giovedì 30 luglio 2015

Il Duomo di Milano nel 1857




Interessante fotografia del Duomo di Milano addobbato a festa per la visita dell'Imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria nel 1857 a Milano. Si noti il grande baldacchino posto all'entrata del Duomo.
Interessanti sono anche gli edifici intorno, molto diversi da quelli oggi presenti. In particolare il 1857 è uno degli ultimi anni di vita del Coperto del Figini (l'edificio appena di fronte al Duomo sul lato sinistro), storica struttura di costruzione rinascimentale che ospitava negozi e punti di ritrovo della vita milanese tra cui, aperto nel 1860, il primo locale della Campari, il Caffè Campari.
Questo edificio, e quelli vicini, vennero demoliti per volere del governo unitario nel 1864 per ampliare lo spazio della Piazza e permettere la costruzione della Galleria dedicata all'usurpatore Vittorio Emanuele.

Luigi Sacchi, Milano, 1857



Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien

O LA CARITÀ O LA SCHIAVITÙ COME FONDAMENTO DELL'ORDINE SOCIALE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)




Louis Blanc (1850)
Tutti i disordini che abbiamo segnalati nell'ordine economico rendono sempre più triste la questione sociale. Vi fu sempre una questione sociale, la questione della coesistenza dei ricchi e dei poveri. Ma nomi nuovi sorgono dalle cose vecchie quando queste si trasformano, quando prendono un carattere differente da quello che avevano fino allora.
Egli è a veduta ed a saputa di tutti, che la questione sociale attualmente è più irritante che non lo fosse nei tempi imbevuti dello spirito di cristianesimo, ed anche nei primi anni del secolo XIX.
"La fraternità - dice un libero pensatore socialista, Luigi Blanc, - parlando del tempo in cui regnava l'ordine sociale cristiano, - la fraternità fu il sentimento che presiedette nell'origine alla formazione delle comunità dei mercanti e degli artigiani, costituite sotto il regime di san Luigi. Se, penetrando nell'assemblea dei preposti, vi si riscontrava l'impronta del cristianesimo, ciò non è solamente perché si veggono, nelle pubbliche cerimonie, portare solennemente i loro devoti stendardi ... Una sola passione ravvicinava allora le condizioni e gli uomini, la carità".
Luigi Blanc fa il ritratto del padrone d'allora. Ne ritrae il carattere con una sola parola: la compassione pei poveri, la sollecitudine pei diseredati di questo mondo.
Poi, parlando degli operai, egli dice: "Una commovente unione esisteva fra gli artigiani d'una stessa industria! Lungi dal fuggirsi, essi si riavvicinavano l'un l'altro per incoraggiarsi reciprocamente e rendersi vicendevoli servigi ...".
Qual'era l'anima di questa fraternità fra gli operai, e chi teneva viva questa carità fra i padroni?
Il libero pensatore Luigi Blanc non si perita di dirlo:
"La Chiesa era il centro di tutto ... Era il soffio del cristianesimo che animava il medioevo".
Al principio di questo secolo, quando fu ristabilito l'ordine perturbato dalla Rivoluzione, le cose ripresero il loro antico aspetto.
"Sotto la Restaurazione - dice il P. Deschamps nel suo libro: Les Sociétés secrètes et la Societé - l'accordo regnava allora ovunque fra i padroni e gli operai: gli uni e gli altri vivevano in pace in mezzo alla prosperità generale".
Frederic Le Play


"Durante l'inverno 1829-1830 - dice Le Play - io ho constatato, nella più parte dei laboratori parigini, fra i padroni e gli operai una armonia paragonabile a quella che avevo ammirato nelle miniere e nelle masserie dell'Annover".
Come quest'armonia ha ceduto il posto all'ostilità che oggi si manifesta in tutte le corporazioni di mestieri, cogli scioperi organizzati fra i lavoratori per far guerra ai padroni?
È mestieri risalire al 1830 per vedere le origini di questo antagonismo. Un nuovo spirito s'impadronì allora dell'industria. Gli economisti ufficiali misero in onore la teoria per la quale il lavoro non è che una mercanzia come un'altra. Essa liberava i padroni dai doveri di patronato e loro permetteva di non più pensare che ad accumulare, nel minor tempo possibile, il maggior capitale. Per ricavare dal lavoro-mercanzia un maggior profitto, impiegarono le donne ed i fanciulli e ridussero, operai ed operaie, in condizioni deplorevoli sì rispetto alla sanità come alla moralità.
Nello stesso tempo, tanto la stampa officiosa quanto la massonica, si misero a predicare al popolo, colla massima accortezza ed insistenza, la diffidenza contro il disprezzo dei beni spirituali, l'ambizione dei godimenti sensuali, l'incredulità e l'immoralità.
Un conflitto non dovea farsi aspettare poiché ricchi e poveri, sebbene partissero da punti differenti, si trovarono condotti sullo stesso terreno da queste dottrine di arricchimento e di empietà, bramosi, colla stessa passione, dei medesimi beni che i ricchi voleano acquistare a detrimento dei poveri, ed i poveri a detrimento dei ricchi. Fin d'allora ferve il conflitto nei cuori. Esso si manifesta, in una maniera quasi continua, mediante gli scioperi parziali. Scoppierà in una guerra sociale quando si vedranno le idee definitivamente realizzarsi nei fatti, quando il popolo crederà giunto il momento d'impossessarsi di questi beni che, non si cessa di ripetergli, sono i soli beni reali, i soli beni desiderabili. Allora la società sarà scossa fino ne' suoi fondamenti.
Di qui il nome di QUESTIONE SOCIALE: vale a dire, questione che mette in giuoco e in pericolo la società medesima.
Nulladimeno la società non può perire. L'uomo è così fatto: egli è un essere essenzialmente socievole; non può vivere senza i suoi simili; non può vivere con loro se non in una società costituita. Alla questione sociale tale quale oggi s'impone, vi sarà dunque necessariamente una soluzione. Quale sarà essa?
Prima di Gesù Cristo la società si conservava mediante l'intero dominio degli uni sugli altri, di quelli che si costituivano padroni su coloro che si erano asserviti, dominio sì assoluto da comprendere perfino il diritto di vita o di morte. La questione sociale era allora risolta mediante la schiavitù.
Nostro Signore Gesù Cristo, colla predicazione del suo Vangelo, mise fine al regno della forza; ma venendo a mancare il legame sociale della schiavitù, ne occorreva un altro per mantenere nell'unità i differenti membri della società. Se Gesù Cristo non avesse creato questo nuovo legame, o se non avesse potuto farlo accettare innanzi di spezzare il primo, a questa rottura la società sarebbesi ridotta in polvere, devastata dalla guerra civile, e ben presto consunta dalla miseria.
Quale fu adunque il legame sociale che il divin Salvatore ci portò dal cielo per sostituirlo a quello della schiavitù? Fu la carità, cioè l'amor fraterno e vicendevole degli uomini, fondato non solo sulle comunità d'origine, sull'unità di natura, questo sarebbe rimasto così nell'avvenire come lo fu nel passato, ma eziandio e sopratutto sulla paternità di Dio, sulla nuova e soprannaturale fraternità che nostro Signore Gesù Cristo ci ha conferita elevandoci in Lui ad una certa partecipazione della natura divina: Divinae consortes naturae.
Cristiani rigenerati mercé il santo battesimo, noi formiamo un solo e medesimo corpo, animato da un medesimo spirito, che dal divin capo si diffonde negli altri membri per farvi regnare la carità: Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis. "La carità - dice l'apostolo san Paolo - è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che a noi è stato dato". Ed altrove: "Dio ha mandato nei vostri cuori lo spirito del Figliuol suo il quale grida: Abba, Pater! Così, voi non siete più schiavi, ma figli"! (Ad Rom. V, 5; ad Gal. IV, 6).
Voi siete figli, siete fratelli, siete membri d'un medesimo corpo. Ecco ciò che ha voluto nostro Signore Gesù Cristo, ecco ciò ch'Egli ha attuato e che è. Mediante la rigenerazione battesimale noi siamo divenuti figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, membri del suo mistico corpo, templi viventi dello Spirito Santo che infonde in noi, che fa vivere ed operare in ognuno di noi la divina carità, la fraternità soprannaturale.
Tuttavia, come osserva lo stesso Apostolo, "il corpo non è un sol membro, ma molti ... Se tutto il corpo fosse occhio, ove sarebbe l'udito? se tutto fosse udito, ove sarebbe l'odorato? Vi sono dunque molte membra ed un sol corpo ... le membra che sembrano le più deboli, sono le più necessarie ... e se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui" (Ad Cor. XII, 12-27).
Commentando questo passo san Giovanni Crisostomo dice: "Se una spina si è conficcata nella pianta del piede, tutto il corpo si risente del suo dolore, e con ansietà se lo fa proprio; il dorso si curva, il ventre si contrae, le gambe si piegano, le mani, come ministri e satelliti incaricati dell'esecuzione, s'accostano estraggono la spina, la testa s'inclina, gli occhi guardano colla più ansiosa premura. Eppure che havvi di meno nobile della pianta del piede e di più prezioso della testa? E nondimeno, la testa s'accosta al piede traendo seco tutto il corpo.
Sono gli occhi che soffrono? Tutto soffre con loro, tutto rimane nell'inazione. I piedi si fermano, le mani più non agiscono, lo stomaco stesso se ne risentirà. Ma che dunque! se il male è negli occhi, perché queste debolezze di stomaco, questa immobilità del piede, questi ostacoli della mano? Ah! gli è che tutto è incatenato alla sofferenza degli occhi; gli è che un legame ineffabile unisce il corpo intiero ai dolori di un membro"!
Parimenti, ognuno sostiene la sua parte, il suo compito nell'organismo sociale quale Dio l'ha istituito. Ognuno è obbligato a tutti e deve darsi a tutti; e tutti sono obbligati a ciascuno e devono darsi a ciascuno. Il più debole dei bambini, il più misero fra gli ammalati ha il suo valore, la sua parte da compiere quando altro non fosse che quello di mantenere nel mondo, per le cure di che abbisogna, il fuoco sacro del sacrificio.
Alla diversità dei membri, si aggiunge nel corpo mistico di Gesù Cristo, come altresì nel corpo naturale, l'ineguaglianza delle condizioni. Per le ragioni già indicate, e che svilupperemo in appresso, - nella Chiesa, come nella società pagana, vi sono dei grandi e dei piccoli, dei ricchi e dei poveri; ma il divin Salvatore ha stabilito fra di loro la legge della mutua assistenza, - i ricchi che assistono i poveri corporalmente, i poveri che assistono i ricchi spiritualmente; ed inoltre egli ha disposto le cose, "in modo da tributar maggior onore ai membri che ne difettano".

