domenica 23 agosto 2015

LA CONDOTTA DEI VERI CRISTIANI VERSO LA POVERTÀ (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

 

Jacques-Bénigne Bossuet
Che cosa richiedono da noi, nella pratica della vita, questa istituzione del Cristo, questi insegnamenti della Chiesa?
Per istruirci, ascoltiamo ancora Bossuet.
1° Dalla eminente prerogativa onde lo Spirito Santo ha gratificato i poveri nella Chiesa, nella loro qualità di membri di Gesù Cristo, più conformi degli altri al divin Capo, noi dobbiamo conchiudere che non basta compassionarli, ed anche assisterli, ma dobbiamo onorarli e dimostrare sentimenti di rispetto per la loro condizione.
Bossuet ci propone in ciò l'esempio di san Paolo.
Parlando, nella sua epistola ai Romani, di una elemosina che andava a portare ai poveri di Gerusalemme, egli non dice "la elemosina che ho a far loro", né "l'assistenza che ho loro a dare", ma "il servigio che loro devo prestare". Egli fa qualche cosa di più, aggiungendo: "Pregate Iddio, miei cari fratelli, perché il mio servigio riesca loro gradito".
A questo proposito il grande oratore domanda:
"Che cosa vuol dire il santo Apostolo? forse si ricercano tante precauzioni per far gradire una limosina?". Ei risponde: "Ciò che lo induce a parlare in tal modo, è l'alta dignità dei poveri. Egli non li considera soltanto come infelici che bisogna assistere, ma riflette che, nella loro miseria, essi sono le membra principali di Gesù Cristo, ed i primogeniti della Chiesa. In questa gloriosa qualità egli li considera come persone alle quali si deve fare corteggio, se mi è lecito di così parlare. Per questa ragione non giudica sufficiente che il suo dono li soccorra, ma desidera eziandio che il suo servigio torni loro gradito; e per ottenere questa grazia, fa pregare tutta la Chiesa. I poveri sono tanto degni di considerazione nella Chiesa di Gesù Cristo, che san Paolo sembra riporre la sua felicità nell'onore di servirli e nella fortuna di piacere ad essi. Ut obsequii mei oblatio accepta fiat in Ierusalem in sanctis".
Così sant'Eligio, san Luigi, sant'Elisabetta, santa Margherita, e tanti altri servivano i poveri. Joinville vide cento volte, mille volte, il gran re far entrare i poveri nella sua reggia; lavar loro i piedi e le mani, asciugarli, baciarli devotamente, poi farli entrare nella sua camera, in cui era loro stata preparata una refezione, ed in cui egli stesso li serviva con una sollecitudine e delicatezza che tutte le madri non hanno pei loro figliuoli ...
Santa Elisabetta penetrava nei tuguri i più lontani del suo castello, i più ripugnanti per la sporcizia e per l'aria malsana; ella entrava in questi asili della povertà con una specie di devozione e di famigliarità insieme; ella stessa riportava quanto credeva necessario ai loro infelici abitanti e li consolava assai meno co' suoi doni generosi, che non colle sue dolci ed affettuose parole. Quando uno di questi poveri moriva, ella tosto che lo poteva, veniva a vegliare il suo corpo, lo involgeva colle sue proprie mani, e la si vedeva seguire con umiltà e raccoglimento il misero feretro dell'ultimo de' suoi sudditi.
Si dirà, queste sono eccezioni. Eccezioni senza dubbio; ma eccezioni che hanno avuto in tutte le età della Chiesa, migliaia, si potrebbe dire milioni d'emuli e d'imitatori, dapprima negli Ordini religiosi e poscia in tutta la società cristiana.
Nella sua Histoire des Moines d'Occident, Montalembert rende ai monaci questa testimonianza: "A loro non basta di sollevare la povertà; essi l'hanno onorata, consacrata, adottata, sposata come niente
vi fosse di più grande e di più reale quaggiù. L'amicizia dei poveri, dice san Bernardo, ci procura l'amicizia dei re, ma l’amor della povertà fa di noi tanti re.
"In ogni tempo, i monaci hanno saputo nobilitare la povertà. Da prima essi le aprirono le loro fila ponendo fino dal principio della loro istituzione gli schiavi, i servi, gli ultimi degli indigenti, a lato, e qualche volta al disopra dei nobili e dei principi.
