre Leone XIII ha insegnato e spiegato in qual modo i cattolici
possono essere democratici, senza dire perciò, come taluni l'hanno preteso, che si debba essere
democratici per servire efficacemente agli interessi della Chiesa ed a quelli del popolo".(3)
In queste parole il nostro Santo Padre conformandosi ai doveri che gl'impone il suo supremo
ufficio, si rivolge adunque alla società intera e le dice ciò che il movimento democratico ha di
pericoloso e gli addita gli scogli che può incontrare e la direzione che gli si deve imprimere
affinché, evitati questi scogli, esso produca effetti salutari.
Perciò il movimento sociale detto democratico deve ispirarsi agli insegnamenti della ragione. E
infatti, sotto questo nome si coprono le "fallaci e sovversive teorie della Rivoluzione e del
socialismo", che la ragione non può ammettere, e le "rivendicazioni che sono distruttive delle leggi
fondamentali sulle quali riposa tutto l'ordine civile". Prestar orecchio a queste teorie, proseguire
queste rivendicazioni, sarebbe per la classe operaia un mezzo sicuro di chiamare sopra se stessa "la
servitù, la miseria e la rovina".
Ma le "illusioni" che quelle teorie fanno nascere sono tali che la ragione, se si abbandona a' suoi
lumi naturali, non può preservarsene o liberarsene; fa d'uopo che essa invochi "i lumi della fede", fa
d'uopo inoltre che s'inspiri "a quella carità sovrumana che Gesù Cristo ha dichiarato essere la nota
caratteristica de' suoi seguaci nella ricerca delle soluzioni possibili dei molteplici problemi sociali
che sorgono ogni giorno".
A queste condizioni, e solamente a queste condizioni, si potrà guardare in faccia il movimento
democratico senza spavento.(4)
Nella Enciclica Graves de Communi e negli altri Atti pontificii che seguirono, Leone XIII ritornò su
questa questione per dire ancora una volta quello che dovea essere l'azione popolare e quello che i
democratici cristiani non devono nascondere sotto questo nome.
L'azione popolare cristiana deve tendere "al fine che quelli i quali guadagnano la loro vita col
lavoro, sieno condotti ad una situazione più tollerabile, ed abbiano a poco a poco di che assicurare il
loro avvenire". Leone XIII approva e loda molti mezzi adoperati per giungere a questo fine. "Tali
sono - aggiunge egli - i soccorsi offerti agli ignoranti sotto il nome di Segretariato del popolo, le
Casse rurali, le mutualità di assicurazione o di soccorso in caso d'infortunio, le associazioni di
operai od opere di beneficenza del medesimo genere".
Ma l'azione popolare cristiana non deve limitarsi a questo; essa deve ancora adoperarsi ad ottenere
che quelli che guadagnano il loro vitto con un lavoro manuale, sentano che non sono animali, ma
uomini, non pagani, ma cristiani, acciocché possano in casa ed in pubblico praticare la virtù ed
adempiere i loro doveri di religione; infine, acciocché camminino per tal modo con maggiore
facilità ed ardore verso il bene unico e necessario, verso quel bene supremo pel quale siamo nati.
Leone XIII fa osservare che se l'azione cristiana popolare si limita a proseguire il primo scopo senza
occuparsi del secondo, i suoi sforzi non avranno alcun successo, nemmeno come sollievo corporale.
"È opinione di taluni - dice egli - che la questione sociale, come essi dicono, sia solamente una
questione economica, mentre, al contrario, è incontestabile essere innanzi tutto una questione
morale e religiosa. Ammettiamo, infatti, che sia accordato un doppio salario a coloro che lavorano a
giornata; ammettiamo che la durata di questo lavoro sia ridotta; se l'operaio, come ne ha l'abitudine,
porge orecchio a dottrine e s'inspira ad esempi che eccitano al disprezzo della Divinità ed alla
depravazione dei costumi, succederà necessariamente che i suoi beni ed il frutto stesso de' suoi
lavori svaniranno ... Sopprimete nell'animo i sentimenti di cui la sapienza cristiana è la sorgente e la
guardiana; sopprimete la previdenza, la modestia, il risparmio, la pazienza, e le altre buone abitudini
dell'anima; i vostri sforzi, qualunque sieno, riusciranno vani per apportare la prosperità. Tale è il
motivo pel quale esortando i cattolici ad entrare nelle associazioni che hanno per fine di migliorare
la sorte del popolo, noi non abbiamo mai permesso simili istituzioni, senza avvertirli in pari tempo
che esse devono avere la religione come aiuto, come compagna ed ispiratrice".