Jacques-Bénigne Bossuet


Come fa osservare Bossuet, Gesù Cristo ha lasciato nel mondo i ricchi al disopra dei poveri, ma Egli ha messo nella sua Chiesa i poveri al disopra dei ricchi; Egli ha lasciato i poveri alla dipendenza dei ricchi relativamente ai beni temporali, ma ha messo i ricchi nella dipendenza dei poveri relativamente ai beni spirituali: e se i beni temporali sono più seducenti agli occhi della natura, Egli ha reso i beni spirituali infinitamente più attraenti agli occhi della fede, onde ha illuminato nello stesso tempo e la mente dei ricchi e la mente dei poveri che vogliono essere suoi.
È ciò che lo Spirito di Dio ha fatto comprendere a tutti i cristiani docili alle sue ispirazioni, inducendoli tutti a lavorare, per quanto sta in loro, ad attuare l'ordine sociale voluto dal Vangelo.
Con ciò, la società si è trovata in una situazione mille volte più stabile e ferma di quella che la schiavitù le aveva dato, e, di più, ciascuno si è trovato contento della sua sorte.
Il ricco ha cominciato a rispettare il povero, ad amare il povero, a porre la sua felicità nel servirlo. Egli sapeva che alloggiandolo, vestendolo, nutrendolo, nutriva la sua propria anima, la rivestiva della grazia santificante, e la rendeva meritevole di entrar nei tabernacoli eterni.
Il povero riceveva con riconoscenza i doni del ricco, e ne faceva omaggio a Dio per l'amore, onde era stato così favorito. Nello stesso tempo, usava del suo credito presso il divin Maestro a vantaggio del suo benefattore. "Un po' di carità se vi piace - diceva egli - per amor di Dio"; vi chiedo l'elemosina in nome dell'amore che Dio ci porta, a me come a voi; ve la dimando perché il suo amore cresca nelle nostre anime, nella mia per riconoscenza, nella vostra pel merito del vostro beneficio. D'altronde, il povero avea imparato come il ricco a preferire i beni spirituali ai beni temporali; e se avveniva che avesse a soffrir penuria di questi, sapeva che il suo abbandono alla Provvidenza, la sua rassegnazione alla volontà divina, accrescevano la benevolenza di Dio a suo riguardo e gli preparavano nel cielo maggiori tesori ed una gloria più splendida.
In tutto il tempo che questa dottrina regnò nei cuori, la società è stata in pace, pace incomparabilmente più perfetta e più stabile, e sopratutto infinitamente più bella di quella che la schiavitù ha fatto regnare nel mondo pagano.
Tutte le volte che questa dottrina si è alterata, si è pur raffreddata la carità, l'egoismo umano ha preso il sopravvento, la guerra civile è scoppiata fra ricchi e poveri, fra piccoli e grandi; l'oppressione dei deboli per opera dei potenti ha ripreso a poco a poco il terreno che Gesù Cristo le avea fatto perdere. Tale la storia del protestantismo in Alemagna ed in Inghilterra, tale la storia del filosofismo in Francia. Il livello della schiavitù sale in proporzione che si abbassa il livello della carità; e la carità nei cuori segue le vicissitudini della fede nelle intelligenze.
Oggi si vorrebbe emanciparsi dalla carità, senza rientrare nello stato sociale fondato sulla schiavitù. Si pretende di trovare il mezzo di far sussistere e vivere la società ripudiando il nuovo vincolo sociale come l'antico.
Gli empi non vogliono più la carità cristiana; e vorrebbero renderne impossibile il regno, distruggendo la dottrina sulla quale essa riposa.
L'empietà, con qualunque nome si chiami, ha per comune carattere la negazione, il ripudio dell'ordine soprannaturale; essa adopera ogni suo sforzo per impedire che nasca o regni nelle anime, per distruggerlo nella società. È ciò che fanno con accanimento i governi attuali. Quindi, i poveri, non trovando compenso alle loro privazioni ed ai loro patimenti, né i ricchi ai loro sacrifici, ritornano gli uni e gli altri all'aspra cupidigia dei beni di questo mondo. So bene che alla carità ispirata da motivi soprannaturali, si è con grande strepito annunziato che si sostituirebbe la
beneficenza e la solidarietà, la filantropia e l'altruismo: è già più d'un secolo che lo si tenta. Ma, oltre che le istituzioni stabilite su queste grandi parole in generale non vivono che della carità di coloro che sono rimasti cristiani che hanno conservato lo spirito del cristianesimo, e ch'esse assorbiscono la più gran parte di questa carità, in trattenimenti, in ispese, in scialacqui d'ogni sorta, i logici dell'empietà dicono che vi ha qualche cosa di meglio a fare che sollevare la miseria, è sopprimerla.
Sopprimere la miseria, sopprimere la povertà! È la soluzione che pretendono dare alla grande questione del giorno coloro che non vogliono più ordine sociale cristiano, pur pretendendo di lasciar nella tomba, in cui l'ha rinchiuso il cristianesimo, l'ordine, sociale pagano.
Il progetto è seducente per la ragione umana emancipata, che non vorrebbe dipendere, se non da se medesima, e trovar mezzo di regolar i propri destini a suo talento.
Ma come sopprimere la miseria? La cosa è facile dicono. Basta abolire la proprietà privata, e sulle sue rovine stabilire il comunismo o il collettivismo. Affinché non ci sieno più poveri, basterà mettere tutti i beni in comune, e ripartire fra tutti i cittadini i lavori necessari per farli produrre e poi dividere i frutti che producono.
Se un giorno sarà concesso ai socialisti di attuare il loro sistema, si vedrà rinnovarsi, in senso inverso, ciò che accadde alle origini del cristianesimo. Allora, man mano che si stabiliva nella società il regno della carità, indietreggiava il regno della schiavitù, e ben presto spariva quasi da se medesimo. Il collettivismo lo introdurrà di nuovo. Esso non potrà stabilirsi senza ristabilire la schiavitù.
Supponiamo che tutti i beni sieno messi in comune, e che lo Stato sia il solo ed unico proprietario: questi beni dovranno pure essere amministrati, se si vuole che continuino a produrre. Le terre dovranno essere coltivate, i loro frutti consegnati all'industria perché li adatti ai nostri bisogni, poi ripartiti fra i cittadini. Ma questa amministrazione, questa coltura, questa fabbricazione, queste distribuzioni non si faranno da se medesime. Bisognerà preporvi da una parte dei direttori, dei funzionari, un governo, e dall'altra dei lavoratori. Voi avete quindi, come adesso, come sempre, dei grandi e dei piccoli, dei padroni che comandano e dei sudditi che devono eseguire i loro ordini. Ora, questi sudditi saranno nello stato di sudditanza più assoluta. Lo Stato li terrà per la bocca; da lui riceveranno la lor pietanza, invece che procurarsela da se stessi, e come condizione per darla, esso potrà imporre loro un genere di lavoro a cui non avranno alcuna inclinazione e nemmeno attitudine.
Questa è la schiavitù, la schiavitù antica, con questo di aggravante che il numero dei padroni sarà più ristretto, che il loro potere non avrà alcun limite, e che lo eserciteranno ancora senza quella morale responsabilità a cui il padrone pagano non poteva interamente sottrarsi di fronte a' suoi pari. Il padrone, qui, sarà tutti e nessuno: sarà lo Stato.
P. J. Proudhon
Non si avrà dunque rigettata la soluzione cristiana della questione sociale se non per ricadere nella soluzione pagana ed ingolfarvisi più profondamente. Se mai il collettivismo giungesse a stabilirsi ed a funzionare, esso renderà la moltitudine più miserabile di quello che non lo era prima della venuta del divin Salvatore. Avendo voluto stabilire un ordine sociale, in cui non ci fossero più né ricchi, né poveri, il socialismo finirà col renderci tutti schiavi d'una oligarchia che governerà la moltitudine colla fame, come il cavallo si doma col morso.

"La Rivoluzione socialista - disse un uomo che se ne dovea intendere - P. J. Proudhon, finirà con un immenso cataclisma il cui effetto sarà di rinchiudere la società, in una camicia di forza, e di far perire, con una fame impreveduta, tre o quattro milioni di uomini".
Poiché l'unica soluzione trovata dal socialismo alla questione sociale non può metter capo che ad una nuova schiavitù, tutti dovrebbero trovarsi d'accordo nel dire che non solo, è necessario di ritornare alla carità cristiana, - perché grazie a Dio non è ancora sparita dalla terra, - ma che è urgente di rendere, all'ordine sociale cristiano, fondato su di essa, tutto l'impero che ha ottenuto nelle migliori epoche del cristianesimo.


L'Est che poteva essere (Parte II): Regno di Finlandia (1918)


Per accedere alla Parte I : http://associazione-legittimista-italica.blogspot.it/2015/07/lest-che-poteva-essere-parte-i-regno-di.html

Bandiera del Regno di Finlandia
 
Stemma del Regno di Finlandia

Territorio del Regno di Finlandia


Il Regno di Finlandia fu uno Stato sorto grazie all'intervento dell'Impero Tedesco nel 1918, sul finire della Grande Guerra.

Il Regno ebbe inizio poco dopo la dichiarazione d'indipendenza della Finlandia dalla Russia, ormai in balia della Rivoluzione. Con la caduta dello Zar, infatti, era venuta meno l'autorità che da sempre aveva nominato il Senato del Granducato. Il governo finlandese era a predominanza conservatrice, anti-socialista e filo-tedesca. La conseguenza ovvia era che fosse quindi il Parlamento a dover intervenire, ma le viziate elezioni del 1º ottobre 1917 avevano dato un risultato ambiguo, col Partito Socialdemocratico Finlandese come primo partito isolato. Il precipitare della situazione in Russia con la Rivoluzione d'ottobre portò un violento vento di crisi in Finlandia: se le varie forze politiche concordarono nell'appoggiare la dichiarazione d'indipendenza del 6 dicembre, i sovversivi interni filo-russi causarono subito una spaccatura tanto forte da causare lo scoppio della guerra civile finlandese. 

