domenica 10 maggio 2015

1919-1935: I Briganti e il Brigantaggio Istriano




Cari istriani, amici e simpatizzanti, in diverse puntate voglio presentarvi un punto oscuro della storia istriana. Credo che sia molto importante, pur tenendo sempre conto che i racconti e le testimonianze non possono rendere il vissuto personale, che le persone che con animo sincero vogliono conoscere i fatti relativi al brigantaggio istriano si avvicinino a tali vicende conservate e trasmesse da padre a figlio fino a noi, senza alcun pregiudizio nazionale.

lo credo che tutti gli Istriani (specialmente noi anziani) che sappiamo qualcosa dell'Istria, abbiamo il dovere morale di scrivere, presentare e documentare la varieta etnica che costituisce la vera storia della nostra terra natia. Verità nascosta e mistificata dagli occupatori (buoni e cattivi) passati e presenti della penisola Istriana.

Noi istriani non possiamo dimenticare la causa della nostra tragedia seguita al primo conflitto mondiale in cui fu imposto l'assegnazione all'Italia dell'intera penisola Istriana di 4956 kmq., con una popolazione censita nel 1921 di 343.401 abitanti che, fino ad allora, per secoli era costituita da un tessuto slavo, intrecciato con quello istroveneto, componendo un compatto mosaico istriano (oggi chiamato col nome di Istrianità), conservatosi nonostante il tentativo di omogeneizzazione nel corpo nazionale degli organismi statual dei nuovi uccupatori, che di volta in volta l'hanno occupata, operato dall'impero Austriaco, dal Regno d'Italia, dalla Federativa Jugoslava, ed ora dalle Repubbliche di Croazia e Slovenia, senza tener in alcun conto e rispeto delle presente etnie autoctone istriane.

Allora nuvole oscure e minaciose si presentarono all'orizzonte per la prima volta sulla terra istriana, divamparono le controverse sulla consistenza delle componenti etniche istriane, si ebbero manipulazione etniche, ci fu una organizzata politica di snazionalizzazione adottata dal fascismo nei confronti alle popolazioni slave e delle altre tante etnie della Venezia Giulia, dato che le diversità etniche diventarono un fatto irrilevante che doveva venire uniformato nel quadro più ampio della nazione dominante, l'Italia.

Dopo il 1918 vi è l'opera di soffocamento dell'identità nazionale degli slavi e altre etnie dell'Istria, opera che con il fascismo s'intensificherà imponendo una rigida dittatura "Italiana" che avrà drastiche conseguenze per tutta l'Istria. Tra il 1920-1921, si esaurisce al confine orientale la fase più acuta dello scontro sociale, il massimo pericolo insurrezionale e la paura del comunismo slavo, si utilizzarono in un modo nuovo vecchi strumenti offerti dal centralismo statale Italiano e dall'avvento del fascismo. Quello che è avvenuto in Istria in quegli anni non è comprensibile se non si tiene conto dei modi in cui si instaura la nuova amministrazione italiana nel crocevia etnico istriano...

Certamente non apparteneva alle file bosceviche il socialista "Oberdorfer" al quale dobbiamo alcune delle osservazioni più acute sulla situazione Istriana di quel periodo: - Le porcherie, le infamie, i soprusi che si compiono in un tale balordo regime dall'autorità centrale, come dal signorotto, dal tenente dei carabinieri, dal maresciallo, o dal commisario civile, tutte "autorità" che potevano fare il brutto e bel tempo secondo il loro capriccio personale. A cose fate, per fortuna del buon nome dell'Italia, non tutti i loro misfatti vennero registrati dalla storia, ma sono però ricordati dalle umili cronache delle cittadine e dei villaggi, e passarono di bocca a bocca fino a noi, creando un stato d'animo che motivò le successive violenze ed il disprezzo per quele autorità che non furono poi in grado di evitarle:

Questa storia è una rappresentazione del mondo contadino attanagliato da gravissimi crisi soprattutto fra gli anni venti e trenta. Lo sfascio sociale che colpisce i poveri contadini come anche aziende medie, strette dal 1923 tra le tasse per effetto della legge sull'imposta di ricchezza mobile e dallo strozzinaggio fiscale con il tasso sugli interessi passivi che era stato portato dal 5% al 25%. Questa duplice morsa comportò il pericolo reale e diffuso della messa all'incanto della proprietà così fortemente gravata, mentre in contemporanea nelle campagne risorgeva la piaga, già endemica nell'Istria, del brigantaggio.

In questi anni torbidi, l'Istria fu teatro di soprusi, di pressioni, di discriminazioni mai conosciute prima, nelle quali alla lotta di classe si aggiungeva l'odio nazionalistico del nuovo padrone, causando lo scontento e facendo sorgere tra le etnie istriane l'esigenza di una piccola patria Istriana, incominciando per esempio con la proclamazione nel 1921 della "Republica d'Albona" che per 36 giorni rimase nelle mani popolare, per poi esser spenta, senza alcun spargimento di sangue, dal nuovo occupatore della terra Istriana.

In tutta l'Istria si procedette alle chiusura di tutte le scuole di lingua slava e alla proibizione dell'uso di queste lingue nei servizi publici, si costrinse la gioventù ed i contadini ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista (PNF). Quanti non vollero piegarsi a pressioni e minacce, preferirono esodare in diversi paesi Europei e nelle Americhe, e molti si trasferirono in Iugoslavia; - altri si adeguarono o per forza maggiore, o per calcoli personali. Diventò fascista la gioventù slava di Marzana e di Peroi, e fu tra le più feroci verso la propria gente. Il parroco di Pisino predicò ai fedeli di non farsi assassini dei propri fratelli, contro di lui da Pola e Dignano si organizzò una spedizione punitiva. Il sacerdote morì in seguito ai maltrattamenti subiti. I delinquenti non furono mai condannati. [A. Benussi "La mia vita per un'idea" - memorie racolte da A. Damiani – Monografie III, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, Fiume. Edit 1973, pag. 43.]

Così nuove forme di brigantaggio si manifestarono, e divennero diffuse in tutta l'Istria durante gli anni del primo dopoguerra: - un fenomeno indubbiamente legato agli sconvolgimenti e alle tensioni sociali già precedentemente descritte. Va detto che manifestazioni di brigantaggio apparvero più volte nella storia dell'Istria, in particolare nel corso dell'ottocento, e prima ancora durante la ripopolazione causata delle ricorrenti epidemie di peste che ridussero di molto la popolazione nativa, brigantismo innescato da cause naturali diversamente da quelle artificialmente provocate dai nuovi padroni.

Su questo aspetto specifico della storia Istriana poco si è finora indagato da parte della storiografia dei vari occupatori della terra Istriana, nonostante l'interesse generale per il problema (Basta ricordare le ricerche di E.J. Hobsbawm, e gli studi sul brigantaggio nell'Italia meridionale dopo l'unità.) L'orientamento prevalente in tali studi è di vedere in questo fenomeno non una vicenda da codice penale, ma una manifestazione degli squilibri sociali e di reazione, sia pur primitiva, agli stessi. Fatti e problemi che elencherò a questo proposito, li stò riproducendo con un riassunto dai diversi libri di diversi autori e da fonti d'archivio che citerò alla fine delle puntate. Senza dover arrivare perciò ad una ricostruzione organica, mi limiterò ad una serie di indicazioni e spunti, ricorrendo, in particolare, per l'ottica di lettura e di raggruppamento dei fatti, alle ricerche ed ai suggerimenti dello Hobsbawm, il quale ha rilevato come il brigantaggio abbia forti legami con la storia del movimento contadino e faccia parte integrante di quel mondo agrario, per tanta parte ancora ignoto, che diviene in tal modo protagonista e partecipe degli avvenimenti senza però esserne il motore consapevole . [*E.J. Hobsbawm, I ribelli, Torino, Einaudi, 1966, pp. 9-10 e 23-24; va ricordato il suo riferimento di metodo molto importante secondo il quale il brigantaggio in generale, non può venire studiato solo sui documenti.]