Fin dalla sua prima Enciclica, Pio X parla nello stesso senso. "Noi vogliamo che siffatte
associazioni tendano innanzi tutto e principalmente a far sì che coloro i quali vi si iscrivono
compiano fedelmente i doveri della vita cristiana. Poco monta in verità che si discutano sottilmente
molte questioni, che si discorra con facondia di diritti e di doveri, se tutto ciò sia disgiunto dalla
pratica. I tempi che corrono richiedono l'azione; ma un'azione che tutta consista nell'osservanza
fedele ed esatta delle leggi divine e delle prescrizioni della Chiesa, nella professione aperta e franca
della religione, nell'esercizio della carità sotto tutte le sue forme, senza verun riguardo a se stessi ed
a vantaggi terreni".
Nel Motu proprio sull'azione popolare cristiana, Pio X dice ancora: "... Questa democrazia cristiana
deve essere intesa nel senso già determinato dall'Autorità, il quale, ben diverso da quello della
democrazia sociale, ha per base i principii della fede e della morale cattolica".
Nell'Enciclica pubblicata nell'occasione del centenario di San Gregorio Magno, Pio X ritorna ancora
su questo punto.
"La salvezza non può venire che da Cristo. "Imperocchè non havvi sotto del cielo altro nome dato
agli uomini, mercé del quale abbiamo noi ad esser salvati " (Act. IV, 12). A questo Cristo convien
dunque tornare; a' suoi piedi convien di nuovo prostrarsi per ascoltare dalla sua bocca divina le
parole di vita eterna; poiché egli solo può additarci la via per la quale dobbiamo camminare per
ottenere la salvezza, egli solo può insegnarci la verità e restituire la vita, avendo egli detto di se
stesso: "Io sono la via e la verità e la vita" (Giov. XIV, 6). Si è tentato governare le cose terrene
separandosi da Cristo; si è cominciato a metter su l'edificio rigettando la pietra angolare, come
Pietro rimproverava ai crocifissori di Gesù. Ed ecco di nuovo l'edificio così costrutto, si sfascia e
ricade in capo agli edificatori e li stritola. Ma Gesù rimane pur sempre la pietra angolare della
società, e di nuovo si verifica questa verità che fuori di lui non vi ha salvezza. "Questi è la pietra
rigettata da voi che fabbricate, la quale è divenuta testata dell'angolo, né in alcun altro havvi salute"
(Act. IV, 11, 12).
"Di qui di leggeri riconoscete, o Venerabili Fratelli, l'assoluta necessità che ci spinge tutti di
risuscitare con la massima energia dell'animo e con tutti i mezzi onde possiamo disporre, codesta
vita soprannaturale in ogni ordine della società umana: pel povero operaio che suda da mane a sera
per guadagnarsi un tozzo di pane, e nei grandi della terra che reggono i destini delle nazioni. È da
ricorrere innanzi tutto alla preghiera privata e pubblica, per implorare la misericordia di Dio onde ci
assista col suo possente aiuto, e ripetergli le parole degli Apostoli sbattuti dalla tempesta: "Signore,
salvateci, noi periamo" (Matt. VIII, 25).