Corona del Re di Finlandia
I sovversivi "Rossi" , subito appoggiati dai bolscevichi, proclamarono la Repubblica Socialista Finlandese dei Lavoratori, le cui forze cinsero d'assedio Helsinki, città abbandonata dal Senato che si rifugiò a Vaasa. Fu a questo punto che i "Bianchi", sostenitori del Senato, ottennero l'appoggio finanziario da parte del Regno di  Svezia, e militare da parte dell'Impero Tedesco: quest'ultimo desideroso di cogliere l'occasione per ottenere un nuovo alleato, nuove vie di approvvigionamento e un freno alla diffusione della sovversione che si diffondeva dalla Russia.
L'appoggio tedesco fu decisivo, e i "Rossi" furono rapidamente sconfitti. Il rientrato Senato operò rapidamente per stabilizzare la situazione e riportare l'ordine, sottolineando la continuazione della monarchia nominando il Premier uscente, Pehr Evind Svinhufvud, come reggente. Dato il fondamentale appoggio ricevuto dall'esercito imperiale tedesco , sembrò quindi naturale cercare un sovrano tra i Principi tedeschi. Il Principe Federico Carlo d'Assia-Kassel venne eletto dal parlamento di Finlandia il 9 ottobre 1918, sotto la garanzia di una monarchia costituzionale che salvaguardasse il ruolo del parlamento.
Re Carlo I di Finlandia e Carelia, Duca delle Åland,
Gran Principe di Lapponia, Signore di Kaleva
e della Pohjola
(nato Friedrich Karl d'Assia-Kassel)


Con la fine della Grande Guerra, l'abdicazione di Guglielmo II di Germania e la sovversione nella quale venne gettato l'Impero Tedesco, la situazione divenne criticamente instabile. Federico Carlo, divenuto Carlo I di Finlandia e Carelia, ritrovandosi isolato, e con l'ostilità degli Alleati, fu costretto a rinunciare al Trono il 14 dicembre 1918, senza nemmeno essere giunto nel suo regno e senza nemmeno essersi ancora ufficialmente insediato. La Finlandia, successivamente, cadendo nella sovversione democraticista, adottò una costituzione repubblicana, e il punto di forzata conciliazione fra le due fazioni politiche nazionali venne trovata in una forma di governo semipresidenziale con un ruolo forte del Capo dello Stato.
Un altra istituzione rappresentante l'ordine vide una prematura fine...








Fonte:

  • Anders Huldén, Finnlands deutsches Königsabenteuer 1918, Reinbek 1997. Herausgegeben von: Deutsch-Finnische Gesellschaft e.V. und erschienen bei: Traute Warnke Verlag, ISBN 3-980-15919-1.
  • Rainer von Hessen: König im „Land der ernsten Augen“. Das finnische Thronangebot an Prinz Friedrich Karl von Hessen im Sommer 1918. In: Bernd Heidenreich u. a. (Hrsg.): Kronen, Kriege, Künste. Das Haus Hessen im 19. und 20. Jahrhundert. Frankfurt 2009, S. 190–204.
  • Nash, Michael L (2012) The last King of Finland. Royalty Digest Quarterly, 2012 : 1





  • Scritto dal Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi

    mercoledì 29 luglio 2015

    [AUDIO] Konstantin Leontev: attualità politica di un pensatore dimenticato

    Leontev-2
     
    Proponiamo la registrazione  della 342° conferenza
    di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana
    dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: parla Lorenzo Nicola Roselli
    La conferenza è stata tenuta il 22 luglio 2015.
    Titolo della conferenza: “Konstantin Leontev: attualità di un pensatore politico dimenticato”
    Buon Ascolto!

     

    Papa Pio XII ed il problema della democrazia contemporanea: il culto cieco del valore numerico

    Papa Pio XII ed il problema della democrazia contemporanea: il culto cieco del valore numerico
     
    A cura di CdP Ricciotti (Fonte: http://radiospada.org/)
     
    Davanti allo spietato fallimento delle moderne democrazie – o democratismi – è lecito interrogarsi per arrivare alla radice dell’errore. E’ nostra intenzione, pertanto, cercare di capire perché i moderni assolutistici concetti di “sovranità popolare” e di “autodeterminazione” sono generalmente menzogne figlie del massonismo e delle consorterie, i cui degenerati frutti sono sotto gli occhi di tutti: le tirannie del Maligno e dei malvagi.
    In questo breve studio leggeremo alcuni stralci dal Radiomessaggio di Papa Pio XII ai popoli del mondo intero, giorno 24 dicembre dell’anno 1944. Insegnamenti sinceri e risolutori, ben lontani dalle diplomatiche – talvolta vuote e cafonesche – dissertazioni pseudo-politiche a cui ci hanno abituato i sedenti materialiter degli ultimi 50 anni.
    Cosa ci spiega ed insegna il Pontefice?
    1) Il problema della democrazia.
    Questo è forse il punto più importante: sotto il sinistro bagliore della guerra che li avvolge, nel cocente ardore della fornace in cui sono imprigionati, i popoli si sono come risvegliati da un lungo torpore. Essi hanno preso di fronte allo Stato, di fronte ai governanti, un contegno nuovo, interrogativo, critico, diffidente. Edotti da un’amara esperienza, si oppongono con maggior impeto ai monopoli di un potere dittatoriale, insindacabile e intangibile, e richieggono un sistema di governo, che sia più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini. Queste moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra fin negli strati più profondi, sono oggi invase dalla persuasione — dapprima, forse, vaga e confusa, ma ormai incoercibile — che, se non fosse mancata la possibilità di sindacare e di correggere l’attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che affine di evitare per l’avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo stesso efficaci garanzieIn tale disposizione degli animi, vi è forse da meravigliarsi se la tendenza democratica investe i popoli e ottiene largamente il suffragio e il consenso di coloro che aspirano a collaborare più efficacemente ai destini degli individui e della società? È appena necessario di ricordare che, secondo gl’insegnamenti della Chiesa, «non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l’origine e l’uso del potere pubblico», e che «la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini» (Leon. XIII Encycl. «Libertas », 20 giugno 1888, in fin.). Se dunque in questa solennità, che commemora ad un tempo la benignità del Verbo incarnato e la dignità dell’uomo (dignità intesa non solo sotto il rispetto personale, ma anche nella vita sociale), Noi indirizziamo la Nostra attenzione al problema della democrazia, per esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una vera e sana democrazia, confacente alle circostanze dell’ora presente; ciò indica chiaramente che la cura e la sollecitudine della Chiesa rivolta non tanto alla sua struttura e organizzazione esteriore, — le quali dipendono dalle aspirazioni proprie di ciascun popolo, — quanto all’uomo, come tale, che, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ne invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine. Premesso che la democrazia, intesa in senso largo, ammette varie forme e può attuarsi così nelle monarchie come nelle repubbliche, due questioni si presentano al Nostro esame: l° Quali caratteri debbono contraddistinguere gli uomini, che vivono nella democrazia e sotto il regime democratico? 2° Quali caratteri debbono contraddistinguere gli uomini, che nella democrazia tengono il pubblico potere?
    2) Caratteri propri dei cittadini in regime democratico. 
    Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall’armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo. Per quello poi che tocca l’estensione e la natura dei sacrifici richiesti a tutti i cittadini, — al tempo nostro in cui così vasta e decisiva è l’attività dello Stato, la forma democratica di governo apparisce a molti come un postulato naturale imposto dalla stessa ragione. Quando però si reclama «più democrazia e migliore democrazia», una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune. Popolo e «massa». Da ciò deriva una prima conclusione necessaria, con la sua conseguenza pratica. Lo Stato non contiene in sé e non aduna meccanicamente in un dato territorio un’agglomerazione amorfa d’individui. Esso è, e deve essere in realtà, l’unità organica e organizzatrice di un vero popolo. Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, «massa» sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl’istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera. Dalla esuberanza di vita d’un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose d’un solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente raggruppati, lo Stato stesso può, con l’appoggio della massa, ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l’interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile. Da ciò appare chiara un’altra conclusione: la massa — quale Noi abbiamo or ora definita — è la nemica capitale della vera democrazia e del suo ideale di libertà e di uguaglianza. In un popolo degno di tal nome, il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui. In un popolo degno di tal nome, tutte le ineguaglianze, derivanti non dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale — senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e della mutua carità — non sono affatto un ostacolo all’esistenza ed al predominio di un autentico spirito di comunità e di fratellanza. Che anzi esse, lungi dal ledere in alcun modo l’uguaglianza civile, le conferiscono il suo legittimo significato, che cioè, di fronte allo Stato, ciascuno ha il diritto di vivere onoratamente la propria vita personale, nel posto e nelle condizioni in cui i disegni e le disposizioni della Provvidenza l’hanno collocatoIn contrasto con questo quadro dell’ideale democratico di libertà e d’uguaglianza in un popolo governato da mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato all’arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si trasforma in una pretensione tirannica di dare libero sfogo agl’impulsi e agli appetiti umani a danno degli altri. L’uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l’uguaglianza; e, dall’altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante la forza del danaro o quella dell’organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere.
    3) Caratteri degli uomini che nella democrazia tengono il pubblico potere. 
    Lo Stato democratico, sia esso monarchico o repubblicano, deve, come qualsiasi altra forma di governo, essere investito del potere di comandare con una autorità vera ed effettiva. Lo stesso ordine assoluto degli esseri e dei fini, che mostra l’uomo come persona autonoma, vale a dire soggetto di doveri e di diritti inviolabili, radice e termine della sua vita sociale, abbraccia anche lo Stato come società necessaria, rivestita dell’autorità, senza la quale non potrebbe né esistere né vivere. Che se gli uomini, prevalendosi della libertà personale, negassero ogni dipendenza da una superiore autorità munita del diritto di coazione, essi scalzerebbero con ciò stesso il fondamento della loro propria dignità e libertà, vale a dire quell’ordine assoluto degli esseri e dei fini. Stabiliti su questa medesima base, la persona, lo Stato, il pubblico potere, con i loro rispettivi diritti, sono stretti e connessi in tal modo che o stanno o rovinano insieme. E poiché quell’ordine assoluto, alla luce della sana ragione, e segnatamente della fede cristiana, non può avere altra origine che in un Dio personale, nostro Creatore, consegue che la dignità dell’uomo è la dignità dell’immagine di Dio, la dignità, dello Stato è la dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell’autorità politica la dignità della sua partecipazione all’autorità di Dio. Nessuna forma di Stato può non tener conto di questa intima e indissolubile connessione; meno di ogni altra la democrazia. Pertanto, se chi ha il pubblico potere non la vede o più o meno la trascura, scuote nelle sue basi la sua propria autorità. Parimente, se egli non terrà abbastanza in conto questa relazione, e non vedrà nella sua carica la missione di attuare l’ordine voluto da Dio, sorgerà il pericolo che l’egoismo del dominio o degli interessi prevalga sulle esigenze essenziali della morale politica e sociale, e che le vane apparenze di una democrazia di pura forma servano spesso come di maschera a quanto vi è in realtà di meno democratico. Soltanto la chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell’opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il potere, in condizione di adempire i propri obblighi di ordine sia legislativo, sia giudiziario od esecutivo, con quella coscienza della propria responsabilità, con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella lealtà, con quella generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l’adesione della parte migliore del popolo. Il sentimento profondo dei principi di un ordine politico e sociale, sano e conforme alle norme del diritto e della giustizia, è di particolare importanza in coloro che, in qualsiasi forma di regime democratico, hanno come rappresentanti del popolo, in tutto o in parte, il potere legislativo. E poiché il centro di gravità di una democrazia normalmente costituita risiede in questa rappresentanza popolare, da cui le correnti politiche s’irradiano in tutti i campi della vita pubblica — così per il bene come per il male —, la questione della elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento, è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere. Per compiere un’azione feconda, per conciliare la stima e la fiducia, qualsiasi corpo legislativo deve – come attestano indubitabili esperienze – raccogliere nel suo seno una eletta di uomini, spiritualmente eminenti e di fermo carattere, che si considerino come i rappresentanti dell’intero popolo e non già come i mandatari di una folla, ai cui particolari interessi spesso purtroppo sono sacrificati i veri bisogni e le vere esigenze del bene comune. Una eletta di uomini, che non sia ristretta ad alcuna professione o condizione, bensì che sia l’immagine della molteplice vita di tutto il popolo. Una eletta di uomini di solida convinzione cristiana, di giudizio giusto e sicuro, di senso pratico ed equo, coerente con se stesso in tutte le circostanze; uomini di dottrina chiara e sana, di propositi saldi e rettilinei, uomini soprattutto capaci, in virtù dell’autorità che emana dalla loro pura coscienza e largamente s’irradia intorno ad essi, di essere guide e capi specialmente nei tempi in cui le incalzanti necessità sovreccitano la impressionabilità del popolo, e lo rendono più facile ad essere traviato e a smarrirsi; uomini che nei periodi di transizione, generalmente travagliati e lacerati dalle passioni, dalle divergenze delle opinioni e dalle opposizioni dei programmi, si sentono doppiamente in dovere di far circolare nelle vene del popolo e dello Stato, arse da mille febbri, l’antidoto spirituale delle vedute chiare, della bontà premurosa, della giustizia ugualmente favorevole a tutti, e la tendenza della volontà verso l’unione e la concordia nazionale in uno spirito di sincera fratellanza. I popoli, il cui temperamento spirituale e morale è bastantemente sano e fecondo, trovano in se stessi e possono dare al mondo gli araldi e gli strumenti della democrazia, che vivono in quelle disposizioni e le sanno mettere realmente in atto. Dove invece mancano tali uomini, altri vengono ad occupare il loro posto, per far dell’attività politica l’arena della loro ambizione, una corsa ai guadagni per se stessi, per la loro casta o per la loro classe, mentre la caccia agl’interessi particolari fa perdere di vista e mette in pericolo il vero bene comune.
    L’assolutismo di Stato. 
    Una sana democrazia, fondata sugl’immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo. L’assolutismo di Stato (da non confondersi, in quanto tale, con la monarchia assoluta, di cui qui non si tratta) consiste infatti nell’erroneo principio che l’autorità dello Stato è illimitata, e che di fronte ad essa — anche quando dà libero corso alle sue mire dispotiche, oltrepassando i confini del bene e del male, — non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante. Un uomo compreso da rette idee intorno allo Stato e all’autorità e al potere di cui è rivestito, in quanto custode dell’ordine sociale, non penserà mai di offendere la maestà della legge positiva nell’ambito della sua naturale competenza. Ma questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile, se si conforma — o almeno non si oppone — all’ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in una nuova luce dalla rivelazione del Vangelo. Essa non può sussistere, se non in quanto rispetta il fondamento, sul quale si appoggia la persona umana, non meno che lo Stato e il pubblico potere. È questo il criterio fondamentale di ogni sana forma di governo, compresa la democrazia; criterio col quale deve essere giudicato il valore morale di ogni legge particolare.
    Il Radiomessaggio prosegue definendo: Natura e Condizioni di una efficace organizzazione per la pace; Chiesa tutrice della vera dignità e libertà della persona umana; Crociata di Carità.
    Pio XII risponde anche ad un gruppo di partecipanti al Congresso del «Movimento Universale per una Confederazione Mondiale» (6 aprile 1951). Il testo è in francese.
    Insegna Papa Pio XII che “la prima cura deve essere quella di stabilire fermamente o ripristinare questi principi fondamentali (ordine naturale) in tutte le aree: nazionali e costituzionali, economiche e sociali, culturali e morali“. In campo nazionale e costituzionale, il Pontefice denuncia che “ovunque, oggi, la vita delle nazioni è disintegrata dal culto cieco del valore numerico“. In campo economico e sociale, Pio XII rileva “il predominio dell’utilitarismo” – materialismo ateo – in assenza di alcuna verace “cooperazione dei popoli“. Nel dominio culturale e morale, il Papa individua l’origine del male dei democratismi moderni: “Sfrenata libertà individuale, libertà da ogni legame, da tutte le regole, da  tutti i valori oggettivi e sociali, in realtà una anarchia mortale, soprattutto nell’educazione dei giovani“.
    In pratica oggigiorno piangiamo gli amari frutti di ateismo e massonismo, del giacobinismo contro il diritto naturale e contro la Chiesa; viviamo, allora, non in democrazie ma in assolutismi statali (o democratismi), dove il popolo, privato dei retti principi dottrinali e morali, dunque quasi totalmente incapace di scegliere bene, superbo nella sua incapacità, è poco più che una massa informe al febbrile servizio del demagogo di turno.
    E’ veramente triste constatare come alcuni uomini vendano la loro libertà in cambio della sfrenata licenza dei contro-diritti umani: pornografia, aborto, divorzio, droga, contraccezione, libero “amore”, eutanasia, omosessualizzazione, etc… Cosa offrono difatti i moderni democratismi? Esclusivamente contro-diritti, usati come “cioccolatino” per gli appetiti dei deboli, per comprare i loro consensi, come anestetico per sopravvivere in tirannia.
    Nel prossimo breve approfondimento parleremo di “autodeterminazione dei popoli”e della intrinseca menzogna alla base dell’assolutizzazione di tale principio.
     