"Anche ai poveri che non entrarono nelle loro file, l'ordine monastico presentava ai loro occhi uno spettacolo più atto di qualunque altro per sollevarli, per consolarli: cioè quello della povertà e dell'umiliazione volontaria dei grandi della terra che vestivano il ruvido saio. Per tutto il corso del medio evo, ogni anno, ogni contrada vedeva rinnovarsi, senza interruzione, questo meraviglioso sacrificio dei beni più preziosi e più invidiati di questo mondo, sull'altare di qualche oscuro monastero. Quale lezione più eloquente si è potuto immaginare della vista d'una regina, d'un figlio di re, d'un nipote d'imperatore, per sua propria elezione, abbassarsi a lavare i vasi od ungere le scarpe dell'ultimo dei paesani divenuto novizio! Ora, si contano a migliaia i sovrani, i duchi, i conti, i signori d'ogni grado, e le donne d'ogni rango, che si consacrano a questi vili offici, seppellendo nel chiostro una grandezza ed una potenza di cui non potrebbero darci una idea le grandezze impicciolite, effimere e abiette della nostra società moderna".
Di recente un socialista, molto rinomato in Inghilterra, la cui scienza storica è altamente apprezzata, Hyndmann, rendeva agli ordini monastici la stessa testimonianza nella sua opera: The historical basis in Socialism England:
"La Chiesa cattolica faceva meglio che consecrare la metà delle rendite de' suoi beni a sollievo dei poveri. I conti tuttora esistenti delle sostanze dei conventi provano che una parte notabile di queste rendite era devoluta a dar asilo, a nutrire ed a mantenere coloro che non aveano un focolare, ed eziandio ad altre opere di beneficenza. E quand'anche si provasse che importanti somme fossero state sacrificate alla pompa delle solennità religiose, ed all'ornamento dei templi, non sarebbe meno vero che i preti e gli abati erano i migliori landlords d'Inghilterra, e che anche per tutto il tempo in cui la Chiesa cattolica è rimasta in pieno possesso della sua potenza, e dei suoi beni, la miseria e le privazioni erano flagelli sconosciuti alle popolazioni in mezzo alle quali viveva come proprietaria; il miglioramento che apportava alle sue coltivazioni, ai suoi lavori di costruzione, la costruzione di strade - un beneficio inapprezzabile per quell'epoca - tutto questo aggiunto allo zelo che metteva tanto nel soccorrere i poveri quanto a migliorare i costumi, ed a creare scuole, alle sollecitudini premurose che prodigava ai malati, tutto questo dimostra, quanto questi religiosi e religiose, sì odiosamente diffamati, fossero una benedizione per l'umanità".
Queste sante tradizioni non sono punto perdute, esse vivono ancora nella Chiesa di Dio.
Un libero pensatore, M. Taine, addimostra pei religiosi e religiose dei nostri giorni la stessa ammirazione di Montalembert e di Hyndmann;
"Circa 4000 religiose e 1800 religiosi - dice egli - si consacrano specialmente alla vita contemplativa. È la preghiera, la meditazione, l'adorazione che formano il loro principale e primo scopo dì vita.
"Ma tutti gli altri, cioè più di 28.000 uomini, 123.000 donne sono, per istituzione, benefattori dell'umanità, schiavi volontari, consecrati, per propria elezione, a lavori pericolosi, ripugnanti o per lo meno ingrati.
"Quali sono questi lavori? Missioni presso i selvaggi ed i barbari; cure ai malati, agli idioti, agli alienati, agli infermi, agl'incurabili; mantenimento dei poveri vecchi o dei fanciulli abbandonati; innumerevoli opere di assistenza e di educazione, insegnamento primario, servizio degli orfanotrofi, degli asili, dei laboratorii, dei rifugi e delle prigioni!
"E tutto questo gratuitamente, o, per ricompense minime in conseguenza della riduzione al minimo dei bisogni fisici e delle spese personali di ciascun religioso o religiosa.