"Ma ciò non basta ... È necessario inoltre inculcare convenientemente tutte le regole dei costumi a
noi insegnate da Cristo, perché ognuno impari a vincere se stesso, a governare i moti e i desiderii
dell'animo, a fiaccare l'orgoglio, a vivere soggetto all'autorità, ad amare la giustizia, ad esercitare la
carità verso tutti, ad attenuare con l'amore cristiano l'amarezza che l'ineguaglianza delle condizioni
introduce nella società civile, a distaccare il cuore dai beni della terra, a vivere contento dello stato
in cui la Provvidenza ha posto ciascuno, cercando di renderlo migliore coll'adempimento dei propri
doveri, ad anelare alla vita futura nella speranza del premio eterno. Ma sopratutto è necessario che
questi principii s'insinuino e penetrino profondamente nel cuore, affinché la vera e soda pietà vi
metta profonde radici, ed ognuno, e come uomo e come cristiano, riconosca non a parole soltanto,
ma coi fatti, i propri doveri e ricorra con figliale fiducia alla Chiesa ed ai suoi ministri, per ottenere
da loro il perdono delle colpe, ricevere la grazia fortificante dei sacramenti e riordinare la propria
vita a norma dei precetti della fede cristiana.
"Ora, siccome tutte queste verità sgorgano necessariamente non solo dalla natura dei principii della
rivelazione cristiana, ma eziandio dalle proprietà intrinseche che deve avere il nostro apostolato, voi
ben vedete fin d'ora, Venerabili Fratelli, quanto vadano errati coloro che stimano di rendere servigio
alla Chiesa e di compiere un'opera fruttuosa alla salute eterna degli uomini, allorché per una cotal
prudenza profana sono larghi di concessioni ad una scienza di falso nome ...

"E così pure sbagliano gravemente coloro, che nell'occuparsi del pubblico bene, e sopratutto nel
sostenere la causa delle classi inferiori, promuovono principalmente il benessere materiale del corpo
e della vita, tacendo affatto del bene loro spirituale e dei doveri gravissimi che ingiunge la
professione cristiana".
Sua Santità Pio X non lascia correre alcuna occasione per inculcare queste verità e queste regole di
condotta. Ricevendo, nell'aprile 1904, i delegati della stampa cattolica del Belgio, disse loro: "Una
gioia ben dolce è per me, miei cari figli, vedere fervorosi laici mettere in comune il loro zelo ed i
profitti del progresso moderno per lavorare al miglioramento morale delle classi più modeste della
società. Tanto più mi rallegro dei loro sforzi in quanto che uniscono alla sollecitudine degli interessi
materiali, la cura assai più importante, degli interessi morali e religiosi. L'uomo è composto di
anima e di corpo. Lavorare continuamente per migliorare le condizioni di quest'ultimo senza dare
alla prima il posto che le spetta, è fare all'uomo più male che bene; perché aumentando le sue
esigenze, si abbassa il suo ideale e lo si lascia disarmato dinanzi alle prove inevitabili della vita".
Tracciata così dal Sommo Pontefice la linea di condotta, è stata essa forse seguita da tutti i
democratici cristiani ?
L'Univers-Monde del 16 settembre 1898, facendo il resoconto d'una conferenza tenuta a Cherbourg
dall'ab. Naudet, riferiva questa dichiarazione di lui:
"La democrazia cristiana non è un partito confessionale".(5) Si sa che si è dato il nome di
"confessioni" alle diverse sètte del protestantismo, quando si videro separarsi le une dalle altre per
cagione dei loro simboli, o confessioni di fede. La framassoneria ha giudicato favorevole a' suoi
disegni - che sono di confondere il cattolicismo colle false religioni - di impadronirsi di questa
parola, di farla sortire dalle regioni protestanti, per far sì che abbracci da una parte il maomettismo
ed il paganesimo, dall'altra la santa Chiesa. Dai giornali settarii, questa confusione è
insensibilmente succeduta negli altri e ben presto nel linguaggio usuale.
Allorché dunque si dice: "La democrazia cristiana non è un partito confessionale", si dice e si vuol
dire che, malgrado le apparenze del titolo che ha preso, questo Partito non è, né vuol essere un
partito cattolico, nemmeno un partito cristiano.
La dichiarazione di Naudet, non è una di quelle frasi che possono sfuggire all'improvvisatore, e che
non esprimono esattamente il pensiero. L'anno precedente, egli avea pubblicato nella Quinzaine
(numero del 1° marzo 1897) un articolo in cui diceva sottolineandolo, come lo facciamo noi pure:
"E, innanzi tutto facciamo questa osservazione capitale a nostro avviso, che cioè la democrazia
cristiana non è un partito confessionale".