Testimonianze sulla stampa dell'epoca e relazioni negli archivi di polizia segnalano un forte incremento del brigantaggio nelle zone dell'Istria interna fra il 1919 e il 1930. Bernardo Benussi scrive a tale proposito delle gesta dei briganti - (e qui non interessa il giudizio sul fenomeno, formulato secondo i criteri tipici di quegli anni, ma il rilievo sulla sua entità e diffusione): "...Grandemente però sofferse in quegli anni l'Istria meridionale a ragione dei malviventi che numerosi si erano annidati in quel di Parenzo, di Rovigno, di Valle, di Dignano, e di Pola ed erano divenuti il terrore degli abitanti... Frequentissime erano le ruberie. [* B. Benussi, L'Istria nei suoi due millenni di storia, Trieste, Stabilimento Tipografico G. Caprin, 1924, p. 454.]

Nella maggior parte dei casi questi briganti provenivano dalle campagne e operavano sul territorio ad essi noto. Il loro raggio d'azione si estendeva proprio in quelle regioni dell'Istria interna dove più fragili erano le strutture statali e sociali, incerte e inesistenti le comunicazioni stradali e ferroviarie e grave la crisi economica del piccolo proprietario terriero istriano.

Le imprese dei briganti istriani si verificavano durante tutto l'anno con una intensificazione nei mesi autunnali ed invernali. Le loro azioni hanno, nella maggioranza dei casi, lo scopo di depredare di notte, ovini, bovini e denaro dalle case coloniche e dei possidenti terrieri isolati, lontani dalle vie di comunicazione più frequentate. Nelle cittadine istriane della costa e dell'interno, sulla stampa consultata nel periodo considerato, i furti, anche se non irrilevanti e trascurabili, presentano una minore frequenza e intensità. Il militante comunista Andrea Benussi ricorda a proposito: - "Oltre al terrore fascista, i contadini della nostra regione dovevano lottare contro bande di ladri, che erano molto numerose... Non passava giorno che vari contadini non piangessero per i buoi, le pecore, i cavalli e le galline rubate da queste bande di ladri."

Noi sappiamo perché i nostri uomini rubano

Forme di brigantaggio avevano in Istria radici secolari: negli anni che qui interessano persisteva il ricordo di Vermo (Beram), «nido di banditi» sullo scorcio del 700: «durante la dominazione francese si riuscì ad estirpare questa ferita sociale, ma sotto l'Austria il banditismo si rifece vivo nuovamente». È significativo, ad attestare la gravita e la persistenza del fenomeno, che l'autore di questi ricordi consideri la situazione del suo tempo addirittura migliorata rispetto al periodo precedente. Ma, secondo un'ottica tipica di tutta una tradizione culturale, accennando alle cause del «banditismo», egli richiama non solo la povertà della produzione agricola e l'esosità del fisco, ma anche la «molta tara» che «c'è ancora nel sangue».

Durante la dominazione austriaca il fenomeno brigantesco appariva tuttavia circoscritto e controllato dai gendarmi che, «esperti dei luoghi, meglio dislocati ed organizzati,... incutevano terrore. Conoscevano gli individui pericolosi e li sorvegliavano, sapevano afferrarli al minimo sospetto...». Il modo di operare del brigante è contraddistinto dalla velocità con cui esplica la sua azione, dalla capacità di dileguarsi nella notte seguendo sentieri conosciuti solo dalla gente del luogo, dalla sicurezza dimostrata nel compiere il misfatto e dalle rete di fiduciari che lo appoggiano e l'aiutano sia in campagna che nelle cittadine della costa. Vi è anche la tendenza del brigante ad aggregarsi in bande.

Per S. Benco, rappresentante intellettuale della vecchia classe liberal-nazionale triestina, il brigantaggio istriano non era altro che «...uno degli estremi regali della dissoluzione dell'Austria... (i briganti) erano soldati stanchi della guerra... gettatisi alla campagna... in combutta di ribelli e... torbidi vagabondi della diserzione, oppure reduci sbandati dalla prigionia russa, venuti solitari... dopo aver assaggiato le primizie ancora anarchiche del bolscevismo nascente...».

Le autorità di polizia italiane consideravano tali gruppi di briganti come la manifestazione tipica del sovversivismo contadino slavo, attribuendo al fenomeno connotati immediatamente politici che non gli erano propri. (Rapporto del prefetto di Pola del 1 agosto 1924, citato in un documento del ministero degli Interni datato Roma, 9 agosto 1924 in ACS-Pola.  Provvedimenti per la repressione degli abigeati.) Questa interpretazione del brigantaggio istriano veniva criticata dalla rivista degli emigrati istriani in Jugoslavia, Istra, che nel gennaio 1930 scriveva:

«...Una delle prime e principali cause dei furti, che in Istria si espandono sempre più, è la mancanza di pane, una terribile e spaventosa miseria economica, che con l'arrivo degli Italiani, si è imposta come mai prima. Noi sappiamo perché i nostri uomini rubano. Il vino non viene venduto, perché la concorrenza del vino italiano l'ha stroncato; non c'è grano... Per poche lire a causa delle tasse la banca... ti porterà via la vacca dalla stalla. Presso il nostro contadino non puoi trovare un'unica lira anche se metti sottosopra tutta la casa... E così non gli rimane altro se non sfruttare l'occasione, e portare via al vicino la vacca e venderla... per salvare la propria. O altri ancora più poveri, non potendo più andare avanti per la fame, portano via al vicino un paio di pecore, uccidendole in qualche caverna... per saziarsi almeno di carne con la famiglia per 8-15 giorni. E gli usurai cittadini senza anima, i macellai, conoscendo le condizioni nelle quali il popolo vive, sfruttano questa sua posizione precaria, i suoi difetti e il suo abbandono, e perfino lo istigano a questi atti delittuosi. Nelle cittadine italiane lungo la costa un macellaio su due è partecipe di queste ruberie. Egli aspetta i ladri nei luoghi fuori città... Questi macellai sono regolarmente fascistissimi. E sono proprio essi i veri delinquenti...»

Gli esattori sono feroci... le famiglie senza pane...

Anche per il prefetto di Pola il brigantaggio istriano si alimentava sin dal 1924 «...sotto la spinta crescente del disagio economico generale, tendendo ad assumere forme audaci...». [Telegramma del prefetto di Pola al ministero degli Interni in data 22 dicembre 1923, in ACS, Min. Int., Dir. Gen. P.S., Aa. Gg. Rr., (1923-1933), cat. C 1, 1923, b. 33, f. Pola, sf. Ordine pubblico.]

