mercoledì 3 giugno 2015

IL CAPITALE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


Non basta far rientrare la verità teologica nelle anime per ristabilire nella società l'ordine turbato
dalla Rivoluzione, è necessario altresì restaurarvi la verità economica.
La verità economica, d'altra parte, deriva dalla verità teologica, sulla natura dell'uomo, sulla sua
decadenza e sui suoi ultimi fini.
Gli economisti non hanno studiato la società che nel suo rapporto col mondo che deve traversare.
Essi non l'hanno considerata nel suo rapporto coll'infinito a cui deve condur le anime. Quindi
l'imbroglio in cui hanno condotto il mondo del lavoro. Essi ben videro che la ricchezza riposa sulla
produzione, e la produzione sul capitale; ma devono andar più innanzi e vedere che il capitale
riposa sulla virtù e la virtù sulla fede.
Jean-François de La Harpe



Per aver disconosciuto questi due ultimi punti l'economia ha prodotto il pauperismo; ed il
pauperismo ha generato il socialismo che mette sulle labbra del povero le parole che La Harpe avea
udite su quelle dei Giacobini.
"Tutto appartiene a coloro che non posseggono, giacché essi sono i più forti. Noi lo fummo, ed
abbiamo preso ogni cosa massacrando tutti quelli che possedevano: Questa è la vera democrazia.
Che ci si lasci fare ancora, e noi ricomincieremo a saccheggiare e ad uccidere, finché non restiamo
che noi soli in Francia e tutto sia per noi.(1)
I fatti infinitamente spaventosi, che presagiscono queste parole, s'incaricano di provare che ogni
ordine economico che non ha preso per base la virtù, e per fondamento più profondo la fede, per
quanto possa a prima vista sembrare brillante, deve necessariamente crollare e tutto trascinare dietro
di sé.
Si comprenderà allora la necessità di rimettere lo spirito nel posto della carne, l'umiltà in luogo del
lusso, il campo in luogo della banca, il capitale in luogo del pauperismo. In una parola, si
comprenderà la necessità di togliere dal nostro sistema economico, come dai nostri costumi l'ulcera
del Rinascimento.
È dessa che ha ricondotto dappertutto la natura in luogo di Dio; dappertutto, per conseguenza,
l'appetito che vuol godere e sprecare in luogo della virtù che si frena.
I capi seguenti dimostreranno che la scienza economica, che rende felici e prosperi i popoli, è quella
che si stabilisce sulla base che gli diede il cristianesimo: il distacco dai piaceri di quaggiù. Invece di
gridare a quelli che appagano le concupiscenze della carne e dell'orgoglio: Affer, affer, essa ripete,
ma con più autorità, la massima degli austeri filosofi dell'antichità: "Contine, abstine; impara a
contenerti e ad astenerti".
Questo dovere, questa necessità di astenersi risulta in primo luogo dalla vera nozione del capitale.
Molti di coloro che si dicono o si credono gli amici del popolo, dopo d'averlo invitato ad aprir gli
occhi sulle ricchezze che attualmente il mondo possiede, gli parlano come se esse fossero state
donate al genere umano da Dio o dalla natura, secondo che il parolaio crede alla creazione, o
s'immagina che il mondo siasi fatto da se stesso.
"La natura", si legge comunemente nelle pubblicazioni socialistiche, - ed in quelle dei democratici
che partono del pari da questo fatto supposto a fine di metter in giro le stesse ingiuste pretese -
"Dio" ha posto l'uomo in mezzo alle ricchezze della terra.
"Le ricchezze, essendo largite dalla natura, tutti gli uomini non hanno forse un diritto eguale al
suolo come alla luce, all'aria?"
E siccome vedono i beni di questo mondo inegualmente ripartiti fra gli uomini, ne accusano la
società: "L'uomo nasce ricco, e le istituzioni sociali lo riducono alla fame". Partendo da questo
principio che tutto, da parte della natura, appartiene a tutti, essi dimandano perché le immense
ricchezze, oggi accumulate sulla terra, sono nelle mani di questo e di quello, mentre quest'altro non
ha niente o quasi niente! Cotesta è una iniquità, essi aggiungono, ed è mestieri farla sparire perché
infine possa regnar la giustizia sulla terra, mercé l'eguale distribuzione dei beni, dicono i socialisti,
mercé un'equa ripartizione, dicono i democratici moderati o sedicenti cristiani.
Gli uni e gli altri sono i discepoli di G. G. Rousseau:

G. G. Rousseau

"Il primo che, avendo chiuso all'intorno un terreno, credette di poter dire: "Questo è mio" e trovò
gente così semplice per crederlo, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante
guerre, quante mortalità ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando la pietra
di confine o colmando il fossato, avesse gridato a' suoi simili: "Non ascoltate quest'importuno: Voi
siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra di nessuno".
Noi non pretendiamo certamente che i possessori attuali di ricchezze in questo mondo sieno tutti
legittimi possessori di tutti i loro beni. Vi son sempre stati dei ladri, ed a' nostri giorni il ladroneccio
è organizzato su vasta scala.
Noi non diremo nemmeno che il regime della proprietà quale lo ha voluto il Codice civile di
Napoleone, sia il migliore, il più favorevole allo sviluppo delle famiglie, alla prosperità dello Stato,
ed al progresso della civiltà. Non esiste alcun sociologo che non sappia quanto è stato funesto alla
Francia, e quanta ragione abbia avuto il papa Pio VII al suo ritorno in Roma, di liberarne il suo
popolo.
Noi però non iscomunichiamo per questo il capitale. Diremo al contrario, che il capitale è la base
necessaria, di ogni civiltà, che non vi è capitale senza proprietà, non vi è proprietà - non diciamo
possesso - senza virtù, e che le virtù le quali creano il capitale, dapprima sono comandate
dall'Autore stesso della nostra natura, poi dallo stato di decadenza in cui ci ha posti la colpa del
nostro primo padre.
Che cosa è dunque il capitale?(2)
Molti di quelli che se la pigliano contro di lui, non intendono con questa parola che il danaro che
produce interesse. Di qui le recriminazioni contro questo parassita che prende una parte del frutto
del lavoro, che rapisce all'operaio il prodotto della sua fatica. Non si può far del capitale un'idea più
ristretta. Il capitale non è solamente il danaro impiegato, ma le ricchezze di tutta la nazione che il
lavoro dell'uomo ha prodotte ed ammassate dalla creazione, cominciando dalla prima di tutte, la
terra vegetale.
Invero, la stessa terra vegetale è di creazione umana; ed è una falsa supposizione, sorgente di tutto
l'errore democratico, il dire che è stata data al genere umano da Dio o dalla natura.
Essa è di creazione umana, e per conseguenza appartiene legittimamente a colui che l'ha fatta o a
quelli che gli sono succeduti nei suoi diritti.
Dopo la caduta, l'uomo si trovò nudo sulla terra arida.
Ecco quello che ci dicono le Sante Scritture, quello di cui la storia ci fornisce prove palpabili, quello
che noi possiamo ancora vedere dappertutto dove l'uomo non ha portato il suo lavoro ed i suoi
sudori.
Il nostro suolo di Francia, oggi sì ricco, non era al tempo di nostro Signore quello che è al presente.
Per farlo giungere ad essere quello che ora lo vediamo, i monaci hanno cominciato a dissodarlo; e
già prima di loro il Gallo avea dovuto lavorarlo per metterlo al punto in cui lo trovarono i monaci.
Il globo terrestre uscì arido e selvaggio dal raffreddamento geologico. Quando le acque ebbero
disciolta la pietra, Dio vi gettò le sementi e quando le foreste che ne nacquero resero la terra
suscettibile al lavoro, Dio creò l'uomo per "coltivarla".
Gli diede un giardino, un paradiso ove tutto già era fatto, dove i vegetali i più preziosi davano i
frutti più saporiti e più nutrienti. Nondimeno Adamo era incaricato di mantenerne la fecondità :
