mercoledì 16 settembre 2015

[QUESTIONE EBRAICA] Piergiorgio Seveso introduce ‘Pensieri teologicamente scorretti” di P. Vassallo

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Mentre scorrevamo le pagine, ricche e molto dotte, scritte in un italiano corposo e ubertoso, di questo interessantissimo saggio di Piero Vassallo, una parola montava, imperiosa e prorompente, arcana e terribile, alle labbra della nostra mente: Deicidio.
In un mondo come quello che ci circonda e ci assedia, sostanziato dal totalitarismo liberale, le parole “proibite” sono tantissime, ogni giorno aumentano di numero e se ne fanno ormai lemmari e lezionari (para)liturgici, le si trascrive in codici pubblici e privati, in nuovi manuali di comportamento e di comunicazione.
Tra queste spicca certamente la parola “Deicidio”.
Se è vero che non si può uccidere Dio, si può però tentare di ucciderlo.
Questo è il tragico paradosso dell’evento storico che si è concretizzato in due processi, uno religioso presieduto con pienezza autoritativa e rappresentativa da Caifa e poi uno civile presieduto dall’incerto e ondivago Ponzio Pilato, che portarono alla messa a morte di Nostro Signore Gesù Cristo in un venerdì di quasi duemila anni fa.
Facciamo nostre le argomentazioni, tutt’altro che peregrine, che Sua Eccellenza Monsignor Luigi Maria Carli (1914-1986), vescovo di Segni, portava in un suo articolo pubblicato dopo la chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II mentre ferveva il dibattito tra i patres sulla votanda dichiarazione conciliare Nostra Aetate, poi approvata il 28 ottobre 1965:
 
Ritengo legittimo poter affermare che tutto il popolo giudaico dei tempi di Gesù – inteso in senso religioso, cioè quale collettività professante la religione di Mosè fu responsabile in solidum del delitto di deicidio, quantunque soltanto i capi, seguiti da una parte degli adepti, abbiano materialmente consumato il delitto. Quei capi non erano, sì, eletti democraticamente dal suffragio popolare; però, secondo la legislazione e la mentalità allora vigenti, erano ritenuti da Dio stesso (cfr. Mt. 23, 2) e dalla pubblica opinione come le legittime autorità religiose, i responsabili ufficiali degli atti che essi ponevano in nome della religione e servendosi degli strumenti giuridici predisposti dalla religione medesima. Orbene, proprio da quei capi Gesù Cristo, Figlio di Dio, fu condannato a morte; e fu condannato proprio perché si era proclamato Dio (Io. 10, 33; 19, 7), e nonostante avesse fornito sufficienti prove per essere creduto tale. (Io. 15, 24). La sentenza di condanna fu emanata dal Concilio, (Io, 11,49 segg.), cioè dal massimo organo autoritativo della religione giudaica, appellandosi alla Legge di Mosè (Io. 19, 7), e motivando la sentenza come un’azione difensiva di tutto il popolo (Io. 11, 50) e della stessa religione (Mt. 26, 65). Fu il sacerdozio aaronitico, sintesi ed espressione massima dell’economia teocratica e ierocratica del Vecchio Testamento, a condannare il Messia. E’ lecito, per­tanto, attribuire il deicidio al giudaismo, in quanto comunità religiosa[1].
 