    A cura di CdP Ricciotti

    Stupri e saccheggi degli Alleati in Germania - Il libro di una giovane storica tedesca riapre un capitolo che tutti vorrebbero dimenticare: la violenza sugli sconfitti

    Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/stupri-e-saccheggi-degli-alleati-germania-1155463.html

    Le macerie di Dresda dopo il bombardamento

    I tedeschi, si sa, hanno tutte le colpe, da sempre: oggi sono i feroci custodi dell'euro, mentre ieri erano i Barbari che combatterono contro Roma, i Lanzichenecchi che la saccheggiarono, gli Unni che ci sconfissero a Caporetto, e i Nazisti che scatenarono la Seconda guerra mondiale, a cui, soprattutto, non possiamo perdonare di essere stati nostri alleati almeno fino al 1943.

    Forse è per questo che, in Italia, non è possibile, o comunque non interessa, parlare di quello che la Germania patì dopo la sconfitta del 1945. Argomento tabù per tutto l'Occidente almeno fino alla caduta del Muro di Berlino, quello dei «vinti della liberazione» è, per ovvie ragioni, un argomento poco trattato. Qualche anno fa è uscito anche in Italia, tradotto da Einaudi ma ormai fuori catalogo, un libro anonimo intitolato Una donna a Berlino , un diario che raccontava con agghiacciante crudezza le violenze subite dalle donne tedesche durante l'occupazione sovietica, tanto brutali e sistematiche da rendere lo stupro di ogni creatura femminile dai nove ai novant'anni quasi una doverosa «normalità». Dal libro, nel 2008, fu tratto un film, anche quello di poco impatto sul pubblico nostrano, anche se incrinò il mito della cosiddetta «liberazione», che tale certamente non fu per la metà dell'Europa finita sotto il tallone dell'Armata rossa. Più recentemente, altri libri e documentari, come ad esempio Hellstorm , un saggio dello scrittore americano Thomas Goodrich da cui è stato tratto un impressionante documentario, visionabile anche su You Tube e un altro scioccante film, prodotto dalla Bbc, e disponibile anch'esso su Internet, 1 945: The Savage Peace , hanno raccontato la «pulizia etnica» operata contro i tedeschi nell'Europa Orientale. Sconsigliabile alle persone impressionabili, il documentario prodotto dalla Bbc mostra del raro materiale d'archivio sulle violenze e torture compiute insieme ad alcune interviste con alcune anziane, sopravvissute a stupri ed abusi inimmaginabili operati sempre dalle «orde sovietiche», la cui brutalità è stata assodata una volta per tutte e consegnata alla nostra memoria collettiva.
    Quello che sinora, invece, è rimasto quasi totalmente inesplorato è il destino dei tedeschi finiti nelle mani degli Alleati, anche se un recente blockbuster americano ha, sorprendentemente, sfiorato l'argomento: parliamo di Fury , dove i carristi al comando di Brad Pitt, oltre che pensare a trucidare più tedeschi possibili, considerano del tutto naturale violentare le donne tedesche incontrate durante la loro avanzata. Quello che nel film è solo accennato fu, invece, un crimine di guerra sistematicamente compiuto dalle truppe americane, inglesi e francesi, come dimostra un saggio appena uscito in Germania, che ha già bruciato due edizioni in un mese: Als die Soldaten kamen , scritto da una giovane storica, Miriam Gebhardt, che ha deciso di raccontare la violenza contro le donne tedesche alla fine della Seconda guerra mondiale, come recita il sottotitolo del volume edito da Deutsche Verlags-Anstalt.
    Quando arrivarono i soldati, questa la traduzione, che forse riecheggia il celebre best-seller di Paul Carrell, Sie Kommen! (Arrivano!), è un libro veramente disturbante, che smonta una volta per tutte il mito dei «buoni americani». Furono, infatti, almeno 900.000 le vittime tedesche di violenza operata dalle truppe alleate alla fine della Seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Subirono violenza sessuale non solo le donne, ma anche uomini e ragazzi, e i soprusi contro la popolazione continuarono fino al 1955, anno in cui venne proclamata la Repubblica federale tedesca. La vergogna, il senso di colpa, la scoperta dei crimini contro gli ebrei - che nessuno intende sminuire o negare - fecero calare il silenzio sul lato oscuro dei liberatori. L'autrice, che insegna storia all'università di Costanza, ha consultato anche i dossier della polizia e gli archivi delle parrocchie, che in Baviera sono ricchi di cosiddetti «rapporti sull'invasione», ovvero elenchi delle violenze subite dai civili, mestamente elencate come una tragica, ineluttabile fatalità.
    All'epoca, infatti, le violenze erano risapute: una lettera di un anonimo soldato americano, pubblicata su Time nel 1945, denunciava «la ferocia e il saccheggio del nostro esercito, considerato, ormai, un'armata di violentatori». Col tempo, la memoria degli orrori dei vincitori sbiadì; del resto, settant'anni di kolossal hollywoodiani in cui gli Alleati vengono rappresentati come eroi nobili e generosi, pronti a sacrificarsi per la nostra libertà, pagandola con cioccolata, sigarette e calze di seta, hanno fatto dimenticare le parole di Rex Stout, il celebre creatore di Nero Wolfe che, al pari di tanti altri suoi connazionali, incitava, in un famoso articolo pubblicato sul New York Times Magazine il 17 gennaio 1943, a sterminare senza pietà tutti i tedeschi, che andavano odiati e uccisi senza alcuna remora: il solo tedesco buono è quello morto.

    martedì 28 luglio 2015

    Vicenza e la stazione del 1845




    Nell'immagine: La stazione ferroviaria di Vicenza, con alle spalle il Monte Berico, costruita negli anni '40 del secolo XIX  per il passaggio della linea ferroviaria Milano-Venezia.
    Il primo transito per questa stazione di un treno della LVFB (I.R.P Strada Ferrata Lombardo-Veneta, in tedesco k.k. priv. lombardisch-venetianische Ferdinands-Bahn) avvenne, come affermano alcune fonti, in una piovosa giornata di dicembre del 1845 per testare il tratto ferroviario Vicenza-Padova, inaugurato qualche mese più tardi nel 1846.
    Sfortunatamente questo elegante stabile passeggeri venne distrutto durante i bombardamenti del 26 aprile 1945 sulla città e sostituito con una struttura molto più essenziale costruita alla fine degli anni '40.