"Manifestamente - conchiude Taine - appo questi uomini e queste donne, l'equilibrio ordinario dei motivi determinanti è rovesciato: nella loro bilancia interna, non è l'amore di sé che prevalga sull'amore degli altri; è l'amore degli altri che prevale sull'amore di sé: l'amore degli altri, la pazienza, la rassegnazione, la speranza, la purità, la bontà fino all'abnegazione ed al sacrificio".
Tutto questo ha recato i suoi frutti nel mondo. L'eroismo suscita la virtù intorno a sé. Le anime ordinarie non possono vederlo senza sentirsi incitate a fare, anch'esse, almeno qualche cosa. L'ammirazione che ne provano le spinge all'imitazione a norma delle loro forze. La genesi della carità nella società cristiana è questa: gli eroi, i grandi santi hanno fatto la legge nei monasteri, ed i monasteri hanno dato ai fedeli un esempio che questi hanno prima ammirato, poi imitato. Più educata nelle case religiose, ove si ha per fine di riprodurre l'imitazione del divin esemplare, la carità si è generalizzata, e, generalizzandosi, essa ovunque è rimasta ben degna di se stessa, affinché tutti sieno obbligati a riconoscere che essa è praticata dai cattolici come non lo fu mai prima di essi, e come non lo sarà mai da altri.(1)
Nel mondo come nel chiostro, la povertà era onorata. Per tenerci ai tempi in cui Bossuet parlava, al secolo di Luigi XIV, in quel tempo in cui l'orgoglio raggiante dal trono, si confondeva, sembra, colla nobiltà, si videro le più gran dame farsi serve dei poveri, coi sentimenti della più perfetta umiltà. Erano la presidentessa Goussault, Elisabetta d'Aligre, moglie d'un cancelliere di Francia, Maria Fouquet, madre del famoso sovraintendente delle finanze, ed altre della prima nobiltà, anche principesse come Maria Gonzaga. San Vincenzo, l'istitutore della loro compagnia, avea loro dato questa istruzione: "Entrando nell'Ospedale, voi vi presenterete dapprima alle religiose e le pregherete di accordarvi che, partecipando ai loro meriti, abbiate la consolazione di servire gli ammalati in loro compagnia ... E in presenza dei poveri parlerete con molta dolcezza ed umiltà: e per non contristare questi infelici, a cui il lusso dei ricchi fa maggiormente sentire il peso delle loro miserie, voi non comparirete loro dinanzi se non con abiti semplici e modesti ... Voi non solo eviterete di far le saccenti istruendo i malati, ma eziandio di parlare di voi medesime.
Voi avrete dunque sempre alla mano un piccolo libro che a questo scopo si farà stampare, e che conterrà quelle verità cristiane, la cui conoscenza è la più necessaria".
Ed ecco come esse praticavano queste istruzioni: "Mia buona sorella, dicevano alla malata che visitavano, è da lungo tempo che non vi siete confessata? Non avreste voi la devozione di far una confessione generale, se vi si insegnasse come la si deve fare? A me fu detto essere assai importante per la mia salvezza di farne una buona prima di morire, tanto per riparare ai difetti delle confessioni ordinarie che posso per avventura aver fatto male, quanto per concepire un più vivo dolore de' miei peccati, richiamandomi alla mente le colpe più gravi che ho commesso in tutta la mia vita, e la grande misericordia onde Dio mi ha sopportata invece di condannarmi e mandarmi al fuoco dell'inferno quando l'ho meritato, ma aspettandomi a penitenza per perdonarmele e darmi alfine il paradiso, se io mi convertissi a lui con tutto il mio cuore, come ho il buon desiderio di farlo coll'aiuto delle sua grazia. Ora, voi potete avere la stessa ragione che ho avuto io di fare questa confessione generale e darvi a Dio per vivere bene nell'avvenire. E se volete sapere ciò che dovete fare per risovvenirvi dei vostri peccati, e per ben confessarvi di poi, io vi dirò come ho imparato io stessa ad esaminarmi". Quale delicatezza in questo modo di dire e di fare! Quale condiscendenza!! Quanta umiltà in signore sì grandi! Qual rispetto pel povero e qual sentimento per la sua eminente dignità! Per ispirare a questa aristocrazia tali sentimenti, san Vincenzo de' Paoli non avea creduto necessario dì democratizzarla; gli era parso sufficiente di predicare nella sua semplicità il Vangelo.