posuit eum in paradiso ut operaretur et custodiret illum. Ma il paradiso non era che un angolo dei
globo. I nostri progenitori si fecero scacciare pel loro peccato ed essi non videro più dinanzi a sé
che una terra, non solamente sterile, ma maledetta e ribelle ai loro sforzi, maledicta in opere tuo.
Per trionfare della sua aridità, per far della sabbia una terra, e d'una terra coltivabile una terra
vegetale, l'uomo dovette per lungo tempo inaffiarla co' suoi sudori. Essa non esiste ancora da per
tutto questa terra vegetale, sorgente di ogni ricchezza; essa non è nella stessa condizione, non ha la
medesima fertilità dappertutto ove si trova, ed è sparita da contrade che ne aveano goduto
abbondantemente. Essa segue l'uomo. Là ov'egli arriva col suo coraggio, essa risponde al suo
appello; si ritira se egli l'abbandona o se gli manca il coraggio di lavorarla.
Ma il ridurla, il condensarla, il renderla feconda, non è l'affare di un giorno né di poca virtù.
L'uomo decaduto è naturalmente pigro, e la sua pigrizia lo rende tanto più ribelle al lavoro quanto
più trova la natura ingrata ai suoi sforzi. La fame lo fa uscir dalla sua inerzia; appagata questa fame,
s'egli presta l'orecchio al grido della sua natura, ricade nella sua indolenza. Se sempre avesse
ascoltato se stesso, l'uomo si troverebbe nell'indigenza dei primi giorni. Il primo capitale è stato
creato da colui che facendo tacere la propria fame, ha messo in riserva una coppia di animali che la
sua caccia gli procacciava, ne ha prodotto un gregge, e per mezzo di esso ha potuto ingrassare
l'angolo di terra sul quale si trovava. A poco a poco, i roveti di cui il suolo era coperto, si sono
trasformati ed hanno dato i frutti più saporiti; le greggie si sono accresciute, le specie domestiche si
sono moltiplicate, la terra vegetale si è estesa, si è condensata permettendo una più profonda
coltura. Nello stesso tempo gli utensili si sono perfezionati ed accresciuti. Le selci che l'uomo avea
raccolto per dar più forza alle sue dita lasciarono il posto agli strumenti di bronzo o di ferro. Oggi
l'utensile è divenuto macchina; e col servizio della macchina l'uomo ha successivamente usufruito i
venti e le acque, il vapore e l'elettricità. Con questo utensile egli innalza le sue case, fabbrica le sue
città, costruisce le sue strade, scava i suoi canali, che dapprima hanno ripartito le acque per la
fecondità delle terre, poi ne hanno trasportato i prodotti da un paese all'altro. Ai canali si aggiunsero
le strade ferrate, muniti gli uni e le altre, e il mare stesso, di quei meravigliosi automobili che
solcano il globo in ogni senso per distribuire a' suoi abitanti le acquistate ricchezze.
Tutto questo forma il capitale attuale dell'umanità. Dunque, la terra vegetale, gl'istrumenti di lavoro,
non sono stati dati all'uomo dalla natura, come l'aria e la luce. Dunque l'uomo non è stato posto in
mezzo alla ricchezza della terra. Il capitale non era punto al principio quello che è al giorno d'oggi.
Dio ne ha fornito gli elementi, l'uomo l'ha formato e sviluppato col suo lavoro, e lo conserva colla
sua moderazione nel farne uso.
Riportiamoci alla Bibbia, se si ha la Fede. E se non si ha la Fede, riportiamoci alla scienza
preistorica ed agli annali dei popoli che ci mostrano i primi uomini che si nutrivano di prede e non
aveano altre armi per impadronirsene, altri strumenti per i loro primi lavori che le selci.