Siamo agli inizi degli anni venti: ma chi rinette su quanto avviene alla fine del decennio sulla scorta di una varietà notevole di fonti non può sottrarsi alla considerazione che il rapporto brigantaggio-pauperismo non solo si ripresentava con eccezionale virulenza (e la localizzazione di fenomeni malavitosi nelle stesse denunce delle autorità di polizia sembra inseguire puntualmente le condizioni di miseria che più acute si manifestano via via nei diversi circondarii si veda alla fine degli anni venti il caso dell' Istria interna) ma rappresentava una ulteriore profonda rottura dei pur instabili equilibri che governavano la vecchia società agraria istriana. Quel che colpisce è il coro pressoché unanime di analisi e denunce: non è solo la stampa dell'emigrazione sloveno-croata, ma è l'organo stesso dei fuorusciti italiani in Francia. La Libertà che nel 1932 riferisce delle dimostrazioni di donne affamate che si svolgono con grande scalpore nel Parentino, a Orsera, a Buie...[La Libertà, 11-2-1932, Spaventosa situazione nella Venezia Giulia; la fame e il terrore a Trieste e nell'Istria.]

Ma sono le stesse autorità italiane che sempre più frequentemente intervengono sulla situazione considerata oltremodo preoccupante. All'inizio del 1931 il questore di Pola mette direttamente in rapporto l'acutizzarsi del «disagio economico» col rilascio nel trimestre di un numero elevatissimo di passaporti perl'espatrio: 1.363 (in seguito alla riapertura dei canali dell'emigrazione) [HAP, 1931, b. 110, VI.6., R. Questura di Pola, Situazione politica e criminale nella provincia] ...Numerose e inequivocabili le relazioni dei sindaci al prefetto di Pola: richiamati sempre fenomeni come il frazionamento della proprietà agraria che non consentiva nemmeno la sussistenza della famiglia contadina, l'insopportabile pressione tributaria che portava all'indebitamento, all'espropriazione, a scegliere la strada dell'emigrazione, e poi il susseguirsi degli scarsi raccolti e la fame, la morbilità diffusa, la mortalità infantile. Non pare esagerata la cronaca de La Libertà: «Gli esattori sono feroci... le famiglie senza pane... Nei distretti di Parenza e Pisino... il cibo... è un brodo di acqua salata». [La Libertà, 18-2-1932, ari. cit.] Nemmeno la stampa di regime si sottrae sempre ad una visione più realistica di quanto stava avvenendo. A metà del 1929 un giornalista de L'Azione scriveva:..- In questi ultimi mesi l'attività criminale ha ripreso... Sono casi di poca entità... ma che denotano... la vitalità di quegli elementi eterogenei che affiorano nella campagna istriana, povera campagna, che molto spesso non è sufficiente neppure ai bisogni dei contadini costretti a vivere una vita di stenti, che provocano nei meno resistenti al vivere onesto sentimenti di cupidigia e lo stimolo di ottenere con facilità quanto con la fatica non sarebbe loro dato di conquistare.

Atti briganteschi vengono registrati dalla stampa dell'epoca già durante tutto il 1919 e il 1920. Nella prima metà del 1921 passando da furti di bestiame commessi a Visinada a quelli perpetrati a Castellier si configurano forme di abigeato. Dove veniva venduto o smistato, se si trattava di bovini e ovini, la refurtiva rubata.

Le fonti a stampa italiane, già all'inizio degli anni venti, riportano più dettagliatamente almeno un episodio: quella di un macellaio di Pola, certo L. Ruzzier, il quale «si portava spesse volte a Montegrande, dove attendeva i briganti che arrivavano nascostamente dall'interno dell'Istria... per vendergli i bovini rubati...»

Briganti, mediatori, commercianti.

Col passare degli anni sospetti e denunce si moltiplicarono. È del 1927 una considerazione più generale che diviene emblematica di un fenomeno colto nelle sue numerose articolazioni... Veniva sgominata in quei mesi, nei pressi del paese di Verteneglio, una banda di briganti composta da tredici contadini che aveva operato con la complicità di alcuni macellai. Questo ennesimo episodio veniva interpretato dal giornale L'Azione come una riconferma [AZ, 18-10-1927, Per combattere l'abigeato]. «...di ciò che noi da anni andiamo sostenendo: e cioè che nessun furto di bestiame avverrebbe in Istria quando mancassero i compiacenti compratori, macellai o mercanti di fiera, disposti sempre ad avviare a sicure destinazioni la refurtiva...» Non meno significativi erano i rimedi più urgenti proposti: l'istituzione di una bolletta recante il numero di marchio impresso sull'animale messo in COMMERCIO e la sua origine. Si invitavano le forze dell'ordine a un controllo più attento su fiere e mercati di bestiame che si svolgevano in Istria.

Per la rivista degli emigrati istriani in Jugoslavia, Istra, sono proprio i macellai cittadini i «veri delinquenti» che partecipano alle ruberie, che «istigano a questi atti delittuosi» il contadino affamato delle campagne. Per la rivista Istra «... il popolo non commetterebbe tanti sbagli e ruberie se non avesse appoggi e aiutanti in città... La nostra supposizione era giusta: in tutte le cittadine ci sono macellai incoscienti che direttamente istigano a rubare il nostro povero uomo arretrato. Essi lo aspettano nei pressi della città, gli prendono il bestiame a bassissimo prezzo, per venderlo più tardi in città a più alto prezzo». [AZ, 6-12-1921, Un macellaio di Pisino manutengolo di bovini].

Così nel febbraio del 1930 furono trovati nella stalla di un macellaio di Pisino alcuni buoi rubati giorni prima a Portole. In quella occasione furono arrestati i suoi soci, che confessarono di aver rubato nel corso del 1929 circa 100 buoi e di averli consegnati al macellaio di Pisino [ibidem]. Anche A. Benussi ricorda, riguardo a tale rete di appoggi e di collegamenti esistenti nelle città, che a Dignano «...si era formata una banda di ladri, composta da civili e carabinieri... Centinaia di quintali di grano venivano rubati all'approvvigionamento... [A. Benussi, "Ricordi di un combattente istriano," cit., p. 66.]

Ciò significa che i briganti istriani avevano bisogno di mediatori che li mettessero in relazione non soltanto con l'economia locale, ma con una rete commerciale più vasta. Dalle notizie riportate non è da escludere che vi fossero tra briganti e commercianti di bestiame delle vecchie province italiane vere e proprie relazioni di interesse.

Da fonti orali che ho potuto raccogliere (che si riferiscono però ad anni successivi) si ricava che il bestiame rubato nelle campagne dell'Istria, attraverso i piccoli porti marittimi dell'Istria occidentale, veniva trasportato oltre l'Adriatico e qui venduto. [Un giovane soldato istriano, militare in Sardegna, durante le manovre militari aveva riconosciuto il proprio gregge di pecore e il cane pastore rubati un anno prima dai briganti. Dimostrata la fondatezza della sua accusa, gli venivano entrambi restituiti: testimonianza orale rilasciatami da M.D. nel 1976 ].

Ciò significa che i briganti istriani avevano delle relazioni con una rete commerciale molto più vasta. Non è da escludere, però, che il bestiame rubato venisse inviato anche oltre il confine, in Jugoslavia. I briganti si spostavano da una località all'altra ed erano organizzati in forti bande con fiduciari incaricati «...di spiare le mosse dei carabinieri e nello stesso tempo di provvedere all'inoltro oltre il confine, della refurtiva...».