Questi sentimenti, questa condotta, bisogna dirlo altamente, non sono tanto rari ai nostri giorni quanto lo si potrebbe credere. Le gran dame del secolo XVII hanno delle emule, delle imitatrici nelle nostre Conferenze di san Vincenzo de' Paoli.
Monsignor Gay, vescovo coadiutore del cardinal Pie, indirizzandosi a sua sorella, le dava questi consigli:
"Tu doni volentieri quando ne sei richiesta: questo vuol dire essere buona e generosa; ma non è abbastanza per una cristiana: Dio giudica come si dà e non quanto si dà. Egli, Signor di tutte le cose "che nutrisce gli uccelli dell'aria" non ha bisogno del danaro dei ricchi per far vivere i poveri, che sono fratelli del suo amatissimo Figliuolo; ma Egli ha voluto onorare i ricchi, servendosi di loro, e dando loro così occasione di meritarsi le sue grazie. Non si tratta dunque tanto di far l'elemosina; - poiché per quelli che sono naturalmente buoni, è una soddisfazione - si tratta di fare la carità. San Paolo diceva: "Quand'anche io distribuissi, a nutrimento dei poveri, tutto quello che possiedo, se non ho la carità, nulla mi giova". Ora, la carità è l'amore di Dio, l'amore degli uomini in Dio. Bisogna dunque, perché l'elemosina costituisca la carità che essa sia fatta con amore e per amore .....
"Da', mia cara, non come dessi il tuo proprio bene, ma come dessi il bene del buon Dio e riferisci a Dio tutto quello che ti verrà reso in riconoscenza. Prega per quelli di cui tu sollevasti la miseria, affinché Dio offra loro il pane che fa vivere l'anima, nello stesso tempo che tu dai loro il pane di cui vive il corpo. Se ti si offre occasione, senza indiscretezza, ma con semplicità, approfitta dell'opportunità che sei messaggera di grazia per fare l'elemosina alla mente ed al cuore di quelli che tu assisti; aggiungi al denaro la consolazione ed il consiglio quando lo potrai; sii l'angelo di Dio, fallo benedire. E poi, non far l'elemosina per abitudine; sibbene collo spirito e colla volontà, privati di qualche cosa per farla. Ecco la vera la sola elemosina, quella che arricchisce più il ricco che la dà che non il povero che la riceve; quella che farà della tua casa una casa benedetta, e di te una figlia prediletta del Signore".
Lo spirito dell'apostolo san Paolo, lo spirito di nostro Signor Gesù Cristo è sempre nelle anime che si aprono a lui, ed egli le stimola a ciò che il mondo chiama follie, follie di rispetto come di amore. Ogni cristiano deve almeno onorare questi sentimenti, se non ha la forza di farli suoi.
 
 

Note:

(1) Più che si studia il passato e il presente, più si è costretti a riconoscere che la questione sociale sì minacciante è sorta dalla distruzione della morale cristiana. Nella seduta del 1° marzo 1880, l'Accademia di scienze ha decretato il premio Monthyon di statistica a M. de Saint-Genis. Uno dei lavori che gli valse questa ricompensa, è una statistica della vita umana avanti il 1789, eseguita secondo i registri delle parrocchie della città di Châtellerault e comparata al periodo dal 1790 al 1898. Il relatore, M. de la Gournerie, ha rilevato in quest'opera un ragguaglio dei più istruttivi, tratto dalla statistica delle parrocchie (En voir le tableau: Sem. Relig. du diocèse de Cambrai, 1886, p. 268). Così, verso la metà del secolo XVIII, osserva M. de la Gournerie, era un'usanza quasi generale nelle famiglie agiate di Châtellerault, di scegliere pei loro figliuoli dei padrini e madrine poveri. Il ricco chiedeva al povero amicizia e appoggio pel suo figliuolo, inspirandogli l'obbligo morale di sostentare nel suo bisogno l'infelice a cui lo univa un vincolo spirituale. Vi si scorge altresì l'onore che le società cristiane rendevano in ogni occasione ai poveri, giusta l'esempio dato da san Paolo e sì mirabilmente commentato da Bossuet.