L'abate Garnier non parlava altrimenti nel suo giornale Le Peuple Français. Egli diceva (num. del
13 maggio 1899):
"I cattolici (non si tratterebbe più qui solamente di democratici cristiani, ma di tutti i cattolici), i
cattolici devono essere d'ora innanzi "cattolici non confessionali". E ne adduceva questa ragione
che: se i framassoni evitano di rivelarsi come tali per trascinare le popolazioni alla loro sequela, i
cattolici potrebbero usare la stessa tattica".
La gran tattica per far entrare il movimento democratico che agita il mondo nelle vie cristiane
sarebbe dunque quella di dissimulare le nostre qualità di cattolici colla stessa cura onde i framassoni
cercano di nascondere la loro affiliazione alla setta anticristiana.

Noi non possiamo ricordar qui tutto ciò che l'ab. Dabry scrisse nel medesimo senso nella Vie
catholique. Si potrebbe ritrovarlo, almeno in parte, nella Semaine religieuse della diocesi di
Cambrai.
L'abate Gayraud è dello stesso avviso che gli abati Naudet, Garnier e Dabry. Al terzo congresso che
i democratici cristiani tennero a Lione, l'abate Gayraud disse pure: "Il partito della democrazia
cristiana non è un partito confessionale".(6) Più tardi nel 1899 ei pose la cosa in tesi, nel suo libro:
Démocrates chrétiens. Questa tesi non piacque a tutti i suoi partigiani, dobbiamo riconoscerlo. Uno
di essi impegnò coll'autore nelle colonne dell'Univers-Monde, su questa questione della
confessionalità o della non confessionalità del partito democratico cristiano, una discussione in cui
ci parve ch'ebbe il vantaggio su tutti i punti.
Ma il signor Harmel l'intese altrimenti. Egli scrisse all'abate Gayraud: "Voi illuminate le aspirazioni
delle nostre anime colla scienza del teologo e del sapiente. Voi confermate il nostro ideale con
argomenti solidi, irrefragabili".(7) L'abate Lemire dice parimenti; "Voi rendete un gran servigio alle
idee, che noi difendiamo".(8)
L'Osservatore Romano era ben lontano da questo entusiasmo. "Vi è dunque - diceva egli con un
sentimento di tristezza - e può esservi un partito che si chiama democratico cristiano, il quale può
essere composto di non cristiani ed anche di atei". L'abate Gayraud aveva infatti spiegato che la
democrazia cristiana non deve essere confessionale, perché questo "epiteto di confessionale
implicherebbe l'esigenza d'una professione di fede religiosa ed escluderebbe per conseguenza "dal
partito i non cattolici, i non cristiani". L'Osservatore Romano quindi diceva: "Si arriva a
disconoscere i principii fondamentali e della fede e della ragione, e della logica, e del buon senso".
Vedemmo allora manifestarsi nel partito una divisione che gli uomini chiaroveggenti aveano
previsto fin dal principio. Tutti si dicevano a vicenda: Per cristianizzare la democrazia, dobbiamo
farci democratici noi stessi; ma, pur facendoci democratici, non dobbiamo cessare dall'essere
cristiani. Di qui l'appellativo di democratici cristiani. Non poteano farsi democratici che aprendo le
loro anime allo spirito democratico, non poteano restar cristiani che ripudiando quello che, nel
movimento democratico, è opposto allo spirito cristiano. Questa doppia tendenza spinse gli uni da
una parte, gli altri dall'altra. Gli uni furono potentemente frenati dallo spirito cristiano, gli altri
sempre più sedotti dallo spirito democratico. Questi credettero che il loro primo dovere fosse
l'abbandonarsi alla corrente del giorno, quelli di accostarsi alla riva, od almeno di non perderla di
vista.