Queste posizioni, peraltro nobilissime e prive di acrimonia fine a se stessa, furono poi sconfessate in sede conciliare. Da allora, qualunque sia il valore magisteriale che si voglia attribuire alla Dichiarazione Nostra Aetate e qualunque sia la legittimità che si voglia attribuire a quell’assise, questa Dichiarazione ha avuto un impatto certamente rivoluzionario, sia sul piano ecclesiologico che su quello, oggi ormai omni-pervasivo, della sociologia religiosa nella lettura dei rapporti storici tra Chiesa e sinagoga e nei rapporti con l’ebraismo moderno.
A chi si ponesse in maniera critica di fronte a queste nostre asserzioni e le trovasse soverchiamente malevole rivolgiamo una domanda: chi, in ambito cattolico ordinariamente inteso, oserebbe sottoscrivere oggi le parole che una fine apologeta, come monsignor Emile Paul Le Camus, vescovo de La Rochelle, (1839-1906) scriveva nella sua “Vita di Gesù Cristo” oggi?
Dal canto suo, la moltitudine, rivendicando per sé nel suo odio cieco la responsabilità declinata dal romano, gridava: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!» è inutile dire come la sacrilega bravata sia stata intesa ed esaudita da Dio. Il sangue del giusto pesa ancora sui figli dei colpevoli senza che né il tempo, né la moderna civiltà, né lo scetticismo universale abbia potuto toglierne l’indelebile traccia. Con tutte le sue ricchezze, il suo spirito mercantile, la sua energia vigorosa e instancabile, questo popolo, che è sparso ovunque senza regnare in nessuna parte, che possiede ormai tutto l’oro del mondo e non può comperarsi una patria, vive, passa e muore disprezzato, maltrattato, maledetto, come se ancora sulla sua fronte si leggesse scritta in lettere di sangue, quale ragione della sua sventura, la parola «deicidio»[2]
La risposta è semplice, immediata, incontrovertibile: nessuno.
Questo rende netta le separazione tra un “prima” e un “dopo”, rende chiaro l’oblio pressoché completo della posizione dottrinale cattolica nei riguardi della “sinagoga bendata”, di quel popolo (Vetus Israel) un tempo prediletto.
Questo oblio ha prodotto anche la cessazione pressoché universale di qualunque forma di approfondimento che andasse nella direzione di questo paradigma “proibito”, sia in un ambito più strettamente accademico che in uno più schiettamente ed utilmente apologetico. Se opere sono state scritte, se studi sono stati pubblicati, si debbono a penne certo coraggiose, a volte molto dotte, spesso volenterose.
Anche i “Pensieri teologicamente scorretti” di Piero Vassallo ribadiscono la validità perenne di questo paradigma e portano un contributo originale in questa direzione, con coloriture spesso felici e con accenti sovente fecondi, ad esempio nell’individuazione di un certo ebraismo modernizzato e “ateo” come fucina principale e lievito delle rivoluzioni postmoderne.
D’altronde, proprio all’inizio dello sciagurato percorso conciliare, uno dei più lucidi e avvertiti esponenti dell’episcopato cattolico dell’epoca pacelliana, già dilaniata dal trionfo del democratismo cristiano e dell’american way of life come modello unico per il “nuovo mondo”, ovvero S. E. R. Gerardo de Proença Sigaud (1909-1999), vescovo di Jacarénzinho e poi di Diamantina in Brasile, lasciava agli atti della storia il suo votum per il futuro concilio dal quale stralciamo questo passo particolarmente interessante.
La lettera datava 22 agosto 1959, festa del Cuore Immacolato di Maria, e Sua Eccellenza Proença Sigaud scriveva, chiedendo al futuro concilio ecumenico un nuovo Sillabo e una severa battaglia culturale e politica contro le forze della rivoluzione mondiale
Il giudaismo internazionale vuole scardinare radicalmente la Cristianità e sostituirsi ad essa. Le sue schiere sono principalmente i massoni e i comunisti. Il processo rivoluzionario iniziò alla fine del Medioevo, avanzò nel rinascimento pagano, compì grandi passi nella pseudoriforma protestante, e nella rivoluzione francese distrusse la base politica e sociale della Chiesa, credette di distruggere la Santa Sede con l’abbattere lo Stato pontificio, indebolì l’economia della Chiesa con la secolarizzazione dei beni religiosi e delle diocesi, procurò una gravissima crisi interna col modernismo, w infine con il comunismo creò lo strumento decisivo per cancellare dalla terra ogni traccia di Cristianità. La maggior parte della forza della Rivoluzione deriva da un astuto impiego delle passioni umane. Il Comunismo ha creato la scienza della Rivoluzione, di cui sono armi precipue le passioni sfrenate dell’uomo, incitate metodicamente. La Rivoluzione ricorre a due vizi come forze di distruzione della società cattolica e di costruzione della civiltà atea: la sensualità e la superbia. Queste disordinate e travolgenti passioni mirano scientificamente ad un fine preciso, e si sottomettono alla ferrea disciplina che le muove per distruggere dalle fondamenta la città di Dio e costruire la città dell’uomo. Accettano anche la tirannide del totalitarismo e tollerano la miseria pur di edificare l’ordine dell’Anticristo. Vi è probabilmente una specie di governo centrale, potente e preparatissimo che dirige tutto questo piano: una centrale umana, strumento di Satana in persona. Queste cosiddette “destre politiche”, quali il fascismo ed il nazionalsocialismo non furono che fasi di una medesima guerra contro la Chiesa di Cristo [3]