Ovvie e pesanti le difficoltà a collaborare con la polizia da parte della popolazione contadina. Le nuove tensioni e fratture create dalla situazione del dopoguerra e dalla presenza, più che mai avvertita come ostile, degli organi dello Stato italiano si saldano, moltiplicandole, con antiche forme di diffidenza e di estraneità rispetto ai poteri pubblici e con un inveterato costume a farsi giustizia da sé. È quanto esprime, pur con la consueta ottica riduttiva e deformante, il giornale L'Azione dì Pola, quando afferma che la colpa del ripetersi dei furti di bestiame in Istria andava ascritta anche «...ai derubati, che spesse volte, nutrendo dei sospetti su qualcuno, restano muti, e certuni trattano persino con gli stessi ladri, oppure aspettano di vendicarsi su quel tale che suppongono c'entri nell'affare; oppuree spesso ancora non parlano per paura di peggiori rappresaglie...». I fiduciari dei briganti non hanno solo la funzione di informarli sugli spostamenti delle forze dell'ordine nelle campagne ma anche di collaborare direttamente ai furti e di vendere il bestiame rubato. [AZ, 3-2-1928, Le criminose gesta dell'abigeato in l'Istria]

A Valle di Rovigno (siamo nella seconda metà del 1921), per i ripetuti furti di bestiame da lavoro, la popolazione si trovava in «condizioni disperate, cosi che moltissimi sono decisi a disfarsi del bestiame per timore di perderlo...». In poche settimane in questo villaggio i furti ammontarono a sedici con un danno di oltre 50.000 lire. Anche A. Benussi ricorda il caso di Valle di Rovigno che in un «breve periodo... venne derubata di 200 buoi... Per questo motivo anche la cassa delle assicurazioni contro il furto era andata in fallimento...». Molte volte i briganti erano travestiti da carabinieri o da gendarmi austriaci e in tale veste si presentavano ai vari possidenti agrari intimando loro la consegna del denaro e del bestiame.

Nelle vicinanze di Canfanaro fu rapinato dai briganti un pastore al quale (e siamo di fronte al più classico abigeato), furono portate via tutte le pecore che pascolava. Da quanto affermano i contadini [scriveva L'Azione il 16-3-1924, "Un nuovo metodo di rapine a Pisino"] deve trattarsi di bande organizzate che esplicano la loro attività nella zona che va da Parenzo fino a Dignano.

Bisognerebbe che l'autorità aumentasse il numero dei carabinieri nella nostra campagna procedesse ad un rastrellamento per impedire che le rapine continuino. [Pucki Prijatelj,17-11-1927, Iz Alture.Kradja ovaca; 24-11-1927, Iz Boijunsfine. Kradja ovaca; 1-12-1927, Iz Pazinstine.Kradja ovaca; Istra]

I furti di pecore continuarono anche negli anni successivi. Le regioni in cui operavano più di frequente i briganti, secondo il prefetto di Pola, «giacciono nel triangolo che da Canfanaro va fino a nord di Pisino per piegare poi verso Parenzo, Rovigno e Valle... questa era la zona dell'Istria interna prediletta dai briganti slavi per la speciale conformazione del terreno prestandosi le fitte boscaglie, le caverne le "foibe" per nascondere ogni traccia delle loro delittuose gesta».

Omertà e complicità

I briganti operavano soprattutto lungo la frontiera fra l'Istria Veneta e l'Istria Arciducale, cioè nell'ambito dell'ex contea di Pisino (E. Sestan, La Venezia Giulia. Lineamenti di storia etnica e culturale, Roma 1966, p. 81; C. De Franceschi, L'Istrici. Note storiche, Parenzo, 1879, "pp.369-371; U Cova, L'amministrazione austriaca a Trieste agli inizi dell'800,Varese 1971, pp. 98-111.)

Tutti sanno che Lizzardo, Mattossevich, Giubbe (noti briganti anche agli occhi dell'opinione pubblica, n.d.a.) abitavano e abitano tuttora quelle località. Causa la mancanza di carabinieri venne soppressa la stazione di Baratto e tra giorni si sopprimerà quella di Col di Leme, lasciando così libero campo a G. Lizzardo di compiere le sue gesta... (8-9-1921)

Molti di questi individui «vista rilassata la vigilanza a poco a poco si sono infiltrati di nuovo, specialmente ove più deserto ed inospite il terreno dava adito a raccogliersi o rintanarsi: Orsera, San Lorenzo del Pasenatico, Baratto, Col di Leme. Il brigantaggio istriano deve venir estirpato. Mancano i carabinieri? Crediamo di no. Sono semplicemente male distribuiti e male guidati...» [II Lavoratore Socialista», 9-2-1922, A proposito del brigantaggio istriano; «Mali List», 7-4-1923, Rapar Vidulin v rokah pravice: «Nd 1921 in Istria si verificarono delle rapine che destarono paura in tutta la popolazione della regione. Ancora nel 1922 questa banda di ladroni si aggirava per l'Istria al comando di Simon Vidulin. Giorno e notte rubavano e saccheggiavano...».]

Nella maggior parte dei casi riferiti dalla stampa, sia italiana che croata e slovena, risulta che la popolazione non solo non appoggia le gesta brigantesche ma essa «... indignata si ribellava e in gruppo, armata di randelli, falce e tridenti inseguiva i briganti... [Lavoratore Socialista», 9-2-1922, A proposito del brigantaggio istriano; - «Istarska Rijec», 13-8-1925, Iz  Zbandaja; Pucki prijatelj, 1-12-1927, iz Muntrilja; Pucki Prijatelj, 8-9-1927, Iz Kanfanara.] Diglo se cijelo selo; AZ, 31-1-1928, Una impresa dell'abigeato. Movimentato inseguimento dei ladri.)  Sono forme di autodifesa corrispondenti alla diffidenza verso i pubblici poteri. E" quanto conferma anche A. Benussi quando ricorda che «il popolo si svegliava tante volte, durante la notte, disturbato da bande travestite da carabinieri. Però quando denunciavano ciò venivano messi in carcere e bastonati per aver offeso i benemeriti RR.CC. La popolazione perciò non denunciava più nessuno...» (A. Benussi, Ricordi di un combattente istriano, cit., p. 93.)

Non sono riuscito a stabilire con una certa attendibilità dalle fonti consultate, se in certe parti dell'Istria remote e inaccessibili, «dove i rappresentanti delle autorità penetrano solo per incursioni occasionali», si verifìcasse quanto E. J. Hobsbawm rileva come elemento caratteristico del rapporto dei briganti con il proprio ambiente, il loro stare cioè normalmente nel villaggio senza abbandonare la lorocomunità di provenienza.[Cfr. E.J. Hobsbawm, I banditi, cit., p. 42. Per un corrispondente da Pola del Pucki Prijatelj i briganti «... si trovano fra il nostro popolo... e cercano di distruggere il proprio vicino. Si son fatti vivi proprio questo inverno quando il nostro contadino è in grande preoccupazione per come sfamare il proprio bestiame»; Pucki Prijatelj, 3-3-1927, Iz Pule.]