Questa divergenza di vedute produsse una scissione. Il partito della democrazia cristiana era
composto, pareva, di sette gruppi: quattro si dichiararono per la non confessionalità e tre per la
confessionalità. Leone XIII scriveva, il 20 marzo 1899, al cardinale Richard una lettera in cui senza
entrare nel dibattito Sua Santità raccomandava a tutti: "di lavorare nell'interesse comune della
religione e della patria, collo spirito d'unanimità e di concordia da cui ogni buon cattolico deve
essere animato". Questo appello della pace non fu punto ascoltato. I gruppi di destra continuarono a
dire che la democrazia cristiana non doveva spogliarsi del carattere confessionale e lo arguivano dal
fatto che S. S. Leone XIII avea posto l'interesse della religione dinanzi a quello della patria. I gruppi
di sinistra, non potendo negare il fatto né la conseguenza che se ne tirava, non temettero di
manifestare pubblicamente il loro cattivo umore. Bellomayre propose ai sette gruppi un indirizzo in
risposta alla lettera del Papa. Quattro gruppi rifiutarono di firmarlo e continuarono a volere, secondo
l'espressione della Croix "sostituire all'azione cattolica e costituzionale un'azione che escludesse
ogni affermazione religiosa".

Le ferite ricevute in questa polemica non si chiusero sì presto. All'epoca del processo dell'Alta
Corte furono eseguite perquisizioni alla Croix, ed anche il Comitato di Justice-Egalité fu implicato
nel complotto. Le Journal des Débats credette di scoprire e di poter segnalare una certa relazione
tra questi atti di polizia e il ricordo che la direzione della Vie catholique avea conservato del suo
dissenso cogli Assunzionisti.
La questione di carattere confessionale da lasciar cadere o da conservare doveva ritornare al
congresso nazionale dei democratici cristiani che si tenne a Parigi il 14 e 15 luglio 1900. La
Démocratie chrétienne che - noi le dobbiamo rendere questa giustizia - ha sempre tenuto per la
confessionalità, avea detto nel suo numero del marzo 1900: "Si tratta di sapere se la nuova
organizzazione progettata debba ricevere o no un carattere confessionale". Essa aggiungeva: "Un
questionario propose il titolo - abbastanza strano - di partito repubblicano democratico". "Questa
questione imbarazzava - aggiungeva essa - tutto l'avvenire del partito".
Si temettero forse nuove e più profonde divisioni e ritirossi la questione dall'ordine del giorno?
oppure fu trattata a porte chiuse? Non lo sappiamo. I giornali che fecero il resoconto del congresso
non diedero alcuna informazione su questo punto.
Da tutto ciò possiamo conchiudere che la democrazia cristiana, scuola e partito, non è punto ciò che
Leone XIII ha voluto. Un'altra constatazione più rattristante si è che dopo ogni atto pontificio che la
richiamava al dovere, i capi o condottieri della democrazia cristiana, si sforzavano di mantenere i
loro partigiani nelle vie pericolose in cui li aveano tratti. Al domani della pubblicazione
dell'Enciclica Graves de Communi, con un accordo che stupisce gridarono tutti ad una voce: "Viva
la democrazia cristiana! Leone XIII l'ha approvata. Egli ha approvato la parola e la cosa".(9) Egli
non avea punto approvato la parola, al contrario egli avea detto chiaramente che questa parola gli
dispiaceva; l'avea tollerata per condiscendenza manifestando le sue preferenze per un'altra.
Nemmeno avea approvata la cosa; al contrario, l'Enciclica era tutta intesa a rilevare le deviazioni
che i democratici cristiani aveano fatto subire all'azione popolare cristiana e ad invitarli a rientrare
nel retto sentiero.
Storditi dai loro gridi di fittizia vittoria, essi mantennero le idee della scuola e continuarono i lavori
del partito, di guisa che la Santa Sede, si vide nella necessità di pubblicare un nuovo avvertimento
accompagnato da documenti. Noi avemmo il dolore di vedere un giornale cattolico popolare, La
Croix, sforzarsi immediatamente di rassicurare quelli ai quali la coscienza rimordeva, dicendo loro:
"È per cansare ogni molesta conseguenza di ciò che potrebbe chiamarsi un eccesso di bene che,
sotto l'istigazione di Leone XIII, il cardinale Rampolla indirizzò questi documenti ai vescovi
d'Italia. Vedervi una condanna della democrazia cristiana, sarebbe lo stesso che snaturarli".