Israele è quindi un attore unico, da sempre, sulla scena storica e ancor di più lo è nella questione del Vicino oriente e della Terra Santa.
Su questo tema, che il Vassallo lambisce con un stile equanime e positivo, giova ribadire, anche per quanto riguarda il diritto internazionale, che il caso della “Terra Santa” è specialissimo perché UNICO è l’attore israeliano, unico per indole, unico per comportamento, unico per storia, unico per destino, unico per invasiva capacità, unico per smisurata volontà di potenza, unico per copertura internazionale, unico per ferrea e spietata decisione nel portare a termini i suoi disegni.
Questa unicità genera per sua natura eccezionalità ovvero reazioni eccezionali, contrapposizioni eccezionali, odi eccezionali, rancori eccezionali e anche un diritto internazionale (e uno Ius gentium a monte) che dovrebbe essere appunto eccezionale.
In questo stato di generale eccezione si situano i casi di guerra asimmetrica che gruppi militari palestinesi conducono legittimamente contro l’occupante dell’Entità sionista. Questa guerra UNICA continua ad avere conseguenze imprevedibili, specialmente dopo l’11 settembre ed il conflitto endemico che ne è venuto, sull’intero scacchiere mondiale.
Ben vengano quindi studi, come quelli di Piero Vassallo, che con evangelica franchezza e soda dottrina riportano sotto i riflettori tematiche come queste, studi che, anche se non sono scritti contro Nostra Aetate, sono scritti senza l’ipoteca culturale e teologale di Nostra Aetate, avendo il coraggio di chiamare ogni cosa col proprio nome.
Dal momento che questo libro della nostra casa editrice viene pubblicato proprio nell’anno cinquantenario del Concilio Vaticano Secondo e di Nostra Aetate ci piace concludere citando, senza soverchie parole di commento, un breve e drammatico stralcio di una lettera privata che Padre Luigi Macali O.F.M, docente di teologia morale alla Pontificia Università teologica San Bonaventura, scriveva al già citato Monsignor Carli. In una lettera del 12 giugno 1965 egli scriveva
[…] Dove sono e cosa fanno i cosiddetti benpensanti tipo […] Parenti, Piolanti, Garofalo, Palazzini e via dicendo? Sono in attesa degli eventi, non vogliono compromettersi la carriera, non vogliono farsi nemici, fanno i furbi?  E intanto del campo si impadroniscono i meno saggi, i più spregiudicati, i cacciatori di avventure […] ed è così che nei vari incontri e scontri tra le varie correnti del Concilio hanno sempre la meglio o quasi sempre la meglio i teppisti […]. La storia dirà in un domani forse lontano che sulla questione ebraica non tutti si sono arresi di fronte alla forza dell’oro, alla violenza della pressione morale e non solo morale, dirà che non tutti […] hanno preferito ancora una volta condannare Cristo per assolvere Barabba. Ma dove sta andando la Chiesa romana? I nemici mortali della Chiesa celebreranno in gran segreto orgie e baccanali di gioia per essere riusciti ad ottenere che la Chiesa distrugga se stessa con le proprie mani […] Dall’inizio ad oggi tutti i mali, tutte le persecuzioni della Chiesa sono uscite dalle Sinagoghe […], sono avvenute ad opera o non senza il valido aiuto dei discendenti di Giuda, ed oggi la Chiesa è arrivata al punto di accusare se stessa e assolvere il suo più antico e mortale nemico[4].
 
[1] Mons. Luigi Carli, La questione giudaica davanti al Concilio Vaticano II, Palestra del Clero, Anno XLIV, N. 4, 14 febbraio 1965
[2] Emile Paul Le Camus, La vita di Gesù Cristo (traduzione di Monsignor Luigi Grammatica), volume III, pp. 270-271, Brescia, Queriniana, 1934. Le edizioni italiane di quest’opera sono moltissime: cito questa specifica edizione perché ne fa uso Padre Isidoro da Alatri O.F.M. Cap. nel suo famoso e ancor oggi ristampato saggio “Responsabilità giudaica nella crocifissione di Cristo”, [S.l] “In omnibus Cristus”, 1962 (Frosinone : tipografia dell’Abbazia di Casamari)
[3] L’intero votum è leggibile in Acta et Documenta Concilio Œcumenico Vaticano II Apparando
Series I, Volumen II, Pars VII, pp. 180 – 195
[4] Fondo Carli ,28.23 riportato in Storia del Concilio Vaticano II, volume IV, p.184n, Bologna, Il Mulino, 1999