venerdì 14 ottobre 2016

Il Veneto nel 1866 non è mai stato ceduto all'Italia (seconda parte)



Nella prima parte avevamo lasciato il prode commissario italiano Thaon di Revel alle prese con una grana diplomatica non da poco: il Governo italiano aveva indetto il plebiscito, fissato le date e stabilito le modalità con un Regio Decreto ufficiale ignorando completamente il ruolo di garante internazionale del commissario francese Leboeuf, il quale, lo ricordiamo, rappresentava l'Impero Francese, che in quel momento aveva una sorta di protettorato internazionale temporaneo sul Veneto.

Il bravo Revel, dopo qualche bugia, un po' di riverenze e delle false rassicurazioni all'offeso commissario francese Leboeuf, conclude la sua lettera di scuse riconoscendo il ruolo del commissario francese: “Io posso quindi dichiararvi nel modo il più formale, che il Governo del Re [Vittorio Emanuele II], mio augusto Sovrano, non ha inteso, né intende intralciare menomamente l'opera vostra, quale Commissario di Sua Maestà l'Imperatore dei Francesi. Non prenderò ingerenza nelle cose di queste provincie se non quando per la retrocessione che avete missione di fare, diventate libere, mi richiedessero del mio intervento. [...] Mi lusingo che accogliendo queste mie leali assicurazioni, darete corso alla vostra missione, ricevendo la consegna di Venezia dalle Autorità austriache e rimettendo il Veneto ai tre notabili, che avete chiamati a voi e che stanno aspettando i vostri ordini.”
Il Leboeuf crede alle rassicurazioni mendaci del commissario italiano, e risponde il 18 scrivendo: “Ho l'onore di informarvi della ricezione della lettera con cui mi fate sapere che il Governo di Firenze non ha mai pubblicato come Decreto, ma semplicemente delle istruzioni relative al Plebiscito. In conseguenza di questa dichiarazione, mi felicito di potervi dire che nulla s'oppone più alla remissione di Venezia e del Veneto [originale: “de Venise et de le Vénétie”], che potrà aver luogo domani mattina, così com'era stato inizialmente convenuto”.
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Appena il francese viene riportato alla convinzione iniziale, Revel telegrafa al Ministero della Guerra a Firenze [allora Capitale del Regno d'Italia]: “Domani alle 8, senza alcuna solennità, nell'alloggio di Leboeuf, si farà cessione Venezia retrocessione ai Notabili. Leboeuf pronunzierà allocuzione ai Notabili, dalla quale eslcusa ogni allusione al modo di votazione del Plebiscito.”
E così avvenne. La cessione del 19 ottobre venne proclamata con questa formula, pronunciata dal commissario Leboeuf: “A nome di Sua Maestà l'Imperatore dei Francesi ed in virtù dei pieni poteri e mandato che ha voluto conferirmi [...] dichiariamo di rimettere la Venezia a sé stessa, affinché le popolazioni padrone dei loro destini, possano esprimere liberamente, con suffragio universale, il loro volere a riguardo dell'annessione della Venezia al Regno d'Italia”.
Ma Revel ci descrive anche gli interessanti momenti successivi: “Ciò detto, il conte Michiel a nome della Commissione diede atto al generale Leboeuf della rimessione della Venezia a sé stessa. Firmarono il processo verbale in duplice copia: Leboeuf – Luigi Conte Michiel – Edoardo Cav. De Betta – Emi-Kelder dott. Achille [sic]”.
Come avrete notato dalle rimostranze del commissario francese, dalle paure e dalle ammissioni del commissario italiano, dalla formula di cessione utilizzata e dalle firme delle 4 persone che hanno sottoscritto l'atto di cessione, i personaggi coinvolti in quel 19 ottobre sono il commissario francese Leboeuf, a rappresentare la Francia, e i tre notabili, a rappresentare il Veneto: la Francia, insomma, ha ceduto il Veneto a sé stesso, cioè, come prevedeva l'accordo internazionale, gli ha concesso di autodeterminarsi con una consultazione popolare autogestita.
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Ecco dunque, che il Plebiscito avrebbe dovuto essere liberamente organizzato dai 3 rappresentanti delle libere popolazioni venete, cui era riconosciuto uno status internazionale particolare, con la piena possibilità dell'opzione “indipendenza”, temuta fortemente dal Governo italiano (cit. “si creava un'autorità speciale sul Veneto, che poteva dar luogo a qualche aspirazione autonoma od anche repubblicana per Venezia”), che approntò i metodi mafiosi e liberticidi che ormai tutti conosciamo proprio per negare ai Veneti il diritto di autodeterminarsi come riconosciuto, garantito e sancito dalla Pace di Vienna del 3 ottobre 1866: la sovranità dei Veneti riconosciuta con un trattato internazionale dai due Stati più potenti dell'Europa continentale (l'Impero Austriaco e l'Impero Francese), dal Regno d'Italia stesso, e col benestare del Regno di Prussia (alleato dell'Italia nella guerra del 1866).
A riprova di questa ricostruzione, poi, c'è il fatto che i 3 notabili “rappresentanti” del territorio veneto si sono recati dal Re d'Italia Vittorio Emanuele II il 4 novembre 1866 a consegnare i risultati ufficiali del plebiscito veneto del 21-22 ottobre, che essi stessi notabili avrebbero dovuto organizzare in tutto il Veneto che rappresentavano per investitura internazionale. La rappresentanza è tale che sono quei 3 notabili che consegnano il Veneto nelle mani, letteralmente, del Re d'Italia. Non è un caso, si osservi, che il Regio Decreto di annessione delle “provincie [sic] della Venezia e di quella di Mantova” possa essere promulgato proprio con data “Torino, 4 novembre 1866” (RD n. 3300 del 4.11.1866, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno successivo).
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Perciò, se qualcuno ancora si chiedesse “Ma allora, se non fossimo in Italia, saremmo tornati con l'Austria?”, sappia che storicamente la vera alternativa per i Veneti nel 1866 non era tra un Veneto italiano o un Veneto austriaco (né un Veneto francese, come ha ipotizzato qualcuno), ma tra un Veneto italiano, o un Veneto indipendente.
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Alessandro Mocellin

Fonte: http://www.veja.it/