Questa interpretazione fantastica, data un poco dappertutto, permise ai democratici cristiani di
mantenersi nelle loro posizioni ed è ciò che obbligò Pio X, appena elevato al trono pontificio, a dar
un nuovo avvertimento nella sua lettera al vescovo di Orvieto.
Ciò non bastando, Pio X prese il partito di pubblicare un Motu proprio nel quale condensò
gl'insegnamenti di Leone XIII e di tutta la tradizione cristiana sulla questione. In tutta Europa i
giornali del partito concordemente affermarono: Questo atto non risguarda che l'Italia, il Papa non
ebbe altra intenzione che di parlare agli Italiani. Ancora una volta, la Croix cadde in questo errore di
unirsi ad essi dicendo che "una buona parte degli avvertimenti" del Motu proprio risguardava
specialmente i cattolici italiani. Ora, dei diciannove articoli onde si compone, non vi ha che il
secondo paragrafo dell'art. XII e dell'art. XV che s'indirizzino specialmente agli Italiani.
Altri come la Justice sociale dell'abate Naudet, si rifiutarono, malgrado l'ordine del Papa, di
pubblicare questo documento che avrebbe fatto risplendere agli occhi dei loro lettori l'opposizione
che esiste fra le loro dottrine e quelle della Santa Sede.

Note:

(1) Mi pare che il Toniolo non tocchi della sola parola Democrazia, ma dell'intero termine
Democrazia cristiana ed in questo senso Toniolo ha tutte le ragioni; ché se Democrazia cristiana
logicamente fa ai pugni con tutte le regole del parlar ragionevole, realmente è un non senso. Cfr. La
Democrazia cristiana - Pericoli. Venezia, Sorteni e Vidotti, 1904, pag. 9.
(2) Al pellegrinaggio del 1899 il signor Harmel non pronunciò più la parola democrazia, e si
astenne dal chiedere benedizioni speciali sui democratici cristiani. L'osservazione ne fu fatta subito
dalla Revue catholique di Coutances.
(3) In un altro numero il medesimo giornale disse altresì: "Una volta che si ammette e si riconosce -
come è in realtà - che la dottrina cattolica è una dottrina completa e perfetta, a cui nulla si può
aggiungere e nulla levare, ne consegue logicamente e necessariamente che bisogna ammettere
un'altra cosa: cioè che al nome di cattolico, a questo sostantivo, non vi ha nulla da aggiungere e
nulla da levare.
"Ed allora, perché stabilire tante categorie di cattolici: liberali, democratici, sociali ed anche
socialisti? Gli è certo che queste suddivisioni per mezzo di qualificativi di nomi e sopranomi fra
cattolici, se non cagionano differenza sostanziale nelle idee e nelle aspirazioni, producono una
confusione grave (non lieve) nelle parole, la quale facilissimamente diventa una confusione funesta
nelle idee e nei fatti.
"Infatti avviene sovente che l'aggettivo piglia il sopravvento sopra il sostantivo nelle idee e nei fatti,
e così può avvenire assai facilmente che si sia più "liberale" che cattolico, più "democratico" che
cattolico, più "sociale" che cattolico, ed anche che si sia ciò che significa il qualificativo prima
d'essere ciò che comporta il nome stesso.
"Questo gran nome di cattolico non genera alcun dubbio, non produce alcuna confusione come
possono farlo i sopranomi ambigui, gli aggettivi indeterminati".
Notiamo che nell'appellazione "democratici cristiani", non solo si è fatto della parola democratico
un sostantivo, riducendo la parola cristiano ad un aggettivo; ma che non si è nemmeno avuto timore
di determinar troppo la cosa che indica questo sostantivo ridotto allo stato di aggettivo, e che si è
preferito "cristiano" che si applica ai dissidenti come a noi, a "cattolico" che è il nome dei veri figli
di Dio.