    Vicenza, 1845

    Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien

    L'Est che poteva essere (Parte I): Regno di Polonia 1916-1918


    Nota introduttiva: Questo è il primo di una serie di articoli nei  quali verrà presentata una panoramica geopolitica dell'Est Europa sotto controllo degli Imperi Centrali tra il 1916 ed il 1918. Si analizzeranno le istituzioni politiche nate con l'appoggio degli Imperi Centrali e in conseguenza al crollo dell'Impero Russo.



    Introduzione all'argomento

    Bandiera Regno di Polonia

    Stemma Regno di Polonia
     

    Il Regno di Polonia, anche chiamato Reggenza del Regno di Polonia (in polacco Królestwo Regencyjne), fu lo stato proposto dalla Legge del 5 novembre 1916 istituita dall'Impero Tedesco  e dall'Impero d'Austria-Ungheria. Venne creato all'interno del Regno del Congresso (anche se non con confini ben definiti) nel 1916.


    Regno di Polonia: un indipendenza ritrovata.


    Regno di Polonia: in azzurro la zona sotto amministrazione
    tedesca; in verde la zona sotto amministrazione austriaca.


    La decisione di entrambi gli imperatori permise la creazione di un Consiglio della Reggenza (in polacco Rada Regencyjna) a cui furono date autonomie di amministrazione dei territori controllati dall'esercito tedesco e il cui compito era di eleggere un nuovo monarca. La personalità che aveva le maggiori credenziali per diventare Re era l'Arciduca Carlo Stefano d'Asburgo-Teschen, le cui due figlie si erano sposate con aristocratici polacchi: i principi Olgierd Czartoryski e Hieronim Radziwiłł, che parlavano correntemente il polacco e che vivevano a Żywiec in Galizia. L'Arciduca era più che disposto ad accettare la corona, ma essendo parte della Casata Imperiale d'Austria, aveva bisogno del permesso del Capo della famiglia, l'Imperatore e Re Carlo I d'Austria, che acconsentì alla richiesta. Fu reistituita la lingua polacca in tutto il territorio del Regno del Congresso e le istituzioni politiche ed educative bandite dalla Russia nel 1830 e 1863 furono ricreate. Fu creato un esercito di supporto degli Imperi Centrali ( chiamato, in tedesco, Polnische Wehrmacht) per supportare lo sforzo bellico tedesco, anche se il reclutamento, data la situazione critica portata dal conflitto, non ottenne molti volontari: l'esercito contava infatti poco più di  5.000 uomini alla fine del periodo della Reggenza. Il Regno ottenne una sua moneta, chiamata Marka polska (Marco polacco) e fu redatta una costituzione, il 12 settembre 1917, che introdusse la monarchia, un parlamento bicamerale, nessuna responsabilità politica per i ministri.


    L'Arciduca Carlo Stefano d'Asburgo-Teschen
     
    Marco Polacco: banconota da 10 marchi del 1917. 
     



    Molte "leggende nere" furono raccontate riguardo ai piani tedeschi nei confronti della Polonia e dei polacchi: tra queste vi è un fantomatico progetto di creazione di una regione che avrebbe potuto essere facilmente sfruttata e in cui allo stesso tempo avrebbe potuto operare la germanizzazione tramite la sottomissione del popolo polacco con il lavoro forzato. In realtà, tra le  principali ragioni che spinsero l'Impero Tedesco ad appoggiare la creazione (o meglio Restaurazione) del Regno di Polonia vi erano:

    1) Ottenere un nuovo alleato per vincere la guerra;

    2) Ottenere nuove risorse e vie commerciali in modo da tamponare le perdite recate dal blocco navale imposto dagli Alleati.

    3) Frenare la "peste rossa" che dilagava dalla Russia

    Certamente non si trattava di una pura opera assistenziale nei confronti dei polacchi ad opera dell'Impero Tedesco, ma nemmeno una tirannica occupazione. I polacchi si dimostrarono collaborativi e riconoscenti per la buona amministrazione apportata dagli imperiali; amministrazione superiore e assai più tollerata rispetto alla precedente russa. Anche i nazionalisti polacchi sembrarono tolleranti avendo ritrovato una sorta di "indipendenza nazionale".

    Anche se i primi progetti riguardanti il Regno erano di collaborazione con l'Austria-Ungheria, a causa delle crescenti difficoltà causate dal protrarsi del conflitto essi passarono esclusivamente all'Impero Tedesco. L'appoggio all'economia polacca, la gestione delle sue risorse e dell'esercito erano di competenza  della Germania.
    Nella mappa viene mostrata la striscia di frontiera polacca.


    I confini del Regno di  Polonia subirono alcune mutazioni.  Gli ufficiali tedeschi chiesero una "Striscia di Frontiera Polacca", che avrebbe portato all'annessione di alcune parti dei territori polacchi che erano stati parte della Russia a seguito della Spartizione della Polonia. Alla fine del 1916 l'Impero Tedesco annesse circa 30.000 km² di territorio; queste terre erano popolate da tedeschi. Richieste di annessione furono proposte anche dalla minoranza tedesca nell'area di Łódź, che protestava per la decisione del 5 novembre e che chiedeva al governo tedesco di annettere la Polonia occidentale, insieme ovviamente alle aree popolate da tedeschi.

    Il generale Hans Hartwig von Beseler


     Il Consiglio della Reggenza non riuscì mai a eleggere ufficialmente un sovrano, anche perché le sue iniziative erano spesso frenate dal Governatore Generale del Regno, il generale tedesco Hans Hartwig von Beseler. L'11 novembre 1918, dopo che la Rivoluzione aveva sovvertito l'Impero Tedesco e la guerra era terminata a favore degli Alleati, il Consiglio cedette i suoi poteri a Józef Piłsudski, sciogliendosi tre giorni dopo. I membri del Consiglio erano:
    • Aleksander Cardinal Kakowski, arcivescovo di Varsavia
    • Principe Zdzisław Lubomirski, proprietario terriero
    • Józef Ostrowski, proprietario terriero, ex deputato polacco alla Duma di San Pietroburgo.
    Il buon Arciduca Carlo Stefano d'Asburgo-Teschen non regnò mai, e il suo Regno venne cancellato dai settari che avevano vinto la guerra e che avevano manovrato i mercenari della così detta "sollevazione della Grande Polonia" del 1918-19. Con la fine del Regno, per la Polonia iniziò un lungo travaglio istituzionale tra nazionalismo e comunismo.



    Fonte:

    Bogdan von Hutten-Czapski: Sechzig Jahre Politik und Gesellschaft. 2 Bände. Mittler, Berlin 1936.




    Scritto dal Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi

    lunedì 27 luglio 2015

    Conoscere l'Inquisizione

    titolo conoscere l'inquisizione
     
     
     
    stendardo inquisizione spagnola
    Sopra: lo stendardo dell'Inquisizione spagnola.
     
    Introduzione
     
    Abbiamo due ragioni principali per affrontare il tema dell'Inquisizione:
    • L'Inquisizione fu un'istituzione della Chiesa che è stata attiva, sotto diverse forme 2, principalmente dal XIII secolo al XVII secolo. A questo proposito, la Chiesa è stata ed è tuttora calunniata, innanzi tutto dai suoi nemici, e oggi anche da tanti cattolici disinformati. È dunque necessario ristabilire la verità storica su questo punto essenziale della sua Storia;
    • La questione dell'Inquisizione solleva due quesiti, entrambi di grande attualità:
    - Prima domanda: esistono i reati di opinione? Questi crimini sono punibili dalla legge?
     
    ntmDomanda molto attuale che può essere illustrata da un esempio piuttosto recente. Nella notte tra l'8 e il 9 giugno 1995, alcune bande etniche hanno appiccato il fuoco, a Noisy-le-Grand, nella regione dell'Île-de-France, a diversi edifici pubblici: un complesso scolastico, una scuola, una materna e una palestra. Questi incendi scoppiarono, mentre, da oltre due mesi, veniva diffuso su grande scala dalla Fédération Nationale d'Achat des Cadres (FNAC) 3 e dal Virgin Megastore un singolo del duo rapper NTM nel cui primo verso si afferma: «Mais qu'est-ce qu'on attend pour foutre le feu»?Ma che si aspetta ad appiccare il fuoco»?). Nel clima attuale di libertà di pensiero:
     
    - L'incendio doloso viene punito (almeno in linea di massima);
    - Questo incitamento ad «appiccare il fuoco», come dicono, non è stato oggetto di alcun procedimento. Tutto è accaduto come se la stessa nozione di reato di opinione fosse scomparsa. Si tratta di una buona cosa?
     
    - Seconda domanda sollevata dalla questione dell'Inquisizione: è legittimo ed efficace difendere la verità (religiosa) mediante la forza (dello Stato)?
     
    Al tempo dell'Inquisizione la risposta era «sì». Oggi, prevale il parere contrario: si ammette che la verità deve difendersi mediante la forza insita in sé stessa, e che non necessita di alcun appoggio da parte del braccio secolare. Opinione generalmente ammessa, specialmente negli ambienti religiosi, e che sembra contraddire l'atteggiamento di quei fedeli che, nei Paesi cattolici in cui l'errore religioso viene propagato liberamente, perdono la fede per cadere nell'indifferenza religiosa o per aggregarsi alle sétte o al movimento New Age.
     
    I
    L'OPINIONE GENERALE
    SULL'INQUISIZIONE
     
    Tribunali ecclesiastici incaricati di giudicare i processi per eresia, le due Inquisizioni sono abitualmente oggetto di condanne radicali:
     
    - Voltaire (1694-1778): «Questo tribunale sanguinario, questo monumento terribile del potere monacale» 4;
    - La rivista cattolica Source de Vie: «Non bisogna dimenticare l'Inquisizione. Se i roghi furono meno numerosi di quello che una certa letteratura lascia intendere, uno solo di essi basta tuttavia a dimostrare che queste reazioni sommamente intolleranti e punitive non avevano nulla di cristiano» 5.
     