Dio non ha dato all'uomo dopo il suo peccato, che il primo elemento dei fondi; l'uomo ha dovuto e
deve ancora tutti i giorni farlo valere.

Note: 

(1) Du fanatisme dans la langue révolutionnaire, per Gio. Francesco La Harpe, seconda edizione
riveduta e corretta dall'autore, Tournay, an. V, 1796.
(2) La maggior parte delle idee esposte in questa sezione sono attinte delle opere di Blanc de Saint-
Bonnet, particolarmente dalla seconda in ordine di data: La Restauration française.
Blanc de Saint-Bonnet ha consacrato tutta la sua vita allo studio delle questioni che oggi in una
maniera così pressante si presentano alle meditazioni di tutti coloro che si preoccupano
dell'avvenire della società.
Dopo la pubblicazione di quella fra le sue opere che ha per titolo La Restauration française il conte
di Montalembert gli scrisse: "Questo libro ha innalzato alla massima potenza nella mia anima tutti i
sentimenti che mi avea inspirato la vostra precedente pubblicazione: La Douleur. Non esito a
dichiarare essere questo libro il più franco, il più forte, il più ampio che sia comparso dal conte de
Maistre in poi. Condivido tutte le vostre convinzioni, tutte le vostre apprensioni, tutte le vostre
ripugnanze; aderisco pienamente alla più parte dei vostri giudizi. Ma ciò che apprezzo più in voi si è
il vostro coraggio; voi solo fino ad ora avete osato dire tutta la verità ... Fintantoché non si sarà
riusciti a confondere in una comune riprovazione la Rivoluzione e la Democrazia, fintantoché non si
sarà riconosciuto che il dogma dell'eguaglianza altro non è che l'empia e mostruosa consacrazione
dell'orgoglio, la salvezza sarà impossibile.
De Saint-Bonnet avea difatti, dato prova di coraggio dicendo nel 1850: "La democrazia trionfa ed io
combatto la democrazia. Le aristocrazie vengano ripudiate, ed io sostengo che esse hanno creato le
nazioni. I dogmi vengono rigettati, ed io sostengo che sono dessi che hanno creato le aristocrazie ed
il capitale, queste due colonne di ogni civiltà. Le industrie, le banche, il credito, gl'imprestiti sono
proclamati, ed io sostengo ch'essi rovinano i popoli".
L'Univers, pieno di ammirazione come il conte di Montalembert, consacrò a quest'opera tre primi
articoli (1, 12, 14 maggio 1851). Esso esordiva con queste parole: "Noi ci troviamo davanti ad un
libro interamente uscito da un'anima schiettamente cattolica! Leggendo queste pagine forti,
ammirandone la luce che penetra nel fondo di tutti gli errori, ci diciamo: Qual disgrazia che non si
voglia né vedere né capire!".
Le quattro principali opere di Saint-Bonnet, pubblicate a circa dieci anni d'intervallo l'una dall'altra,
si aggirano sullo stesso soggetto che l'autore scrutò sempre più profondamente fino al termine de'
suoi giorni.
Citiamo: La Douleur, La Restauration française; le due altre hanno per titolo: L'Infallibilité e La
Légitimité. La Restauration française fu pubblicata nel 1850 L'Infallibilité nel 1861, La Légitimité
nel 1872, l'una dopo la Rivoluzione del 1848, l'altra dopo la dichiarazione della guerra d'Italia che
doveva conchiudersi colla caduta del potere temporale. La terza dopo i nostri disastri. La Douleur
non è per così dire che la prefazione delle opere che seguirono.
De Saint-Bonnet, non prende le parole Dolore, Ristorazione, Infallibilità, Legittimità nel senso
speciale e ristretto che esse hanno nella lingua ordinaria e nelle polemiche politiche e religiose, ma
nel loro più ampio significato ed i suoi quattro libri non sono che lo sviluppo delle grandi idee che
queste parole condensano.