Un corrispondente del quotidiano polese L'Azione scriveva tuttavia, da Valle di Rovigno, a proposito dei frequenti furti di animali registrati in terra istriana che «... certi individui possono frequentare senza difficoltà i templi di dio Bacco e girare per i paesi vicini ben vestiti e consumare il tempo nell'ozio e nel vizio...». Forme di collegamento fra le più forti e organizzate bande di briganti forse esistevano, e forse non erano casuali ma concordate. Anche A. Benussi ricorda che:

Le bande Matosevic e quella di Bularic erano state più volte viste assieme in case private mangiare e bere. La popolazione perciò non denunciava più nessuno. Il sospetto della nostra popolazione era giustificato e reale. In occasione di una lotta fra ladri e carabinieri si trovò tra gli arrestati e feriti un gruppo di carabinieri con a capo i famigerati marescialli Siluri e Saponaro.[A. Benussi, Ricordi di un combattente istriano, cit., p. 93.]

Il che starebbe a significare che non mancavano comunque forme di omertà e di complicità. Alcune forme di convivenza, che ho potuto rilevare dal materiale documentario consultato, c'erano fra le bande dei briganti e alcuni loro fiduciari nei paesi in cui avvenivano i furti e nei paesi attraverso i quali la refurtiva rubata veniva smistata o venduta. Cosi a Cittanova, nel settembre del 1927, venivano rubati nove capi di bestiame al possidente Francesco Fava, da una banda di briganti di Visignano aiutata da alcuni fiduciari locali  che smistavano e poi vendevano il bestiame rubato (AZ, 3-2-1928, Cronaca giudiziaria; le criminose gesta dell'abigeato in Istria. Non sono riuscito a stabilire con sicurezza se c'erano rapporti tra i briganti e i funzionar! militari e politici italiani locali, secondo quanto è rilevato come regola abbastanza consueta da  E.J. Hobsbawm, (E.J. Hobsbawm, J banditi, cit., p. 48. ), anche se non mancano indizi già ricordati in questo senso, e se da fonti orali, (A Markovac, nelle vicinanze di Visinada, fu trovato morto, ucciso dai padrone della casa assalita da briganti, il brigadiere dei carabinieri di Visinada. I carabinieri di Visinada chiamati dagli abitanti di Markovac senza il loro brigadiere rifiutarono di recarsi sul luogo. Una pattuglia del comando dei RR. CC. di Montona accertò effettivamente che la persona uccisa durante l'assalto era il brigadiere dei carabinieri di Visinada (testimonianza orale rilasdatamida M.D. nel 1976). emergerebbero fondati sospetti di connivenza in alcune imprese brigantesche di certi rappresentanti delle autorità di (Si invitavano le autorità ad istituire nuove stazioni di carabinieri rinforzandole con soldati perché «fra gli slavi c'è la convinzione che siano i carabinieri a commettere le rapine»: AZ, 5-10-1919, Per arginare la piaga dei briganti nell'I stria meridionale.)

Il brigantaggio istriano, agli occhi delle autorità militari e politiche, era essenzialmente un fenomeno di ordine pubblico, che doveva venire affrontato rafforzando o costituendo, la dove non c'erano, stazioni di carabinieri (Telegramma del prefetto di Pola al ministero degli Interni del 22-12-1923,doc.cit.). Le autorità ricorrono dunque alla richiesta di provvedimenti contingenti esterni, come la repressione, senza verificare i motivi profondi, le cause del disagio economico (a volte solo accennate) e sociale dei contadini istriani. Fin dal 1919 i circoli politici istriani che facevano capo al quotidiano L`Azione di Pola, chiedevano alle autorità italiane, per arginare le imprese brigantesche, l'applicazione del codice penale italiano all`Istria perché quello austriaco «offre ai ladri troppe scappatoie»  (AZ, 13-10-1919, Nuove rapine nella campagna di Parenzo).

C'è un altro aspetto delle analisi avviate dalla stampa italiana dell'epoca, siamo al 1931-1933 quando l'azione repressiva contro il brigantaggio assume i caratteri di vera e propria militarizzazione della regione con la pratica, ad esempio, dei rastrellamenti organici condotti nelle campagne: il paragone tentato e su cui si insiste tra l'Istria e quelle regioni italiane (Sicilia, Sardegna) in cui i problemi dell'ordine pubblico erano legati a fenomeni di brigantaggio e abigeato. Tali interpretazioni introducevano ulteriori divaricazioni ---- e contraddizioni — nel giudizio dato dai vari organi responsabili sulle condizioni della provincia giuliana. Se ne rendevano conto igruppi di intellettuali sloveni e croati esuli in Jugloslavia che sulle pagine dell'Isfra prendevano spunto da quelle analisi per introdurre una serie di riflessioni più articolate sulla specificità e la complessità della società istriana.

 Già nei primi mesi del 1929 operavano in Istria oltre 300 carabinieri con precisi compiti di lotta contro il brigantaggio (in particolare 3 squadriglie mobili delTArma erano dislocate nella zona di S. Lorenzo, Dignano e Pisino).Ai cambinieri si univano di volta in volta,a seconda delle necessità, anche reparti della questura. Vedi C.L, 23-7-1929 La lotta contro il brigantaggio in Istria; per il paragone fra la situazione istriana e casi siciliani e sardi, v. C.L, 5-1-1933. L'ultimo dei briganti istriani è stato catturato; v. anche «Istra»,5-5-1932, Talijanski karabinijeri love jednog istraskog lopova 14 godina.

 Non va dimenticato che l'accostamento introdotto fra la situazione istriana e quella siciliana e sarda aveva poi risvolti operativi non trascurabili quanto a metodi e a uomini utilizzati nell'azione repressiva: va ricordato almeno il caso di quel funzionario di polizia,Stagni, che alla metà degli anni trenta è impiegato in Istria (e le fonti ne riferiscono ampiamente) proprio grazie all'esperienza acquisita in Sicilia.

La polemica antislava.

Facendosi interprete di un clima generale di paura di fronte all'acutizzarsi del fenomeno brigantesco istriano, l'on. Pesante, nel marzo del 1922, presentava al presidente del consiglio e al ministro degli interni un'interrogazione, in cui già si insinua quella polemica etnica antislava che si accentuerà, come vedremo, negli anni successivi:

Sul perdurare dei gravi fenomeni di delinquenza, che ancora sempre si verificano per parte di bande slave nelle campagne istriane, dove un sendi terrore ha invaso quelle popolazioni assoggettate a violenze, ferimenti, uccisioni, incidenti... e per conoscere se non ritenga necessario di provvedere ad un aumento delle stazioni di carabinieri nei centri rurali maggiormente sospetti... [Interrogazione dell'on. Pesante al presidente del consiglio del marzo 1922, in Atti Parlamentari. Legislatura XXVI, voi. IV, 1922, p. 3292.]

Nei primi anni dell'avvento al potere del fascismo il fenomeno sembra addirittura estendersi. Nel corso del 1922 e di tutto il 1923 e 1924 si accentuano in quasi tutti i paesi dell'Istria interna il fenomeno dell'abigeato e le rapine a mano armata. Il settimanale sloveno Mali List di Trieste scriveva in quel periodo, a tale proposito: O.K. Parte N-9 - ...L'lstria, specialmente quella meridionale, ritorna nel medio evo. Non passa settimana senza sentire di qualche attacco brigantesco in Istria. La maggior parte di questi brigand sono mascherati e armati di fucile... La gente nel paesi vive in continua paura... [Mali List, 31-8-1923, Roparske bande sfrahujejo Istro; 23-11-1923, Istrsko ljudstvo v strahu in trepetu; Istraska Rije^, 30-4-1925, Iz Livada; ... 28-5-1925, Velika bijeda u Istri; Mali List, 15-2-1924,  Novi roparski cini v Istri; 28-11-1924, Bandit ubil oroinika; 3-7-1925, Dnen roparski napad u Istri;... Pucki Prijatelj, 18-3-1926, Iz Baderne. Sto je novo po Istri?... Iz Barbane, 29-12-1927; 1-12-1927, Iz Pazinstine.]