    Ma questi giudizi sollevano immediatamente molteplici domande. Se veramente i tribunali dell'Inquisizione furono così barbari e sanguinari, come spiegare che la Chiesa abbia lasciato che tali istituzioni esistessero per sei secoli? Come spiegare che numerosi inquisitori siano stati canonizzati, molti dei quali sono morti nell'esercizio delle loro funzioni? Citiamo i più conosciuti:
     
    - San Pietro Martire, dominicano (1205-1252) 6, ucciso da eretici catari nell'esercizio delle sue funzioni;
    - San Pietro d'Arbués, canonico regolare (1441-1485) 7, ucciso da conversos (ebrei falsamente convertiti al cattolicesimo) nell'esercizio delle sue funzioni;
    - San Giovanni da Capestrano, francescano (1386-1456); inquisitore per tutta la cristianità 8;
    - San Pio V, domenicano e Papa (1504-1572) 9.
     
    san pietro martiresan pietro d'arbuéssan giovanni da capestrano
    San Pietro MartireSan Pietro d'ArbuésSan Giovanni da Cap.
     
    II
    LA VECCHIA INQUISIZIONE
    ECCLESIASTICA
     
    Organizzata sotto forma di istituzione permanente da Papa Gregorio IX (1170-1241), con la Bolla Ille humani generis, dell'8 febbraio 1232, l'Inquisizione, che chiamiamo «ecclesiastica» per distinguerla dell'Inquisizione della Spagna creata duecentocinquant'anni più tardi, era un organismo giudiziario che dipendeva direttamente dalla Santa Sede avente funzione di lottare contro le eresie.
     
    Avvenimenti all'origine dell'inquisizione ecclesiastica
     
    Normalmente, era il Vescovo che aveva il compito di combattere contro l'eresia giacché aveva la responsabilità di salvaguardare la fede e i costumi nella sua Diocesi. Perché Papa Gregorio IX (che regnò dal 1227 al 1241) giudicò utile sovrapporre all'organizzazione diocesana un nuovo potere giudiziario che si incaricava di eseguire una parte del lavoro del Vescovo? Ciò avvenne perché si assistette - principalmente nell'Italia del Nord e nel Sud della Francia - ad una recrudescenza delle antiche eresie che beneficiavano spesso dell'appoggio dei capi politici.
     
    Tra queste eresie, la più conosciuta - e la più potente - era quella dei catari (detti anche albigesi perchè provenienti dalla regione francese di Albi). Dal XIII al XVII secolo, l'Inquisizione è stata attiva, innanzi tutto contro i catari, poi contro i valdesi, contro gli hussiti, contro i musulmani e gli ebrei falsamente convertiti e recidivi, e infine contro i protestanti.
     
    papa gregorio IXcatari cacciati da tolosa
    Papa Gregorio IXI catari espulsi da Tolosa
     
    L'istituzione dell'Inquisizione
     
    - Scopo perseguito
    L'istituzione dell'Inquisizione aveva principalmente per scopo:
     
    - La protezione della fede del popolo, facendo cessare la propaganda dell'eresia;
    - L'emendamento dei colpevoli, tentando a riportare gli eretici alla fede e alla penitenza;
    - La punizione di coloro che si ostinavano nell'eresia e di quelli che vi ricadevano dopo averla abiurata.
     
    - Gli inquisitori
    L'istituzione dell'Inquisizione poggiava sugli inquisitori. Essi erano dei giudici delegati dal Papa. Nella circoscrizione territoriale di cui avevano la sorveglianza, essi esercitavano una giurisdizione indipendente da quella del Vescovo, limitata unicamente dall'autorità del Sommo Pontefice. In effetti, prima che fosse eretta come istituzione, l'intesa tra il giudice ordinario (il Vescovo) e il giudice delegato (l'inquisitore) si trovava già realizzata in numerose Diocesi. Gli inquisitori erano in generale membri degli Ordini medicanti (principalmente dominicani e francescani). Una tale scelta permetteva di avere dei giudici:
     
    - Saggi e addestrati in modo speciale;
    - Retti e poco suscettibili ad essere corrotti (a causa del loro voto di povertà);
    - Coraggiosi di fronte alle minacce di cui erano oggetto;
    - Indipendenti dalle autorità locali, religiose e civili.
     
    grande inquisitore
    Il Grande Inquisitore a colloquio con Papa Sisto IV.
     
    Ci furono alcuni inquisitori abusivi (che in generale vennero condannati, come Robert le Bougre nel XIII secolo). Ma, nell'insieme, gli inquisitori furono all'altezza delle loro funzioni difficili e pericolose.
     
    - Gli errori perseguiti
    Il tribunale dell'Inquisizione non perseguiva l'eretico per un errore di coscienza contro la fede, ma per i suoi atti esterni che mettevano in pericolo la fede del popolo e che turbavano l'ordine pubblico (azione nel foro esterno). Esso si riservava di perseguire il crimine di eresia, non essendo i tribunali civili competenti in questo campo.
     
    - La procedura
    I tribunali dell'Inquisizione hanno introdotto tre novità nella procedura:
     
    - La prova mediante la testimonianza, che andò a sostituire la prova del fuoco (l'ordalia);
    - Un'inchiesta segreta (che permetteva ai testimoni di sfuggire ad ogni tipo di pressione e di poter parlare liberamente);
    - La giuria, costituita da persone competenti e di buona reputazione.
     
    La procedura dell'Inquisizione segnò così un progresso considerevole nel modo di fare giustizia; essa è all'origine di molti elementi delle attuali procedure giudiziarie. Un'altra caratteristica da notare: nel tribunale dell'Inquisizione la prigione preventiva non esisteva. Con una procedura giudiziaria in anticipo sui suoi tempi, messa in pratica da personale competente, la Chiesa ha servito la giustizia evitando in particolare i giudizi sommari contro gli eretici, che spesso finivano negli eccessi... cercando di ottenere la correzione dei colpevoli.
     
    «Dai suoi inizi e fino alla sua conclusione, la procedura del tribunale dell'Inquisizione non mostrò una severità implacabile, come si dice da più parti, ma diede innanzi tutto prova di misericordia e di equità. Primariamente, l'inquisitore cercava di procurare l'emendamento dei colpevoli» 10.
     
    - Le pene
    • Esse erano fissate dall'inquisitore (il giudice ecclesiastico) nei casi meno gravi e comportavano tutta una gradazione: abiti speciali da portare, digiuni, pellegrinaggi e prigione.
    • Nei casi più gravi, l'inquisitore consegnava il condannato al braccio secolare (allo Stato) che fissava la pena (la morte o la prigione).
    Eretici condannati dal Tribunale
    dell'Inquisizione a portare abiti speciali.

     
      Ruolo dell'Inquisizione nella lotta contro l'eresia catara
     
    Originaria d'Oriente, l'eresia dei catari (detti anche albigesi) devastò il Sud della Francia nel XII e nel XIII secolo. Nella dottrina catara erano presenti i principali elementi dello gnosticismo: la lotta tra un Dio del bene e un Dio del male (manicheismo); al Dio del male (il demiurgo) si deve la creazione della materia; da questo fatto ne deriva che tutto ciò che è materiale è malvagio; il matrimonio e la procreazione erano considerati come abominazioni. I catari credevano nella reincarnazione, nella salvezza tramite il consolamentum dato al momento della morte, e nella suddivisione degli adepti in «perfetti» e «credenti». L'eresia catara beneficiò dell'appoggio di principi e di Vescovi, il che spiega il suo successo. Ecco alcune date più importanti a riguardo della lotta contro questa eresia:
     
    - 1209 - Assassinio a Saint Gilles (Gard) del legato del Papa, Pierre de Castelnau (che è stato beatificato);
    - 1209 - Crociata contro gli albigesi alla quale Papa Innocenzo III (1161-1216) aveva invitato i prìncipi cristiani;
    - 1213 - Vittoria di Simon de Montfort (1165-1218) a Moret contro il conte di Tolosa, compromesso con i catari, e contro il suo alleato, il re d'Aragona;
    - 1226 - Crociata del re di Francia Luigi VIII (1187-1226) che conquistò la Linguadoca e che morì per le ferite riportate in guerra;
    - 1232 - Istituzione dell'Inquisizione;
    - 1244 - Conquista della fortezza catara di Montségur e fine delle operazioni militari;
     
    papa innocenzo IIIsimon de montfortluigi VIII re di Francia
    Papa Innocenzo IIISimon de MontfortRe Luigi VIII
     
    Dunque, quattro azioni sono state condotte in parallelo per estirpare l'eresia catara:
     
    - A partire dal 1203: missione e predicazione (Beato Pierre de Castelnau e San Domenico di Guzman);
    - 1209-1244: azione militare;
    - A partire dal 1229: azione politica (Bianca di Castiglia e il figlio San Luigi IX re di Francia);
    - A partire dal 1232: azione per giudicare e, se possibile, convertire gli eretici (Inquisizione).
     
    Senza la messa in opera di questi mezzi religiosi, militari e politici e l'accordo tra le autorità, l'eresia non sarebbe stata sradicata.
     
    san domenico di guzmanbianca di castigliasan luigi IX re di francia
    San DomenicoBianca di CastigliaSan Luigi IX
     
     
    I Santi che giocarono un ruolo importante nell'Inquisizione ecclesiastica
     
    - San Raimondo de Penafort (1175-1275), domenicano; non fu inquisitore, ma redasse il primo codice di procedura dell'Inquisizione;
    - San Pietro Martire (morto nel 1252), dominicano, inquisitore in Italia; assassinato tra Como e Milano nell'esercizio delle sue funzioni di inquisitore;
    - San Giovanni da Capestrano (1386-1476), francescano, fu nominato dal Papa inquisitore per tutta la cristianità. Fece vietare in maniera assoluta l'impiego della tortura nei tribunali dell'Inquisizione;
    - San Pio V (1504-1572), dominicano e Papa. Venne nominato nel 1551 commissario del Sant'Uffizio (nuovo nome dell'Inquisizione), e nel 1558, divenne grande inquisitore per Roma e per il mondo intero 11.
     
    san raimondo de penafortpapa san pio V
    San Raimondo da P.Papa San Pio V
     
    Conclusione
     
    Si può riassumere ciò che precede nei seguenti punti:
    • L'eresia metteva in pericolo la fede del popolo e l'ordine sociale e morale della nazione cristiana;
    • Poiché questo pericolo aveva raggiunto un'estensione drammatica nel XIII secolo, la Chiesa creò un organismo speciale: l'Inquisizione ecclesiastica, che funzionò dal XIII al XVII secolo;
    • Il potere civile e il potere religioso cooperavano nella difesa della società;
    • I processi, influenzati dal diritto penale di quel tempo, ci sembrano duri. Ma, codificata e controllata, l'Inquisizione non era più inflessibile di quanto lo fossero i tribunali dell'epoca;
    • Gli inquisitori, salvo rare eccezioni severamente represse da Roma, offrivano serie garanzie morali e intellettuali;
    • L'Inquisizione ha certamente salvato, almeno per un periodo di tempo, la cristianità dall'anarchia dottrinale e sociale.
    IV
    L'INQUISIZIONE SPAGNOLA
    (1480-1812)
     
    Nel 1475, la regina Isabella di Castiglia (1451-1504) chiese a Papa Sisto IV (1414-1484) l'istituzione di una nuova Inquisizione. Essa le venne accordata nel 1478 e fu creata solamente nel 1480. Perché la regina chiese la creazione di una nuova istituzione quando già esisteva la vecchia Inquisizione ecclesiastica? La cosa non si può comprendere se non si conosce la situazione della Spagna a quell'epoca.
     