(4) Pio VII avea detto prima di Leone XIII: Siate buoni cristiani e sarete ottimi democratici.
(5) Ma prima, nel numero del 1° marzo 1899, la Quinzaine aveva già detto: "E, innanzi tutto,
facciamo questa osservazione, a nostro avviso capitale, cioè che la democrazia cristiana non è un
partito confessionale".
(6) Il direttore del Corriere Nazionale di Torino dovea pronunziare in questo Congresso un discorso
sull'"unione di tutte le forze cattoliche sotto la direzione del Papa". Nell'udire la definizione della
democrazia cristiana non confessionale data dall'abate Gayraud, disse a se stesso: non è qui il luogo
di parlare di unione di forze cattoliche, poiché si mette la Chiesa cattolica alla medesima stregua
delle confessioni protestante, musulmana, ebraica ecc., e fece silenzio. Prima di ritornare a Torino,
scrisse al direttore del Congresso per motivare il suo silenzio su ciò che abbiam detto.
Alcuni giorni appresso, l'abate Naudet scriveva nella sua Justice sociale: "Pare che nell'ultimo
congresso di Lione, l'abate Gayraud abbia dichiarato che il partito della democrazia cristiana non è
un partito confessionale". Pare che questa opinione - povero me! - io l'abbia più volte espressa e che
in queste condizioni - poveri noi! - la nostra democrazia non possa essere cristiana.
"Ho letto ciò nella Vérité e in altri giornali refrattari, sono alcuni giorni. Or queste affermazioni
desolanti non sono un vano rumore. Effettivamente, l'abate Gayraud ha osato dichiarare queste
cose; effettivamente, in più riprese, ho dovuto dichiararle davanti a lui. E ciò che v'ha di più
deplorabile, si è che né l'uno né l'altro, non abbiamo coscienza di essere, per questo, in uno stato di
dannazione; noi crediamo quello che abbiam detto, e i nostri amici lo credono con noi".
(7) Lettre datée du Val des Bois, 10 febb. 1899.
(8) L'Univers-Monde, che avea coperto di fiori il libro dell'abate Gayraud, ricevette da uno de' suoi
"amici del Nord" una lettera che Eugenio Veuillot publicò dicendo: "Vi si trovano delle
osservazioni che saranno lette con interesse".
(9) Monsignor Boeglin scriveva a tutti i giornali che ricevevano le sue corrispondenze: "Non è la
prima volta che Leone XIII approva e consacra la democrazia cristiana; la parola e la cosa ... Infatti
i cattolici sociali, i democratici cristiani o cristiani sociali sono stati in mezzo al cattolicismo i soli
che hanno sparse le dottrine romane ... L'Enciclica attuale dimostra splendidamente il trionfo
dottrinale e disciplinare dei democratici cristiani ...".
L'abate Dabry diceva nel suo giornale: "Il Papa ha parlato. Egli consacra il vocabolo e la sostanza
della democrazia cristiana. L'orientamento delle dottrine cattoliche verso le questioni sociali fa parte
ormai dell'insegnamento della Chiesa ... La Chiesa riprende oggidì il vero programma, il vero
spirito della Rivoluzione".
La Démocratie chrétienne affermava pure che il Papa consacrava e la parola e la cosa.
G. N. nell'Univers, diceva: Il Papa vuole che la parola democrazia si applichi precisamente a queste
manifestazioni d'un sacrificio effettivo agli interessi del popolo". Vuole ... No, il Papa non rendeva
obbligatoria la parola: Democrazia cristiana. Egli dichiarava tutto il contrario.
Dal canto suo, l'abate Dehon rivolgeva queste esortazioni ai giovani leviti: "Non lasciatevi dunque
turbare, cari seminaristi, dall'incubo di due o tre vecchi abbati e canonici; essi sono in ritardo di tre
quarti di secolo e talvolta vaneggiano come buone comari. Voi avete il Papa con voi; ciò vi basti,
giustamente il congresso di Traente l'acclamò come il più giovane dei Papi". (Chronique des
Comités de l'Est e Justice sociale, 9 nov. 1901).