II prefetto di Pola riferiva al ministero degli Interni P8 di-cembre 1923, che «mentre la piccola delinquenza, come i ferimenti e truffe, e rara, l'altra delinquenza, assume forma feroce, pericolosa, impressionante...», e chiedeva il potenziamento dell'apparato di Ps.V. Bratulic. [Izbor dokumenata o etnickom sastavu i politckim prilikama Istre 1918-1945, in Vjesnik Drzavnog Arhiva u Rijeci, IV (1957), P. 300-3KL]

 Lo stesso prefetto di Pola, con nota del 28 novembre 1924, riferiva al Ministero degli Interni le gravi condizioni dell'ordine pubblico nelle zone dell'Istria interna, «pel continue ed allarmante ripetersi dei furti di animali»:

I migliorati servizi da parte dell'Arma dei RR.CC. per prevenire e reprimere i reati non hanno sortito quella efficace utilità che era desiderabile, anzi abigeati si succedono tuttora in una forma sì impresionante ed audace da provocare lo sgomento nelle popoliazioni agricole e giuste richieste delle Autorita locali per provvedimend energici di PS... Le cause vanno ricercatenbsp; al carattere delta popolazione, incline alla consumazione dellabigeato, ai casolari sparsi in vaste zone campestri disabitate, ai rifugi naturali che si prestano e danno facile ricovero ai malfattori e nascondigli sicuri agli animali rubati, al territorio impervio ed alle vaste zone boschive il cui accesso e pericoloso. La zona che è maggiormente colpita dall'abigeato è compresa nel triangolo Rovigno-Pisino-Parenzo...

I. Kolarich nelle mani della giustizia (I. Kollarig u rukah pravice)

A Valle di Rovigno, secondo il giornale Pucki Prijatelj, dal 1919 al 1924, furono commessi 25 furti di bestiame con un danno molto ingente. I circoli politici istriani e L'Azione chiedevano alla presidenza del consiglio, nell`agosto del 1925, l`estensione all'Istria della legge speciale sull'abigeato vigente in Sicilia e il confino di polizia. [AZ, 4-4-1925, La piaga dell'abigeato: a Valle, mezzo milione di danni, si chiede l'estensione della legge abigeato per la Sicilia; AZ, 29-7-1926: il giornale propone il confino di polizia per sopprimere l'abigeato. L'estension della legge speciale sull`abigeato vigente in altre province del Regno viene prospettata anche in un Appunto per S.E. il Sottosegretario di stato alla Presidenza del Consiglio del Ministri datato Roma 1 agosto 1924, in ACS, PCM, Gab. 1927, f. 1.1/13, n. 3596, Provvedimenti in favore della Provincia delI'lstria.].

Nel gennaio del 1924 venne arrestato a Trieste uno del più ricercati e nod brigand istriani, agli occhi dell'opinione pubblica e delle autorità di polizia, I. Kolarich [Collarig secondo il giornale Edinost e I'Azione)... Edinost, 16-1-1924, Zlocinec Collarig u rukah pravice; Mali List, 18-1-1924, Kolaric ujet.]

Secondo l'Edinost, evidentemente preoccupato di isolarlo rispetto alle popolazioni slovena e croata, dandogli una caratterizzazione politica che suonasse minoritaria e insieme minacciosa per tutto l'ordine costituito, egli era «...per pensiero comunista e partecipo alla lotta  politica...» Nel dicembre del 1923 Kolarich si sarebbe presentato all`avvocato Cernelizza a Pola vietandogli «di accettare le difese giudiziarie di alcuni fascisti se voleva vivere.» [MaIi List, 28-12-1923, Kolarich vlece oblast za nos].

II Kolarich, secondo la stampa dell'epoca, di mestiere macellaio, aveva avuto un'infanzia difficile e venne arrestato la prima volta nel 1917 a Leibnitz in Austria per aver commesso un furto, nel dopoguerra ritornò nuovamente a Pola impiegandosi come macellaio, ma quasi subito venne arrestato per aver organizzato alcune rapine; riuscì a fuggire dalle carceri di Rovigno e visse illegalmente, organizzando rapine per le cittadine istriane e nelle campagne [Dati riportati Edinost, 17-1-1924, Zaslisanje Collarica; Mali List, 25-1-1924, Iz Kolaricevega zivljenja. Riferimend al Kolarich anche nelle relazioni dei procuratori generali presso la Corte di appello di Trieste: Giuseppe Moretti, rel. 1925, p. 31, e G. Facchinetti, rel. 1926, p. 424.]

 Nel novembre del 1925 il Kolarich (Collarig) venne condannato dalla corte di giustizia di Pola all'ergastolo e a 106 anni di pena con 11 anni di segregazione cellulare [AZ, 15-11-1925, La corte pronuncia la sentenza al processo].

 Ma gli atti di brigantaggio continuarono. Nel gennaio del 1925 veniva ucciso dai carabinieri di Antignana (Tinjan), in uno scontro a fuoco, A. Bratovic, un noto «brigante» dell'Istria centrale. Per un corrispondente del giornale Pucki Prijatelj scrive solo «...con il lavoro educativo-istruttivo si potrà arrestare il brigantaggio in Istria, in un altro modo sarà difficile... E le autorità ci proibiscono di costituire le nostre società educative e istrutive nelle quali si potrebbero educare giovani onesti.» [Pucki Prijatelj, 8-1-1925, Sto je novo pò Istrì? Iz Sv. Ivana od Sterne.]

...la nostra gente in quel circondario è "buona"

Il problema del brigantaggio diventava così occasione per cercare di rivendicare i diritti nazionali delle popolazioni slave, sempre più pesantemente conculcate dallo stato. Ma sull'altro versante proprio tali situazioni servivano per rinfocolare strumentalmente la polemica e la denigrazione nei confronti delle popolazioni slovena e croata. Per la stampa italiana consultata L'Azione e per le autorità di polizia istriane infatti, dopo l'avvento al potere del fascismo e durante gli anni '20, i briganti appartengono, quasi per definizione, alla nazionalità «slava».Questa tesi vien contestata sia dal quotidiano sloveno di Trieste, Edinost, che dalla rivista degli emigrati istriani in Jugoslavia, Istra. [Edinost, (-1926, Skrajno drzen roparski napad na zeleznnicki postaji u Prestranku; 9-4-1926, Govor  trzaskega prefekta u Postojni, Istra 2-2-1933, Kad fasisticka stampa priznaje da je Istra Slovenska]. Un corrispondente del settimanale Pucki Prijatelj scriveva, nel gennaio del 1925, che i due mali di cui soffrivano i contadini delle campagne di Pisino erano i furti di bestiame e le tasse. Il quotidiano sloveno Edinost, scriveva a tale proposito nell'aprile del 1926, subito dopo l'attacco alla stazione ferroviaria di Prestrank vicino a Postumia:

«...La situazione della nostra gente diventa di giorno in giorno sempre più difficile e ultimamente quasi insopportabile. Sembra come fossimo legati per le mani e i piedi... E non solo come gruppo nazionale... ma anche nella vita privata i singoli hanno sentito le conseguenze della disagevole condizione... Questo malumore fu determinato e stimolato specialmente dagli organi d'informazione con una presentazione errata della nostra volontà e della mentalità della nostra gente... Qualsiasi fenomeno di rilassatezza e di macchinazione e volontà di questo popolo furono presentati come segno di una disposizione nemica della nostra gente verso lo stato. In questo senso di qualsiasi avvenimento spiacevole e di qualsiasi sconsiderata parola di qualche singolo ascrivono tutta la colpa al nostro gruppo nazionale... al nostro gruppo nazionale fu apposto il timbro di pericoloso, di popolo intrigante, capace di qualsiasi diavoleria per odio... verso il popolo italiano e lo stato.» [Edinost, 9-4-1926, Govor trzaskega prefekta v Postojni; cfr. -  anche E. Apih, Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, Laterza, 1966, p. 308.]

Si era trattato, come sembra, di una rapina, ed il prefetto di Trieste, Gasti, nel commemorare i due militi caduti, affermò, secondo l'Edinost che:

«...La nostra gente in quel circondario è "buona". Con questo voleva dire che non gli si deve attribuire la responsabilità per l'orrendo delitto... E la nostra gente di quel circondario... in modo manifesto dimostrò di rifiutare qualsiasi connivenza con i delinquenti, di... condannare lo spaventoso delitto... Il prefetto... denotò l'attacco brigantesco come un delitto dell'avidità verso il denaro... Con questo il prefetto dichiarò che è assurdo, ingiusto e anche illogico se si volesse presumere qualche solidarietà del gruppo nazionale con questi delitti... Erano parole queste di consolazione per la nostra gente... Il significato delle sue dichiarazioni è tanto maggiore perché è accaduto per la prima volta in questa regione... che un rappresentante dello Stato... assuma... una posizione giusta, corretta e logica verso la nostra gente...»

Ci sono dei casi in cui la stampa fascista...  

Tali posizioni denotano alcune divergenze di valutazione e di atteggiamento all'interno degli organi dello stato. Ma tali divergenze non riuscirono tuttavia ad intaccare la linea prevalente di repressione e di polemica antislava che nei problemi posti dal brigantaggio, malamente analizzati e peggio intesi, cercava nuovi argomenti di conferma. Cosi esplicitamente all'inizio del 1933 la stampa fascista locale arriverà alla conclusione che il fenomeno era la manifestazione  «eversiva degli slavi barbari». La rivista degli emigrati istriani in Jugoslavia, ìstra, replicava al riguardo: «...Ci sono dei casi in cui la stampa fascista tuttavia riconosce che siamo anche noi ancora in Istria. Questo avviene soltanto in quei casi quando accade qualche rapina... O quando si arresta qualche brigante che si nasconde per i boschi istriani. Il brigantaggio sicuramente l'hanno cominciato i "barbari slavi" e il brigante, che con successo si nasconde e che i carabinieri non riescono ad arrestare, è normalmente qualche slavo...» [Edinost Istra, 2-3-1933, Ponekad i fasistièka stampa priznaje da ìstra je i slavenska]

 Ma al di là di queste battute polemiche, peraltro sacrosante, due sono i problemi di analisi e di interpretazione storica che restano tuttora aperti: da un lato quello di non confondere semplicisticamente i briganti con i ladri comuni, come tendevano a vederli generalmente gli organi di stampa e le autorità periferiche, quanto meno per le diverse radici culturali e sociali che ne animavano e ne incrementavano l'azione; e dall'altro quello di verificare puntualmente la possibilità che in quel contesto, violentemente repressivo delle popolazioni slave, le azioni di brigantaggio siano venute progressivamente saldandosi anche a motivazioni più consapevolmente ed esplicitamente politiche.

I Regent, esponente regionale del Pci, scriveva sulla rivista ufficiale del partito Stato Operaio, nel 1928, che in Istria il «... banditismo ancora attivo, spesso si ammantava di resistenza politica, in Istria avvenivano, in zone di rimboschimento, incendi di paglia ad opera di pastori croati... anche per reazione alla manomissione dei tradizionali diritti di uso dei contadini...» [Cit. dall'articolo attribuito a I. Regent, «La situazione nella Venezia Giulia.», in Lo Stato Operaio, a. II, 1928, n. 8, ed. reprint Milano, Feltrinelli, 1966, p. 569-574...]

In un promemoria, senza data, ma con notizie riguardanti il periodo dal 18 novembre 1918 al febbraio 1921, dell'Ufficio centraledelle nuove province, riguardante l'organizzazione irredentistica croata dell`Istria, compilato su notizie desunte mediante indagini e informazioni di confidenti, si fa notare che «... a Zagabria trovasi il bandito Lizzardo, o almeno vi si trovava alcun tempo e fu spesse volte veduto col Petech e Macan e non è da escludersi che essi vogliono servirsi del temuto malfattore a scopi politici...» ... [Promemoria sulle organizzazioni irredentistiche croate dell'Istria inviato dal Commissario generale civile per la Venezia Giulia dall'Ufficio Centrale per le Nuove Province nell'aprile del 1921, in ACS, PCM, NP, b. 50.]

Anche il quotidiano L'Azione scriveva nell'agosto del 1920 che il bandito Lizzardo era fuggito in Jugoslavia per evitare l'arresto... [AZ, 13-8-1920, Lizzardo fuggito in Jugosavia.]  Il Lizzardo non venne arrestato e visse latitante: nel 1927 la Corte d'Assise di Pola lo condannò in contumacia a dodici anni di carcere... [AZ, 1-3-1927, II latitante Lizzardo condannato a 12 anni].

Omertà e complicità

Un altro brigante istriano, lo Stocovich, secondo L'Azione era fuggito in Jugoslavia nel 1922 e venne arrestato a Zagabria. Nel 1927 la Corte d'assise di Pola nel dibattere e giudicare la rapina di Valcarino, compiuta nel luglio del 1919, da una banda di briganti vestiti da soldati, assolse G. Stocovich mentre condannò a dodici anni il brigante latitante Lizzardo... [ AZ, 19-10-1922, Il capobanda G. Stocovich arrestato a Zagabria.]

Anche lo scrittore istriano croato Z. Crnja, scrive, in un suo libro di ricordi, che diversi briganti si erano rifugiati in Jugoslavia e vivevano nelle vicinanze di Susak, per sfuggire all'arresto:.. Un certo Bursic di Roveria o del parentino comprava pecore... mi disse di esser fuggito dall`Istria per la politica dei boschi ("radi neke politike u boski") ... e non nascondeva di appartenere ai ladri cioè a quella nostra "mafia" che in alcune parti dell`Istria in quel periodo era ancora forte. Uno di questi ex "ladri" da Prikodrage (Oltre la Draga) abitava a Svilno, ma si comportava molto onestamente ed era un buon lavoratore... [Crnja, Obecana zemlja, Pula, 1978, pp. 6-7. ]

Un altro bandito compagno di Collarig e della sua banda, Giugovaz, venne arrestato a Parigi dove, secondo L'Azione si era rifugiato; venne estradato, a quanto pare, in Italia nella primavera del 1928... [AZ, 3-4-1928, II bandito Giugovaz sarà presto estradato dalle prigioni di Parigi.]