    La situazione della Spagna negli anni 1470-1500
     
    A quel tempo, le due principali province di Spagna, la Castiglia e l'Aragona, erano governate da quelli che in seguito vennero chiamati i «re cattolici»: la regina Isabella e suo marito, re Ferdinando II di Aragona. A quel tempo due pericoli minacciavano la Spagna:
    • La presenza musulmana nel Sud;
    • Il pericolo creato, all'interno dei regni di Castiglia e di Aragona, da coloro che venivano appellati conversos, dei falsi convertiti dall'islam e soprattutto dal giudaismo.
    isabella di castigliaferdinando d'aragonapapa sisto IV
    Isabella di CastigliaFerdinando IIPapa Sisto IV
     
    Precisiamo la natura di questi due pericoli.
     
    - Il pericolo islamico
    Nel 1480, i musulmani occupavano tutta la parte meridionale della Spagna. La guerra di riconquista condotta per secoli si concluse solamente dodici anni più tardi, nel 1492, con la presa di Granada, dopo accaniti combattimenti. Fuori dalla Spagna, il potere musulmano era in piena espansione, soprattutto da quando i turchi avevano preso la città di Costantinopoli nel 1453. Nel 1480, essi si impossessarono di Otranto, una città del regno di Napoli, e massacrarono quasi la metà della popolazione civile che contava 22.000 persone (parecchi di queste vittime sono state canonizzate dalla Chiesa).
     
    - Il pericolo dei conversos
    I conversos dal giudaismo rimanevano (per convinzione e segretamente) seguaci della religione ebraica. Essi erano potentissimi sia per le loro immense ricchezze che per il fatto che detenevano la maggior parte delle leve di comando sia nella Chiesa che nello Stato. I conversos godevano il «il vantaggio di andare a Messa la domenica e in sinagoga il sabato» 12. Essi erano pericolosi per diverse ragioni:
    • Per il loro proselitismo presso i cristiani;
    • Perché molti di essi erano dediti alla magia 13;
    • Perché costituivano una nazione nella nazione, e il loro obiettivo era di creare in Spagna una nuova Gerusalemme, ossia un nuovo Israele.
    conversos - torquemada
    Conversos dal giudaismo pentiti al cospetto dei re cattolici di Spagna e al Grande Inquisitore Padre Tomàs de Torquemada.
     
    I re cattolici, che a quel tempo conducevano una guerra di riconquista contro i mori musulmani, si vedevano così traditi alle spalle da un potente partito anti-nazionale. Si trattava di un doppio pericolo: la minaccia dei mori musulmani all'esterno, e la terribile minaccia dei conversos all'interno. Se non avesse vinto, la nazione spagnola - in via di creazione - sarebbe stata ridotta in schiavitù e avrebbe perso la sua identità cattolica. Per fronteggiare tale pericolo, la regina Isabella chiese al Papa l'istituzione di una nuova Inquisizione che le venne accordata nel 1478, creata effettivamente nel 1480 e affidata nel 1483 al dominicano Padre Tomàs de Torquemada (1420-1498).
     
    A proposito di questa decisione della regina, lo scrittore Joseph de Maistre (1753-1821) ha portato il seguente giudizio: «Mai i grandi mali politici, ma soprattutto mai i violenti attacchi condotti contro il corpo dello Stato possono essere prevenuti o respinti se non con mezzi ugualmente violenti. In tutti i pericoli immaginabili, tutto si riduce alla formula romana: che i consoli sorveglino sulla sicurezza dello Stato. Quanto ai mezzi, il migliore (adatto ad ogni crimine) è quello che si mostra il più efficace. Se vi soffermate sulla severità di Torquemada senza pensare a tutto ciò che essa ha evitato, smetterete di ragionare» 14.
     
    Instaurazione della nuova Inquisizione: Torquemada
     
    Insediata nella Castiglia nel 1480, la nuova Inquisizione era un organismo giudiziario permanente il cui compito era di lottare contro i crimini pubblici di apostasia e di eresia. Ciò accadde in ragione del fatto che i vecchi tribunali dell'Inquisizione non funzionavano più in questa regione e che altrove avevano perso la loro efficacia. La regina Isabella dovette dunque fare ricorso ad una nuova istituzione. Nel 1483, Papa Sisto V (1521-1590) nominò il domenicano Tomàs de Torquemada primo grande inquisitore di Spagna.
     
    Questi fu l'organizzatore dell'Inquisizione. Un cronista contemporaneo, Sébastien de Olmeida, lo definì «il martello degli eretici, la luce della Spagna, il salvatore della patria e l'onore del suo Ordine». Ed è un fatto che l'immagine barbara di questo grande religioso fornita dagli storici è un'invenzione dei nemici della Chiesa cattolica.
     
    padre tomàs de torquemadapapa sisto V
    Tomàs de TorquemadaPapa Sisto V
     
    Scopi perseguiti
     
    Erano al tempo stesso religiosi e politici:
     
    - Scopi religiosi
    - Proteggere la fede del popolo;
    - Riportare alla fede gli apostati, gli eretici e quelli tra i conversos che erano rimasti giudaizzanti;
    - Punire gli ostinati.
     
    - Scopi politici
    - Evitare i disordini della giustizia sommaria;
    - Impedire agli ebrei e ai conversos, agendo di concerto, di mettere mano sulla Spagna e di installare una nuova Gerusalemme;
    - Evitare di essere traditi alle spalle durante la guerra di riconquista contro i mori.
     
    Caratteri della nuova Inquisizione
     
    Essi possono essere così riassunti:
     
    - Gli stessi caratteri della vecchia Inquisizione, ma con una competenza limitata alla Spagna e ai suoi possessi;
    - Una maggiore efficacia (appoggio più grande da parte dello Stato);
    - Al vertice: un Consiglio Supremo che rappresentava la Chiesa e lo Stato;
    - Essa poteva giudicare anche i Vescovi e i Cardinali (a partire dal 1559).
     
    san domenico inquisitore
    Sopra, a sinistra: San Domenico da Guzman presiede ad un processo dell'Inquisizione. A destra: lo stesso Santo ordina che vengano bruciati i libri degli eretici.
     
    La nuova Inquisizione aveva un'efficacia più grande della vecchia:
     
    - Perché l'accordo tra la Chiesa e lo Stato era molto più stretto;
    - Perché disponeva di poteri più estesi, potendo giudicare anche Vescovi e Cardinali.
     
    Del resto, l'accordo più stretto tra la Chiesa e lo Stato era manifestato dalla composizione del Consiglio Supremo (la «Suprema») che si trovava al vertice dell'istituzione. Composto da delegati della Santa Sede e da delegati dei re cattolici, tale consiglio comprendeva cinque membri:
     
    - Il grande inquisitore (che disponeva solamente di un voto);
    - Un dominicano e un membro di un altro Ordine religioso;
    - Due membri del Consiglio reale di Castiglia.
     
    In ordine di dignità, questo Consiglio veniva immediatamente dopo il Consiglio reale di Castiglia. Esso giudicava in ultima istanza, gli appelli in corso di Roma intervenendo solamente in casi molto rari.
     
    eretico
    Eretico condannato e consegnato al braccio secolare (lo Stato).
     
    La procedura
     
    Quando si installava in una città, il Tribunale dell'Inquisizione veniva aperto con una grande solennità. Esso proclamava un editto di grazia (quaranta giorni) che permetteva ai colpevoli di riconciliarsi con la Chiesa. Le inchieste riguardavano unicamente le persone ostinate, accusate da almeno due testimoni credibili. L'inchiesta era segreta. L'uso della detenzione preventiva era assai limitato, così come lo era il ricorso alla tortura, circoscritto solamente a quegli imputati la cui colpevolezza era quasi certa.
     
    «Purtroppo, la tortura fu utilizzata dall'Inquisizione. Essa era stata mutuata, con altre caratteristiche, dalle procedure giudiziarie dell'epoca. Ma è sicuramente paradossale constatare che Torquemada è stato presentato come un vero simbolo della tortura, mentre uno dei risultati che egli ottenne fu di limitarne l'uso e di renderla meno dura [...]. La tortura non doveva essere utilizzata che per ottenere una prova assoluta di colpevolezza già stabilita con una certa evidenza; in altre parole, doveva esserci già una prova "semi plena" contro l'imputato; quest'ultimo doveva essersi contraddetto su materie gravi e la sua malafede doveva essere evidente; o egli doveva avere contro di lui una preponderanza massiccia di testimoni a carico. Inoltre, gli strumenti di tortura non potevano essere utilizzati senza un decreto dei funzionari chiamati "fiscali" e "consultori", senza l'autorizzazione del Vescovo del luogo e il visto del Consiglio Supremo» 15.
     
