giovedì 16 giugno 2016

Milano austriaca, la lunga stagione felice. Fateci ancora sognare!

Fonte: http://www.lindipendenzanuova.com/

di ROMANO BRACALINI – Il regno di Maria Teresa d’Austria è ricordato in Lombardia come un esempio di rigore amministrativo e un’epoca di grandi riforme..Dopo il degrado spagnolo,lo Stato prende forma politica moderna. Con la guerra di successione e la pace di Utrecht, l’Austria subentra alla Spagna nei domini italiani. Siamo nella prima metà del Settecento. Una donna piccola e grassottella, che non ha nulla del sovrano raffigurato dall’oleografia, è destinata più d’ogni altro a cambiare il volto della città e a interpretarne le ansie di rinnovamento; è anche la prima donna sul trono degli Asburgo.
Maria Teresa d’Austria risiede a Vienna ma considera Milano la perla dei nuovi territori aggregati all’Impero. Concepisce per la Lombardia un vasto piano riformatore. Libertà di commercio, sviluppo dell’industria e dell’agricoltura, ma il suo capolavoro è il catasto, l’ordinamento e la compilazione dei beni prodotti. Rinnova il costume degradato e corrotto dal formalismo spagnolo, sopprime i privilegi feudali e il diritto di asilo, che concedeva il ricovero degli assassini nelle chiese; ripulisce le strade dando dignità al lavoro e riducendo gli eccessi della pubblica carità; abolisce l’inquisizione e la censura ecclesiastica, riduce il latifondo e favorisce la piccola proprietà.
In quarant’anni di regno Maria Teresa impresse il segno nelle opere che rappresentano il suo monumento più duraturo.
Allo Studio di Pavia, rinnovato, chiamò i più gradi talenti dell’epoca: Alessandro Volta, Lorenzo Mascheroni, Lazzaro Spallanzani. Incrementò l’istruzione pubblica con la scuola elementare obbligatoria e gratuita: caso unico nella penisola. Vennero poi le grandi istituzioni vanto della città: il Teatro alla Scala, inaugurato nel  1778; il palazzo Ducale, poi Reale, anch’esso, come la Scala, opera del Piermarini; la Biblioteca Braidense, con 24 mila volumi; ed ecco alla Villa Reale la prima forma di giardino pubblico.
Nulla doveva risultare inutile e tutto di pubblica utilità. Al governo di Milano Maria Teresa aveva voluto l’uomo giusto, il conte Firmian, protettore della musica e delle arti. Milano divenne un crocevia: venne il giovane Mozart ricevuto con gli onori dal governatore. Milano era una città ricca e felice. Più che la parsimonia asburgica ricordava il lusso francese. Alla morte di Maria Teresa, avvenuta nel 1780, salì al trono il figlio Giuseppe II che continuò l’opera riformatrice della madre. Poi la bufera rivoluzionaria che portò Napoleone a Milano. Alla sua definitiva caduta, nel 1815, tornò l’Austria e la Lombardia fu unita agli antichi territori veneziani nel nuovo Regno Lombardo-Veneto con Milano capitale.
Al nuovo territorio venne concessa una larga autonomia secondo la tradizione Teresiana. Vigeva la doppia monetazione, la lira milanese d’argento e il fiorino austriaco, il golden di carta. E l’arguzia milanese aveva trovato il modo di ridere della lira austriaca, la svanzica, da venti in tedesco, che avendo l’impronta dell’aquila bicipite era chiamata Checc, gallina. Per ammissione dei vecchi milanesi il sistema delle monete e delle misure era complicatissimo. Si cominciava col quattrin o ghell: c’era il trii quattrin, il bòr era una soldo, al ses e on quattrin corrispondeva il quattrin di svanzica. Nomi che servivano all’umore popolare per dare i sopranomi più divertenti. Un abatino si chiamava on ghicc, quasi valesse due centesimi. La lira da venti soldi, ricordo dell’Ambrogino, col sant’Ambrogio dallo staffile, non esisteva più soppiantata dalla lira austriaca, ma il popolo continuava a contare e contrattare nel suo nome.
Quanto alle misure, c’era la pertica, la brenta e la trentina, non c’erano più le moggie e i quartaj, sparite la vecchia pinta, il boccale e la zaina. Col carnevale ambrosiano si esercitava la satira del potere con le maschere allegoriche che sfilavano in Contrada Orientale, l’attuale corso Venezia, e l’Austria lasciava correre. In ottobre arrivavano in piazza Castello i carri con le botti di vino nuovo. Si toglieva la spina e si lasciava bere a on sold al fiaa. Di trippe incoronate e cervellate si trova menzione anche nell’Aretino. La cervellata era così squisita che i magistrati del comune, temendo ne venisse guastata la ricetta, ordinavano che fossero adoperati solo gli ingredienti prescritti e si poteva vendere solo in presenza dall’autorità comunale.
I milanesi avevano sempre avuto fama di ghiottoni. E a proposito delle differenze Dossi diceva: lombardi lupi e fiorentini mangia fagioli, lecca piatti e tovaglioli. Il popolo andava a comprare cinq ghei di basletta, gli scarti di salumeria o delle mense dei ricchi detti repubblica, cinq ghei di repubblica. Repubblica era sinonimo di confusione. Dopo il ’61, arrivata l’Italia, gli operai cominciarono a scendere il sciopero stanchi del pane di mistura e una canzone popolare diceva.
Canta,lavora e mucchela
Coi to do checc al dì.
Quaranta centesimi  al giorno. Era tutto ciò che passava l’arcigna monarchia di Savoia. Sotto l’Italia Milano verrà presa a cannonate. Il ricordo dell’Austria non passava.