Sulla stampa italiana dell'epoca ho riscontrato la denuncia,in alcuni casi specifici, di una componente «politica» nelle imprese brigantesche, soprattutto dall'inizio degli anni '20. Cosi ad Antignana,nell'aprile del 1921, furono tagliate tremila viti a un possidente «patriota» di quella cittadina istriana e a Medolino venivano tagliate trecento viti «per vendetta politica» ... [AZ, 17-4-1921 Tremila viti tagliate a un possidente di Antignana; 25-5-1921, Attentato a Medolino: 300 viti tagliate per vendetta politica.]

Nel decennio successivo del resto il fenomeno brigantesco si incrementò sempre di più, tanto che il nuovo procuratore generale di Trieste, Cipolla, nell'aprire l'anno giudiziario 1933, affermava che ... «...quando si parla di furti bisogna constatare che il loro numero aumenta sempre di più e questo è legato alla miseria, la quale regna nella Venezia Giulia...» [Istra, 27-1-1933, Kriminal u Julijskoj Krajini].

Nei discorsi m'augurali dei procuratori generali degli anni precedenti figurano quasi sempre accenni molto allarmanti al fenomeno del brigantaggio e delle rapine in genere [cfr.,ad esempio, G. Mandruzzato, rei. 1930, p. 48, e nel 1931, p. 40]. Solo nel 1932 ancora lo stesso Mandruzzato crede di poter notare un «sopravvento dell'indole mite della popolazione» sui «disordini successivi alla guerra» [p. 40]. Ma i criteri ed i parametri di lettura e di interpretazione dei fatti di tali discorsi risultano troppo peculiari e specifici perché ci si possa servire dei dati che essi offrono senza una preventiva, puntuale individuazione ed analisi di quei criteri.V. anche lo studio di C. Vetter, Criminalità e società. Le statistiche giudiziarie nel distretto della Corte d'Appello di Trieste nel periodo fra le due guerre [in Qualestoria, 2 (1982), p. 46].

Nel villaggio di Novachi (Novaki) vicino a Montona furono istituite delle guardie notturne dopo il 1926 per difendere il paese dai briganti. Un corrispondente da Canfanaro del giornale Pucki Prijatelj scriveva nell'estate del 1927: «...Vii informiamo che la siccità è grande... Non ci sono guadagni. Non abbiamo soldi. Il prezzo del nostro bestiame è caduto... È male... Inoltre ci cominciano enormemente a tormentare i briganti... Rubano tutto... Si sente di grandi rapine nei dintorni di S. Vincenti e di Gimino.»

Non so se — ed eventualmente in quale misura — è possibile interpretare la diffusione del brigantaggio e delle rapine e il loro incremento alla metà degli anni '20, come un elemento di opposizione di singoli o di gruppi della popolazione istriane nelle campagne nei confronti del regime fascista. Credo che a questo riguardo bisognerebbe condurre un'indagine molto più approfondita ed introdurre molte distinzioni all'interno di un fenomeno spesso troppo genericamente caratterizzato e comunque sempre inquadrato dalle fonti dell'epoca secondo le categorie proprie del codice penale. Indubbiamente il disagio economico e l'antica estraneità contadina ai poteri dello stato, più che mai avvertito allora come ostile, ebbero un notevole peso nella consistenza e nella durata del fenomeno. E da quest'ultimo punto di vista i confini con la «politica» erano davvero assai labili. Bisognerebbe inoltre capire e studiare quali effetti, diretti o indiretti, ebbe il brigantaggio sull'opinione pubblica istriana, e sull'insieme della popolazione contadina già in difficoltà per la crisi economica.

Nazionalismo politico perseguita dallo stato fascista

Sempre a proposito delle fonti ufficiali italiane (organi centrali, prefettura, questura, organi periferici di polizia) va rilevata la divaricazione esistente nei criteri adottati per il censimento dei fenomeni  delittuosi dove appare evidente la tendenza da parte dei responsabili locali a minimizzare nei confronti del centro romano i perturbamenti dell'ordine pubblico di loro competenza. Tali interpretazioni riduttive, offerte ad esempio dalla prefettura, sono poi smentite da altre relazioni compilate da organismi paralleli o gerarchicamente sottoposti (questura, carabinieri, comandi di pubblica sicurezza). Tale fenomeno si presenterà particolarmente intenso nel periodo compreso tra il 1933 e il 1936. Nella disomogeneità dei dati forniti quel che colpisce — oltre alla frequente sovrapposizione dei provvedimenti che riguardano inquisiti «politici» e «comuni» — è l'alto numero degli «ammoniti» in gran parte pregiudicati (da centocinquanta a duecento nel periodo considerato) e ricondotti a fenomeni di brigantaggio.

Nella rilevanza e nella relativa incertezza del dato è forse da cogliere un altro segnale dell'approssimazione conoscitiva con cui le autorità di governo si muovevano nelle pieghe della società istriana.

Dopo il 1930 in alcune regioni dell'Istria (specialmente nel Castuano e nell'Istria orientale) si cominciò a sviluppare il contrabbando di generi alimentari (zucchero, farina, spezie, stoffe, ecc.) fra Fiume e l`Istria. Il contrabbando era determinato e accentuato soprattutto dalle gravi e disagevoli condizioni economico-sociali nelle quali si trovavano le popolazioni istriane. Cosi scriveva un corrispondente da Pisino della rivista Istra di Zagabria nell'aprile del 1933:

...Per l'enorme miseria mai stata tale a memoria d'uomo la nostra gente... si lascia andare al contrabbando e già molti per questo caddero in disgrazia... La fame toglie alla gente il senso del raziocinio e molti continuano a rischiare per portare dalla zona libera di Fiume magari soltanto una piccola quantità di qualche "roba" per guadagnare qualche centesimo...(«Istra», 28-4-1933, Jos jedna zrtva;... -5 -5-1935, Osude siromaìnib kriumcara; ... 26-5-1933, Teska osuda zbog oruzanog sukoba s financima;...27-10-1933, - Osude na Rijeci.)

Si tratta di un caso particolare che, per i termini in cui sembra manifestarsi, solo nelle cause di miseria che lo determinano è collegabile in qualche modo alle vicende rilevate sopra. Ma serve tuttavia ad indicare ancora una volta come il brigantaggio istriano, pur disorganico nell'azione, abbia potuto trovare un terreno di coltura più vasto nelle conseguenze sociali della politica di nazionalismo economico e di nazionalismo politico perseguita dallo stato fascista.

BIBLIOGRAFIA

Paesani ed amici, per la storia "I briganti e il brigantaggio istriano" che ho presentato, ho ricavato da diversi libri per il quale ringrazio gli autori nelle loro ricerche tramandate fino a noi:

S. Bon Gherardi, L, Lubiana et al. L' Istria fra le due guerre: contributi per una storia sociale. Ediesse (Rome, 1985). Articolo di Lucio Lubiana
Giovanni De Vergottini, Kandler Ann. Carlo De Franceschi, E.J.Hobsbawm, Oberdorfer, dal Centro di Ricerche Storiche in Rovigno

Compilato da:
Mario Demetlica


Fonte: http://www.istrianet.org/