    Le pene
    • Stessa scala di pene come nella vecchia Inquisizione;
    • I colpevoli pertinaci venivano consegnati al braccio secolare (pena di morte);
    • Altre pene: la prigione, le ammende, l'obbligo di indossare abiti speciali, i pellegrinaggi, ecc...;
    Il numero delle vittime
     
    michel feretti - l'église et ses inquisitionsEcco i dati presentati nell'opuscolo di Michel Feretti L'église et ses Inquisitions: «Il numero totale delle sentenze emesse dall'Inquisizione non è conoscibile a causa dell'assenza di documenti 16. Secondo il parere di tutti gli storici, la stima di Llorente (340.592 condanne di cui 31.912 esecuzioni) è certamente esagerata. Al contrario, il recente spoglio degli archivi attesta che anche nel suo periodo più repressivo (1480-1504), l'Inquisizione spagnola decretò molte meno condanne e mandò al rogo meno eretici di quanto si creda. Jean Dumont, riprendendo gli studi codificati da Henningsen 17, stima di alcune centinaia in tutta la Spagna le esecuzioni avvenute tra il 1480 e il 1504. Questo periodo è stato quello del Grande inquisitore Tomàs de Torquemada, la cui leggenda ne ha annerito ad oltranza il ritratto. Se è vero che il numero di condanne a morte sotto il suo "regno" accrebbe, lo si deve al numeroil libro nero del comunismo molto importante di falsi conversos presente ovunque nella società religiosa e civile. Per il periodo che va dal 1560 al 1700, solo l'1% delle sentenze si concluse con la condanna a morte. Dal canto suo, nota Bennassar: "Dopo il 1500, il ricorso alla pena capitale fu eccezionale". Christine Wagner, in un articolo intitolato "L'Inquisition de Tolède face au protestantisme au XVIème siècle" 18, presenta la ripartizione delle sentenze del tribunale inquisitorio di Toledo contro i protestanti durante il XVI secolo. Su trentotto condanne, due eretici furono consegnati al braccio secolare». Michel Ferreti affronta poi l'azione dell'Inquisizione nell'America Latina (chiamata all'epoca «Indie occidentali»): «Salvador de Madariaga scrive che "nell'insieme delle Indie, durante tutta la durata della dominazione spagnola, il numero delle vittime che perirono per mano dell'Inquisizione è più [...] vicino a sessanta che a cento. Una media di trenta per secolo. Trenta vittime per secolo in tutto un continente e con una popolazione tanto importante come quella dell'Inghilterra e della Spagna messe insieme"» 19. Queste cifre di devono confrontare con il numero di vittime del Terrore in Francia tra il 1792 e il 1794 (200.000 morti), o con quelle dell'epurazione (degli aderenti o simpatizzanti alla Repubblica di Vichy o dei collaborazionisti dei tedeschi) effettuata sempre in Francia nel periodo 1944-1945 (105.000 esecuzioni secondo il ministro degli Interni Adrian Tixier) 20, o del comunismo nel mondo in settant'anni (più di 100 milioni di vittime, secondo il libro di Stéphane Courtois Le livre noir du communisme, crimes, terreur, répression).
     
    Personaggi dell'Inquisizione spagnola
     
    Conoscere la personalità di coloro che hanno creato e diretto un'istituzione permette di poterla giudicare molto meglio. Da qui l'interesse del libro di William Thomas Walsh intitolato Characters of the Inquisition («Personaggi dell'Inquisizione»). Menzioniamo tre di questi:
    • Tomàs de Torquemada. Abbiamo già parlato di lui. Dopo avere organizzato l'Inquisizione la diresse per dieci anni;
    • Il Cardinale Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517), francescano, Primate di Spagna, riorganizzò l'Inquisizione all'inizio del XVI secolo. Egli fu reggente di Spagna durante la minore età di re Carlo V (1500-1558).
    • San Pietro d'Arbuès, morto nel 1486, canonico regolare, inquisitore per l'Aragona. Venne assassinato nell'esercizio delle sue funzioni. È stato canonizzato da Papa Pio IX (1792-1878) nel 1867.
    cardinale francisco jiménez de cisneroscharacters of the inquisition
    Cardinale de CisnerosCharacters of the...
     
    Risultati ottenuti
    • L'Inquisizione ha salvato la Spagna dal dominio dei conversos; senza l'Inquisizione, la Spagna sarebbe diventata una nuova Gerusalemme in cui i cristiani avrebbero subito la stesso sorte dei palestinesi che ai nostri giorni vivono in Israele;
    • Ha neutralizzato i movimenti illuministi come gli Alumbrados («Illuminati»);
    • Ha scoperto e bloccato l'infiltrazione protestante in Spagna, evitando così le guerre di religione che hanno insanguinato tutta l'Europa per quasi un secolo;
    • All'inquisizione spagnola possono essere applicate queste osservazioni del Cardinale Louis Billot (1846-1931) e di don Victor-Alain Berto (1900-1968), che hanno constatato come essa le abbia messe in pratica: «Il bene della vera religione si conserva mediante l'esclusione delle false religioni» 21. «È un diritto degli innocenti essere difesi. È un dovere, per le autorità e per i poteri, difendere gli innocenti» 22.
    cardinale louis billotdon victor-alain berto
    Cardinal BillotDon Victor-Alain Berto
     
    I giudizi sull'Inquisizione di Voltaire e di Joseph de Maistre
     
    - Voltaire: «Durante il XVI e XVII secolo, non c'è stata in Spagna nessuna di quelle sanguinose rivoluzioni, di quelle cospirazioni, di quei crudeli castighi che si sono visti nelle altre parti d'Europa. Né il duca di Lerme, né il conte Olivarès hanno versato il sangue dei loro nemici sui patiboli. I re non sono stati assassinati come in Francia e non sono morti per mano del boia come in Inghilterra. Infine, senza gli orrori dell'Inquisizione, non ci sarebbe stato nulla da rimproverare alla Spagna».
     
    - Joseph de Maistre: «Senza gli "orrori dell'Inquisizione", non ci sarebbe niente da rimproverare a questa nazione che grazie all'Inquisizione è sfuggita agli orrori che hanno disonorato tutti gli altri Stati».
     
    voltairejoseph de maistre
    VoltaireJoseph de Maistre
     
    V
    CONCLUSIONE
     
    Istituita per la difesa della religione e della patria, l'Inquisizione ha salvato la fede della Spagna. Ha risparmiato alla nazione il flagello delle guerre di religione e ha impedito la sua completa rovina. Ecco come lo storico francese Bartolomé Benassar, specialista della storia spagnola, giudica i mezzi utilizzati dall'Inquisizione: «Se l'Inquisizione spagnola fosse stata un tribunale come gli altri, non esiterei a concludere, senza temere alcuna contraddizione e il disprezzo delle idee dominanti, che essa fu superiore a qualsiasi altro tribunale. Non solo la si deve ritenere senza dubbio più efficace, ma anche molto più esatta e più scrupolosa. Una giustizia che praticava un esame attento delle testimonianze, che accettava senza lesinare le ricusazioni, da parte degli imputati, dei testimoni sospetti, una giustizia che ha usato pochissimo la tortura, una giustizia preoccupata di educare, di spiegare all'imputato perché si sbagliava, che rimproverava e che consigliava, le cui condanne definitive colpivano solamente i recidivi» 23.

     
    Note
     
    1 Traduzione dell'originale francese Connaissance de l'Inquisition (estratto dalla rivista Action Familiale et Scolaire, nº 160, pagg. 19-35), a cura di Paolo Baroni.
    2 Quando si parla dell'Inquisizione, si distingue abitualmente l'Inquisizione ecclesiastica, fondata nel 1232, dall'Inquisizione di Spagna, fondata nel 1480. Sarebbe dunque meglio parlare di Inquisizioni al plurale.
    3 Società francese, presente anche in Italia, che opera nel campo della grande distribuzione con una catena di filiali internazionali che vende libri, dischi e CD, programmi software, componenti hardware e computer, telefonia cellulare, ecc..., di chiara matrice trozkista.
    4 L'anticlericale e liberale Voltaire era stato iniziato alla Massoneria il 7 aprile 1778 a Parigi, nella Loggia delle Nove Sorelle. Ecco spiegato il suo odio per l'Inquisizione e per la Chiesa cattolica.
    5 Cfr. Source de vie, febbraio 1992.
    6 Vedi la vita di questo Santo nell'opera L'année liturgique, di dom Prosper Guéranger.
    7 Vedi la vita di questo Santo nell'opera di William Thomas Walsh Characters of the Inquisition.
    8 Vedi la vita di questo Santo nell'opera L'année liturgique, di dom Prosper Guéranger.
    9 Vedi la vita di questo Santo nell'opera di William Thomas Walsh Characters of the Inquisition.
    10 Cfr. H. Hello, La vérité sur l'Inquisition («La verità sull'Inquisizione»).
    11 Cfr. M. Feretti, L'église et ses Inquisitions («La Chiesa e le sue Inquisizioni»), pagg. 37-39.
    12 Cfr. W. T. Walsh, op. cit., pag. 145.
    13 Buona parte dell'occultismo moderno è sopravvissuto al cristianesimo grazie a quegli ebrei che lo hanno custodito nel segreto. Lo stesso rabbino Geoffrey W. Dennis ha dichiarato in The Encyclopedia of Jewish Myth, Magic and Mysticism: «Virtualmente, ogni forma di misticismo e di spiritualismo occidentale oggi conosciuta, utilizza i miti e gli insegnamenti occulti ebraici: magia, preghiera, angelologia, numerologia, proiezione astrale, interpretazione dei sogni, astrologia, amuleti, divinazione, stati alterati di coscienza, guarigione alternativa e rituali di potere; tutti ciò ha le sue radici nell'occultismo ebraico (cfr. G. W. Dennis, The Encyclopedia of Jewish Myth, Magic and Mysticism, Llewellyn Publications, Woodbury 2007, pag. xi) (N.d.T.).
    14 Cfr. J. de Maistre, Lettres à un gentilhomme espagnol sur l'Inquisition («Lettere ad un gentiluomo spagnolo sull'Inquisizione»).
    15 Cfr. W. T. Walsh, op. cit., pag. 169.
    16 Cfr. B. Bennassar, L'Inquisition espagnole XV-XIX s. («L'Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo»), Hachette, Parigi 1979, pag. 16.
    17 Cfr. G. Henningsen, The Withes Advocate, Basque Witchcraft and the Spanish Inquisition («Gli avvocati bianchi, la stregoneria basca e l'Inquisizione spagnola»), University of Nevada Press, Reno 1980.
    18 Cfr. C. Wagner, «L'Inquisition de Tolède face au protestantisme au XVIè siècle» («L'Inquisizione di Toledo di fronte al protestantesimo nel XVI secolo»), in Revue d'Histoire et de Philosophie religieuses, PUF, Parigi, n° 2, aprile-giugno 1994, pag. 165.
    19 Cfr. S. de Madariaga, Essor de l'Empire espagnol d'Amérique («Progresso dell'Impero spagnolo d'America»), Albin Michel, Parigi 1953, pag. 206.
    20 Vedi la dichiarazione fatta dal Colonnello Passy (Capitano Dewavrin), capo del DGER (Direzione Generale degli Studi e Ricerche), a Jean Montigny, ex ministro: «Non vedo nessuna difficoltà a confermarvi che Adrian Tixier, ministro degli Interni, mi ha confidato, nel suo gabinetto, nel febbraio del 1945, che, secondo le informazioni che aveva in suo possesso, c'erano state 105.000 esecuzioni sommarie tra giugno del 1944 e febbraio del 1945» (cfr. Les Écrits de Paris, agosto 1950).
    21 Cfr. Cardinale L. Billot, De Ecclesia Christi, q. XIX, art. 1, § 3.
    22 Cfr. Don V.-A. Berto, Pour la sainte Église romaine («Per la santa Chiesa romana»), pag. 407.
    23 Cfr, B. Benassar, op. cit.; cit. in M. Ferreti, L'Église et ses Inquisitions, pag. 42.